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Autore: BlackEyedSheeps    24/08/2013    1 recensioni
Era lei.
Lei che cercava di confondersi fra la folla, di mimetizzarsi con la rumorosa fauna turistica, di seguire un gruppo di persone di cui aveva appena intuito le traiettorie, ma una volta che Clint aveva agganciato l'obiettivo, difficilmente se lo lasciava sfuggire.

[Clint/Natasha]
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Maria Hill, Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Compromised'
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Uno che si distingue non per il rumore che fa, ma per il silenzio. Quando verrà a cercarti non lo farà certo urlando, per annunciare a tutti le sue intenzioni, ma verrà.

(Irvine Welsh, “Trainspotting”)

 

 

Lisbona, Portogallo
mercoledì, ore 21:12

 

Se c'era una cosa che odiava, erano le variazioni nei piani in corso d'opera.

Quando Parigi era ormai diventata una realtà così solida da permettergli di entrare nell'ottica di fare colazione con almeno una coppia di gustosi croissant, Coulson lo aveva contattato per comunicargli un improvviso cambio di rotta.

La Vedova Nera doveva aver deciso che, dopotutto, la Vie en Rose non si sposava granché con il suo stile di vita: di gran lunga più adatto il malinconico Fado e il clima atlantico ad assecondare la sua indole sfuggente.

 

L'appartamento che fungeva da copertura, lì, nella pigra Lisbona, non era niente di eccezionale – una topaia simile alla sua sistemazione a Brooklyn, ma con un'aria decisamente più rustica - quattro mura in Rua da Prata, praticamente in centro, a pochissimi minuti dalla stazione Rossio.

La zona, estremamente turistica, gli avrebbe permesso di confondersi agilmente con un buon travestimento.

Secondo le fonti, attualmente, l'obiettivo doveva trovarsi in una delle regioni centrali della Spagna. Un viaggio decisamente troppo lungo per i suoi gusti. Ma aveva imparato a controllare le attese.

Sistemò il poco bagaglio che aveva con sé e cercò punti strategici dove nascondere le armi.

L'unica di cui aveva bisogno, però, l'avrebbe tenuta in bella vista.

Aveva qualche ora ancora prima di doversi dedicare esclusivamente alla missione: la sua priorità, in quel preciso istante, era decidere se avesse più sonno o più fame.

Il profumo – che si andava estinguendo - dei ristorantini nella via adiacente gli ricordò che non mangiava da almeno undici ore.

Decise che avrebbe potuto spendere un'ora del suo tempo per provare questo fantomatico Bacalhau di cui tutti decantavano le doti e poi franare a letto per una delle dormite più sonore della sua vita.

 

 

Lisbona, Portogallo
giovedì, ore 8:43

 

Non era mai stata tanto felice di liberarsi di un travestimento come dopo il suo arrivo a Lisbona. Il viaggio in treno era stato lungo e scomodo: più di venti ore durante le quali la convinzione di essere seguita non l'aveva lasciata neanche per un istante. Questa volta, però, sospettava si trattasse di una semplice suggestione della sua mente: era certa che, la sera precedente, Billmann l'avesse attesa inutilmente al Park Hyatt hotel di Parigi dopo aver fallito nel tentativo di prendersi ciò che gli serviva senza il suo consenso, dopodiché – Nella peggiore delle ipotesi, pensò Natalia – ci sarebbero volute almeno un paio d'ore prima che i suoi uomini fossero in grado di individuarla su quel convoglio diretto in Portogallo. Lì era arrivata dopo una serie infinita di cambi e coincidenze. Aveva trascorso la maggior parte del tempo a guardarsi discretamente attorno, speso metà delle energie che le rimanevano nell'apparire disinvolta e indifferente, l'altra nel ricordarsi di star calma e rilassarsi, che la situazione era sotto il suo pieno controllo.

Non rimpiangeva granché del suo lavoro per la Red Room, ma se avesse potuto avere una sola cosa indietro da quegli anni, avrebbe sicuramente optato per il lavoro di squadra. Certo, era sempre lei quella che scendeva in campo, ma – in un modo o nell'altro – sapeva di non essere mai realmente sola. Gli spostamenti, le informazioni, tutto ciò che non riguardava l'azione vera e propria era compito altrui. Quello che le restava da fare era ciò che sapeva fare meglio: ingannare, sedurre, convincere, uccidere. La continua preoccupazione per la propria scarsità di mezzi, il convivere con la costante paranoia di non avere abbastanza denaro, di non poter usare i mezzi pubblici senza essere scoperta, di dover contare solo e soltanto su se stessa per togliersi dai guai, di non potersi fidare di nessuno in nessuna circostanza, la stava lentamente logorando.

