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Autore: Kimmy_90    26/02/2008    3 recensioni
Philosophi, Custodes: guerrieri e sapienti, condottieri cresciuti ed istruiti, usati, stressati, tirati oltre ogni limite. Bambini sottratti ai genitori per divenire macchine da guerra: Utopia o Distopia?
E se il tutto, che a stento si regge in piedi, crollasse a dispetto dell'uno?
E se l'uno fosse dalla parte del tutto?
Dove trovi la ragione, dal sempre fu o dal nuovo che porta terrore come solo questo sa fare?
E se la routine della guerra divenisse l'isto di una catastrofe?
Siamo in un altro mondo, signori, e qui non v'è magia alcuna: soltanto geni...
Geni e Demoni.
[Storia in revisione] [Revisionata sino al capitolo 10]
Genere: Azione, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'Cristallo di sale' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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[Nota dell'Autrice in Apertura]

Ok, ok, 24 ore di ritardo.. c'è da rompere?
Per me è record! Dopo i lunghi tempi a cui vi avevo abituati ^^''''

Inauguro in questo mio capitolo il mio primo OOC.
Questo accade perchè
A - quando ho iniziato questa storia, Kishimoto non aveva ancora chiarito la vera natura di questo personaggio.
B - la vera natura di questo personaggio, ora che Kishimoto l'ha rivelata... mi fa decisamente schifo.

E il sensei mi ha deluso della brutta, devo dire...

PS: NO, quella all'inizio NON E' UNA POESIA. Tranquillii.
Fin lì, ci arrivo anchio. U_U''



22. Deficio, defecis, defeci, defectum, deficere.

Imparare a capire che le intelligenze sono diverse
significa ammettere che, per certe cose, siamo decisamente stupidi.




Il ragazzo era accompagnato da due uomini in camice verde, che lo cingevano per i gomiti vincolati dalla camicia bianca. Avanzavano lungo il corridoio, avvolti solamente dai suoni dei loro passi che rimbombavano sulle pareti quasi del tutto spoglie se non per qualche bacheca o panca ogni tanto.
Lui riconosceva la strada solamente da quei suoni, che dalla modulazione data dal riflettersi sui muri ed il timbro del pavimento gli apparivano come chiari segnali del posto verso il quale si stavano dirigendo.
Pareva si lasciasse trasportare dai due, quando invece, a tratti, era lui stesso a guidare.

