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Autore: marthiachan    24/08/2013    2 recensioni
"È tornato.
Dopo tutto questo tempo...
Ho sentito i miei ormoni scalpitare quando me lo sono trovato di fronte, così pallido ed etereo come lo ricordavo, ma ancora più bello. I suoi occhi verdi da felino avevano qualcosa di diverso, di ancora più affascinante. Potevo leggervi il dolore che aveva provato negli ultimi tre anni e che lo aveva quasi trasfigurato. Il suo sguardo ora non era più così freddo e scostante. Non so come spiegarlo, ma era pieno di calore e sofferenza. Forse erano le piccole rughe che gli si erano formate attorno agli occhi a dargli quella profondità. O forse no. Nessuna ruga può trasformare così tanto qualcuno."
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Long fic legata alle mie precedenti “Tornare a casa” e “La ricerca della felicità.” Può essere letta anche senza aver letto le precedenti perché i fatti principali sono sostanzialmente gli stessi, solo che sono raccontati dal punto di vista di Molly.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sherlock's Diary'
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Data la brevità del precedente capitolo, pubblico subito anche questo.
Le cose cominciano ad evolversi in maniera molto romantica.
Buona lettura.


6


Questa mattina, quando la sveglia ha suonato come sempre alle quattro, ero già sveglia. Seduta sul mio letto, circondata da kleenex usati, con lo sguardo perso nel vuoto ripensavo ancora a Sherlock. Avevo smesso di piangere e i miei occhi erano asciutti, ma dentro mi sentivo annegare nelle lacrime che non riuscivo più a versare.
Mi sono alzata, pur sentendomi molto debole, e ho fatto una lunga doccia per cercare di spazzare via la nebbia dal mio cervello e ritrovare un po’ di lucidità.
Mi sono sforzata di pensare al mio imminente matrimonio.
Dovevo smettere di pensare a Sherlock, ma era più facile a dirsi che a farsi.
E io rischiavo di rovinare anche la vita di William sposandolo, sapendo che non lo avrei amato mai abbastanza.
Quando sono riuscita a uscire di casa avevo ritrovato la mia compostezza. Non vedevo l'ora di buttarmi sul lavoro per avere qualcosa di diverso a cui pensare. Mentre ero in metropolitana, ho cominciato a fare un riepilogo dei casi che avevo in corso dal giorno prima, in modo da stilare una lista ordinata dei miei compiti nella giornata. Questo mi aiutava a non pensare alla mia incasinata vita sentimentale.
Ero ancora immersa nei miei pensieri quando alle cinque esatte sono scesa dalla metropolitana e mi sono diretta all'ingresso dell'obitorio del Barth's. Stavo per entrare quando mi sono ritrovata Sherlock Holmes davanti.
“Buongiorno, Molly. Caffè?”
“Oh, Sherlock!” ho sussultato sorpresa. “Cosa fai qui a quest'ora?”
“Ti aspettavo, ovviamente. Ecco il tuo caffè. Nero con panna e niente zucchero, giusto?”
“Sì, giusto. Ma... Non mi hai mai portato il caffè.”
“Ne sono consapevole.”
Lui aveva quella faccia. La faccia che ha sempre quando vuole compiacermi per chiedermi dei favori o costringermi a fare degli straordinari o chiedermi parti anatomiche umane per i suoi esperimenti.
Ero indecisa tra il mandarlo a quel paese o prendere quella tazza di caffè che profumava come il paradiso... E io avevo passato una notte in bianco dopo aver fatto il doppio turno. Quel caffè mi stava chiamando con la dolcezza di un coro d'angeli.
Accidenti a Sherlock Holmes, perché sa sempre come manipolarmi?
“Di cosa hai bisogno oggi, Sherlock?” ho chiesto afferrando la tazza di cartone e avviandomi all'interno dell'ospedale.
“Ti dovrebbero essere arrivati dei cadaveri, quattro. Un serial killer. E anche dei campioni da esaminare.” ha spiegato seguendomi.
Non volevo guardarlo troppo in volto, quindi camminavo veloce, più del solito, in modo che, una volta tanto, fosse lui a seguirmi.
Avrebbe pagato per il modo in cui mi manipolava. Forse non avevo facoltà decisionale sulla mia vita privata, ma sul lavoro sì, santo cielo! Sherlock Holmes doveva imparare che nel mio laboratorio sono io che comando.
Nel mio laboratorio io sono una fottuta Dea.
“Questo spiega il caffè. È un tentativo di corruzione, giusto Sherlock? Ma sono quasi certa di avere altri casi da gestire, quindi potrei non farcela a esaminare i tuoi.”
“Non hai altri casi. Quelli che avevi li ho fatti trasferire ai tuoi colleghi.”
“Cosa?” ho esclamato fermandomi e guardandolo incredula e furiosa.
Che cosa aveva osato fare?
Non solo quest'uomo rovinava la mia sanità mentale e la mia vita privata, ma si prendeva anche la libertà di intromettersi nelle mie decisioni lavorative?
Ok, un conto è fare dello straordinario non pagato per aiutarlo. Quello posso concepirlo, è un extra e non interferisce con il mio vero lavoro. Ma il modo in cui gestisco i miei incarichi ufficiali non può e non deve essere modificato da nessuno. Ho una reputazione e una professionalità da difendere, nonostante l'impegno costante di Sherlock Holmes per distruggere entrambe.
“Ho pensato fosse meglio che fossi libera di...” ha cercato di scusarsi forse rendendosi conto della rabbia cieca che mi stava invadendo.
Tu ti sei intromesso nella gestione del mio lavoro? Io non lavoro così. Non faccio in modo che altri debbano occuparsi dei miei casi. Non è professionale.”
“Ma loro lo fanno con te.”
Gesù, era come un bambino di cinque anni! Ha iniziato prima lui!
“Loro possono fare ciò che vogliono, ma io non mi comporto così. Inoltre, così sembra che io abbia qualche agevolazione collaborando con il grande Sherlock Holmes. Come se io fossi una privilegiata.”
Mi ha osservato per qualche secondo, probabilmente cercando di capire perché me la stavo prendendo così tanto. Non ci riusciva, ma sembrava dispiaciuto. Naturalmente, non dispiaciuto che io fossi arrabbiata, ma che ci fosse il rischio di perdere la mia collaborazione.
“Capisco. Perdonami, Molly Hooper.”
Si scusava perché sapeva che era l'unico modo per convincermi a collaborare.
E va bene, voleva giocare così? Voleva farmi contenta per sfruttarmi? D'accordo, ma le cose sarebbero cambiate. Definitivamente.
Io comando nel mio laboratorio, non Sherlock Holmes.
Altrimenti si faccia assumere al Barth's e si gestisca un laboratorio per conto suo!
Ho sospirato e ho ripreso a camminare con passo deciso dirigendomi al mio laboratorio.
“Per questa volta esaminerò quei campioni e quei cadaveri, ma si farà a modo mio.”
“Scusa?” ha obbiettato lui chiaramente stupito.
A modo mio. Tu puoi assistere ma non puoi toccare nulla se non sono io a darti l'autorizzazione.”
“Ma...”
“Niente ma. Prendere o lasciare.” ho detto con tono tagliente fermandomi nuovamente a guardarlo.
Questa volta non mi sarei lasciata mettere i piedi in testa.
“In passato abbiamo sempre fatto a modo mio e non è mai stato un problema.”
“Le cose sono cambiate. Allora? Accetti le mie condizioni?”
Ha esitato. Gli si leggeva in viso che voleva rifiutare, dirmi che lui non aveva bisogno del mio permesso. E invece alla fine ha annuito.
“Bene.” ho confermato riprendendo a camminare.
“Comunque, non ti ho portato il caffè per corromperti. L'ho fatto perché sapevo che questa settimana hai fatto tre volte il doppio turno.”
“Hai di nuovo spiato i miei turni?”
Non fa che intromettersi nel sito dell'ospedale per controllare i miei turni, continuamente.
“Sì, anche se non ne avrei avuto bisogno. Ti si legge in faccia. Come so che hai passato la notte in lacrime.”
Mi sono fermata proprio nel momento in cui poggiavo la mano sulla maniglia della porta del laboratorio. Improvvisamente, avevo perso tutta la mia sicurezza. Ho tenuto lo sguardo basso e ho sospirato.
Lui sapeva. Sapeva che avevo passato la notte in lacrime. Aveva dedotto anche di esserne la causa?
“È stato lui? Ti ha fatto del male?” mi ha domandato apparentemente preoccupato.
Tipico. Non si stava veramente preoccupando di me, era solo ansioso di avere la conferma che le sue deduzioni su William fossero corrette. E non gli è neanche passato per quella piccola maledetta geniale testolina di essere la causa del mio malessere. Di avermi fatto più male lui di chiunque altro a questo mondo.
“No. William non mi ha fatto nulla. Non lo vedo da lo scorso week end. È all'estero per lavoro.”
“Allora, cosa...?” ha chiesto con tono incerto.
“Ci sono cose della mia vita che non conosci e che, sinceramente, non ti riguardano, Sherlock. Ora, scusami, ma ho quattro cadaveri da analizzare, grazie a te.
E così dicendo sono entrata nel laboratorio e sbattendo la porta.
Lui non mi ha seguito immediatamente. È rimasto nel corridoio, confuso. Io ho approfittato di quei minuti per riprendermi e ho impiegato più tempo del solito a mettere il camice. Poi, finendo di bere il caffè che mi aveva portato, ho deciso di chiudere il dolore che provavo in una scatola. In quel momento non potevo e non dovevo lasciarmi andare.
Non per lui, ma perché sono una maledetta professionista.
Il mio lavoro meritava tutta la mia attenzione, Sherlock Holmes no.
Non in quel momento.
L'ultima frase che gli avevo rivolto era volutamente fredda e crudele e speravo che lo avrebbe convinto a lasciarmi in pace.
Non gli ho rivolto la parola per tutto il giorno. Gli ho permesso di assistere e gli indicavo gli indizi rilevanti, ma mi sono limitata ai monosillabi strettamente necessari.
Non volevo parlargli né guardarlo. Volevo solo tornare a casa e sprofondare nel mio letto per piangere ancora.
Lui probabilmente non aveva neanche notato tutto ciò. Sapeva che ero seccata con lui ma non capiva il perché. Per lui queste cose non sono importanti e poi so che non gli piace quando parlo troppo, quindi sarà stato felice del mio silenzio.
Alla fine delle autopsie siamo passati ad analizzare i campioni inviati da Scotland Yard e, ancor prima che lui me lo dicesse, ho esaminato eventuali residui sotto le unghie delle vittime, comprese quelle che erano state già analizzate.
Ero comunque molto stanca, quindi gli ho consentito di analizzare alcuni campioni ed è stato entusiasta quando ha finalmente trovato qualcosa.
“Cellule epiteliali!” ha esclamato soddisfatto. “Abbiamo del DNA.”
“Altre cellule epiteliali sotto le unghie dell'ultima vittima.” ho replicato con tono piatto formulandola prima frase di senso compiuto dalla mattina.
Da un successivo esame, abbiamo riscontrato che il DNA presente nei guanti e sotto le unghie era di una donna, ma di sicuro non apparteneva alla vittima.
Un serial killer donna.
“Bene. Forse avremo un nome entro oggi.” ha commentato lui con tono trionfante.
“Forse.” ho aggiunto io conservando i campioni negli appositi contenitori sterili. “Ora, dato che ho finito, vado a casa. Sono esausta.”
“Molly...” ha detto cercando di fermarmi mentre mi mettevo la giacca.
“No, Sherlock, lasciami stare. Te ne prego.” gli ho chiesto con tono implorante, senza guardarlo negli occhi.
Non potevo farlo, il pianto stava per invadermi. Dovevo assolutamente tornare a casa. Ha annuito, anche se era chiaro che volesse dire qualcos'altro.
“Buonanotte.” ho detto lasciando il laboratorio, consapevole dello sguardo confuso di Sherlock che mi fissava.
Sono tornata a casa camminando come un automa. Non vedevo nulla né sentivo nulla. Sono salita sulla metropolitana e mi sono seduta fissando il vuoto. Ero fuori di me. Tutto andava a rotoli. Solo qualche settimana fa mi sentivo felice e ora invece...
Niente andava bene. Niente era come avrebbe dovuto essere.
Sherlock non avrebbe dovuto farmi stare male, non più. Avrei dovuto lasciarmelo alle spalle, dimenticarlo. Avrei dovuto considerarlo solo un amico e concentrare tutti i miei sentimenti romantici verso William, l'uomo che mi amava tanto da voler condividere la sua vita con me.
Tutto ciò che Sherlock vuole condividere con me è il mio laboratorio. Nient'altro. Perché io non sono all'altezza per qualcos'altro.
Sono scesa dal treno all'ultimo secondo, presa com'ero dai miei pensieri.
Rientrando a casa sono passata di fronte alla drogheria aperta ventiquattrore su ventiquattro, la mia ancora di salvezza con i turni assurdi che faccio. Sono entrata alla ricerca di cibo consolatorio.
Dio, volevo tuffarmi in una vasca di gelato.
Nuotare nelle patatine fritte.
Farmi un overdose di cioccolato.
Il tutto innaffiato da diverse birre.
Al diavolo le prove dell'abito da sposa.
Al diavolo la dieta.
Al diavolo tutto.
Sono rientrata a casa, ho poggiato temporaneamente la busta in cucina e sono andata a mettermi il mio pigiama preferito. Non lo metto spesso perché William lo trova infantile, ma in quel momento non mi importava nulla né di William né di nessun'altro.
Sono tornata in sala, ho preso il mio cibo spazzatura e mi sono sdraiata sul divano sotto la coperta multicolore che mi aveva regalato mia nonna da bambina. Ho inserito il mio DVD sentimentale preferito, e il lacrima party ha avuto inizio.
Appena iniziato il film, hanno iniziato a sgorgare senza fermarsi. Ho preso la ciotola di patatine e ho iniziato a mangiarle con disperazione, come se mangiarle più in fretta avesse potuto dare tregua al dolore che provavo. Come se potessi riempire il vuoto che provavo all'altezza dello stomaco, ma sapevo benissimo che non era il mio stomaco il problema, ma il mio cuore che era sprofondato lì in basso...
Dopo le patatine, è stato il momento della birra e, infine, del cioccolato. Ed ero solo a metà film. Stavo per alzarmi e andare a prendere il gelato dal freezer, quando ha suonato il campanello.
Mi sono guardata. Ero un disastro. Pigiama a parte, avevo briciole di patatine ovunque e le mani oleose. E poi chi poteva essere a quell'ora?
Ho messo in pausa il film e ho fatto una corsa in bagno per ripulirmi il viso e le mani, mentre il campanello suonava una seconda volta, quindi sono andata a guardare dallo spioncino.
Era Sherlock.
Oh, cielo, perché? Perché non potevo semplicemente deprimermi in santa pace? Perché dovevo soffrire ancora e ancora?
“Molly, ho bisogno di parlarti. Non costringermi ad abbattere la porta.” ha detto lui distogliendomi dalle mie silenziose lamentele contro l'ingiustizia della vita.
Ho aperto la porta leggermente, ma era presente ancora la catena. Lui mi ha guardato, studiandomi. Stava deducendo chissà cosa dal mio aspetto, e non volevo lo facesse. Avrebbe potuto vedere troppo. E, in quel momento, sarebbe stato disastroso.
“Sherlock, sono molto stanca. Stavo andando a dormire. Passa domani al Barth's.”
“No, devo parlarti. Ora.”
Ho sospirato. Non si sarebbe arreso. Dovevo accontentarlo, almeno temporaneamente. Ho accostato la porta per togliere la catena, l'ho riaperta poco dopo e l'ho lasciato entrare. Mentre richiudevo la porta lui si è guardato intorno.
Stava studiando il mio appartamento e le mie cose. E sicuramente avrebbe avuto qualcosa da dire.
“Allora, cosa c'è di così urgente?”
“Qualsiasi cosa abbia detto di sbagliato oggi, mi dispiace. Non era mia intenzione offenderti. A quanto pare stai passando un periodo difficile. Perdonami.”
Ho sbuffato e mi sono seduta sul divano, facendogli cenno di sedersi sulla poltrona di fronte. Lui ovviamente non ha accolto il suggerimento ed è rimasto in piedi a fissarmi, come per mantenere una posizione di superiorità rispetto a me.
Beh, non mi importava. Sono abituata a guardarlo dal basso con quelle lunghe gambe che si ritrova, ma non avevo intenzione di lasciarmi intimidire. Non so come, ma avevo da qualche parte la forza per reagire.
“Sherlock, il fatto che tu sappia tutto delle persone non ti da il diritto di parlarne.”
“Volevo essere gentile. Magari persino premuroso.”
Sono scoppiata a ridere. Sherlock... premuroso? Era una barzelletta? Sherlock non è mai premuroso, a meno che questo non gli convenga. E il fatto che lui volesse provare a esserlo era divertente, ma chiaramente assurdo.
“Sherlock, non è da te. Lascia stare.”
“No, aspetta. Perché non sarebbe da me? Io posso farlo. Sono in grado di gestire questo genere di cose.” ha detto sedendosi finalmente nella poltrona di fronte a me.
Mettendosi inconsciamente al mio livello.
“No, non lo sei. Non hai filtri, non sai quando fermarti.”
Si è zittito per un momento. Sapeva che avevo ragione.
“Forse è vero. Ma vorrei davvero sapere cosa ti fa piangere.” ha detto infine dopo averci riflettuto su.
Ho abbassato lo sguardo. Non potevo piangere, non in quel momento, ma i miei occhi non sembravano della stessa opinione. Dovevo cercare di evitare il discorso perché altrimenti sarei impazzita... Ho rialzato lo sguardo e sapevo che lui stava annotando mentalmente i miei occhi lucidi.
“Sherlock, non posso parlarne, e di certo non con te.”
“Perché?”
“Perché riguarda la mia vita, le mie scelte, il mio futuro.”
“Intendi il tuo futuro marito?”
“Sì.” ho confermato dopo un profondo sospiro con voce tremante. Non sarei riuscita ad evitarlo, era inutile, dovevo dirgli tutto. “Non sono sicura delle mie scelte. Ho paura di aver fatto degli errori di valutazione.”
“Allora avevo ragione io? Lui non ti rende felice.”
“Ti sbagli. Lui mi rende felice, ma io non posso rendere felice lui.”
Lui mi ha guardato con aria confusa, come se cercasse di capire qualcosa di davvero complicato.
“Io non posso renderlo felice perché ci sarà sempre qualcun'altro che amerò più di quanto amo lui.” ho confessato infine, non sapendo cosa avrebbe portato ciò.
Non avevo fatto il suo nome, ma era ovvio che parlassi di Sherlock. Mi chiedevo solo se era ovvio anche per lui.
Non diceva nulla. Mi guardava e basta, come se non sapesse cosa dire. Inaspettatamente, ho continuato a parlare.
Volevo che lui capisse.
Volevo che si rendesse conto di quanto amarlo mi facesse soffrire.
Di quanto mi sentissi in trappola.
Di quanto la mia vita avesse preso una piega assurda per colpa sua.