Si era diretta ai bagni della stazione ferroviaria non appena era scesa dal treno, e non ne era uscita finché parrucca, finti piercing e trucco pesante non furono rimossi. Indossò un vestito leggero – decisamente non nelle sue corde - che aveva portato con sé: non si era sentita molto a suo agio, ma l'abito era abbastanza lungo da nascondere sia la piccola pistola che il pugnale che ebbe cura di assicurarsi alle fondine fissate attorno a ciascuna coscia. Si era legata i capelli inumiditi dal sudore in una coda di cavallo, recuperando una borsa più piccola dallo zaino con cui era partita da Parigi. Decise di nascondere il vecchio bagaglio nella grata di areazione a circa mezzo metro d'altezza sopra la tazza del water, in caso ne avesse avuto nuovamente bisogno. Si avventurò nell'assolata capitale solo quando ebbe decretato la trasformazione un successo.

Il piano per la giornata era piuttosto approssimativo: uno, trovare un appartamento i cui proprietari fossero attualmente in vacanza (decidendo che avrebbe avuto più fortuna nei quartieri ricchi della città); due, tenersi fuori dai guai. Vagabondò per ore, troppo stanca per prestare realmente attenzione a quelle finestre che parevano chiuse da tempo, ai balconi ornati di piante dall'aria particolarmente assetata, ai portoni che sembravano stati presi di mira da un volantinatore folle. Si mise a seguire un gruppo di turisti scandinavi ad una distanza tale da poter essere scambiata per un membro della comitiva da parte del casuale osservatore esterno. Colse qualche stralcio di conversazione – in norvegese, constatò - tra i due ragazzini che chiudevano la fila, evidentemente contrariati dal dover fare tanta fatica per qualcosa che non li interessava minimamente. Sorrise tra sé, riconoscendo la sequela di parolacce che stavano rivolgendo agli adulti che capitanavano il gruppo. Finì per distrarsi a tal punto che – nel bel mezzo di un'accesa discussione su chi fosse il miglior Batman del cinema – prima che potesse rendersene conto – le strade in salita, il caldo sempre più insistente – si ritrovò al gradito fresco di una chiesa. Furono l'odore di acqua santa e di cera bruciata che l'avvertirono del brusco cambiamento di scenario. Lasciò che la famiglia norvegese si allontanasse per osservare meglio l'architettura interna dell'edificio, che i due ragazzini si sedessero sulla panca più lontana dall'altare per continuare il dibattito, restando immobile poco oltre l'ingresso. La chiesa era piccola e stranamente luminosa, decisamente spoglia in confronto alle cascate d'oro che ricordava delle chiese ortodosse in Russia. Non ne era mai stata un'avida frequentatrice, e di certo non avrebbe mai detto di credere in un qualche dio, eppure, a volte si era sentita come se il solenne silenzio di quei luoghi la rispecchiasse in modo fin troppo accurato. C'era stato un periodo – tra il malcelato shock dei primi incarichi con la Red Room e il disincanto del lavoro in proprio – in cui si era quasi convinta di non avere età, di essere sempre esistita, di star eseguendo gli ordini di una volontà superiore ed eterna, come una sorta di sporco angelo vendicatore caduto disperatamente in basso e infine costretto a punire gli esseri più abietti e disgustosi che incontrava sul proprio cammino. Aveva pensato di essere antica e assoluta come la Morte, gelida e implacabile come la Vendetta. Come se non fosse stata una persona con un nome e un passato ben preciso, ma un assoluto, un astratto fattosi temporaneamente concreto nel corpo di una ragazzina russa qualunque. Era trascorso qualche anno perché si accorgesse di essere solo una spia particolarmente portata al proprio lavoro e nient'altro, al servizio di nessun Dio se non all'arbitrarietà delle decisioni umane.

La statua di Sant'Antonio situata nell'abside in fondo alla navata centrale, sembrava rifiutarsi di guardarla, rivolgendole un muto “non abbiamo tempo per te”. Deglutì piano, mordendosi le labbra fino a farle sanguinare.