Prima, bussarono.
La ragazzina balzò in piedi, colta quasi di sorpresa mentre si ritrovava assorta nello studiare il fascicolo del futuro paziente.
“Avanti”
disse lei, tremante.
La porta si aprì con lentezza, facendo apparire tre figure adulte. Due possenti custodes in abito da medicus fecero entrare un ragazzo chiuso in una candida camicia di forza. Uno dei due gli piazzò una mano sul capo, dirigendolo verso la brandina e facendolo sedere. L'altro, una volta che il paziente fu seduto, si chinò a stringere delle catene ad avvolgergli gran parte delle gambe.
“Non ha mai dato problemi, comunque è ben fermo. Immagino che tu ti sappia difendere da uno così sigillato.”
Sakura annuì, deglutendo. L'idea di dover scappare da un pazzo non l'allettava particolarmente.
“Lasciamo la porta aperta, comunque. Arrivederci.”
Se ne andarono con un cenno di mano, che venne contraccambiato da un segno che lei fece col capo. Si volse verso il ragazzo, che rimaneva fermo, immobile, rilassato.
Lunghi capelli corvini gli scendevano fino alle spalle. Il volto, quasi femminile, pallido, era smunto, due segni a incavo che scendevano dagli occhi percorrendo tutta l'arcata oculare inferiore.
Era alto, alto e magro. Dal viso, la piccola futura Philosophus non riusciva a ricavare alcuna emozione, alcun pensiero. Il giovane era statico sia nel corpo che nell'animo. Rimaneva lì, il capo alto, in attesa.
“Buongiorno.”
Solo allora si voltò verso Sakura.
“E Tsunade dov'è?”
Già. Una benda nera, pesante e grossa gli copriva gli occhi. Non poteva vedere. Si immaginava dunque di essere 'trattato' sempre dalla stessa persona, era una cosa abbastanza ovvia.
La domanda vene posta con un'intonazione minimale, giusto a lasciar intendere il punto interrogativo.
“Ha da fare. Per questa volta ti faccio io il controllo.”
La ragazzina assunse un tono distaccato, sebbene prevalesse un certo riguardo nelle sue parole. Non era avezza a rivolgersi ai più vecchi di lei con disprezzo.
A meno che non si trattasse di un bocciato, ovviamente: ma anche quella cosa aveva un nesso.
Aveva sempre visto quel comportamento come logico: i bocciati venivano stressati in continuazione perchè fossero sempre e comunque sicuri di voler proseguire. Aveva un che di educativo, come ogni cosa nel Ludus. Lei era solita trovare un senso alle regole che seguiva con somma precisione: non certo perchè si ponesse dubbi al riguardo, semplicemente le comprendeva.
Avevano un senso.
Molte cose per lei avevano un senso, e da tempo ormai aveva capito che comprendere era una cosa che in pochi potevano permettersi. La sua forza stava nel saper dare un senso alle cose e nel saper fidarsi di quelle che non parevano averne. Proprio perchè trovava nessi logici così spesso, era portata ad aver fiducia in tutto ciò che la circondava. Lei era così. Logica, e logicamente ubbidiente.
Per questo sapeva di potersi definire una dei migliori alunni di tutto il Ludus.
Ma ora era diverso.
Ora avrebbe dovuto trattare come inferiore un ragazzo molto più grande di lei, ma pazzo, come recitava il fascicolo: 'uno dei pochissimi prigionieri della nostra Regio, ma pur sempre un prigioniero, con problemi neurali'.
Quello che, se non fosse stato per un problema strettamente medico, ora sarebbe sicuramente un suo superiore.
“Capisco.”
Disse il giovane, voltando il capo dall'altra parte.
Sakura iniziava a sentirsi a disagio, ma tentava di sopprimere quella sensazione con quel poco di professionalità che aveva. Si avvicinò a quello, poggiando le mani sugli zigomi del detenuto, il quale percepì immediatamente, sotto al lattice asciutto, la leggerezza e la sottigliezza delle mani della ragazzina.
Quella scese fino ai margini della mascella, iniziando a tastare con precisione tonsille e ghiandole varie.
“Quanti anni hai?”
Domandò quello, voce totalmente atona. Lei trattenne il respiro, ancora succube all'idea che quello la potesse aggredire.
“Dodici. Abbondanti.” Rispose con un filo di voce, scendendo sul collo, per poi cingergli lievemente il mento con un una mano per fargli voltare il capo.
“Per ora faccio il solito” aggiunse, poco convinta. Con un gesto secco fece emettere un sonoro crock alla colonna vertebrale del prigioniero. Destra, sinistra, in obliquo, alto, basso. Fisioterapia lampo: la facevano una volta al mese, i carcerati, giusto per aggiustare i muscoli. Finiva lì.
Ecco, quella era una delle poche cose che non comprendeva a fondo. Però un motivo doveva esserci.
“Sei brava. Tsunade è più violenta.”
La ragazzina si allontanò, pretendendo di non volerlo ascoltare. Era intimorita da ogni sillaba che pronunciava l'altro, domandandosi come si esprimesse questa sua pazzia: una risposta l'aveva già, e stava nella sua parlata che non esprimeva assolutamente nulla. Fredda, distaccata, quasi elevata da resto del mondo.
Gli puntò il termometro in fronte, mentre con l'altra mano andò a sfogliare il fascicolo.
“Ma lei mi odia, posso capirlo.”
La voleva solo mettere a disagio, ne era convinta. Perchè non taceva? Fu costretta a guadare nuovamente nella sua direzione: questo, nonostante non potesse vedere, era posizionato in modo da darle l'idea di starla fissando da sempre.
Il termometro suonò.
“A posto.”
“Non serve che me lo dici, sai? Cosa me ne potrà mai importare..?”
Lei scosse il capo per l'ennesima volta, decisa a non fare più parola con quel soggetto. Andrò ad afferrare una delle siringhe che poggiavano sul mobiletto, infilandola nel piccolo forellino che la camicia di forza aveva sulla spalla, per poi far sprofondare l'ago nella carne.
“Ahi.”
Fece il giovane, sempre con tono apatico. Sakura digrignò lievemente i denti, colta dal desiderio di piantagli un'altra siringa alla giugulare, con un gesto secco e stizzito.
Ma non mosse nemmeno un muscolo.
Estrasse il sangue con lentezza, sfilò con dolcezza l'ago, si allontanò dal ragazzo ed andò a colmare di linfa vitale una manciata di piccole provette.
“E come ti chiami?”
Non rispose. Gli si mise di fronte, andando per sciogliere la benda che gli copriva gli occhi.

