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Autore: __Stella Swan__    23/08/2013    2 recensioni
«Okay, poniamo che Arthur sia un vampiro. Perché gli davi la caccia? Non credo sia stato solo perché ha allungato le mani sulla tua migliore amica», ragionò.
Serrai le labbra e mandai giù il nodo alla gola. Pensare al momento in cui mia madre era stata uccisa mia faceva sempre quell’effetto: mi faceva sentire debole e inerme. Mi avvicinai a lui e gli presi dalle mani la foto di mia madre, osservandola in tutta la sua bellezza. «Sheila non sarebbe stata la sua prima vittima», sospirai con un filo di voce. Gabriel guardò prima la foto, poi me, accorgendosi della somiglianza dei lineamenti.
«T-tua madre è…», cominciò balbettando.
Strinsi la presa intorno alla foto e alzai lo sguardo. «È ancora viva», mi affrettai a dire, fissando Gabriel negli occhi. «Se si può davvero considerare vita».
[Tratto dal secondo capitolo]
N.B: ho già pubblicato questa storia, ma ho apportato notevoli modifiche, per questo motivo ho deciso di ri-pubblicarla, in modo da mantenere anche la prima stesura. La storia è ispirata al racconto di Meg Cabot "La figlia dell'ammazza vampiri", riprendendo i fatti principali, ma modificando i personaggi e la location.
Genere: Dark, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Ice Heart Saga'
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La Bella e la Bestia


Londra, capitale della Gran Bretagna, una città ricca di storia, di etnie e culture. Una città così caotica a causa dei turisti, ma così tranquilla ai suoi confini, dove è più desolata e dimenticata dai cittadini stessi. Una città ricca di quelle creature chiamate vampiri.
Ero ancora seduta sul tetto di casa mia lungo la via Wildwood Road, nella zona di Hampstead, mentre guardavo da lontano la città buia e pericolosa. Accanto a me c’era l’immancabile balestra Excalibur Relayer 200, al posto delle frecce con la solita punta di ferro ce n’era una in frassino.
La mia compagna da circa un anno.
Cosa aveva potuto cambiarmi la vita?
Una sola persona, se si poteva considerare tale.
Avevo perso mia madre un anno prima, uccisa dall’essere a cui davo la caccia da dodici, interminabili mesi. Beh, forse uccisa non era il termine più adatto. Era ancora viva, certo, ma non lo consideravo esattamente un modo di essere in vita.
Non ero ancora riuscita ad ucciderlo, ma lo avrei fatto presto.
Quel maledetto succhia sangue mi aveva strappato la tranquillità, la felicità di vivere in una famiglia unita, tutta la mia vita e ora il figlio cercava di portarmi via la mia unica amica. Non glielo avrei di certo permesso.
Avrei vendicato mia madre, al costo della mia stessa vita. La vendetta non era certo il più nobile tra i gesti che l’uomo potesse compiere, ma consideravo la mia situazione più come una sottospecie di riscatto.
La gente solitamente, per quelle poche volte che mi considerava, mi chiamava Kim. In realtà, il mio nome di battesimo era Kimberly Drake, figlia di uno scienziato ormai impazzito e di una cacciatrice di vampiri.
Da quando mi ero ritrasferita a Londra avevo conosciuto pochissima gente: il mio carattere burrascoso e freddo non mi aveva di certo aiutata a conquistarmi l’amicizia se non più di una o due persone. Più mi stavano alla larga ,meglio era. Non mi piaceva che gli altri sapessero della mia vita privata e non volevo nemmeno frequentare qualcuno.
Per questo non avevo grandi amici.
Da quando avevo tredici anni, i miei iniziarono a girare città per città a causa del lavoro e dovettero portare anche me, ovviamente. Ci stabilimmo in numerose località del Galles, della Scozia, dell’Inghilterra. Eravamo inglesi di purosangue e mio padre adorava il nostro paese.
Ormai, tornata a Londra da quando mamma se n’era andata, avevo diciotto anni compiuti da poco e frequentavo l’ultimo anno del liceo.
I normali diciottenni, in quel periodo, pensavano solamente alla festa di fine anno scolastico, agli esami, all’estate che incombeva e alle lunghe ore di auto per arrivare fino alle prime spiagge dell’Inghilterra meridionale.
Io avevo ben altro di più importante di cui interessarmi. Non potevo concedermi il lusso di immaginare lettini da spiaggia e bikini, non potevo nemmeno concentrarmi sugli esami che avrei sostenuto quell’anno. Non avevo più il tempo di una semplice vita da ragazza della mia età e forse non lo volevo nemmeno.
Si alzò il vento, scompigliandomi i lunghi, castani boccoli, facendomi sentire quel piccolo fremito di freddo che non percepivo quasi mai. Mi trovavo a mio agio in temperature e circostanze ostili, per quello ero solita uscire di notte poco coperta.
Dovevo tenermi pronta, poiché da lì a qualche minuto sarei corsa via. Stavo seguendo le tracce di Arthur Blood, figlio di Victor Blood.
