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Autore: Evelyn Doyle    23/08/2013    11 recensioni
Non potevamo starcene qui, in Irlanda, tranquilli e buoni?
[...]
Qui ho Doreen, Candace, Hattie, Lauren e altri... Irlandesi quanto me fino alla punta dei capelli.
Qui posso parlare l’irlandese, lì dovrò parlare sempre e solo inglese doc.
Qui le campagne sono verdeggianti e floride.
Qui non ci sono le onde bazzicanti di surfisti ogni giorno dell’anno, il mare è freddo e le coste alte e rocciose.
In ogni caso, dovrò abituarmi all’idea.
Dovrò abituarmi all’idea di dire: “Io abito a Sydney, la conosci?” e non “Io abito in Irlanda, sono irlandese, non vedi?”

[...]
Non posso ancora capacitarmi che questo sarà un biglietto di sola andata, non una vacanza leggera di un paio di settimane.
Io andrò in Australia e non tornerò.

* * * *
Questa storia mi frullava da un bel po’ in testa e, nonostante non credo sia delle più originali volevo comunque scriverla, un po’ per sfizio.
Detto questo, spero di avervi incuriosito anche solo in minima parte e, ovviamente, buona lettura!
Se vi va lasciatemi anche qualche recensione, ci tengo a sapere il vostro parere ;)
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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Capitolo 3.