Pazzo.
Gli davano del pazzo.
Ed ogni mese Tsunade gli cingeva il capo fra le mani, strattonandolo con gesti secchi a destra e a sinistra, in obliquo, in alto, in basso. Lui riusciva a percepire un profondo odio in ogni singolo gesto della donna, e si manteneva con un espressione sostenuta e di superiorità.
A volte si azzardava ad insultarla, ricavandone una buona manciata di lividi.
Avrebbe potuto ucciderlo, dopo tutto.
Molte erano le facce del mondo: lui era quello che più di tutti poteva saperlo.

Quando levò la stoffa dal volto del ragazzo, Sakura indietreggiò istintivamente col capo e chiuse gli occhi, trattenendo il fiato. Quando li riaprì, lo sguardo mirava a terra, e cercava il coraggio di rialzarlo.
Il prigioniero rimaneva immobile, tastando nell'aria quel suo tentennamento. Tacque.
Contò fino a cinque, obbligandosi a risollevare il volto.
Chiuse istintivamente gli occhi una seconda volta, riaprendoli pochi istanti dopo.
Bene. Riusciva a guardarlo.
Ce l'aveva fatta.
Ora, ferma sul posto, le iridi verdi fissare su quel viso da folle, osservava quello che aveva solo letto su carta, e solo qualche minuto prima.
Agli occhi del giovane si sostituivano due crateri neri, circondati di cicatrici. L'oscurità imperversava in quello sguardo cieco, privo di bulbi oculari, morto in ogni suo muscolo.
Ancora in difficoltà nel sostenere la vista di quella cosa, fu sollevata nel ricordarsi di dover inumidire i guanti. Si voltò, facendo correre l'acqua del rubinetto.
“Ti fa impressione, vero?”

Lui era sempre stato un essere logico.
Ed era sempre stato il migliore, il più bravo, il più forte, talmente superiore agli altri da poter esser uno dei pochi la quale grandezza veniva palesata.
Non aveva mai goduto particolarmente di questa sua posizione, limitandosi a studiare e a seguire il suo percorso di studi.
Entrò nel sesto anno di scuola, tirato e lustrato, ammirato e lodato: seguiva ben più lezioni di quelle che spettavano ad uno studente normale.
Poi accadde.
Accadde.
E lui, sì, lui era sempre stato un essere logico.
E per lui, no, non esisteva logica senza pensiero.
Furono lunghi gli anni in cui pensò che fu quel pensare a renderlo pazzo.
Ma poi tornò a pensare. A pensare da se'.
E si rese conto che molte erano le facce del mondo.
E che pazzo era solamente una parola.

Chiuse il rubinetto, tornando ad avanzare verso il detenuto. Con cautela, aiutata una piccola torcia, andò ad ispezionare con cura le due cavità vuote. Passò i polpastrelli guantati e leggermente umidi sulla superficie rugosa di cicatrici, alla ricerca di infezioni.
Silente, solo il respiro a testimoniare la sua tensione.
“Quanto ti fidi di quello che ti dice la gente?”