Non era trascorso che un minuto da quando aveva fatto il suo distratto ingresso in quella chiesa, ancora meno perché si sentisse terribilmente inadeguata. Abbandonò i turisti norvegesi, imboccando l'uscita per essere nuovamente investita dal caldo avviluppante del primo pomeriggio, tirando paradossalmente un sospiro di sollievo. Quel fastidio avrebbe potuto sopportarlo. Una mendicante in compagnia di un vecchio cane meticcio stava seduta nell'ombra proiettata dalla facciata dell'edificio. Tirò fuori una banconota da venti euro, abbandonandola nel piattino delle offerte ai piedi della donna. L'animale le rivolse un'occhiata esausta senza alzare il capo dal grembo della padrona: sembrava dirle con pigra aria d'accusa, “credi davvero che questo migliori le cose?”

Serrò le labbra, ignorò il ringraziamento strascicato della donna e scese i gradini che conducevano all'entrata della chiesa per ritornare al livello della strada.

Si allontanò prima di poter decidere riprendersi i soldi e di cancellare, così, quel goffo gesto.

 

 

 

Lisbona, Portogallo
Ore 9:22

 

Era lei.

Lei che cercava di confondersi fra la folla, di mimetizzarsi con la rumorosa fauna turistica, di seguire un gruppo di persone di cui aveva appena intuito le traiettorie, ma una volta che Clint aveva agganciato l'obiettivo, difficilmente se lo lasciava sfuggire.

Sapeva di non poterla semplicemente avvicinare e piantarle un coltello nello stomaco.

L'idea, oltre ad essere da idioti, lo nauseava.

La distanza, nel suo lavoro, era tutto. Visuale migliore e distacco necessario per rendere tutto meno concreto, efferato.

La guardava muoversi con disinvoltura: ora come facesse davvero parte di un gruppo di turisti, ora come una cittadina qualunque della capitale. Se non avesse passato ore a studiare il suo fascicolo e le sue fotografie, forse avrebbe davvero avuto delle difficoltà nel riconoscere in lei la donna di cui lo SHIELD voleva cancellare le tracce.

Voleva studiarla, memorizzarne le movenze, distinguerne la mimica, per poterla trovare sempre, ovunque decidesse di nascondersi.

Raccontami un po' di te, Natalia, pensò, cercando di andare oltre la facciata che la donna si era costruita per l'occasione. Per quanto brava potesse essere, prima o poi, i suoi tratti caratteristici sarebbero usciti allo scoperto.

Il modo in cui si riavviava i capelli, il passo rapido ma leggero, l'espressione di vago disappunto per qualcosa che non le tornava, potevano sembrare dettagli insignificanti, ma non per Clint.

Sapeva di star percorrendo una strada pericolosa, che avrebbe potuto finire per conoscere “troppo” di quella che doveva essere l'obiettivo di una mezza giornata di lavoro, ma se la fantomatica Vedova Nera era così letale come tutti dicevano, allora era il momento di prendere le giuste precauzioni.

Si fermò giusto il tempo di vederla sparire all'interno di una chiesa.

Questa decisamente non me l'aspettavo.

Non nascose un'espressione contrariata; con Dio aveva così tanti conti in sospeso che non era pronto a entrare in casa sua e trovarsi afflitto da secoli di insegnamenti biblici.

Decise di deviare per un bar poco distante.

Non attese poi molto, dimenticò casualmente il cappellino di paglia sul tavolo del bar – quel travestimento era appena scaduto -, inforcò un paio di occhiali dalla montatura sportiva, nascosti nella tasca posteriore dei pantaloni, ed uscì di nuovo sotto il sole che già martellava impietoso a quell'ora del mattino. Il cielo libero da nuvole.

Seguì Natalia e le lasciò il tempo di prendere la traversa di una via che aveva memorizzato.

So dove stai andando.

Raggiunse una bancarella che vendeva ciliegie e ne comprò un sacchetto, deciso a lasciarle un po' di filo, prima di tornare a ripescare il suo amo.

Sicuro che fosse passato abbastanza tempo, riprese il cammino, solo per trovarsi faccia a faccia con un venditore occasionale di occhiali da sole particolarmente insistente.

Ahm, no amigo, sono a posto” si indicò gli occhiali come a sottolinearne la presenza.

Il tizio non sembrava intenzionato a mollare.