Quella sera sarebbe uscito con la mia migliore - ed unica - amica, Sheila. Certamente non si rendeva conto in che guaio si stesse cacciando, ma non poteva nemmeno saperlo.
Per questo mi ero decisa che quella serata doveva anche essere l’ultima di Arthur Blood.
Il mio piano era già stato curato nei minimi dettagli: sarei entrata nel locale dove si sarebbero recati, il Midnight’s Dream, passando dal tetto, così nessuno si sarebbe accorto della mia presenza.
Lo avrei ucciso davanti a lei: un colpo soltanto e mi sarei finalmente vendicata, poi suo padre avrebbe potuto cercarmi con calma. Avrei aspettato volentieri la mia morte, in pace.
Sentivo già l’adrenalina scorrermi nelle vene all’impazzata.
Smisi di pensare a come sarebbero andate le cose e balzai giù dal tetto. Entrai un attimo in casa per prendere il giaccone e cambiare balestra, prendendone una decisamente più piccola della Relayer, altrimenti mi avrebbero arrestata nel caso mi avessero vista. Optai per una in legno e intarsi in argento, grande quanto il mio avambraccio, con un’unica freccia.
«Vado», dissi a mio padre, chiuso in laboratorio a cercare una cura per mia madre. Non si era ancora dato pace dal giorno in cui si era trasformata. Credeva che esistesse un modo per far tornare in vita i non-morti, ma secondo me il processo non era reversibile. Sarebbe stata per sempre legata a quella maledetta vita, senza speranza di tornare umana come noi.
«Stai attenta», m’implorò come ogni volta che uscivo a caccia.
Mi voltai verso di lui, trovandomi a dover resistere come tutte le volte a quegli occhi dolci e prossimi alle lacrime, così simili ai miei. «Lo sono sempre», risposi con un sorriso di incoraggiamento. Non riuscivo mai a sostenere a lungo lo sguardo preoccupato e sfinito di mio padre. Aveva paura di perdere anche me, lo capivo perfettamente.
Uscii, iniziando a camminare per le strade fredde di Londra, circa a mezzanotte. Mi diressi verso il piccolo pub dove sarebbero andati Sheila e il suo nuovo compagno, non lontano dal Golf Club e nemmeno da casa mia.
Ero quasi disgustata.
Indossavo la giacca lunga che avevo preso in laboratorio in modo da poter nascondere la balestra sulle spalle. In poco tempo arrivai al locale con la scritta Midnight’s Dream e andai immediatamente sul retro.
Senza che nessuno si accorgesse di me, cosa del tutto normale dato che nessuno si era mai accorto o interessato alla sottoscritta, salii le scale antincendio fino ad arrivare sul tetto. La città era deserta in quella zona, al contrario del solito, ma le uniche persone che si vedevano erano quelle che dovevano entrare nel locale. Mi appollaiai per vedere bene i volti della gente che arrivava.
Erano più che altro ragazzi della mia età, ma riconobbi immediatamente, tra quella piccola massa, Sheila insieme a lui, Arthur Blood. Aveva un sorriso malizioso stampato sul viso, mentre la mia amica lo guardava come se avesse appena visto la luce per la prima volta. Tipica reazione da parte di un’umana in balia della malia.
Certo, non si poteva non biasimarla. Arthur era il ragazzo perfetto: i capelli biondo ramato scompigliati, gli occhi più azzurri del mondo, il profumo più dolce e i canini più affilati. Fosse stato umano e non un assassino sarebbe quasi stato un ragazzo interessante. 
Ma era esattamente perché non era umano il motivo per cui mi trovavo sul tetto di un locale a mezzanotte, quando sarei potuta stare a casa a finire la relazione di biologia per la professoressa Mires (“Pro e contro sulla clonazione artificiale”, consegna lunedì).
Adoravo fare quello che facevo, non potevo negarlo, tanto da non riuscire ad immaginare la mia vita in un altro modo. Mi ritenevo destinata a seguire le orme di mia madre, come un’abile ammazza vampiri. Ci doveva essere pur qualcuno disposto a sporcarsi le mani e lo facevo davvero molto volentieri. Non riuscivo nemmeno ad odiare quella situazione, perché la vendetta era un piatto che andava servito freddo, specialmente ad un vampiro. Eppure se ci si doveva vendicare su un non-morto, beh, quella era non una vendetta ,ma un gesto eroico.
Scesi velocemente le scale, entrando nel locale. La sala da ballo era piena di corpi che si muovevano al ritmo di una canzone incalzante. Nessuno, se non al bancone per bere, era fermo. Solo io, nascosta dietro una colonna marmorea, osservavo quell’orripilante scena da lontano, senza unirmi alla folla. In realtà i balli e le feste non erano mai stati il mio forte e non lo sarebbero mai stati.
Li cercai frenetica, spostando i miei occhi da una sagoma all’altra. Sarebbe stata la grande sera, la mia sera. Uno dei due sarebbe morto: o lui con una freccia nel cuore, o io dissanguata.
Ancora qualche minuto ed... eccoli.
Vidi la vittima e il mostro scendere in pista, il cavaliere che la teneva per una mano, Sheila che lo seguiva fidandosi ciecamente, senza togliere gli occhi da lui per nemmeno un nano secondo. Trattenni l’istinto di vomitare.