Ore 7.45: mi dirigo con passo più svelto che mai a scuola, sperando seriamente di non essere in ritardo.
Insomma, è ancora la mia prima settimana e se arrivassi in ritardo potrei farmi la reputazione di “quella che arriva sempre in ritardo” e ciò non sarebbe per niente piacevole, insomma.
Arrivo finalmente davanti al grande edificio ed entro, sospirando di sollievo per non essere arrivata tardi.
Appena entro in classe, noto con piacere che l’insegnante di storia non c’è ancora e così cerco un posto dove sedermi... allora, prima fila: occupata interamente...
Seconda fila: mmh, quel posto è libero? No, aspetta, sono tutti occupati anche qui...
Terza fila: occupata anche questa... com’è possibile?
Le cose peggiori sono che quest’ora non la ho in comune né con Dawn, né con Summer e che ho gli occhi di tutti puntati addosso, come il primo giorno.
Ad un tratto, scorgo in penultima fila un posto vuoto, a fianco di un moretto a prima vista non altissimo né palestrato.
Aspetta, aspetta... ho l’impressione di averlo già visto, ma forse mi sbaglio.
Essendo l’unico posto libero, non ho molta scelta, così mi siedo, proprio due secondi prima che entri l’insegnante.
«Buongiorno, ragazzi. Prendete il libro di storia a pagina 238...» sentenzia l’insegnante, appena entrata.
«Ma certo!» improvvisamente ricordo dove ho già visto questo ragazzo che ho a fianco: è quel demente che mi ha urtato, facendomi bagnare la divisa!
«Signorina Doyle, vuole dire qualcosa a proposito della guerra di secessione americana?» mi chiede l’insegnante, una donna sulla cinquantina abbondante, dai capelli ancora castani (con qualche ciocca biancastra che probabilmente crede non si veda) gli occhi scuri vigili e attenti con un paio di occhialetti pince-nez e un tailleur grigiastro, notando la mia esclamazione involontaria.
«Ehm, no, mi scusi... stavo pensando ad alta voce» rispondo, accorgendomi di essermi appena resa ridicola davanti a tutti.
La cosa buffa è che sarebbe la seconda volta che quel moretto mi procura guai.
«Grazie ancora, “Tom” o come accidenti ti chiami» borbotto a bassa voce.
«Thomas Woodson, veramente» si presenta quello, sentendomi.
«Beh, “Thomas Woodson”, ti ringrazio nuovamente per avermi aiutato a rendermi ridicola davanti a tutti» ripeto, seccata.
«Beh, davvero non so di cosa tu stia parlando» dice, con aria interrogativa.
«Semplicemente quando sono entrata e ti ho scorto mi ricordavo di averti già visto da qualche parte... poi ho capito dove e ho esclamato inconsapevolmente “ma certo!” e mi sono resa ridicola. Tutto per colpa tua» rispondo tutto d’un fiato sottolineando bene l’ultima frase, mentre mi guarda divertito.
«Ho capito, ho capito... ti ho chiesto già scusa per la storia della bottiglietta, però» si giustifica.
«Beh, con ciò che vorresti dire? Certo, cosa importa se io, appena arrivata a metà anno per giunta, mi faccio già da subito la reputazione di “quella strana”?» rispondo io, sarcastica.
«Ma tu sei “strana”, almeno per la mentalità di Nat... me l’hanno detto che bello spettacolino hai fatto l’altro giorno, sai?» mima le virgolette con le dita alla parola “strana” e il suo tono è quasi beffardo... poi, di quale spettacolino starebbe parlando?
«Che spettacolino, scusa?» chiedo, alzando le sopracciglia.
«Uhm, quando hai risposto per le rime a Nat... Cole e gli altri hanno riso di gusto, credo che Nat non l’abbia dimenticato, però» scrolla le spalle.
Una piccola domanda mi sorge: perché finisco sempre per cacciarmi nei guai, qualunque cosa io faccia? Insomma, non mi pare di aver avuto mai così tanta sfortuna in una volta sola!
«Tu sei, diciamo, amico di Nat?» gli chiedo d’un tratto, giusto per capire cos’ha a che fare lui con il biondino.
«Beh, sì... diciamo che all’inizio mi considerava un ragazzino da sfruttare e basta, insomma sono più giovane dei suoi tirapiedi e non sono praticamente nessuno a scuola... per farmi una reputazione volevo entrare nelle loro grazie e quindi...» risponde, un po’ titubante.
«Insomma, in breve: sei il loro “schiavetto” tuttofare» concludo la frase per lui, in tono asciutto e senza sfumature.
«Detta così sembra un po’ crudele, ma... credo tu abbia ragione» ammette, abbassando gli occhi scuri.
Per questo ragazzo c’è una sola parola per descriverlo: debole.
Insomma, lasciarsi sfruttare solo per entrare nella combriccola di ragazzi più chiacchierata della East Coast High School mi pare un po’ esagerato... saranno anche così conosciuti come dice, ma insomma, la dignità dov’è finita?!
Scuoto la testa, incredula.
La campanella suona e mi accorgo di non aver seguito per niente la lezione di storia, avendo chiacchierato con lo schiavetto di Nathan e la sua cricca.
Sembra crudele detta così, aveva ragione Thomas... ma, dopotutto è la pura verità, no?
L’ora successiva c’è educazione fisica.
È la prima volta che la faccio alla scuola nuova, spero non faccia sgobbare troppo.
Arriva l’insegnante: è un uomo, sui trent’anni, almeno credo, con tanto di tuta blu scuro con righe sui lati.
Andiamo in palestra, dove ci si cambia per la lezione.
Ovviamente, la tuta è fornita dalla scuola a pagamento, proprio come la divisa: consiste in una maglia bianca con qualche riga blu e lo stemma della scuola cucito sopra e dei pantaloni che riprendono il colore delle righe sulla maglia, con anche qui lo stemma cucito.