 

(E intanto Natalia stava sicuramente risalendo i gradini che portavano alla città alta.)

 

D'accordo, d'accordo...” Estrasse il portafoglio – vuoto - “Ho solo cinque euro... cinco... cinco euro” il ragazzo non si fece pregare troppo, gli strappò di mano i soldi, sganciando un paio di occhiali da sole dalla discutibile montatura zebrata.

 

(Seguiva il pigro percorso di un tram. Strade poco trafficate, da lenti e ardimentosi turisti che ingenuamente rifiutavano la comodità dei mezzi pubblici).

 

Ma...” persino Clint aveva una decenza a cui rispondere, ma quello se n'era già andato, sparito, inghiottito dalla città, alla ricerca di qualche altro pollo da spennare.

Come un turista qualsiasi.

Stronfiò qualcosa, infilandosi gli occhiali in testa, incurante del fatto che già ne indossasse un paio e si affrettò all'angolo dietro cui il suo giovane bersaglio era sparito.

Non era nemmeno sicuro che fosse così giovane, dopotutto.

In realtà non era nemmeno sicuro avesse un'età: il suo era uno di quei visi che non riesci a identificare, non una ruga, ma l'espressione di chi, cose, nella sua vita, ne ha viste parecchie, e di sicuro non tutte di suo particolare gradimento.

Anime vissute.

Si maledì per la divagazione filosofica, quando di Natalia non trovò traccia.

Il passo affrettato, su per quelle stradine così ripide, le pigre sieste dei gatti, i panni stesi profumati di bucato, le pareti scrostate, la voce gracchiante di qualche televisore, vite attraverso le finestre di appartamenti ammassati uno sull'altro, scorci di umanità in porzioni che duravano secondi.

 

Si fermò solo quando il dedalo di quelle strade divenne confusionario.

Il minotauro era stato giocato. Arianna aveva tagliato il filo.

 

Sbuffò qualcosa di poco carino nei confronti del cielo, del sole, e dell'universo, maledì i venditori ambulanti e il turismo incivile, tornando a ripercorrere, sconfitto i suoi passi stanchi.

 

Scendendo, un paio di turisti si fermarono a fotografare un gatto sopito con un paio di occhiali zebrati sulla testa maculata.

 

 

Lisbona, Portogallo
Ore 19:54

 

I gradini dell'imponente statua di Giuseppe I del Portogallo erano ancora caldi quando Natalia vi si lasciò cadere sopra. La Praça do Comercio le ricordava un'enorme scatola di sardine aperta sulle rive del Tago: avrebbe dovuto accorgersi prima dei festoni colorati appesi per le strade della città, ma non l'aveva fatto e la disattenzione le era stata fatale. Ovunque guardasse c'erano persone, corpi ammassati gli uni contro gli altri, canzoni e grida improvvisate che si levavano da questo o da quel capannello di gente, turisti in preda all'euforia scatenata dalla vitalità dei portoghesi, l'odore forte del cibo, del basilico, del sudore.

A Natalia girava la testa. Prendere tutto quel sole non le aveva fatto bene, le spalle le bruciavano: come il monumento del defunto re sul quale era seduta, anche il suo corpo sembrava emanare tutto il calore che aveva assorbito durante la giornata che volgeva al termine. Aveva deciso che si sarebbe occupata dell'alloggio col favore delle tenebre e aveva approfittato del tempo libero per mettere qualcosa nello stomaco – una manciata di dolcetti di cui aveva già scordato il nome – e comprarsi un abito diverso in una boutique vintage nella quale era capitata per caso. La fantasia floreale, a dirla tutta, la nauseava, ma la gonna le arrivava fino ai piedi, il che le dava il permesso di muoversi a suo piacimento senza che un colpo di vento improvviso rivelasse l'arsenale che aveva nascosto sotto i vestiti.

Non importava quante volte si ripetesse di apparire più allegra per non dare eccessivamente nell'occhio, quel caos la stava mettendo in seria difficoltà e il buon umore generale non faceva che peggiorare il suo. Era esausta, intontita dal caldo, arrabbiata con se stessa per aver scelto Lisbona tanto frettolosamente da dimenticarsi completamente del giorno di festa, preoccupata per tutte le cose che sicuramente non aveva notato fin dall'arrivo nella capitale. Se non si era accorta degli addobbi che coloravano la città in onore di Sant'Antonio, cosa le assicurava di non essersi persa dettagli più importanti? Pedinatori, facce familiari, uomini di Billmann...