Certamente mi avrebbe odiata, ma almeno sarebbe rimasta ancora in vita e alla fine avrebbe capito perfettamente. Anzi, in realtà, una volta morto Arthur, non si sarebbe più nemmeno ricordata di lui perché l’effetto della malia sarebbe svanito.
Li seguii per diversi minuti, cercando di non perderli di vista. Con tutta quella gente era difficile centrare il bersaglio, ma non impossibile. I duri allenamenti fatti con la mamma sulla mira e tutto il resto mi erano stati di grande aiuto.
Aspettai comunque che qualcuno si ritirasse dalle danze, per sicurezza. Potevo anche avere la mira di un cecchino, ma se qualcuno si fosse messo in mezzo accidentalmente non mi sarebbe servita a nulla.
Mentre mi appoggiavo con la schiena contro il marmo freddo della colonna mi graffiai la mano con le spine dell’aghifoglio lì accanto. Imprecai in silenzio, osservando la piccola goccia di sangue che colava lungo il palmo.
Mi allontanai velocemente, stringendo la ferita il più possibile per far sì che Arthur non ne sentisse l’odore. Probabilmente sarebbe stato inutile, ma poco importava. Presi la garza che tenevo per sicurezza nella tasca della giacca e l’avvolsi completamente intorno a tutto il palmo.
Mi riavvicinai infine alla colonna, tornando con la concentrazione sulla pista da ballo. Almeno una decina di persone se n’erano andate ed Arthur era in perfetto tiro da dove mi trovavo io. Fortunatamente c’era tutta quella gente intorno a me. Se fossi stata meno nascosta, mi avrebbe già riconosciuto per l’odore, coi suoi sensi impareggiabili. Certo, ero più che sicura che sapesse già di me. Aveva percepito la mia presenza molto probabilmente, ma amava giocare esattamente come suo padre. Perché sbrigarla subito se ci si può divertire?
Non avevo paura, non ne avevo motivo.
Ero agitata, sì. Ma non spaventata.
Tutto ciò a cui riuscivo a pensare era che non poteva portarmi via la mia unica amica. Non l’avrei fatto agire come suo padre fece con mia madre, senza provare a difenderla.
Mi tolsi la giacca e presi in mano la balestra, acquattandomi a terra e rimanendo sempre ben nascosta. Caricai la freccia di frassino, l’unica che mi ero portata dietro, e la puntai sul pieno petto di Arthur.
“Punta al petto”, mi diceva mia madre, “hai più possibilità di colpirli ed ucciderli. E’ inutile ferirli solamente, anche perché il nostro compito è quello di abbatterli”.
Esatto, il nostro compito era quello di abbatterli e a me non andava di giocare proprio come facevano loro, specialmente se c’era in ballo la vita della mia migliore amica.
Seguii il consiglio di mamma. Se avessi sbagliato mira, probabilmente avrei fatto la sua stessa fine e io non volevo diventare un mostro.
Scusa mamma.
Rimasi qualche secondo, forse un minuto, per assicurarmi che non avrei nemmeno sfiorato Sheila. Mi posizionai perfettamente, col dito pronto a far scoccare la freccia decisiva.
Era uno scontro alla pari, predatore contro predatore. Uno solo sarebbe sopravvissuto.
Chiusi gli occhi e sospirai. «Addio, Arthur», mormorai riaprendoli.
Stavo per premere il grilletto, il cuore che rimbombava nel petto così eccitato da quel momento, il sudore freddo che scendeva a piccole gocce lungo le tempie. Qualcosa però andò storto e mi bloccò prima di sparare, appena in tempo.
Sheila ora era perfettamente davanti a lui, sotto bersaglio. Stava guardando la giacca di Arthur, che a sua volta abbassò gli occhi. Mi guardai in giro confusa ed irritata. Che cos’era successo?
Qualcun altro gli stava dando la caccia? Mi risposi subito che non era possibile, dato che ero io l’unica cacciatrice  Londra.
Mi rialzai in piedi, in modo da capire da dove fosse arrivato lo sparo silenzioso. Sulla sua camicia iniziò ad allargarsi una macchia rosso scarlatto; in quel momento sentii la testa che girava ed il sangue raggelarsi nelle vene.
Com’era possibile che qualcun altro gli stesse dando la caccia? E perché stava perdendo sangue ma non sembrava nemmeno essersene accorto?
«Arthur, cosa c’è?», chiese Sheila agitata.
«Maledizione...», ringhiò il vampiro. «Qualcuno mi ha sparato».
Già, qualcuno gli aveva sparato, ma chi?
Se chiunque fosse stato avesse usato delle pallottole in frassino a quest’ora sarebbe a terra morto e stecchito, invece era ancora in piedi in perfetta forma. Ma non era nemmeno umano. Mio dio.
«Ti hanno sparato?», domandò Sheila, evidentemente preoccupata. Continuava a guardare la sua camicia che diventava sempre più sporca, confusa ed agitata.