Le scarpe sono ovviamente sportive.
Quando tutti siamo cambiati, finalmente usciamo dagli spogliatoi per andare in palestra.
La palestra è davvero molto grande, ha ben due campi che possono essere usati per giocare a vari sport: il primo per giocare a calcio o pallavolo (date le due porticine per fare goal e la rete montabile), mentre il secondo per il basket, dato che vi sono due canestri.
Proprio nel campo di basket, c’è infatti la squadra della scuola che si sta allenando.
«I ragazzi della squadra di basket si stanno allenando, per cui utilizzeremo l’altro campo. Vedo che ci siete tutti, quindi iniziate a correre lungo il perimetro del campo, per riscaldarvi» sentenzia il professore.
Iniziamo così a correre lungo il campo, mentre la squadra di basket si allena nell’altro campo simulando una partita.
Mi accorgo d’un tratto che, proprio tra i ragazzi della squadra di basket ce n’è qualcuno che mi è abbastanza familiare... sì, è lui di sicuro: i capelli sono quelli, la struttura fisica anche per cui non c’è dubbio: è Drew Jones, quello “a posto”.
Mi giro davanti, però, per vedere dove sto correndo, altrimenti potrei urtare qualcuno e fare l’ennesima figuraccia.
Prima che possa rendermene conto, però, qualcosa mi arriva in testa e mi fa letteralmente cadere.
«Ahi!» con una mano tasto la parte colpita in testa, notando che vi è un piccolo rigonfiamento.
A terra, accanto a me, vi è una palla da basket.
Perfetto, sono stata colpita da una palla da basket, vorrei tanto sapere chi è quell’idiota che l’ha lanciata proprio dalla mia parte.
«Nat, guarda che cos’hai fatto! » grida una voce, che si sta avvicinando.
Aspetta un secondo... ho capito bene o sto diventando pian piano sorda?
Ha detto “Nat”?!
Cioè, quel “Nat”?
No, sarà un altro, suvvia... dopotutto non è l’unico di questa Terra a chiamarsi Nathan.
Sì, certo, Brooke, aspetta e spera... aspetta e spera.
«Brooke! Ti sei fatta male?» mi chiede poi Superman, il salvatore degli innocenti, meglio conosciuto come Drew Jones, interrompendo il filo dei miei pensieri e della voce della mia coscienza.
«No, solo un lieve bernoccolo» indico il punto interessato, mentre mi alzo.
«Te l’avevo detto che non s’era fatta nulla, tante storie per niente...» sbotta un’altra voce, questa volta appartenente all’altra faccia della medaglia – rispetto a Superman – meglio conosciuto come Nathan Harris.
«Suppongo sia tua» dico asciutta, lanciando a quell’individuo la palla da basket.
«Supponi bene, rossa» borbotta prendendola.
«Credo che tu debba delle scuse a Brooke» lo rimprovera Superman-Drew.
« “Credo che tu debba delle scuse a Brooke” – dice imitando esageratamente la voce di Drew, rendendola quasi effeminata – insomma, chi sei? Superman? Ma non farmi ridere, Drew» lo schernisce Nathan.
«Beh, scusalo, è nato così purtroppo, che ci vuoi fare?» scrolla le spalle guardando male Nathan, mentre sento qualche risolino provenire dalla squadra di basket e dalla mia classe intenta a correre, ma lascio perdere.
«Doyle, Harris, Jones, che è successo?» il professore arriva, con lieve ritardo, ma arriva... com’è che si dice? Già, meglio tardi che mai.
«Harris si è lasciato per sbaglio sfuggire la palla che ha colpito la studentessa Doyle, ma è tutto a posto, adesso, professor Gray» spiega Drew, mentre il professore annuisce alle sue affermazioni.
«Se è tutto a posto, può tornare a correre, Doyle e voi potete tornare ad allenarvi con la squadra» risponde infine.
Torno così a correre, sotto gli sguardi inconsueti e curiosi dei miei compagni di classe, in particolare delle mie compagne di classe...
«Ehi, non credevo avessimo anche quest’ora in comune» una voce vagamente già sentita mi arriva da dietro.
«Oh – sbuffo – Thomas»
«Secondo me Nat non l’ha fatto così per caso... » borbotta fra sé, mentre corre.
«Che intendi?» chiedo stranita.
«Oh, nulla... potrebbe semplicemente avertela tirata di proposito... sai, se c’è una cosa che sanno bene tutti di Nathan Harris è che deve sempre averla vinta lui» lo dice come se fosse la cosa più giusta di questo mondo, come se fosse un dogma che per nulla al mondo dovrebbe essere infranto.
«Sei ridicolo» sbotto improvvisamente, dando voce ai miei pensieri.
Thomas increspa lievemente le labbra, con fare interrogativo.
«Perché lo fai? Lui non ha mai fatto nulla per te, o sbaglio?» inaspettatamente il mio senso della giustizia per gli altri, dormiente da quasi quindici anni, si sveglia di soprassalto chiedendo venia per tutte le sue assenze.
No, vabbè, non voglio fare la “paladina della giustizia” o come caspita si chiamano, soltanto voglio capire e comprendere il motivo di tanta dedizione a voler diventare uno di quelli.
«Non importa. Ma dimmi... tu sei veramente irlandese come dicono, giusto?» cambia argomento, forse perché nemmeno lui è tanto convinto di dover qualcosa a Nathan, ma evidentemente ammetterlo davanti ad una che hai conosciuto oggi (ma che avevi bagnato qualche giorno prima) non è il massimo, già.
«Sì, certo» rispondo, non capendo minimamente cosa possa importargli.
Dopo qualche domanda buttata giù di sana pianta sulla mia bella nazione, la lezione di educazione fisica passa anch’essa in fretta e, stranamente, mi pare che ora quell’individuo che pochi giorni fa mi ha infradiciato in modo imperdonabile, non sia poi così antipatico... solo un po’ debole, ecco.

