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Autore: Shichan    26/02/2008    2 recensioni
Più che un'introduzione con un frammento del testo, preferisco altro.
Un testo semplice, per ricordare una persona scomparsa, con pochissimi ed essenziali riferimenti, nel caso la vogliate leggere come ff in cui immedesimarsi.
Per chi so che lo sta vivendo e passa da EFP, e anche per chi non ci passa affatto.
Genere: Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Mi scuso perché non è una cosa leggera. Non è una fanfiction, in realtà, è una riflessione. Un riflessione che chi ha vissuto la mia stessa esperienza stamattina può utilizzare come sfogo per la rabbia o per il dolore. E per chi non l’ha vissuta, forse sconsiglio la lettura. Se gli admin ritengono di doverla cancellare perché non idonea al sito, vi prego di cancellarla liberamente.

Dedica: A Jessica. Alla sua famiglia e alla nostra scuola.

 

Fourteen Years Old

 

Non è facile pensare che siamo adolescenti con un futuro avanti così lontano, da essere quasi indefinibile.

Non sappiamo cosa faremo da grandi, non sappiamo nemmeno che liceo frequentare, sempre che sceglieremo di fare il liceo.

Eppure sognamo.

Sognamo una vita che non riusciamo a vedere, se non attraverso una strana nebbiolina – che poi chissà cos’è! – così fastidiosa proprio perché non ci permette di sapere in anticipo cosa saremo.

E le possibilità sono così tante, che provare ad indovinare è una follia.

Eppure noi… noi non possiamo pensare ad un futuro così lontano, non sempre.

Non oggi, oggi qualcuno urla al cielo chiedendo di fermare il tempo, solo perché sa che farlo tornare indietro è impossibile, e allora spera almeno di poterlo arrestare.

Ci basta anche solo un’ora, davvero.

 

Non ti ho mai parlato, sai?

Ti ho vista nell’atrio, una volta: però non ricordo la tua figura, e non c’è cosa che al momento vorrei ricordare di più. Un sorriso, un’espressione, non importa quale né quando.

Vorrei soltanto poter dire che c’è un motivo per il dolore.

Se fossimo state amiche, sarebbe stato molto di più.

Se fossimo state due persone che mal si sopportavano, credo che il vuoto sarebbe stato strano eppure palpabile.

Se fossimo state parenti… non ci voglio pensare, mi sembra di entrare in un campo non mio; perché penso a tua madre, a tuo padre e alle persone che sono sangue del tuo sangue. Penso alle ragazze della tua classe che ho visto oggi nell’atrio, quando sono scesa per andare via: piangevano, con una disperazione che pensavo di aver provato, ma che quando le ho osservate, ho capito non essere nemmeno paragonabile alla tristezza di ogni giorno.

È un dolore lancinante, che ti fa piangere quasi fino a far sciogliere gli occhi.

E ho guardato mia madre e ho pensato: “è lì”.

Ho varcato il portone, gli sono passata accanto: qualcuna della tua classe, l’avevo avuta nella mia vecchia scuola, altre ad un corso estivo, altre le conoscevo di vista, proprio come te.

Sono passata oltre, alcune delle più minute strette nell’abbraccio delle più grandi, ma a parte questo… era tutto schifosamente ovattato.

Ho tremato.

Ho pensato che magari tu stamattina sei uscita, come tutte le altre mattine – chissà, magari avevi un compito in classe ed eri terrorizzata. E magari, lì a quella dannata fermata dell’autobus, ti ripetevi mentalmente gli appunti, o l’ultima lezione. Voi primini entrate così facilmente nel panico, per la scuola… - e sei andata alla fermata.

E hai aspettato.

Avrai visto quelle due bambine arrivare con la mamma – dio, una tua coetanea e l’altra della metà dei tuoi anni – e avrai sorriso, forse.

E poi… poi non lo riesco ad immaginare per scriverlo e riproporlo, e forse è un bene.

 

Terza ora, campanella, ricreazione.

Una compagna di scuola viene al mio piano, siamo in tre della mia classe fuori in corridoio.

Dice dell’incidente, a me arriva un messaggio di mia madre che mi dice di cambiare auto, perché ovviamente lì la strada è chiusa.

“Una ragazza del primo è morta”.

Non lo so come ho fatto a non restare di gelo lì, a rientrare in classe: forse troppa incredulità. Nessuno pensa mai che queste cose possano accadere a qualcuno di molto vicino, o di conosciuto: quando lo sentiamo al TG, crediamo che quella famiglia sia veramente disperata e sfortunata, ma è “lontana”, non è la tua realtà.

Non dirò quanti dubbi ora ho sull’esistenza di una giustizia – umana, divina, morale o penale che sia – né che capisco le tue compagne.

Posso scrivere che sto male anche se ti ho sempre e solo vista.

Posso dirti che spero che quel delinquente marcisca in prigione fino a che il senso di colpa non l’avrà consumato fino alle ossa.

Posso sfogare rabbia e quello che mi pare, ma non sono la persona adatta, non… non voglio ricordarti in questo scritto – per quello che posso – con sentimenti che non siano “giusti”.

Voglio ricordarmi che eri una quattordicenne che probabilmente aveva dei sogni, delle speranze, che forse si era presa una cotta, magari per lo studente più grande, eh?

Voglio ricordare che domani non verrai a scuola perché un adulto, che forse i suoi sogni li ha realizzati o forse no, si è comportato da incosciente, andando così veloce da coinvolgere altre macchine, altre persone.

Te.

Che non c’entravi nulla.

Che di certo ti chiedevi se avresti incrociato le compagne in classe o all’ingresso, o in quell’atrio dove anche io, che non sono in classe con te, ti avrò osservata senza neanche volerlo.

Voglio ricordare che quando mi hanno detto cos’era successo ho pensato: “e se ci fossi stata io?”

È macabro, lo so.

È anche da folli, probabilmente, ma in questa sorta di lettera, riflessione o quello che è – e cos’è, non lo so nemmeno io – voglio dirti grazie.

Grazie perché tutti noi diamo troppo per scontata qualsiasi cosa della nostra vita: la scuola, le arrabbiature, le gioie, qualsiasi emozione, qualsiasi attività, persino la più sciocca.

Diamo per scontato che mamma e papà ci saranno sempre e così i fratelli, e i cugini.

E gli amici.

Ho una persona importante, nella mia vita.

E ti ringrazio, perché non dimenticherò che devo trattare lei e quelli che amo, con più dolcezza possibile anche se sono arrabbiata. Devo stargli vicina anche se a volte non ho tempo, devo dirgli “ti voglio bene” più spesso anche se di carattere non sono in grado di dirlo a voce.

Grazie di avermelo ricordato, quant’è importante.

E ora beh, aggiungere altre parole non credo serva e non… non mi sembra la cosa “esatta”, ora.

Perciò il mio, è solo un saluto.

Sei stata importante e lo sarai sempre, anche per me, che solo ti ho visto in un angolo dell’atrio.

Piacere, Ilaria.

Ci si vede, prima o poi.

 

 

 

A Jessica, che è stata una vittima innocente.

A una ragazzina dallo sguardo dolce, che non dimenticherò e non dimenticheremo.

26/02/2008

 

   
 
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