«Maledetti...». Pian piano alzò lo sguardo e per un decimo di secondo incrociò il mio, mentre ero fin troppo in bella vista. Le sue iridi azzurro cielo mi studiarono a fondo, anche se il tempo che aveva avuto era minimo. Purtroppo, fu sufficiente. Rischiò quasi di incatenarmi ai suoi occhi, dotati del potentissimo potere della malia.
“Mai guardare negli occhi un vampiro”.
Le carte in tavola cambiarono rapidamente.
Mi sentii fulminare da quegli occhi penetranti e subito mi nascosi completamente dietro la colonna di marmo, tenendomi ben stretta al petto la balestra.
Sentii che era quasi arrivata la mia ora, che l’avrei pagata cara per un errore del genere. Non eravamo più predatore contro predatore, ma ormai ero diventata la sua preda.
Cominciai a fantasticare sui vari modi che avrebbe utilizzato per torturarmi, prima di darmi il colpo di grazia. Mi avrebbe riservato delle atrocità tali che avrei persino invocato la morte, più che sicuramente.
Indirizzai i miei pensieri verso mio padre: avrebbe capito che non ero morta inutilmente. L’importante era sapere che almeno lui fosse al sicuro, perché avrei preferito morire piuttosto che vedere un vampiro a meno di cento metri da lui. E morendo io, nessuno gli avrebbe dato la caccia.
Questo era l’unico motivo per cui tirai un sospiro di sollievo.
La musica si abbassò e sentii la voce stridula di Sheila. «Dove vai?», gridò. Il mio cuore aumentò drasticamente il battito, sentii goccioline di sudore freddo scendere lungo le mie tempie con un ritmo più incalzante rispetto a poco prima, i sensi che stavano per annebbiarsi.
Maledizione, stava venendo da me.
Non si sarebbe fatto di sicuro dei problemi nell’uccidermi sotto il naso di tutti. Magari prima avrebbe tentato di catturarmi coi suoi poteri, poi mi avrebbe condotta in un vicolo cieco per compiere il suo massacro lontano dagli sguardi curiosi dei londinesi. Tenni gli occhi chiusi, la balestra ben stretta. Sentivo il mio cuore impazzito. Tu- tump, tu- tump.
I vampiri erano famosi per la loro velocità, eppure perché non arrivava? Non era meglio farla finita in fretta, senza farmi attendere oltre?
«Ma porca...», disse ancora. Riaprii gli occhi e mi sporsi un pochino per sbirciare. La scena era molto confusa: vedevo la mia migliore amica di spalle, Arthur che aveva già iniziato ad avvicinarsi alla colonna dietro la quale ero nascosta.
«Leonard, smettila immediatamente di sparargli del colorante!», gridò isterica Sheila. Colorante?, mi chiesi.
Mi voltai sulla mia destra. C’erano Gabriel Vixen ed il suo migliore amico Leonard Connor, nonché ex fidanzato di Sheila, con in mano una Revolver color argento.
Che diavolo ci facevano con una pistola in un locale pubblico? E perché stavano sparando del colorante ad Arthur Blood?
«Veramente ho sparato io», disse Gabriel, ridacchiando. Per un momento ammirai il coraggio del mio compagno di biologia: rispondere così di fronte ad un vampiro non era da tutti. Certo, ripensai, lui non poteva sapere che Arthur non fosse umano. Sheila si avvicinò a loro, infuriata.
«Ti ho detto di smetterla di seguirmi», gridò in faccia a Leonard.
Il suo sguardo rischiò di spezzarmi il cuore. Non lo avevo mai visto così abbattuto. «Tu mi hai lasciato per... quel coso?», chiese quasi alle lacrime, osservando rattristito il suo rivale in amore.
«Si chiama Arthur ed io lo amo!», rispose acida.
Spostando lo sguardo poco più a sinistra... Arthur era scomparso.
Mi sentii persa, nel panico.
Oddio stava venendo ad uccidermi, questa volta sul serio. Cercai di diventare un tutt’uno con la colonna, ma non ci riuscii. Le mie mani tremavano e gli occhi erano di nuovo chiusi. Non avevo paura della morte, ma non riuscivo nemmeno ad accettare il fatto che non sarei più stata utile come cacciatrice. Non avrei più potuto salvare la mia migliore amica e chissà quante altre persone.
Intorno a me sentivo solamente la musica che rimbombava, facendo pompare al massimo anche il sangue nelle mie vene.
Sangue che sarebbe stato bevuto da Arthur Blood.
Le mie mani e la fronte ripresero a sudare freddo in maniera spropositata. Le orecchie sentivano solamente il rombo della musica ed i battiti del cuore, il nodo in gola mi impediva di mandare giù la saliva. Reazione totalmente comprensibile quando si è consapevoli che da lì a meno di un minuto saresti morto.
«Ehi», sussurrò qualcuno davanti a me. Sobbalzai per lo spavento, puntando la balestra davanti al mio petto, nonostante non ci fosse nessuna freccia caricata. Era Gabriel, il ragazzo che frequentava il mio stesso corso di biologia. «Scusa, non volevo spaventarti», disse alzando le mani ed arretrando di due passi.