Seminare terrore gli piaceva. Erano rare le volte in cui non era visitato da Tsunade stessa. Perchè Tsunade voleva che lui avesse a che fare con meno persone possibili.
Tsunade.
Lei, la donna che, quando era stato ghermito da decine di custodes ed immobilizzato a terra a suon di lividi, tagli e spari, aveva urlato “Così come ti ho fatto, ti disfo”.
E lui aveva udito una strana, debole incrinatura nella sua voce adirata, un'incrinatura che non aveva mai percepito prima in nessuno: un che di disperazione che avanzava.
Ma non era disperazione.
Era qualcosa di più.
Fallimento?
Peggio.
Ma non sapeva cosa.
Ah, ma ora far traballare le persone gli piaceva. Era l'unica, misera cosa che poteva fare, l'ultimo atto di una battaglia che non poteva vincere e a stento aveva potuto iniziare.
Era stato più riservato, in passato.
Era stato diverso. Freddo e ubbidiente, succube e ordinato, integrato.
Era stato freddo. E riservato.
Ora era Gelido.
Ed era cinico.

Sakura non rispose, preferendo continuare nella visita.
“Ti fidi molto, come tutti gli altri. Lo so.”
Taci, Sakura. Taci.
Lui annusava e udiva ogni singola vibrazione nell'animo della giovane. Era cieco, ma sapeva vedere con tutto il corpo, nonostante, quando li aveva, gli occhi erano stati indubbiamente il suo senso migliore.
La ragazzina aveva paura, eppure rimaneva ben salda.
“Non c'è da fidarsi.”
Taci.
“Questo mondo fa schifo, e quando lo capirai, sarà troppo tardi.”
Lei continuava.
Lui non sapeva se definirla debole, perchè fin troppo salda a quelle tradizioni e a quelle regole, o forte, perchè talmente salda da non tentennare ad ogni minimo tentativo di squilibrarla.
Di solito tentennavano, loro.
Lei no.
Però aveva paura.
“Tu che puoi vedere, dovresti guardare meglio.”
“Smettila.”
Ah, allora un limite di sopportazione ce l'aveva anche lei.
“Già. Sono un pazzo, posso dire solo cose senza senso, giusto?”
“Non mi interessa se sei pazzo o meno. Taci, o non riesco a capire se hai un'infezione o no. Se continui a muovere il mento la pelle si sposta, e io non capisco.”
Era chiaramente una barriera.
Ben riuscita, ad ogni modo. Il detenuto tacque per qualche istante.
“Hai paura.”
“No.”
“Hai paura.”
“La cosa non ti riguarda.”
“Il che è ben diverso da 'no'.”
Lei si allontanò dal ragazzo.
“Non ci sono infezioni.”
“Se sono pazzo, credi che io possa intendere ciò che dici?”
“Non lo so. Io faccio solo il mio lavoro.”
Si avvicinò alle provette, per controllare i test batteriologici.
“Secondo te perchè mi danno del pazzo?”
“Perchè lo sei, evidentemente.”
Taci, Sakura! Diamine.
Le provette erano a posto. Era sano. Sanissimo.
Quasi troppo.
“E chi lo dice?”
Lei si mise a scrivere il rapporto, ignorandolo. Il ragazzo attese un po' una risposta, poi incalzò.
“Va bene. Allora io dico che tu sei pazza. Ecco, adesso sei pazza.”
“Non lo sono.”
“Dimostramelo.”
Lei sbuffò, continuando a scrivere, iniziando a credere veramente di avere a che fare con un folle. Ferma su questo punto, si sentì più libera di ignorarlo, nonostante dicesse cose che parevano molto di confine fra ragione e follia.
Lui sentì il fastidio imperversare.
“Perfetto.”
Concluse il giovane, mantenendosi sempre sul monotòno ed apatico. Fino ad allora, ogni sua frase era stata pronunciata senza alcuna intonazione particolare. Era questa una delle cose che più mandava in crisi le persone. Lui lo sapeva, ed ora lo sapeva anche Sakura, che lo provava sulla sua pelle: una parlata così piatta, metallica, non lasciava intendere affatto il pensiero di quello.
E lui lo sapeva.

Lo sapeva, perchè negli ultimi anni era stata la sua arma.
Parlava a Tsunade con inumana tranquillità riguardo ciò che aveva fatto e ciò che avrebbe voluto fare. Lei, che digrignava i denti e continuava nella sua visita, soffriva ad ogni sua sillaba, e lui lo sentiva.
Sentiva una sofferenza mai percepita prima giungere dalla donna. Ma lui, quanto aveva sofferto? Lei non se lo chiedeva?
“E' facile dare la colpa agli altri.”
Sosteneva lui, e lei tremava: lo avvertiva nell'aria.
“Stai facendo lo stesso a mio fratello, vero?”
Lei serrava la mascella, e lui percepiva i suoi muscoli che s'irrigidivano in una poderosa prova di forza.
“Se lo incontrassi, cambierebbe tutto.”
Lei lo sapeva. E per questo, più stava lontano dal fratellino, meglio era.
“Tu sei solo un errore”
si difendeva ogni volta Tsunade.
“Tu hai sbagliato.”
Sottolineava lui, marcando il 'tu'.
Tsunade entrava ogni volta con fermezza e determinazione, ma lui sapeva distruggerla in pochi minuti, con poche parole. Tsunade lo odiava, ma lui odiava più lei.
La odiava a tal punto da non farglielo mai notare, rivolgendosi alla donna sempre con distacco e superiorità, ma mai con rabbia.
Lei, al contrario, spesso si sfogava prendendolo a cazzotti.
“Soffro, Tsunade.”
E lei soffriva.
“Il mondo è falso, Tsunade.”
E lei lo temeva.
La donna usciva dall'ambulatorio, ogni mese, colma di dubbi e domande.
Lui lo sapeva.
E lei non glielo nascondeva.
Erano passati i tempi in cui la donna credeva che il giovane fosse pazzo.
Anche lei sapeva che pazzo era solo una parola.

Sakura chiuse il fascicoletto, alzandosi dalla sedia. Gettò via il contenuto delle provette, mise a posto ciò che aveva usato.
Il ragazzo la fissava, in continuazione. Nonostante non avesse modo di vedere, puntava i due baratri vuoti su di lei, intuendone la posizione solo dai rumori che produceva.
La ragazzina abbassò lo sguardo quando di accorse della cosa. Tornò sul fascicoletto, guardandone intensamente la copertina.
Lui captò la sua immobilità, domandandosi se stesse iniziando a porsi a sue volta dei dubbi.
“Come ti chiami?”
Domandò nuovamente il ragazzo.
Itachi, recitava la prima parola del fascicoletto.
“Sakura.”
Lei rispose, fissando intensamente quel nome, e quel poco di testo che seguiva.
Itachi, che a causa di una malformazione neurale era affetto da una forte forma di pazzia, aveva quasi completato il Ludus, prima di uccidere i suoi genitori.
Come aveva fatto a trovali? E soprattutto, perchè?
“Sakura, i più intelligenti sono i più deboli.”
E' pazzo, Sakura. Non ascoltarlo.
Gli erano stati tolti gli occhi per punizione. Rimaneva in vita solamente perchè la pena di morte non era contemplata.
Fine del testo. Fine delle informazioni su Itachi.
“E lo sai perchè?”
Chiuse il plico.
Non avrebbe mai saputo altro. Ne' che gli occhi gli erano stati levati perchè possedevano un potere particolare, ne' che quelli ai ranghi più alti lo chiamavano 'il Difetto'.
“Perchè sanno pensare. E pensare fa male, Sakura.”
Non avrebbe mai saputo che quei genitori che aveva ucciso erano gli stessi di Sasuke, ne' che Sasuke possedeva lo stesso potere.
Non avrebbe saputo, come tutti gli altri in quel luogo, fatta eccezione per Tsunade, che Itachi era stato il primo di una lunga serie di esperimenti, di cui Sasuke stesso faceva parte.
Non avrebbe mai potuto nemmeno pensare che Itachi aveva agito con una logica ferrea, mai solcata da un'ombra di pazzia.
Allo stesso modo di tutti, per Sakura Itachi era pazzo, e andava allontanato da chiunque potesse credere alle sue parole.
Il rapporto che vigeva fra lui e Tsunade, il gesto di Kakashi e il futuro di Sasuke, sarebbero sempre rimasti, per la giovane Philosophus, dettagli dei quali non avrebbe mai e poi mai dovuto curarsi.
“Ma non riesci a non farlo.”
Era un pazzo. Era solo un pazzo.
E per lei 'pazzo' era ben più di una parola.
Era pura verità.
“Sei uno di quelli, Sakura?”

***


Tsunade fece fare a Naruto di tutto. Non lo mollava un attimo, tenendolo continuamente impegnato.
Non gli dava modo di star fermo, ne' con la mente, ne' con il corpo. Correva, saltava, faceva test scritti, prove di coordinazione motoria.
Per diversi giorni non venne mai richiamata la volpe, nonostante quella prima volta Tsunade si fosse rivolta a lui come se lui fosse stato Kyuubi.
Veniva fatto addormentare solo a tarda sera, e veniva risvegliato all'alba. Strapazzato, due profonde occhiaie che andavano a delinearsi, il ragazzino era troppo esausto per potersi fermare su contemplazioni interiori.

Perfetto.

***



Itachi sedeva nel suo angolino preferito: di lì, dallo spiraglio della finestra, si poteva vedere il sorgere del sole all'alba, aurora compresa. Si appoggiava alla parete imbottita, levando il capo verso l'apertura da cui fluiva l'aria esterna, ed attendeva che il primo raggio di sole gli investisse il volto, riscaldandolo progressivamente.
Sentiva l'umidità della notte scomparire, mentre l'aere si risaldava, con lentezza.
Ma quel raggio, quasi orizzontale, che lo colpiva alle gote ed al mento, era il vero segnale dell'inizio del giorno.
L'alba di Itachi era sicuramente diversa da quella di chiunque altro. Ed ogni mattina si piazzava in quell'angolino, attendendola, per sentirla sulla sua pelle.

Quella ragazzina era stata una delle più stabili che avesse mai incontrato.
Aveva percepito in lei una gran paura, e questa stessa paura la faceva stare con i piedi per terra.
Ne era certo, le aveva instaurato il seme del dubbio: ma credeva che lei non lo avrebbe fatto mai e poi mai crescere, a meno che di non poterne essere convinta.
Un tipetto particolare, senza dubbio. Un perfetto Philosophus.

Esalò un po' d'aria.

La sua battaglia non sarebbe mai continuata.
Ciò che più gli rodeva era l'idea di aver sopravvalutato suo fratello. Che ne era di lui, poi? Aveva solo vaghi ricordi del cucciolo che i suoi genitori stringevano fra le braccia solo qualche mese prima che lui venisse chiamato agli esami d'ammissione del Ludus.
All'epoca, quando li aveva uccisi, aveva creduto che se lui sapeva pensare, lo avrebbe dovuto saper fare anche suo fratello. Crescendo, in quella stanzina dai muri ovattati, aveva realizzato di aver sbagliato.

Si sistemò contro la parete, facendo ondeggiare il capo.

Era mogio. Calmo.
Ormai aveva perso, questo lo sapeva.
Sperare di recuperare all'ultimo suonava come utopia.
Speranza, ambizione.
Ambizione, speranza, rivoluzione.
Rivoluzione, sconvolgimento, cambiamento ed infine vittoria.
Concetti che si ammassavano nella sua mente, ma non ne uscivano mai. Non potevano farlo.
Pazzo.
Gli davano del pazzo.
Ma Tsunade sapeva perfettamente che non era vero.
Speranza.
E, forse, avrebbe potuto trovare in suo fratello un degno successore.
Ambizione.
Per continuare la sua guerra.
Rivoluzione.
E poterla condurre molto più a lungo di quanto non avesse potuto fare.
Sconvolgimento.
Per mutare quello che a lui, sei anni prima, non era piaciuto.
Cambiamento.
Vittoria.