La piazza, nonostante il fiume e un grosso cantiere per lavori in corso, era fin troppo aperta per i suoi gusti: se avessero voluto toglierla di mezzo sarebbe stato sufficiente appostarsi sul tetto di uno degli edifici circostanti e premere il grilletto. Un buon silenziatore, una buona mira, e c'erano persino ottime possibilità che – nella confusione imperante – non si sarebbero accorti del suo cadavere riverso sui gradini fino alla mattina successiva: turisti che avevano alzato troppo il gomito se ne vedevano ovunque. Se tendeva l'orecchio tutto quello che sentiva era rumore assordante, se aguzzava la vista vedeva solo persone dietro ad altre persone. Ucciderla a distanza ravvicinata senza troppo clamore? Praticamente un gioco da ragazzi. In un clima del genere, si sarebbe accorta del pericolo solo quando sarebbe stato troppo tardi.

Sapeva di non essere al sicuro, eppure, nonostante il muto terrore che alle volte riemergeva a stringerle lo stomaco fino a farla star male, quella sera furono la pigrizia e la stanchezza ad avere la meglio. Che mi ammazzino pure, pensò. Niente più preoccupazioni, niente più fughe, niente più paranoia... la morte non suonava poi così male. Alla Red Room le avevano insegnato a rimanere attaccata alla vita con le unghie e con i denti – era, di fatto, un assetto troppo prezioso per andare perduto – contro qualsiasi avversità. L'accanimento che ci metteva per aver salva la pelle le veniva naturale, come un meccanismo istintivo sul quale non aveva alcun controllo. Dopo, a pericolo scampato, si chiedeva perché lo stesse facendo, perché ci tenesse così tanto a rimanere viva. Perché era tanto importante?

Quei pensieri la infastidirono a tal punto da convincerla ad andarsene: l'appartamento di una famiglia di sconosciuti, da qualche parte, la stava aspettando. Aveva bisogno di bere e di farsi una doccia gelida.

Si era appena rimessa in piedi che l'equilibrio le venne a mancare: qualcuno l'aveva spinta da dietro mandando in tilt tutti i suoi campanelli d'allarme. Riuscì a mantenersi in piedi e a voltarsi di scatto, mettendosi automaticamente in posizione di difesa. La borsa le scivolò giù dal braccio per il movimento brusco, spargendo monete ovunque. I due turisti, vistosamente ubriachi, che l'avevano urtata – italiani, comprese – si stavano allontanando con passo barcollante: non si erano neppure accorti dello scontro. Doveva avere un'aria incredibilmente stupida con i pugni sollevati, pronta a combattere contro... niente.

Alzò gli occhi al cielo ormai scuro e si mandò al diavolo in tutte le lingue che conosceva, il che richiese un bel po' di tempo e concentrazione: si mandò al diavolo un sacco di volte.

Fece appello a tutto il suo autocontrollo per costringere i propri nervi a rilassarsi, operazione che l'assorbì a tal punto da impedirle di accorgersi dell'uomo che le stava proprio davanti: la sua borsa in una mano, gli spiccioli raccolti da terra nell'altra. Non era molto alto, ma le diede subito un'impressione di solidità. Capelli biondo scuro, occhi grigi, lineamenti marcati, grosse braccia, abbigliamento decisamente discutibile: aveva l'aria di essere americano.

Grazie”, gli disse, rivolgendogli un sorriso convincente ma privo di qualsiasi calore. “Dovrei stare più attenta”, aggiunse in tono desolato, colorando il suo inglese di un accento vagamente svedese.

Non è colpa tua”, si affrettò a specificare lo sconosciuto con un sorriso amichevole. Era sicura che non avesse meno di trent'anni. Valutò la situazione mentre si riprendeva la borsa – sistemando con attenzione la tracolla sulla spalla dolorante – e i soldi: fece per ripescarli di persona dal palmo aperto della sua mano, ma l'uomo girò il polso all'ultimo secondo, lasciandole appena il tempo di fare altrettanto prima di lasciarli cadere. Da dietro la maschera di cordialità che stava indossando, Natalia lo squadrò con sospetto: voleva evitare di essere toccato? O di toccarla, per semplice educazione? Una serie infinita di ipotesi le sfilò davanti agli occhi: maniaco dell'igiene, imbarazzante malattia della pelle, mani sporche o appiccicose, mani sudate, o forse aveva qualcos'altro da nascondere. Voleva accertarsi che non avesse anelli: nel suo ambiente, veleni e sedativi somministrati con un casuale sfiorarsi o uno scontro fortuito, erano ormai all'ordine del giorno. L'uomo si era rimesso le mani in tasca, impedendole di controllare. Poteva costituire un pericolo o essere solo un innocuo (Nessun uomo lo è, si ricordò Natalia) turista americano in vacanza.

