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Autore: Drown    23/08/2013    0 recensioni
I ricordi possono far male fino ad uccidere, e proprio per questo vanno affrontati.
Sempre.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 3

Le unghie di lui piantate nella schiena, a graffiarla con violenza.
Il volto rosso e accaldato, imperlato da gocce di sudore, così vicino.
Il fiato asfissiante, che, insieme al peso dell’uomo sdraiato sopra il suo piccolo e candido corpicino, le impediva quasi di respirare.
E quella cosa tra le gambe. Continuava a farle male, la sentiva entrare dentro di lei e poi uscire, rientrare e ancora uscire…  ogni volta sembrava che una barra incandescente le bruciasse tutto, là dentro.
Voleva che smettesse, che smettesse subito. Voleva svegliarsi dal brutto incubo. Voleva che papà non le facesse mai più male.
Ma non  poteva essere papà, lui era buono e le voleva tanto bene…  glielo ripeteva sempre, “Ti voglio bene piccina, tu sei il mio fiorellino e io sono la tua apetta”.
Solo che questa volta la cara apetta aveva tirato fuori il pungiglione e glielo aveva conficcato dentro.
No, no, no. Non era papà. 
Quello era l’uomo cattivo uguale a lui. Papà stava venendo a prenderla, l’avrebbe portata via, al sicuro. Ne era certa.
Ma il tempo passava, e lui non veniva. “Forse l’uomo cattivo l’ha imprigionato e lui non riesce a liberarsi. Oppure sono morta come mamma e adesso sono all’Inferno perché mi sono comportata sempre tanto male. Io non voglio essere morta, io voglio essere il fiorellino del mio papà. Come farà lui senza di me? Oh, povero babbo!”
Un dolore improvviso, ancor più grande del precedente, le perforò la testa. Voleva urlare, urlare fino a morire, urlare e basta. Ma il grido le rimase piantato in gola, come un masso, e le esplose nel cranio, perforandole le orecchie. Senza emettere alcun suono la assordò.
Ma se lei non poteva gridare lui non si risparmiava, oh no, di sicuro. Anzi, i gemiti si fecero sempre più concitati, sempre più veloci, sempre più intensi, fino ad culminare in un’unica somma degli stessi.
Sentì un odore ferroso, di sangue. La stava uccidendo! Le aveva piantato un coltello proprio lì, nella carne, e voleva ucciderla! Ecco, lo sentiva, stava per infliggerle un altro colpo...
Ma, improvvisamente, la cosa smise di entrare. Sentì qualcosa di viscido, così simile ad una lumaca, passarle su tutto il corpo, sporcarla della sua bava. Cos’era? Avvertì un fiato caldo e acre accompagnare quell’animale schifoso che le strisciava addosso. Provò a scacciarlo via.
Fu allora che scoprì di non riuscire a muoversi. Delle mani, grandi e ruvide, le stringevano saldamente le braccia, facendole male e costringendola a rimanere immobile, in balia della brutalità di quell’uomo cattivo.
Era in trappola. Improvvisamente il panico, che fino ad allora era rimasto sopito, convinta com’era che fosse tutto un sogno, si impossessò di lei.  Avrebbe voluto urlare, ma non poteva, la gola era chiusa, non riusciva a respirare!
Il corpo non le rispondeva più, la tradiva, rimanendo immobile e impotente mentre la sua mente esplodeva di dolore e terrore.
La cosa cattiva aveva ripreso a torturala, era come un chiodo grosso e appuntito che le veniva piantato dentro a forza. Un pungiglione gigante.
-Basta… per favore, basta…-
Le parole erano sussurri inudibili, lievi sillabe che la furia di un uomo violento portavano via. Chiuse gli occhi, incapace di tenerli ancora aperti, e si mise a pregare il caro Gesù, che era tanto buono, di farla svegliare, oppure di perdonarla e di mandarla in Paradiso, dove non avrebbe più incontrato l’uomo cattivo, perché in Paradiso ci va soltanto la gente gentile.
Sentiva che però Gesù non l’avrebbe mai ascoltata, e che tutto questo non sarebbe finito, che il dolore avrebbe proseguito per sempre.
Ma lui, ad un certo punto, si fermò, ansante e sudato. Si fermò, con la camicia slacciata a mostrare il petto peloso e i pantaloni abbassati. Si fermò.
La bimba sentì che le grosse mani le lasciavano libere le braccia e che quel peso che la schiacciava si sollevava, lasciandola respirare.
Non osò muoversi. Temeva che se si fosse anche solo spostata di un millimetro tutto sarebbe ricominciato.
Sentì il rumore di qualcuno che si alzava, ansimando, e che camminava. Il frusciare delle vesti mentre se le infilava. Quindi una porta che si apriva.
Aveva ancora gli occhi chiusi, le membra tremanti per la paura che potesse ritornare e farle ancora male, ma, nonostante il terrore, riuscì a distinguere una voce. La voce che aveva tanto atteso.
-Buonanotte fiorellino, la tua apetta tornerà presto.- La porta si chiuse.
Papà era tornato, e ora che era lì non l’avrebbe mai, mai, mai lasciata andare.