* * *


Dopo un’altra ora, precisamente di astronomia, finalmente ecco l’intervallo.
«Brooke, eccoti! È tipo un giorno che non ti vediamo... accidenti a questi orari!» una voce femminile mi distrae dai pensieri che occupano la mia mente in questo momento.
Sono Dawn e Summer, sorridenti come al solito.
«Allora... per la scuola corre voce che tu abbia avuto un piccolo incidente con Nathan...» ammicca Dawn, in cerca di spiegazioni plausibili dalla sottoscritta, mentre Summer scuote la testa.
«Cosa? Corre voce? E da chi?» tutto quello che riesco a dire è questo, incredula.
Insomma, un’altra volta di me si parla?
Ma, poi, com’è possibile? Sono qui da qualche giorno soltanto , accidenti! Non credo di aver fatto mai nulla di “compromettente” per la mia reputazione da “assoluta anonima” quale ero.
Sì, Brooke, ti piacerebbe.
La mia coscienza mi schernisce sarcastica, ricordandomi i vari “incidentelli” (se mi permettete di storpiare una parola a mio piacimento) dei giorni scorsi: il battibecco del primo giorno, molto allegro direi. Senza contare il mio fiocco “perfetto e ordinato”, anch’esso del primo giorno.
Poi? Ah, ovvio: la bottiglietta d’acqua, sempre del primo fatidico giorno.
E oggi si è aggiunto anche “l’incidente della palla da basket”.
Dovrei scriverci un libro su questo argomento: “Figuracce per tutte le occasioni – il volume completo” di Brooke Doyle.
Avrebbe successo, me lo sento.
Dopo questa “mandria” (letteralmente!) di pensieri, pensati nel lasso di tempo nel quale ho risposto, con una serie di domande, tra l’altro, a Dawn e la sua altrettanta soddisfacente risposta (una buona alzata di spalle, per intenderci), spiego per bene cos’è successo, in modo da dare la vera versione dei fatti, cosicché se qualcuno mai sentisse (o se Dawn avesse la brillante idea di fare la brava pettegola) e avesse la tentazione di spiattellare ai quattro venti le mie parole, almeno racconterebbe la vera, la mia, versione dei fatti... nemmeno fosse una notizia così eclatante da far girare la Terra nel senso opposto, accidenti, è semplicemente stato un incidente (anche se, rammentando le parole di Thomas, forse non è stato poi così incidentale...) di poco conto, ecco tutto.
«Capisco, capisco... beh, non ti crucciare, Brooke, semplicemente che, quando c’è di mezzo Nathan Harris, tutti, o meglio, tutte vogliono sapere ogni particolare...» mi spiega Dawn con aria risoluta.
«... e tra quel “tutte” ovviamente ci sei anche tu» commenta Summer, con tono di scherno.
Summer mi guarda in modo eloquente, ed evidentemente capisce che avevo le sue stesse parole sulla punta della lingua, pronte per uscire perché, si sarà capito, ma il sarcasmo è una delle mie materie preferite.
«Ma che dici, Summer? Io agisco nel più sincero interesse verso il giornalismo e l’informazione, lo sai» risponde Dawn, con aria di sedicente superiorità.
Summer fa una smorfia, scettica, ma non ribatte.
Eh, sì, ora capisco perché Dawn è così informata sugli studenti della East Coast High School: è una di quelle ragazze amanti del giornalismo, gossip e vari.
Non è così pettegola come pensavo, anche se a volte forse farebbe meglio a cucirsi la bocca per bene, ma nonostante ciò è molto affabile e ascolta volentieri.
Summer è, direi, anche lei curiosa, nonostante non lo ammetta pubblicamente, perché ho notato che spesso intima Dawn a chiudere la bocca, ma alla fine è lì ad ascoltare vagamente curiosa; in compenso è una piuttosto sportiva, come già avevo capito, perché oltre che praticare la miriade di sport scolastici, spesso fa anche surf, e neanche male, almeno detto da lei.
Dopo un altro piccolo battibecco tra le due, che discutono sull’utilità o meno del “giornalismo fatto in casa” di Dawn (come lo ha definito seccamente Summer), chiedo loro se conoscono nientemeno che Thomas Woodson.