Avevo il fiatone e cercai di rilassarmi, mentre continuavo a tremare. Perlomeno Arthur non sarebbe arrivato in quel momento, perché avrebbe dovuto eliminare due persone in un colpo solo. Non che per lui fosse difficile, certo. «Non ti preoccupare», risposi sciogliendo il nodo alla gola.
«Tranquilla, se n’è andato», continuò riavvicinandosi.
Spalancai gli occhi e lo guardai come un pesce lesso. «Come... Cosa?».
Si strinse nelle spalle. «Sì, beh è scomparso. Nel vero senso della parola. Non l’ho nemmeno visto muoversi, è stato più veloce dei miei occhi».
Lasciai cadere la testa all’indietro, sbattendola contro la colonna. Il cuore si calmò ed i battiti – pian piano – tornavano alla loro pulsazione naturale. «Mio Dio Gabriel, hai la più pallida idea di chi sia quello?».
Sorrise, maledettamente affascinante. «Sì, è il nuovo ragazzo di Sheila. Hai visto che tipo? Sembra appena uscito da una rivista di moda».
Scossi la testa, confusa, mentre cercavo di non pensare più al rischio che avevo corso e al fatto che mi ero lasciata sfuggire Arthur quando potevo averlo in pugno. «Che ci fai qui?», domandai senza badare alle sue parole.
Aggrottò un sopracciglio. «Beh, Leonard voleva tenere sott’occhio Sheila. Sai, non si fida di uno così perfetto come questo Blood, ma a quanto pare non siamo gli unici che stavano spiando. Tu che ci fai qui?», controbatté.
Deglutii. Ed ora che scusa mi invento?, mi chiesi. Di sicuro non potevo dirgli la verità, ossia che ero lì per eliminare un vampiro. Mi avrebbe riso in faccia, senza ombra di dubbio. «Motivi personali», risposi freddamente. Perfetto, il modo migliore per non dare nell’occhio.
Le persone umane, come Gabriel, non dovevano sapere certe cose. Solo a me era permesso, in qualità di figlia dell’ammazza vampiri.
Si rabbuiò, socchiudendo gli occhi per studiarmi meglio.
Non mi ero mai resa conto di quanto fosse carino Gabriel. Certo, non si poteva paragonare ad Arthur Blood, ma anche lui faceva la sua figura. Era nella squadra di rugby insieme a Leonard, capelli corti e castano ramato, occhi blu oceano. Anche lui perseguitato da tutte le ragazzine del primo anno. Eppure lui non sembrava nemmeno accorgersene.
«Beh, noi eravamo qui solo per fare uno scherzo, ma tu? Ti rendi conto di quello che stai tenendo in mano? Una balestra? Non è legale, lo sai?».
Sbuffai isterica. «Senti chi parla! Sbaglio o sei tu ad avere una Revolver in mano?», chiesi irritata.
Mi sorrise teneramente, guardando la pistola che teneva tra le dita della mano destra. «Beh, può sembrare vera perché la usavamo per giocare a soft air, ma è solamente un giocattolo e spara colorante. La tua balestra invece non mi sembra spari ventose, nonostante sia scarica. Potresti far male a qualcuno».
«L’intenzione era ben peggio», risposi in un sussurro tenebroso, senza pensare.
Chissenefrega del segreto professionale.
Mi guardò confuso e semi terrorizzato. Di sicuro non credeva sul serio che avrei voluto uccidere una persona. Se davvero fosse stato solo una persona.
Ma lui non poteva capire né sapere.
Mi alzai velocemente, con una mano di Gabriel. «Come hai fatto ad entrare senza farti vedere? È impossibile che nessuno non ti abbia notato con una balestra in mano».
Mi pulii i pantaloni con una piccola scrollatina, nascondendo l’arma. «Sono passata dal retro e sono salita sul tetto».
«Dal tetto?», chiese sbalordito.
Sorrisi tra me e me. «Era l’unica alternativa che avevo». Misi di nuovo la balestra sulle spalle e la coprii col giaccone. Non volevo rischiare di spaventare nessuno, né di farmi cacciare dal locale con un bel paio di manette ai polsi. Per di più, non volevo dare troppe informazioni a Gabriel poiché non c’entrava nulla in questa storia e non mi pareva il caso di metterlo in pericolo inutilmente. Lui, Leonard e Sheila dovevano stare fuori da tutto questo, da questo giro di morte, di sangue e di orrore.
Andammo insieme verso Sheila e Leonard, ancora in mezzo alla pista a litigare.
Il ragazzo cercava di prenderle le mani, ma la mia amica tirava loro uno schiaffo, per allontanarlo. «Sheila, ti prego. Ascoltami un solo minuto».
«Sono stufa di sentirti dire le stesse cose. A me non interessi più, è chiaro? Ora sto con Arthur, che ti piaccia o no». Stava per perdere le staffe, lo si notava dal suo sguardo. E Sheila sapeva essere davvero perfida e fastidiosa da arrabbiata.
«Ma non lo conosci nemmeno da un giorno intero», disse Leonard al limite della pazienza.