~
 

Clara riaprì gli occhi di scatto, quasi spaventata.
-Lo vedi che ricordi allora?- Lo sguardo della giovane era freddo e penetrante. Il suo sorriso era scomparso.
-Tu… Perché?! Dio mio, si può sapere il maledetto perché di tutto questo?!
Si alzò e iniziò a camminare concitatamente per la stanza; più che essere arrabbiata pareva quasi sconvolta dalla terribile visione (o ricordo?) che aveva appena avuto.
-Non hai alcun diritto di venire qui e di… di riportare sa galla quelle cose! Perché? Perché perché perché?!-
-Perché non puoi fuggire dal passato. Devi affrontarlo e,  per quanto doloroso possa essere, imparare ad accettarlo. Non si scappa per sempre e, Clara, questo è il tuo momento di guardare in faccia ciò che è stato. Dimenticarlo non lo cancellerà: lui è lì e tu non puoi farci proprio niente, se non lasciarlo esistere per ciò che è. Io sono qui per questo, per aiutarti.-
L’anziana si fermò di botto.
-E quindi cosa dovrei fare adesso? Iniziare a chiedermi perché le puttane da cui andava evidentemente non gli bastavano più? Domandarmi perché quel porco godesse tanto a mettere le sue luride manacce sul corpo della figlia di 5 anni?! O magari potrei chiederlo a lui, perché no, potrei andare al cimitero con un bel badile e toglierlo dalla terra in cui è da 58 anni e aprire quella bara di legno marcio e chiederlo a lui, sì, urlarglielo in quelle orecchie tappate dai vermi il perché avesse violentato sua figlia!-
Era livida dalla rabbia ora, e ebbe bisogno di sedersi, perché l’ira l’aveva stremata, rendendole faticoso lo stare in piedi. I capelli le cadevano a ciocche scomposte sulle spalle e il suo respiro si era fatto rapido e convulso.
-Lo sai perché faceva quel che faceva.  Non accettava che la moglie, tua madre, fosse morta. E che fosse morta dandoti alla luce, per giunta!  No, tu lo sai benissimo che quell’uomo era impazzito, andato completamente fuori di testa, distrutto da un dolore che gli era impossibile sostenere. Era solo, gli eri rimasta unicamente tu, sempre lì, a ricordargli costantemente la sua perdita. Oh, non che le assomigliassi più di tanto in fondo, ma questo non importava, non era che un trascurabile dettaglio per la sua mente malata. Nella sua visione distorta tu eri lei. Un po’ come in quel racconto di Poe, ricordi? Morella. Ne avevi discorso un giorno in uno di quei salottini pieni di gente con la puzza sotto al naso, l’avevi tirato fuori per fare un po’ di scena, per farti credere un’intellettuale, tu, che non avevi neanche la terza media! Certo i finali furono diversi, Morella morì, mentre tu scappasti, ma questo non cambia la medesima folle immagine che entrambi i padri avevano delle proprie bambine. Per lui tu eri figlia, moglie e amante. Per lui eri tutto.- La guardava dritta negli occhi, nei suoi stessi occhi, penetrandola, leggendola dentro e violandole l’anima.
-Mi ha distrutto l’infanzia! Mi ha rubato tutto ciò che avevo, tutto ciò che ero! Sai che non lo potrò mai perdonare. Non mi interessa se era matto o se semplicemente malvagio, non ha senso saperlo, perché non cambierà nulla.-
-E’ vero, non cambierà nulla, almeno in termini meramente pratici. Ma cambierà te stessa, ciò che sei ora. Non smetterà mai di bruciarti dentro, proprio come ti bruciò quella puntura, ma se lo accetterai, se troverai il coraggio di affrontare tutto questo, riuscirai ad andare avanti, veramente avanti. Non recupererai nulla del tempo che ti è stato rubato continuando ad essere cieca davanti alla vita. Devi guardare in faccia il passato e il presente, devi accettare che è successo per iniziare ad accettare ciò che sei.-
Gli occhi circondati da rughe la fissarono, immobili. Aveva ragione e lo sapevano tutte e due in quella stanza. Due palpebre si chiusero su di essi, inondandoli di pece.
Aveva rimandato il momento così a lungo, per paura.
Ora non poteva, non doveva, più aspettare. Aprì gli occhi e guardò dritto davanti a sé, consapevole del viaggio che stava, finalmente, intraprendendo. 

   
 
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