«Thomas Woodson, dici? Uhm... sì, sì, è quello un po’ più basso dei suoi compari, capelli e occhi scuri, giusto?» Summer sembra specializzata in “descrizioni vaghe, ma comprensibili”, a quanto vedo.
Annuisco, mentre Dawn mette la mano sotto il mento, mentre probabilmente sta riflettendo.
«Ma certo, ma certo! Diciamo che lo utilizzano più come... uhm, come potrei definirlo...?» mentre pensa alla parola più adatta, le vengo in aiuto: «Schiavetto tuttofare?» il mio tono è talmente sprezzante, che Dawn mi guarda in modo interrogativo.
«Sì, dai, ci ho fatto quattro chiacchiere oggi, contenta?» ammetto, sapendo che è effettivamente ciò che Dawn aveva intuito, ma, stranamente, non aveva chiesto esplicitamente.
«Beh, mi hanno detto che non è il massimo della simpatia... più che altro è poco obiettivo nel giudicare i suoi “amichetti del cuore” » mi spiega Dawn, mimando le virgolette con le dita.
«E chi te l’avrebbe detto, tanto per sapere?» chiede ironica Summer, guadagnandosi una bella occhiataccia dalla bionda.
«Le mie fonti sono al cento per cento attendibili, mia cara “miss-non-mangio-carne”» le risponde Dawn stizzita.
Insomma, dopo questa risposta, come è facile immaginare, ecco che inizia una nuova discussione dal tema altamente intellettuale, ovvero sull’essere o meno vegetariani, o “erbivori”, come dice Dawn per schernire l’amica.
Mi ricordano un po’ Lauren e Hattie.
E’ molto che non penso a loro e all’Irlanda, ma chissà cosa fanno.
Probabilmente le stesse cose di prima, no?
Ecco, nuovamente la mia coscienza viene a “dire” cose talmente ovvie da far quasi sospirare.
Lì, in Irlanda, la scuola che frequentavo non era così piccola come magari qualcuno immagina, ma certamente non ero “sotto i riflettori” solo perché parlavo con una certa persona e più o meno quasi tutti ci conoscevamo, ovviamente chi approfonditamente e chi in modo superficiale e solo “di vista”.
Come ho detto, non era poi così piccola, ma non per questo si ignorava la presenza di mezza scuola, ecco.
Lauren adorava il giornalismo, un po’ come Dawn, anche se il suo genere erano le ultime novità in fatto di moda, più che i gossip di Dawn.
Hattie invece, no, non era vegetariana , però era un po’ come la controparte di Lauren: lei preferiva le cose semplici e “naturali”, abitava in un paesino di campagna vicino Dublino ed era costretta a fare un bel viaggetto ogni giorno per andare alla St. James West Dublin High School, ma non ne soffriva, anzi, diceva spesso che il paesaggio che da verdeggiante campagna piena di campi coltivati di ogni tipo di verdura, diventava pian piano un’asfaltata stradina di città era quasi suggestivo.
Ovviamente preferiva il paesaggio di campagna, ma anche la “metropoli” non le dispiaceva così tanto.
Insomma, alla fin fine mi sto quasi abituando a questo posto soleggiato.
Notare bene: ho detto quasi, ecco, perché sicuramente qui le strade non bazzicano di pub tipici, anche se io non ci entravo quasi mai, ma rendevano lo sfondo cittadino caratteristico, ecco tutto.
La campanella che segna la fine della pausa ricreazione suona, interrompendo i miei pensieri e i miei ricordi.
Ecco, per fortuna ho un’ora in comune con Dawn, biologia, precisamente, mentre Summer ha inglese.
Dopo biologia, invece, ho educazione artistica.
Sfortunatamente Summer e Dawn hanno ore che non coincidono sempre con le mie, già, e spesso non coincidono nemmeno tra loro.
Finalmente anche la campanella che segna l’inizio della pausa pranzo suona ed io mi dirigo in mensa, con un nuovo panino (questa volta con prosciutto, però) preparato da mia madre.
A differenza della prima volta, in mensa oggi tutto fila liscio e tranquillamente, tra le chiacchiere sui vari studenti di cui ignoro l’esistenza e il ribrezzo di Summer verso il mio sandwich.
Insomma, come al solito il tempo vola, oserei dire, e io mi dirigo nuovamente a lezione con Summer (dato che condividiamo quest’ora di algebra, mentre la prossima, inglese, la condivido con Dawn).