“E se quella persona venisse da me e mi dicesse “fuggi con me”, non esiterei un istante a dire a William “addio”. Questo non capiterà mai, ma io lo sto per sposare sapendo che passerò il resto della mia vita sperando che capiti. Come potrei renderlo felice con queste premesse?”
Lui è rimasto in silenzio ancora e mi guardava in una maniera strana. Sembrava indeciso sul da farsi. Come se non sapesse se restare ad ascoltare i miei assurdi deliri o scappare via a gambe levate. Ma aveva capito. Sapeva che parlavo di lui, glielo leggevo in quei meravigliosi occhi verdi. Stringeva la mascella, sembrava nervoso, mi chiedevo solo il perché.
“Non dovresti sposarlo. Interrompi il fidanzamento. Subito.” ha detto infine con tono autoritario, come se la decisione spettasse a lui. “Lui non è un uomo adatto a te, in ogni caso.”
“Nessuno lo è. Significa quindi che dovrò passare la vita da sola?” ho replicato cercando di essere ironica.
In realtà non c'era molto da ridere. Era una possibilità sempre più probabile.
Sarei finita vecchia e sola in una casa piena di gatti.
“Essere soli non è così male come sembra. Io sono solo e sto benissimo.” ha replicato lui con tono di sufficienza.
Per poco non gli ridevo in faccia. Questa poi!
“Tu non stai bene solo, Sherlock. Se così fosse, tu non avresti bisogno di andare da John quasi ogni giorno. O di prendere il tè con Mrs. Hudson. O di venire al laboratorio del Barth's per combattere la noia. Tu non stai bene solo.” ho detto con forse eccessiva crudeltà, ma lui sapeva che avevo ragione.
“Allora, forse, potremmo essere soli insieme. Cosa ne pensi?” ha detto all'improvviso con naturalezza e mi ha talmente sorpreso che ho sussultato. Il mio stupido cuore ha iniziato a battere più forte, e faticavo a respirare. Gesù, mi prendeva in giro, vero? Non poteva essere vero quello che aveva appena detto.
“Sherlock, stai scherzando, vero?” ho detto con voce rauca.
“No. Sono serio.”
Si è alzato, mi ha preso la mano costringendomi ad alzarmi anch'io, a stargli davanti.
Eravamo così vicini che riuscivo a sentire il calore del suo corpo contro il mio. Il mio respiro era sempre più accelerato e il mio corpo sembrava improvvisamente consapevole della sua eccitante vicinanza. Ogni centimetro della mia pelle sembrava voler urlare per la frustrazione di essergli così vicino eppure non poterlo toccare.
Santo cielo, i miei capezzoli sembravano voler bucare la maglia del pigiama solo per poter sfiorare il petto di lui. E io ero improvvisamente consapevole di non indossare neanche il reggiseno. Questo pensiero mi fece arrossire, ma non riuscivo a distogliere lo sguardo dai suoi occhi. Ero incatenata a lui.
“Molly, qualsiasi cosa accada, non sarai sola. Perché potrai sempre contare su di me, come spero di poter sempre contare su di te. Forse saremo le persone più sole al mondo, ma avremo sempre l'un l'altro.”
Lui non stava dicendo di amarmi. Non stava dicendo di voler stare con me, né di desiderarmi in maniera diversa da un'amica.
Ma i suoi occhi, invece, dicevano tutto questo.
Non so cosa sia successo, ma il mio corpo ha agito di propria iniziativa.
Mi sono alzata sulle punte e l'ho baciato. È stato solo un momento, un bacio breve e delicato, persino casto, ma mi ha permesso di assaporare le sue labbra.
Per un attimo lui non ha reagito. È rimasto a guardarmi come se non sapesse cosa fare, come comportarsi. Poi, nei suoi occhi è passato un lampo, e mi ha stretta a sé.
Mi ha baciato con passione, come se avesse represso quel desiderio per anni. Come se provasse lo stesso bisogno che provavo io.
