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Autore: F_rancesco    24/08/2013    0 recensioni
Una leggenda giapponese narra che noi siamo legati con un filo rosso invisibile alla nostra anima gemella. In questa storia i fili si intrecciano in una matassa che non si scioglierà mai. Cosa accade se un ragazzo si innamora della propria migliore amica? E se a riavvicinarli è una terza ragazza? Un giovane triangolo amoroso. Chi sceglierà Leo, il protagonista?
Ps: L'ho già pubblicata ma si è eliminata. I primi capitoli piacquero, spero che piacerà. La pubblico già completa per non correre rischi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una noiosa e comune vita, una tra le tante, un vissuto che si vuole rendere speciale ma in fondo rimane sempre normale. Tutti i giorni le stesse cose, tutti gli anni gli stessi propositi, viviamo perché ci hanno generato, viviamo perché abbiamo paura della morte, viviamo solo perché qualcuno ha voluto la nostra presenza sulla Terra, nient’altro, niente scopi, nessuna idea, nessun sogno, niente di niente.  Un momento di felicità ci fa cambiare strada ma subito si ritorna su un segmento di cui non si vede la fine. Un idea ! Ma subito pff! Arriva la gomma a cancellarla, può essere una persona, può essere un gruppo o solamente la voglia di seguire la “moda”. Tutti in fila, tutti uguali, una coda tanto lunga da non poterne vedere la fine. Non puoi opporti, è così e tu non puoi fare niente. Il tempo passa, la vita trascorre lenta e monotona.  Tutti si chiedono perché viviamo ? Solo un passaggio o dopo la morte c’è il nulla eterno? Nessuno sa rispondere, eppure siamo arrivati sulla Luna. Nessuno , per paura della risposta, non si è mai posto veramente la domanda.  Un paese come tanti, una vita che non ha nulla di diverso dalle altre, eppure una persona può fare la differenza, ha il potere di cambiarla? Possiamo cambiare la vita degli altri?
Dopo tanti giorni il cielo era sereno, non c’erano nuvole a coprire l’unico spiraglio aperto all’universo. Era una mattina di metà novembre, in quei giorni in cui il cielo ha un colore tutto suo. