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Autore: Sotalia    26/02/2008    2 recensioni
Un assurdo seguito del settimo libro, un po' amaro e molto intricato. Ho mescolato l'azione all'approfondimento psicologico dei personaggi. Perchè i sogni vivono per sempre...
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO 9

CAPITOLO 9

 

MORTI VIVENTI

 

Buio. L’unica luce permeava attraverso i vetri delle finestre: era luce che veniva dalle stelle.

Non un passo, non un respiro. Solo tic-tac, le lancette dell’orologio mandavano schiocchi distinti nel silenzio. Che fosse dovuto all’ora tarda? Che tutti stessero dormendo? No, la casa era vuota. L’unica presenza era quella del fantasma domestico che, forse invecchiato pure lui, batteva deboli colpi sui tubi, intervallati da lunghe pause di pace.

Girovagò per quella che una volta era stata casa sua.

Alcuni pensavano che anime particolarmente inquiete dopo la morte fossero legate a uno specifico luogo. In un certo senso, quel determinato luogo le avrebbe possedute. Lui non aveva mai creduto a quella roba. E ne aveva avuto conferma. Ma allora perchè si trovava lì?

Decisamente non si sentiva un fantasma. Dopotutto, lui era andato avanti. E poi aveva una decisa sensibilità del mondo esterno, e in parte riusciva anche a entrarci in contatto. Un fantasma non ne ha la possibilità. Un fantasma esiste. Punto. E se non ci sono esseri viventi a percepirlo perde lentamente nitidezza fino a scomparire. Che buffo, che sapesse quelle cose! In ogni caso era certo di non essere un fantasma. Comunque non era neppure vivo. Che accidenti ci stava a fare lì?

Chissà perchè non c’era nessuno... Andò in cucina e scrutò attraverso la luce scarsa per vedere sul magicalendario che giorno fosse. Il 24 dicembre. Magari erano tutti andati a qualche festa di Natale. Poco male. Avrebbe aspettato. Uno dei vantaggi di essere morti è quello di non avere mai fretta.

 

Con un grugnito si afferrò la gamba rigida e la sollevò, abbandonandola poi sulla robusta sedia di legno. Si grattò il grosso naso schiacciato e represse con testardaggine un smorfia di dolore. Accidentaccio a quella gamba, dopo tutti quegli anni ancora così incriccata! Ma dopotutto, l’età.. La vecchiaia era arrivata anche per lui, dopotutto.

La casa era fredda. O meglio, la stanza era fredda. L’abitazione non comprendeva altri locali oltre a quell’ambiente circolare e non molto largo. Il fuoco non bastava più a riscaldare le sue grandi ossa.

Sul tavolo i resti di una cena affrettata e decisamente poco raffinata. Un osso da cui aveva rosicchiato via tutta la carne era abbandonato sul piatto. Sprecarlo così.. ma non aveva più un cane a cui dare gli avanzi. In effetti, era solo.

Forse, se si fosse buttato sul letto... con un paio delle sue coperte patchwork addosso... l’idea era proprio invitante.

Con uno sforzo sovrumano (come la sua taglia, d’altronde) si alzò in piedi e si trascinò fino al letto. Una volta aveva provato a usare una stampella, ma si era rotta sotto il suo peso. Per l’imbarazzo, aveva rifiutato l’offerta che gliene fosse costruita una più resistente. Non poteva accettare di essersi ridotto in quello stato, lui che una volta, neanche troppo tempo prima gli pareva, acchiappava gli unicorni, cavalcava i testral e domava gli ippogrifi. Lui che era stato capace di tener testa a dei centauri! Una stampella!

Si lasciò cadere sul materasso ormai sfondato. Non si era nemmeno preoccupato di sostituirlo.

Si sentiva solo. La sua donna era in Francia, e non c’era nemmeno un cane a tenergli compagnia.

Qualcuno bussò.