Mi sono aggrappata a lui, disperatamente. Per troppo tempo avevo desiderato di poterlo fare. Per troppo tempo il mio corpo ha sognato di adagiarsi sul suo. Eravamo così stretti che riuscivo a sentire ogni suo muscolo teso contro di me.
E, non lo avrei mai creduto possibile, ma lui mi desiderava.
Avrei voluto fondermi in lui, lasciare che la mia pelle infuocata potesse sfiorare la sua. Avrei voluto, davvero, ma un ultimo barlume di lucidità mi ha raggiunto, e ho pensato a William. E, se pur con dolore, mi sono staccata da lui.
Mi sembrava di sentire la voce del mio corpo urlare che lo stavo tradendo. Quando finalmente aveva ciò che desiderava, io glielo negavo.
“Mi dispiace, Sherlock, non posso.”
“Non capisco.”
“Pensavo che avrei potuto mandare tutto all'aria per te, ma non ci riesco. Non così. Devo prima parlare con William. Devo essere sincera. Lui merita almeno questo.”
“Non devi nulla a quell'uomo.” ha obbiettato chiaramente irritato.
“Sì, invece. Tu forse non riesci a capirlo, ma gli devo almeno questo. Devo essere onesta.”
“Allora mi hai mentito. Avevi detto che bastava una mia parola e tu... Non era vero, dunque.”
“Era vero. È vero. Ma voglio essere corretta.”
“Va bene, Molly Hooper. Capisco quando vengo rifiutato. Torna pure da lui. E, ti prego, dimentica tutto quello che è successo stasera. Ci vedremo al Barth's quando sarà necessario.” ha concluso furioso, e poi ha lasciato il mio appartamento senza voltarsi indietro.
Sono rimasta immobile, nel centro del mio salotto, a guardare il vuoto per non so quanto tempo.
Avevo appena baciato Sherlock Holmes e, cosa più importante, lui aveva baciato me. Mi desiderava, mi voleva. Non la Dottoressa Hooper. Voleva me, Molly. E io avevo avuto la forza di allontanarmi da lui, Dio solo sa come.
Perché non sono una che tradisce. Perché comunque ho amato e amo William, e lui non si merita questo. Devo essere onesta. Devo prima chiudere con lui o mi sentirò in colpa per il resto della mia vita. Devo prima spiegargli e restituirgli il suo anello.
Ma Sherlock non ha capito. Ha creduto che volessi rifiutarlo. Come può un uomo così intelligente non riuscire a capire una cosa così banale come il fatto che io avessi bisogno di tempo? Che avessi bisogno di chiudere quel capitolo per poter essere libera di stare con lui?
Ogni volta che mi fermo ad analizzare i comportamenti di Sherlock, ho sempre la netta sensazione che si tratti di un bambino nel corpo di un adulto. È come se avesse passato così tanto tempo a sviluppare la sua geniale mente, che ha dimenticato di occuparsi del suo cuore. E ora quel cuore è inesperto. Lui non sa davvero come comportarsi in una situazione simile, perché non ha mai concesso al suo cuore di trovarcisi.
Mi sono sentita triste per lui. Dal suo punto di vista io lo avevo davvero rifiutato.
Era passata un'ora da quando se n'era andato, e finalmente cominciavo a capire come si fosse sentito. Ho preso il mio cellulare e gli ho mandato un messaggio, sperando di fargli capire quanto in realtà rifiutarlo fosse l'ultimo dei miei pensieri.
Avrei voluto dirgli molte cose, ma non era facile trovare le parole giuste, e così ho scritto le uniche parole che potevano avere senso in quel momento.
Non ti ho rifiutato. MH
Non ho ricevuto risposta a quel messaggio, ma forse avrebbe risposto in seguito, magari durante la notte. Per una volta, sentivo una piccola speranza fare capolino nel mio cuore. Quindi, ancorandomi alla dolce sensazione delle nostre labbra unite, dei nostri corpi stretti, sono andata a dormire.

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