Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: _Krzyz    23/08/2013    5 recensioni
Tutti conoscono la storia di Katniss e Peeta. La loro vita verrà ricordata per sempre grazie a quella storia. Ma le storie dei Ventidue tributi morti, quelle sono morte con loro. Perchè a nessuno è mai interessato ricordarle. E' così che comincia la Fiaba da Una Terra di Polvere. La Fiaba delle vite degli altri, che ora meritano di essere ricordate, che ora vivranno per sempre.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Avviso: OOC

“ I saw the Devil wrapping up his hands,
he’s getting ready for the showdown…”

Questa è la Fiaba del Diavolo che Chinava la Testa di Fronte all’Amore.
 
E questo dicevano di lui. Che era forte, che era bello, che era il migliore. Lui avrebbe potuto avere tutto, se avesse voluto. Era stato plasmato a regola d’arte per essere spietato, per uccidere.
-“Vincerai!”- gli diceva suo padre.
-“Vincerai!” – gli diceva sua madre.
- “Vincerai!”- gli diceva suo fratello maggiore.
- “Vincerò!”- gli rispondeva tutte le volte lui.
Si allenava avidamente, per giorni interi, senza mai fermarsi. La spada era il suo braccio destro, la lancia il sinistro. I muscoli tesi, scattanti, pronti a colpire. Manichini infilzati, decapitati, mutilati brutalmente erano l’ordinario. Tornava a casa tardi, poche ore di sonno e poi di nuovo in Accademia ad allenarsi. Era un Diavolo, quel ragazzo. Vedere ogni giorno il corpo imbottito che gli stava di fronte cadere  sotto i suoi colpi gli dava soddisfazione, lo riempiva d’orgoglio. Si beava della sua potenza, dei frutti che un rigido allenamento poteva dare. Tutte le ragazze lo adulavano, lo lodavano e lo amavano. Urlavano quando arrivava, si contendevano i saluti che elargiva. Lui era potente, era bello, era il migliore. Tutte tranne una.
Una singola ragazzina bruna che lo fissava seminascosta da dietro lo stipite della porta d’ingresso , facendo scivolare silenziosamente un coltello tra le dita come se fosse una biglia.
Una singola ragazzina bruna con gli occhi verde scuro, profondi come pozzi, che lo guardava freddamente.
Un’unica pecora fuori dal gregge, una pecora che non si avvicinava al lupo come le altre, perché sapeva che era bello e pericoloso, una pecora che lo turbava profondamente.
Cato aveva avuto un’infinità di ragazze. Aveva perso il conto, la prima tresca a 12 anni e poi non le contava più. Tutte ochette bisbetiche, sexy e senza personalità. Era sicuro che almeno mezza Accademia era passata per la sua camera da letto almeno una volta. Ma ad ogni singola ragazza mancava qualcosa. Un qualcosa che non riusciva a capire.

Una mattina il ragazzo, spinto da una motivazione apparentemente inesistente, si alzò prima del solito. Era freddo, il distretto 2 a febbraio. La neve copriva le strade.  Il sole appena sorto riscaldava un po’ l’ambiente freddo che lo circondava. Non sapeva il perché, ma sentiva che doveva uscire prima quella mattina. I suoi occhi di ghiaccio scorrevano da una parte all’altra della strada guardando gli alberi. La soffice coltre bianca cominciava a liquefarsi. Un paio di gocce di neve sciolta gli caddero sui capelli color oro. Sorrise continuando a camminare senza meta.
Ad un tratto sentì un sibilo. Fece appena in tempo a voltarsi che un coltello gli sfiorò un orecchio andandosi a conficcare in un tronco dove altre armi da taglio erano già state infilzate.
-“ Dovresti stare più attento.”- Una voce. Fredda, apatica, priva di sentimento. La voce di una sola persona.
Il Diavolo sapeva già chi era e quando si voltò e immerse lo sguardo negli occhi verdi scuro di lei non poté che averne conferma. Era ad una decina di metri da lui. Un cappotto sgualcito e una sciarpa infeltrita avvolgevano la ragazza dei coltelli, le gote lentigginose rosse per il freddo.
-“ Che ci fai qua tutta sola alle 5 di mattina?”- disse il ragazzo con fare beffardo.
-“ Non deve interessarti.”-
-“Certo che mi interessa! Una ragazza sola in un quartiere come questo!”-
-“So difendermi.” – Ogni singola parola era una lama che sferzava l’aria gelida. Come i fendenti che Cato sferrava ai manichini: calibrata, precisa, dritta e letale.
Lei si avvicinò all’albero passando di fianco al biondo. Rimosse i coltelli dal tronco riponendoli nel fodero della giacca come se fossero la cosa più preziosa del mondo. Le mani secche e livide per il freddo sfioravano quelle armi con la stessa delicatezza con cui si sfiora un gattino abbandonato, le dita affusolate scorrevano sulle lame con sicurezza senza farsi neanche un graffio.
-“Comunque io sono Cato.” – disse sorridente lui tendendo una mano.
- “Lo so chi sei.”- rispose lei senza nemmeno voltarsi. – “Il Grande Cato, il pupillo di tutti gli addestratori, il numero uno dell’Accademia, il desiderio di tutte le ragazze, come non conoscerti?”-
Il biondo la osservò sorridente mentre si spostava per intercettare lo sguardo della ragazza.
-“ Molto bene, tu conosci me ma io non conosco te.”-
-“Chi sono e cosa faccio non è affar tuo. Ora, se permetti, ho da fare.”-  Affermò cominciando a camminare rapidamente verso una stradina sterrata che attraversava il boschetto cittadino. Se fosse stata un’altra ragazza l’avrebbe lasciata andare , ma non poteva farsi scappare lei. Lei aveva quel qualcosa che tutte le altre non avevano. Lei era la ragazza che lo osservava rigirandosi i coltelli tra le mani. Il lupo non voleva farsi scappare l’unica pecora di cui gli importava.
-“Aspetta!”- disse afferrandole un lembo della  giacca.
Poi non capì nulla ma si ritrovò steso in mezzo alla neve, con le mani bloccate e un coltello alla gola.
-“Non toccarmi mai più senza il mio esplicito consenso.” – sibilò tagliente la ragazza.
Il Diavolo era stato inchiodato da una ragazzina, il lupo era stato sopraffatto dalla pecora. Deglutì mentre il suo cuore cominciava a battere all’impazzata. Un cuore? Il grande Cato aveva un cuore?
-“Volevo solo sapere il tuo nome”-
La ragazza ritirò il coltello e gli liberò le mani. Il biondo si issò in piedi scrollandosi la neve di dosso, i suoi occhi di ghiaccio puntati fissi in quelli della ragazza. Lei reggeva lo sguardo,  i due erano persi a vicenda l’uno nelle iridi dell’altra.
-“Clove.”
-“Come?”
-“Il mio nome. Clove. Non farmelo ripetere.”
La ragazza si riavviò verso lo sterrato.
-“Perché mi guardi mentre mi alleno, Clove?”- Le chiese calmo. –“Ti vedo, sai. Seminascosta dietro gli stipiti della porta. Perché lo fai?”  Gli piaceva quel nome, Clove, aveva una bella pronuncia.
La ragazza lo fissò, gli stessi occhi profondi e inespressivi.
-“ Io non ti guardo, Cato. Io ti osservo. E se ti osservo o meno non deve interessarti. ”
Il ragazzo sorrise, non cogliendo appieno il significato di quella frase mentre lei proseguiva per la sua strada.
-“Dove posso trovarti, Clove?”
-“Pensaci. Tu dove pensi che io possa essere trovata?” rispose accennando un lieve sorriso. Lui non fece in tempo a rispondere che era già sparita lungo il sentiero.

Riprese gli allenamenti, ma notò che da dietro la porta nessuno lo fissava più. Gli occhi verdi  che prima lo seguivano in ogni minimo movimento non erano più la. Quando staccava le teste ai manichini tutte le ragazze correvano ad adularlo, ma lei non era dietro lo stipite della porta. E , nonostante ogni giorno Cato posasse lo sguardo sull’entrata nella speranza di intercettare le sue mani intente a sfiorare i coltelli, lei non si fece più viva. Il Diavolo ribolliva. Dove sei finita? Quella domanda si faceva strada nella sua mente sempre più spesso con il passare del tempo. Perché gli importava così tanto di Clove? Questo non lo sapeva nemmeno lui. Ma sentiva che doveva trovarla, l’avrebbe ritrovata prima o poi, ne era sicuro.
Passarono i mesi. L’inverno, divenne primavera, poi estate, poi autunno. Erano 8 mesi che cercava la ragazza dei coltelli. In Accademia non era concesso visitare gli archivi o chiedere informazioni su altri alunni senza possedere un legame familiare di qualsiasi entità. Ormai aveva fatto tutto il giro dei quartieri e ancora non aveva capito dove abitava. Si svegliava presto alla mattina, nella speranza di vederla lanciare i coltelli addosso all’albero. Dov’era?