Dalla gola gli uscì una specie di ringhio. Quell’imbecille di apprendista non riusciva ad entrare da solo? E poi che voleva a quell’ora?

Bussò di nuovo. Il tocco era leggero e pacato, se pacato si poteva definire quel bussare seccante.

“Chi è? Sei tu, Josh?”

Di nuovo. Bussò di nuovo. Con un tocco leggermente più affrettato. Come se chiunque fosse potesse permettersi di essere impaziente!

Hagrid, prima di raccogliere nelle braccia abbastanza forza per tirarsi su, diede un’occhiata alle finestre di Hogwarts. Tutte illuminate. Era Natale. Giù dal pendio rotolavano voci e risate. Sicuramente nella Sala grande era imbandito un pasto pantagruelico (ma dove l’aveva sentita quella parola?), e gli alberi brillavano. I fantasmi passavano attraverso i muri, divertendo i primini, e Pix faceva dispetti. Ma poco importava. Tanto lui non festeggiava da allora...

L’importuno bussò nuovamente. Da quando era invecchiato gli era diventato facile perdersi nei pensieri. Ora che non occupava più il suo tempo a rincorrere animali selvatici aveva più tempo. Per pensare, ma soprattutto per ricordare.

Si toccò la barba. Era grigia. Una volta aveva conosciuto una persona che in vecchiaia aveva una bella barba bianca, non grigia come la sua. E finchè non lo aveva visto accasciato ai piedi di una torre, quella persona, barba bianca e tutto, era stata in grado di fare molto più che acchiappare unicorni e seguire tracce nel bosco.

Appunto, ricordare...

La persona fuori della porta bussò ancora, e ancora. Poi si interruppe.

“Arrivo, arrivo!” grugnì Hagrid. Che fosse un qualche rompiscatole della scuola venuto a invitarlo alla festa?

Aprì la porta.

In un primo momento non riuscì a distinguere bene la persona che aveva davanti.

“Buon Natale, Hagrid”

Il mezzogigante fissava sbalordito il suo visitatore.

“Non vorrai lasciarmi qui fuori spero. Nelle mie condizioni non temo nè il freddo nè il buio, ma non mi sembra molto educato da parte tua”

Hagrid scoppiò a piangere.

Un sorriso si allungò sotto gli scintillanti occhiali a mezzaluna del visitatore, dentro una lunga barba setosa. Una barba bianca.

 

Il bambino, sentendo suonare alla porta, corse ad aprire. Il fantasma strano gli faceva compagnia, ma cominciava a sentire la mancanza della mamma e degli zii.

Si trovò di fronte la zia Luna. “Ciao zia Luna!”

“Ciao Sirius. La mamma è uscita vero? Mi ha chiesto se posso badare a te mentre lei è via”

“E perchè non torna lei allora?” domandò innervosito.

“Perchè ha da fare una cosa importante”

“Ok” borbottò il piccolo, e si allontanò in corridoio senza aspettare che la donna lo seguisse.

Luna chiuse la porta, poi si girò di scatto. Le era sembrato di sentire delle voci.

Non aveva perso la vacuità sognante che la caratterizzava, ma da quando era madre, per quanto riguardava i bambini, era attentissima.

Che fosse entrato qualcuno in casa?

Il bambino chiacchierava vivace e allegro, non sembrava avere paura. Gli rispose la voce di un uomo. Una voce familiare. Luna si avvicinò alla porta della cucina e la spalancò, per poi paralizzarsi alla vista del fantasma. Cioè, non che somigliasse più di tanto a un fantasma... Ma sì! Aveva sentito parlare di quelle bizzarre creature, ma non le aveva mai viste. I ritornanti. Non erano pericolosi, per fortuna, per quel che ne sapeva lei. Si trattava di creature indefinite particolarmente sensibili, che a volte potevano assumere la forma di morti. C’era naturalmente ancora il dubbio se i ritornanti fossero una forma di possessione, o di incarnazione del ricordo, o..