Le mie amiche sono rimaste in albergo. Troppa Ginja”, riprese a parlare nonostante non fosse affatto sicura di volerlo fare. Era certa di non averlo mai visto prima, ma il fatto che l'avesse avvicinata in mezzo a tanta gente – sebbene con una scusa valida, doveva ammetterlo – non le permise di lasciar andare la cosa. Nel peggiore dei casi era un uomo di Billmann arrivato fin lì per rapirla, torturarla e farsi consegnare i piani di San Paolo; nel migliore, uno sconosciuto con un minimo di buone maniere. “Non sarei dovuta uscire da sola”, aggiunse con una leggera scrollata di spalle. Aveva cambiato postura, espressione, tono di voce, mimica facciale, gestualità: non voleva apparire minacciosa. La prima cosa che aveva imparato durante il suo addestramento alla Red Room era che gli uomini si espongono più facilmente quando credono di avere una posizione di superiorità rispetto al loro interlocutore, specialmente quando quell'interlocutore è una donna. Sorrise con aria un po' imbarazzata, “Greta”, si presentò, tendendogli la mano affinché gliela stringesse. Lo guardò in viso senza, però, voler apparire troppo sfrontata, decidendo – al tempo stesso – quale fosse il modo migliore per toglierlo di mezzo senza dare troppo nell'occhio. Non ne ebbe bisogno: con sua grande sorpresa, l'uomo non si sottrasse al contatto, allungando la mano per stringere quella di Natalia in una morsa decisa ma gentile, “Francis”.

Trattenne il respiro finché non l'ebbe lasciata andare. Nessuno scherzo, constatò con una punta di delusione. Ha solo mani terribilmente ruvide. Corporatura granitica e dita callose la fecero pensare ad un lavoro manuale, un lavoro di fatica.

Nonostante il buonsenso che la spingeva a restare all'erta, Natalia si rilassò, i muscoli si fecero meno contratti, i nervi meno tesi. Era solo un turista in vacanza che le aveva raccolto la borsa. Fine della storia.

Lo sentì fare un commento sui portoghesi e sulle feste e straordinariamente - forse per ripagarlo della gentilezza – si impedì di lasciar cadere la conversazione, dando la miglior interpretazione di Greta-l'adorabile-svedese-in-vacanza-con-le-amiche-ubriacone di cui era capace in una serata tanto pigra. Decisamente non la sua migliore. Smise di ascoltarlo, continuando a far conversazione in modalità “pilota automatico”, ma non di studiarlo. Conosceva a menadito gli effetti che una menzogna aveva sul volto umano, ma sul viso di Francis non ne lesse neanche uno. Come aveva potuto pensare che si trattasse di un uomo di Billmann? Fece scorrere lo sguardo sulla maglia dal rosso un po' scolorito, leggermente sdrucita sul colletto, che riportava il nome di quella che era quasi sicura essere una squadra di baseball di Boston. Ha un buon odore, il pensiero la colpì dal niente, facendola sentire immensamente sciocca. Non ricordava quando fosse stata l'ultima volta che era stata con un uomo, ma – per un ridicolo attimo – l'idea di trascorrere la notte con quello sconosciuto non le sembrò poi tanto stupida. Che avrebbe potuto perderci? Turista solitaria incontra turista solitario, si intrattengono a vicenda, se ne tornano a casa: era sicuramente una delle trame meno originali che avrebbe potuto inventarsi. E in più c'era qualcosa nella sua espressione che la faceva sentire... si impedì di pensare “al sicuro”, perché sarebbe suonato troppo idiota, e decise solamente che aveva l'aria di una persona affidabile, qualcuno su cui avresti potuto contare nel momento del bisogno.

Francis stava ancora parlando quando Natalia si accorse di averlo fissato per un attimo di troppo: le parve di scorgere qualcosa di terrificante in fondo ai suoi occhi. Fu costretta a distogliere l'attenzione su altro mentre le parole continuavano ad uscirle di bocca, provate e riprovate fino alla nausea per uno scenario scelto a caso tra quelli che aveva in repertorio, pronti per l'uso. Per assurdo, si sentì come se non avesse avuto addosso abbastanza vestiti.

Si congedò poco dopo: la dolce Greta doveva tornare dalle sue amiche e accertarsi che stessero bene. Lo salutò con un sorriso pieno di un disagio che riuscì a malapena a nascondere. Gli diede le spalle e si fece strada tra la folla con un po' troppa foga, ignorando di proposito il tremore che le aveva preso le mani. Non era più tanto sicura che a spaventarla fosse stato qualcosa che gli aveva letto nello sguardo: piuttosto qualcosa che lui era riuscito a leggere nel suo.

 

 

Lisbona, Portogallo
Ore 19:58

 

Doveva assolutamente ricordarsi di complimentarsi con la dea bendata – privatamente e con le dovute riserve - per averlo benedetto con quella fortuita casualità.

Credeva di aver perso un’intera giornata di lavoro e invece eccola lì, la sua schiva Vedova Nera, turista fra i turisti, spaesata dai festeggiamenti – o maestra nel simularlo.

Nemmeno si era reso conto di averla avvicinata tanto, e di aver spontaneamente (stupidamente) cercato il primo contatto diretto.

Eppure ora erano lì, uno di fronte all’altra, fra la calca di gente e le grida etiliche, festose, a intrattenere una conversazione che non era nemmeno sicuro li portasse da qualche parte.

Cercò di evitare qualsiasi contatto fisico – vittima dei suoi stessi principi lavorativi - prima di rendersi conto che sarebbe risultato sospetto o quantomeno bizzarro. Una spia abituata ad avere a che fare con gente che agisce in modo forzatamente spontaneo non ci avrebbe messo molto a smascherare il suo ardito travestimento.

Si finse turista anch’egli, cercò di immedesimarsi in una parte che non gli era granché congeniale, ma che, per quanto riguardava l’essere spaesati e decisamente poco avvezzi alla folla, gli risultava fin troppo semplice.

Doveva ammettere che era brava.

Una pelle diversa da quella che le aveva visto ostentare durante il pomeriggio. Ora era anche una questione di parole, atteggiamenti, qualcosa che non avrebbe potuto constatare da lontano.

Quel modo di calibrare la voce - bassa, vagamente arrochita forse dal caldo, forse solo di natura - affinché non rivelasse nessuna emozione particolare, le frasi, scelte con cura, per metterlo a suo agio; chissà quante volte aveva simulato conversazioni come quella, con quante varianti, più o meno credibili, aveva depistato occasionali clienti o seccatori.

E poi oh, era bella – gli occhi limpidi, sfuggenti, le labbra piene, in movimento, la curva morbida dei fianchi, quella goccia di sudore che sembrava delinearle la linea flessuosa del collo fin giù a insinuarsi fra i seni inaspettatamente generosi - un fascino che sgorgava a prescindere dall’inganno. Era convinto fosse ben più che conscia di possederlo, e decisa a sfruttarlo in qualsiasi modo le potesse tornare utile.

 

Se Fury lo avesse visto in quel momento, colto nell’atto di apprezzare quello che doveva essere un freddo obiettivo da eliminare…

Poteva sentirne le grida, e la mortificazione di Coulson che magari, segretamente, avrebbe comunque spalleggiato la sua debolezza.

 

Non percepiva minacce. Probabilmente Natalia aveva deciso che non doveva rappresentare un pericolo. Appuntò mentalmente che avrebbe dovuto complimentarsi anche con se stesso. Sempre privatamente, sempre con le dovute riserve.

Già, non è la prima volta che vengo a Lisbona”, una conversazione del tutto comune, quella fra due sconosciuti che cercano un contatto familiare in mezzo a gente sconosciuta. “Sono passati anni, ma devo ammettere che non è cambiato molto…”

Era affascinato da come riuscisse ad evitare il suo sguardo, senza smettere di studiarlo un solo istante.

Dovette combattere con se stesso per sottrarsi al disagio di sentirsi sotto esame, cercò di limitare i gesti, di fingersi spavaldo di mettersi in mostra come avrebbe fatto un qualsiasi uomo di fronte a una bella donna.