Itachi tramava in silenzio da quando i suoi occhi s'erano incendiati di rosso.
Itachi aveva sofferto a lungo, ed aveva ucciso i suoi genitori nel momento in cui aveva scoperto che altri avrebbero dovuto patire quello che lui aveva patito.
Itachi era un essere logico.
Itachi era il difetto.
Ma prima di tutto, Itachi era di Tsunade.
E lei, come lo aveva fatto, lo poteva disfare.

Perchè, dunque, essere ancora in vita?

***





“Naruto.”
Era sera inoltrata. Il ragazzino si piazzava sul letto, esausto, gli occhi a fessura che gli si chiudevano in continuazione. Il biondino mugugnò qualcosa, per poi spalmarsi sul materasso. La donna, da lontano, lo fissava.

Perchè?
Perchè ad ogni singolo istante che passava le veniva sempre più forte il sentimento di aver sbagliato?
Ma al Summus Globus andava bene.
Anzi, no.
Era il Summus Globus ad averlo vouto.
“Facile scaricare le colpe sugli altri”, avrebbe detto Itachi, con quella sua voce fredda e meccanica.

Mosse qualche passo verso il letto del custos.
“Ascoltami.”
La settimana era passata.

Sì, la settimana era passata – sette giorni, concetto strano per gli abitanti dell'Ignis Regio, ma molto usato in medicina. Una, due, tre Settimane, questi erano i ritmi del corpo. Quattro settimane, un ciclo mestruale regolare. Una settimana, una slogatura che andava a posto. Otto settimane, un osso che si ricomponeva.
La settimana era passata.
Ora sarebbe dovuta andare avanti.
Il cuore le batteva troppo velocemente.
Tsunade, sei sempre tu a sbagliare.
Ed era uno sbaglio tanto umano quanto inammissibile.

“Ascolto.”
Disse il biondino, intontito.
Lei gli si sedette accanto.



Squilibrio,
tentennamento,

essere sempre in procinto di cadere.

Il funamboliere con gli occhi bendati
non teme il vuoto

solo perchè non lo vede.








[Nota dell'Autrice in Chiusura]
Rieccomi qui, a parlare dei cazzi miei! *.*''
Spero che questo chap vi sia piaciuto, visto che ci ho messo mesi e mesi a chiarire la posizione di Itachi... ora tutto ha molto, molto senso. Devo dire che se prima aveva dubbi al riguardo, ora lo scheletro del plot è perfetto e perfettamente stabile. Ogni personaggino sta al suo posto, contribuendo all'evolversi di questa assurda società ed al proseguire della storia.
Sono molto fiera dei legami che ho creato, e mi piace molto come va a finire che, partendo da un inizio molto simile al manga, ormai ci siamo allontanati.
Come potete vedere, situazioni simili possono essere generate da premesse diverse, ed avere conclusioni alquanto sconcertanti ^^'.

Ora, passiamo a cose più importanti.
Ho sentito per radio che la “messa in onda”, se così si può dire, di scene di tortura al cinema, è più o meno vietata. Non esattamente vietata, ma molto, troppo pesante, ed un film che presentava appunto una scena di tortura è stato pesantemente criticato.
Guardacaso, questa tortura era la tortura con l'acqua.
Che è inoltre vietata dal codice internazionale, ma credo che questo valga per qualsiasi genere di tortura... più o meno.
Insomma, sta di fatto che io ho descritto una scena molto poco ortodossa, ovvero quella del Laniatus (e, magari, anche le frustate non è che fossero poi così soft), in una storia Gialla.
La mia domanda è: che faccio, cambio il Rating?
La storia è pesante, alla fine.
Però non ha scene compromettenti, ed ho usato parole volgari UNA ed UNA sola volta.
D'altro canto, se una scena di tortura nell'acqua viene bandita al cinema, chi sono io per dare del GIALLO a un laniatus?
Sono alquanto confusa al riguardo.
Urgono suggerimenti... se avete consigli da darmi al riguardo, vi ringrazio...

Baciabbracci e alla prossima, che spero sia alquanto presto. ^^






















   
 
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