Una sera uscì di casa a passeggiare. Era tardi ma lui non aveva paura, perché avrebbe dovuto? I ladri non si azzardavano nemmeno a sfiorarlo, sapevano della sua potenza.  Doveva svagarsi. Il pensiero degli Hunger Games che si avvicinavano lo turbavano. Avrebbe vinto? Certo che si. Ne era sicuro, l’allenamento l’aveva formato per vincere, lui lo sapeva. Prese il sentiero che attraversava  il bosco. Non c’era illuminazione, ma la luce della luna che filtrava dai rami più alti degli alberi rischiarava quasi come se fosse giorno. Le foglie cadute scricchiolavano sotto i suoi piedi mentre continuava a camminare senza curarsi di nulla. Per essere ottobre non faceva tanto freddo, ma il suo fiato si condensava comunque in piccole nuvolette. Ad un tratto si sentì bloccare da dietro con una stretta leggera, una stretta che non avrebbe lasciato via d’uscita, mentre si ritrovava un coltello alla gola. Osservò rapidamente la mano del suo aggressore. Dita affusolate che impugnavano l’arma come se fosse di porcellana. Sapeva di chi era quella mano.
-“Clove?”-
Cato si voltò di scatto. Gli occhi verdi, così profondi e contemporaneamente così vicini, erano la. Gli occhi che aveva cercato.
-“Pensavo fossi qualcun altro, non volevo farti del male”- disse con una calma incommensurabile la ragazza ritraendo il coltello. Indossava lo stesso cappotto sgualcito di quella mattina invernale, che però le stava corto. Doveva essere cresciuta di una decina di centimetri dall’ultima volta che l’aveva vista. Era lì, davanti a lui. Viva. Il Diavolo sorrise, di un sorriso sincero. Lo stesso sorriso di quando non trovi più un oggetto a cui tenevi molto e lo dai per perso e poi magicamente ricompare.
-“Dov’eri finita?”-
-“Ho avuto da fare”-
-“Perché non sei più venuta in Accademia?”-
-“Io in Accademia ci vado regolarmente, ma sono passata agli intensivi.”-
Agli intensivi . Era davvero così forte, allora, per entrare agli intensivi a quell’età.  
-“Che ci fai qua? Assali le persone nei boschi?”-
-“La mamma non ti ha detto che ci sono i cattivi nel bosco di notte?”- rispose ironica lei
Poi nessuno parlò più. Rimasero a un metro l’uno dall’altra, impegnati in una conversazione mentale che non iniziava e non finiva in nessun posto. Ma aveva detto più il loro sguardo che non un discorso ben preparato. Non capiva bene quanto tempo era passato. Lui era forte, era bello, era il migliore. E si era innamorato. In quel momento, nuotando nel verde intenso degli occhi della ragazza, il Diavolo si sentì vivo. Il cuore che gli pulsava nelle vene. Eccolo la, Cato. Tu hai un cuore. Sei umano dopotutto.
-“Io devo andare adesso. Non preoccuparti , mi rivedrai prima di quanto pensi”-
Così com’era apparsa la ragazza era sparita.
 
E la rivedette, Cato. Alla Mietitura, come volontaria. Anche lui si offrì, per la gloria tutti pensavano. Il Diavolo arrivò sul palco a testa alta, ma col morale sotto i piedi. Lui non si era offerto per la gloria. Lui si era offerto per protegger lei. Perché se lei moriva,  moriva anche lui.
Arrivò a testa alta, il Diavolo biondo del distretto 2, ma davanti a Clove chinava il capo.
Chinò il capo quando prese tanto quanto lui davanti agli strateghi.
Chinò il capo quando uccise tutti quei tributi al bagno di sangue.
Chinò il capo quando la vide, di notte, tirare i suoi coltelli ad un albero.
Chinò il capo quando lei lo abbracciò, perché pensavano di poter vincere insieme.

E chinò il capo, quando la vide morire tra le sue mani, con il cranio sfondato da una pietra. Tutto quello che era riuscito a costruire si stava sgretolando come centinaia di castelli di sabbia lasciati a seccare al sole. Dovevano tornare insieme, loro due, il lupo e la pecora. Tante cose ancora da dire, ancora da fare.
I suoi occhi verdi non lo avrebbero più osservato. Le sue dita non avrebbero più sfiorato i suoi coltelli.

E pianse, il Diavolo, quando capì che non c’era nulla da fare.

E si sfregò le mani quando andò a uccidere il ragazzo dell’11 che gli aveva strappato dalle mani l’unica cosa per cui voleva tornare a casa.
E chinò il capo davanti agli amanti del Distretto 12, mente lo facevano volare giù dalla Cornucopia per darlo in pasto agli ibridi. Perché lui non poteva vincere da solo, avrebbe dovuto saperlo. Loro dovevano vincere perché loro dovevano sconfiggere Capitol. Insieme.
 E ,qualche istante prima che il cannone sparasse, Cato chinò di nuovo il capo. Perché era andato incontro alla morte a testa alta, ma incontro all’Amore non era riuscito a tirarla su. Lui era forte, era bello, era il migliore, era innamorato, era morto.

Allora il Diavolo dovette chinare un’ultima volta la testa di fronte all’Amore, perché quella è stata l’unica cosa in grado di renderlo vivo, perché è stata l’unica cosa in grado di distruggerlo.
-------------------------------------------------------
IL KACTUS DI KRZYZ
Lo so. E’ di un OOC schifosissimo. Ma io avevo avvertito.
Ok, qui abbiamo la storia di Cato. Avevo detto che avrei allungato i capitoli, ma questo è quasi il triplo del precedente! Devo moderarmi, assolutamente.
Ringrazio tutti quelle persone che pazientemente si prendono la briga di recensire i miei aborti letterari :) 
Confido nella vostra clemenza!
Bacioni dal Kactus, _Krzyz
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: _Krzyz