Si sorprese persino di ricordare come si facesse. (I suoi recenti tentativi di abbordaggio si erano conclusi per disperazione. Delle altre.)

Devi assolutamente provare il riso di mare, c’è un posto qui vicino che ne cucina di ottimo. Il locale è piccolo ma le quantità sono abbondanti e a buon prezzo.”

Oh, sarebbe grandioso.”

Magari però convinci le tue amiche a bere dopo cena, perdersi le bellezze della città di sera è un vero peccato.”

La risposta sempre pronta, vaga, ma decisa, poteva sembrare un modo gentile per non invitare l’uomo a esporsi troppo. Falsa timidezza, educata discrezione. Ma sapeva che non era così.

Improvvisamente ne fu intimorito. Nonostante fosse ormai evidente che lei lo considerasse un semplice viaggiatore, vide che i propri tentativi di sfondare una corazza pre-fabbricata, venivano demoliti, uno dopo l’altro, che tutto quello che riceveva era la falsa copia di quello che stava cercando. Che diavolo si aspettava di scoprire? Dove voleva arrivare?

Stava cercando una scusa, un pretesto per dilungare, rimandare la violenta conclusione a quello scambio di gentilezze? Oppure si aspettava di scorgere una scintilla, una goccia di umanità, di reale spontaneità.

Non doveva convincerla a fare qualcosa per lui, gli ordini erano chiari, doveva ucciderla.

E allora a che pro continuare con quella farsa? L’istinto lo aveva spinto oltre, troppo vicino a quella linea di confine che avrebbe dovuto vedere da lontano, come era abituato a fare.

Cosa lo aveva spinto allora ad arrivare tanto vicino al baratro?

Troppo sangue, troppe vittime.

Il pensiero si materializzò e scomparve, come polvere nel vento.

Si diede mentalmente dello sciocco e per un breve, misero attimo, persino la sua, di maschera, crollò e lei se ne accorse.

E fu solo allora che lesse la paura, nei suoi occhi. La prima vera reazione spontanea, il primo vero sentimento reale.

Mi ha scoperto, sono finito, la copertura è crollata, la missione è fallita.

Si scoprì vagamente sollevato da quella constatazione e la cosa lo spaventò più del previsto. Si schiarì la voce, dissimulando lo sconcerto con la delusione per la loro annunciata separazione.

Spero di rivederti in giro, Greta.”

E con quello fu finita. Ne seguì la silhouette allontanarsi fra la folla, cupo contrasto con i colori cittadini e il sollievo si tramutò in ansia.

Doveva agire in fretta.

Non poteva lasciarla scappare, andava contro i suoi principi, la sua professionalità. Lo SHIELD si fidava di lui e lui non poteva farsi sorprendere da repentini e mutevoli sbalzi di pietà.

 

Però la paura… quella paura. L’aveva vista tante volte, in tanti occhi. Quella paura colpevole, dilaniante, consapevole che lui stesso si era ritrovato ad osservare attraverso uno specchio che gli rimandava la sua immagine.

 

 

Lisbona, Portogallo
Ore 21:30

 

Aveva recuperato il suo arco. Se non altro la presenza tangibile dello strumento che gli era ben più congeniale della conversazione, lo faceva sentire a suo agio. Ora era pronto, a prescindere da qualsiasi sentimento di compassione o di empatia che aveva potuto provare in uno stupidissimo istante.

In piedi sul tetto di uno di quei vecchi palazzi, con la vaga eco delle musiche distanti nella piazza ormai lontana, nella solitudine di quella notte appena abbozzata, assestò la mira e seguì il passo rapido, ma esausto, del suo bersaglio.

 

Nessun ripensamento.

Vittime, non lo siamo tutti?*

 

Focalizzò, inspirò a fondo, ne individuò il cuore che immaginò vivo e pulsante sotto quel leggero abito di cotone.

Si preparò a scoccare la freccia.

Poi un guizzo, rapido, intangibile che polverizzò la sua concentrazione.

Uomini. Un gruppo di uomini che si materializzarono da chissà dove, scivolando furtivi dalle vie, nel buio, tutt’intorno alla donna.

Che fu rapidamente circondata.

L’arco fu abbassato, la freccia ritirata.

Forse non avrebbe dovuto proprio uccidere nessuno, quella notte.

 

 

 

Note:

*Citazione dal film “Il Corvo”.

  
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