* * *


Due orette passano in fretta tra chiacchiere e teoria, così mi ritrovo fuori dal cancello principale della scuola.
Da sola, esatto.
Sì, perché Dawn è sparita misteriosamente prima che potessi chiederle qualunque cosa.
Strano, chissà dov’è andata... di solito(più o meno) mi aspetta all’uscita con Summer.
Improvvisamente rammento di nuovo le parole di Thomas sul “piccolo incidente” durante la lezione di educazione fisica... già, chissà se l’avrà o meno fatto apposta.
Non lo conosco ancora bene, ma so quel che basta per sospettare... insomma, è talmente ovvio: lui ha la palla in mano, poi sbaglia apposta la direzione in cui la lancia (mirando appunto al punto in cui stavo correndo io), giustificandosi con un semplice: “Mi è scappata di mano”, poi la palla mi finisce in testa e io cado.
Semplice, no?

I miei pensieri vengono però interrotti da qualcosa... qualcosa di strano, una figura dai capelli chiari e lunghi, dietro una grande pianta.
Mi avvicino lentamente, a passi leggeri, per non farmi vedere e, finalmente, riesco a vedere cosa c’è effettivamente dietro alla pianta... sì, avevo ragione, è una ragazza dai capelli biondi e mossi, ma è voltata e non riesco a vederle il viso... eppure io quei capelli li ho già visti, ne sono certa.
C’è anche qualcun altro davanti a quella ragazza... mi sposto leggermente, per poter vedere meglio, ma sempre stando attenta a non calpestare qualche ramo che segnali la mia presenza.
Finalmente riesco a vedere chi ha davanti la ragazza... è un ragazzo, anch’esso dai capelli biondi, con un taglio che mi è piuttosto familiare...
È una visione un po’ strana, sì, considerando che sono alla prima settimana potrei aspettarmi di tutto adesso.
Ma la cosa più incoerente è decisamente cosa stanno facendo, considerando chi sono i due in questione.

Improvvisamente tutti i miei preconcetti vanno rivistati.

 
Nathan Harris e Dawn Johnson si stanno baciando.

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Note autrice

Ehi, non sono scomparsa, no, ero partita per due settimane per la Sicilia, senza Internet e sono tornata proprio oggi, ma per farmi perdonare ho fatto un capitolo un pochino più lungo... allora, che dite?
Il colpo di scena ha fatto effetto o devo rassegnarmi? xD
A parte gli scherzi, cosa farà ora Brooke?
Adesso, tutto si è scombussolato per lei.
Ah, come avevo detto in precedenza Tom non avrà un ruolo così marginale, in questo capitolo lo abbiamo conosciuto meglio infatti.

Un grazie speciale a Holy Ros che ha realizzato un fantastico trailer per la storia :)
Eccolo:

www.youtube.com/watch?v=8lbXvAWZffo

Nel video c'è qualche spoiler, non dico dove ovviamente u.u
Un buon occhio vigile potrebbe notare qualcosa... anche se a rendere le cose più difficili c'è il fatto che il video è quasi tutto in bianco e nero :)
Ah, un'altra cosuccia: il mio carissimo PC mi ha abbandona
to, di conseguenza
non so quanto ci metterò a scrivere il prossimo capitolo.
Alla prossima, comunque!


Annie.
   
 
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