“Luna Lovegood!” l’uomo interruppe le sue riflessioni.

“Proprio io”

“Vi conoscete?” chiese il bambino, entusiasta. Quel tizio gli era proprio simpatico, e aveva avuto paura che la zia si arrabbiasse con lui perchè aveva parlato con uno sconosciuto...

Poi la donna ricordò nettamente. Certo, che conosceva quell’uomo.

Il bambino le salterellò incontro, sotto lo sguardo intenerito dell’uomo.

“Zia, si chiama come me! Che forza, eh?”

 

Le prese la mano con la consueta delicatezza. Lei gliela strinse di rimando. Lui le toccò i capelli, tagliati in un caschetto morbido che le sfiorava appena le spalle. Sotto il suo tocco quei capelli che profumavano a volte di mandorla, a volte di fragole, a volte di latte e miele, virarono verso una tonalità leggera di rosso. Lei passò le dita sui lineamenti dell’uomo. Le tremò la mano, a contatto con la barba appena accennata. E quello sguardo fisso su di lei, quei capelli un po’ lunghi, dal colore controverso...

“Siamo qui” riuscì a mormorare lui, la voce spezzata per il terrore di infrangere una qualche muta regola. Lei gli posò un bacio vicino alla bocca, le labbra di lui tremarono.

“Guarda, lui è là”

L’uomo seguì con lo sguardo la direzione in cui indicava la donna, e vide un giovane uomo seduto su una panchina. Aveva accanto una donna, e mentre le parlava giocherellava con i suoi capelli. Il giovane tirò fuori una bacchetta e fece apparire dal nulla una serie di scintille che per un istante si inseguirono sull’acqua del lago, per poi sollevarsi in cielo e ricadere sulla coppia nella forma di decine di petali. I due si scambiarono un lento bacio, mentre i petali coprivano le loro spalle e i loro capelli.

L’uomo e la donna si guardarono, inteneriti, in disparte. L’uomo asciugò delle lacrime dagli occhi di lei. Erano così scintillanti..

La donna sorrise. Indicò il cielo notturno. Tra tante stelle spiccava la forma perfettamente tondeggiante della luna, bianca e.. piena.

Fu il turno dell’uomo, di piangere.

“Non potevo guardare una luna piena da quando ero bambino”

“Adesso la puoi guardare, e puoi farlo insieme a me”

L’uomo la strinse ancora di più a sè, senza essere capace di distogliere lo sguardo da quella forma che si stagliava luminosa.

“E può farlo anche Teddy”

“Sì” sussurrò la donna, che gli posò la fronte sul petto.

L’uomo per la prima volta si accorse di quanto una luna piena potesse essere.. bella.

 

Le veela parlottavano tra loro, intervallando a tratti le chiacchiere a risatine dolci. Erano così belle... I loro capelli argentei sembravano fluttuare intorno ai loro visi ovali, le loro mani così delicate.. Si decise. “Buonasera ragazze..” si avvicinò loro tentando di irretirle con voce suadente. Le donne lo videro. Gridarono e fuggirono, spaventate.

“Ma chi cavolo era quello?” si domandarono quando si fermarono lontano, ansanti.

Intanto il ragazzo era rimasto impalato di fronte al bar. Si diede una manata sulla fronte. “Stupido Stan! Stupido Stan!” si rimproverò.

Stan Picchetto si allontanò. Poco dopo davanti a lui si fermò un enorme autobus viola. Il Nottetempo. Una strega tarchiata salì i gradini mobili. Un bigliettaio attaccò la solita tiritera. Era un ragazzo normale. Capelli neri, sguardo annoiato. Eppure gli stava antipatico. Come si permetteva? Aveva preso il posto di Stan Picchetto. Aveva preso il suo posto! Stan si allontanò calciando un sasso. 

 

  
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