Scosse la sua chioma bionda con un gesto da star, come se avesse voluto chiudere lì il discorso. «A te non dovrebbe interessare più niente ormai di quello che faccio io! Poi chissenefrega, lo conosco quanto basta».
«Ma che cos’ha lui che io non ho?», chiese.
Beh, tutti avrebbero potuto spiegargli cosa non aveva lui di Arthur. Era bello e popolare, okay ,ma non era da rivista di moda, non era un affascinante vampiro che avrebbe potuto vivere per l’eternità, non era un mostro. Mi morsi la lingua per non fiatare e peggiorare la situazione.
«Arthur è intelligente, bello, simpatico, galante, perfetto...», iniziò a blaterare con gli occhi rivolti al cielo.
Mi trattenni di nuovo dal vomitare. Le presi le spalle e la scossi ben bene, al limite della sopportazione. «La smetti di dire cazzate, Sheila? Come fai a dire che è perfetto uno come lui? Torna coi piedi per terra, per favore! Ragiona un attimo!», gridai. Dal mio metro e settanta era piuttosto facile scuotere Sheila, qualche centimetro più bassa di me. Cercai di trattenermi, ma non ce la facevo più. Avrebbe dovuto capire quanto era pericoloso frequentarlo, anche al costo di dirle tutta la verità. Poi, ovviamente, mi sarei impegnata per farle dimenticare tutto quanto, in qualche modo, almeno fino a quando non avessi ucciso Arthur.
Gabriel mi afferrò per le spalle, per farmi mollare la presa della ragazza. «Sei tu che non capisci. Arthur è perfetto, non puoi nemmeno immaginare». Mi tranquillizzai momentaneamente e Gabriel allentò un po’ la presa. La guardai per bene, in modo da capire che cosa le fosse capitato. In realtà era facile da capire: era sotto il potere della malia di quello schifoso vampiro.
Aveva comunque lo sguardo di una ragazza che sapeva il fatto suo.
Spalancai gli occhi, ancora più incredula e schifata. Fu lì che avevo veramente capito che il mio piano non sarebbe servito a nulla. «Oh mio dio Sheila, te l’ha detto?», chiesi terrorizzata. Forse non avrei dovuto chiederglielo, ma non riuscii a trattenermi. Questo avrebbe compromesso il mio segreto e la sicurezza di tutti quanti stessero ascoltando quella conversazione. I ragazzi si scambiarono una veloce occhiata piena d’interrogativi.
«Sì, me l’ha detto», rispose sorridendo.
Panico totale.
Iniziai di nuovo ad agitarmi tra le mani di Gabriel, che subito mi strinse al suo petto, separati solo dalla mia balestra nascosta. Con le dita che premevano sulle tempie, cominciai a camminare avanti ed indietro di fronte a loro, come una psicopatica.
«Alt, alt un momento», disse Leonard alzando le mani, «ti ha detto cosa?».
«Ti ha anche detto come fanno a vivere quelli come lui? Di cosa si ciba, o meglio, cosa beve?», chiesi alzando ancora di più la voce, fino a farla diventare stridula. Per fortuna le persone intorno a noi erano impegnate a ballare, senza degnarci di uno sguardo.
«Ragazzi, non ci capisco niente. Qualcuno mi vuole spiegare?», chiese Gabriel alle mie spalle.
«Sì me l’ha detto. E lui riesce a vivere grazie al sangue degli animali».
«Oh mio dio», risi chiudendo gli occhi per ingoiare quella rabbia e quel disgusto. Le ginocchia tremavano, cercando di appoggiarsi al pavimento. Non era possibile che avesse raccontato tutto ad una semplice umana. Questo peggiorava solo la situazione. Mi voltai, stringendo ancora di più le dita sulle tempie ed iniziando a massaggiare. Gabriel, che aveva le mani sospese in aria attorno alle mie braccia, rimase a fissarmi. «E tu ci credi pure?».
«Sangue di animali?», dissero in coro i ragazzi.
Sheila annuì sorridendo. I suoi occhi azzurri continuavano a fissare il soffitto, senza preoccuparsi del fatto che Arthur fosse sparito dalla sua vista senza nemmeno avvisarla. «Se solo lo conoscessi bene, Kim, capiresti che è il ragazzo più buono del mondo».
«Cosa?», sbottai scotendo la testa. Avrei voluto dirle che cosa faceva sul serio, che cosa aveva fatto suo padre alla mia famiglia, tutta la verità, così magari avrebbe aperto gli occhi. Gabriel mi strinse a sé.
«Proprio come ho detto. Gli avevo chiesto di mordermi, di farmi diventare un’immortale come lui, ma ha rifiutato. Dice che mi ama troppo per farmi una cosa del genere».
Trattenni una risata isterica. «Accidenti Sheila, dicono sempre così! E’ una cazzata colossale, sai a quante ragazze avrà detto la stessa cosa?».
«Come, cosa? Che significa immortale? Io sto andando in tilt», intervenne Leonard, grattandosi il capo e continuando a fissare Sheila.
«E chi è che beve sangue? Arthur?». Gabriel aggrottò la fronte, così come il suo migliore amico. Poi entrambi fissarono me, dato che ero l’unica a capirci – purtroppo – qualcosa.
«Proprio lui», confermai secca. A quel punto era inutile negare l’evidenza. Le reazioni sarebbero state due da parte di Gabriel e Leonard: o ci avrebbero prese per delle pazze, o avrebbero riso sopra senza credere ad una sola parola, pensando che era una scenata programmata. Forse la seconda opzione sarebbe stata la più adatta, almeno evitavamo altre spiegazioni.
«Maledizione, sapevo che c’era qualcosa che non andava in lui», disse a bassa voce Leonard.
«Oh andiamo, smettetela! I vostri sono solo patetici pregiudizi». Di nuovo Sheila si toccò i capelli, guardandoci come se fossimo stati noi quelli a non capire niente di tutto questo.
«Patetici pregiudizi?», gridai. Se non ci fosse stato Gabriel a tenermi ed a dirmi “Calma Kim”, le sarei già balzata addosso e l’avrei riempita di schiaffi.
E solamente perché era mia amica.
«Calmiamoci un attimo ragazzi», disse Leonard mettendomi una mano sulla spalla. Sospirai, senza togliere gli occhi da Sheila, distratta dal suo mondo roseo dove i vampiri erano le persone più gentili del mondo. Tutte stronzate. «State forse insinuando che Blood è un vampiro?». Disse l’ultima parola esitando, come se si vergognasse ad una tale affermazione.
Infatti Gabriel scoppiò a ridere, lasciando sbigottiti tutti noi. «Ti prego Leonard! Non ti credevo così ingenuo, i vampiri non esistono».
«Ah Gabriel, sei quasi peggio di loro!», gridò Sheila in tono isterico.
«Devi smetterla di vederlo», dissi senza badare a quello che si erano appena detti.
Mi guardò intensamente negli occhi, probabilmente cercando di capire che cosa non andava bene in Arthur. «Solo perché è diverso non vuol dire che non possa vivere la sua vita», osservò lei.
Ricordai quel maledetto giorno in cui vidi lui, Victor, mentre mi sorrideva poco prima di affondare i suoi denti nella pelle di mia madre. Ciò mi provocò un lungo fremito di rabbia e dolore. «Invece è un abominio, deve morire. Quelli come lui non dovrebbero esistere», dissi a denti stretti.
Scusa mamma.
«Invece ha tutti i diritti di esistere, proprio come noi».
«Se teniamo a conto che da secoli si nutre di persone e ragazze come te, beh no, non può esistere». Il mio tono era in parte sarcastico ed in parte irato.
«Lui mi ama», disse Sheila, enfatizzando ogni parola.
«Io ti amo», disse Leonard sfinito, «non lui». Sheila lo degnò di un breve sguardo altezzoso, come se fosse stato un lurido insetto fastidioso che, purtroppo, non poteva schiacciare per qualche insignificante motivo.
«Ad ogni modo non m’interessa quello che dite voi. So solo che Arthur mi ama troppo per trasformarmi come lui. Un’immortale, non è una figata?», disse mettendosi una mano tra i capelli e pettinandosi.
Scossi la testa, ridacchiando per non piangere. «Vedendo il prezzo da pagare, direi che non lo è per niente», risposi acida. Ed io sapevo perfettamente quale fosse il prezzo da pagare: uccidere persone per il loro sangue e la sofferenza da parte di chi ti vuole veramente bene.
Sbuffò. «Sapevo che avresti risposto così. Comunque troverò il modo per convincerlo, tra una settimana sarò esattamente come lui. Insieme per l’eternità». Riprese a fissare il vuoto del soffitto, come se stesse sognando ad occhi aperti.
«Una settimana?», chiese Leonard confuso.
«Cosa c’è tra una settimana?», continuò Gabriel.
Ragionai per un momento, senza ascoltare le loro parole. Poteva essere, però, la mia seconda chance. «Il ballo di fine anno», risposi automaticamente. Ormai mi aveva fatto una testa così grande con questa storia che me lo ricordavo perfino io.
Sheila sorrise. «Esatto. Arthur non lo sa ancora, ma lo convincerò a trasformarmi come lui. Sarà il mio cavaliere, ci andremo insieme». Mi stavo trattenendo dal piangere.
Povera Sheila. Non capivo perché proprio lei, la mia unica amica. Non gli bastava avermi fatto soffrire per aver distrutto la mia famiglia? Ora mi portava via anche lei?
Sentii un crampo al cuore al solo pensiero di tutte le ragazze che ci erano cascate prima di lei e tutte quelle che lo avrebbero fatto. Dovevo agire immediatamente.
Chiusi gli occhi. «Vi trovate al ballo?» , chiesi cercando di controllare la voce. Volevo cercare di essere comprensiva, così magari mi avrebbe dato qualche informazione utile.
«Sì», rispose su di giri, «non potrà resistermi col nuovo vestito di Chanel che mi sono fatta comprare da papà questa settimana. Non potrà dirmi di no».
«Io mi sento male, sto per vomitare». Leonard si aggrappò alla spalla del suo migliore amico per non cadere a terra. Gabriel gli diede due pacche sulla schiena per confortarlo, tornando poi con la concentrazione su di me.
«No, tu adesso la porti a casa», gli dissi. «Tieni questa, è una boccetta di acqua santa», aggiunsi tirando tutto fuori dalla custodia l’ampolla di vetro. «Poi torna a casa anche tu».
«Aspetta, la lasciamo morire così?», chiese stupito Gabriel.
«Non mi uccide, mi trasforma», interviene lei sbuffando. Vedevo il nulla nei suoi occhi chiari. In quel momento stavo quasi per pensare che per lei fosse finita, ma non potevo arrendermi così senza nemmeno provarci. Anzi, avrei dovuto salvarla ed uccidere Arthur.
«No, per ora so già che prima di venerdì prossimo non succederà nulla. Se lei non l’ha invitato ad entrare, lui non entrerà». Spostai lo sguardo socchiuso su Sheila. «Non l’hai invitato ad entrare in casa tua, vero?».
Fece spallucce. «No, non ho idea di come potrebbero reagire i miei».
«Perfetto», sospirai rilassandomi. «Forza, andiamo tutti a casa. Ti raccomando Sheila».
«Non ti preoccupare, è al sicuro con me», mi tranquillizzò Leonard, sorridendo.
«Sì, come no», sussurrò irritata la mia amica, cominciando ad uscire dal locale senza aspettare il suo cavaliere.
«Dai Gabriel, anche tu». Iniziai ad incamminarmi, seguendo Leonard e Sheila. Nessuno dei due si rivolse uno sguardo o una parola. Sheila anticipava Leonard, come se avesse avuto intenzione di seminarlo. Ma lui le stava attaccato come se fosse stato la sua ombra.
Avrei voluto uscire per controllare ancora quella zona, assicurandomi che Arthur non si fosse nascosto da qualche parte per attaccarli appena usciti da locale. Poi pensai che se era davvero figlio di suo padre ed amava giocare col cibo, avrebbe atteso impazientemente fino al ballo.
Gabriel rimase immobile in mezzo alla pista, a braccia incrociate. Mi voltai verso di lui.
Mi stava fissando in un modo piuttosto... strano. Nessuno mi aveva mai guardata così. Anzi, nessuno si era mai soffermato a guardarmi.
«Qualcosa che non va?», chiesi.
«Sì», rispose avvicinandosi, in modo che sentissi il suo buonissimo profumo, «voglio sapere tutto, tutta la storia, perché io non ci ho capito niente. Chi è questo Arthur Blood? Perché Sheila è in pericolo? Perché volevi ucciderlo con una balestra?».
Mi fissava negli occhi. Riuscivo quasi a vedermi riflessa nei suoi color oceano. «Non sei in grado di capire Gabriel», mormorai dandogli le spalle, per tornare a casa. Ma mi afferrò velocemente il braccio, obbligandomi a guardarlo di nuovo.
Come se fosse stato anche lui in possesso della malia, mi sentii attratta da quegli occhi cristallini, splendenti. «Dammi la possibilità di capire», supplicò in tono fin troppo dolce. Strinsi i pugni tanto da conficcarmi le unghie nei palmi, mentre cominciavo ad irritarmi.
Come faceva a non capire che doveva starne fuori? Uccidere vampiri e scontrarsi con loro non erano cose da principianti, che tutti avrebbero potuto fare.
Testarda come al mio solito scossi la testa, dandogli le spalle e cercando di seminarlo in mezzo alla folla.
L’aria per strada era ancora più fredda di prima. Intorno a me c’era ancora meno gente e di Sheila e Leonard non c’era più traccia. Probabilmente avevano colto al volo il mio consiglio ed erano tornati a casa.
Di nuovo mi sentii strattonare piuttosto dolcemente, mentre Gabriel mi faceva voltare verso di sé. «Kimberly spiegami che cosa succede», disse con un tono più imperativo.
Lo fulminai con lo sguardo, fissando prima la sua mano intorno al mio muscolo poi i suoi occhi. «Stanne fuori», ringhiai. Improvvisamente lasciò il mio braccio, senza smettere di guardarmi in viso. Sembrava essersi addolcito, come se gli fosse dispiaciuto rivolgermi quel tono di voce.
Si leccò le labbra, cercando le parole giuste. «Io voglio solo capirci qualcosa. Ormai Sheila e Leonard sono dentro a questa storia e tu pure. Non voglio rimanerne fuori, assistere senza muovere un dito. Io voglio cercare di aiutarli perché sono miei amici e perché non mi va che tu faccia tutto da sola. Quindi non mi interessa se dirai di no, ma io ti seguirò e continuerò ad insistere finché non mi dirai tutta la verità».
Sbuffai una risata isterica, mentre ero pronta per andarmene. «Tu nemmeno credi nei vampiri, che razza di aiuto dovrei avere da te?».
Mi afferrò la mano fasciata, questa volta delicatamente. «Sono disposto ad ascoltare. Se mi darai qualche prova convincente ti crederò e ti aiuterò. Lo prometto», mormorò.
Strinsi le labbra, rimanendo per un momento indecisa, tamburellando il piede. Tanto ormai il danno era fatto. «Vieni con me».
  
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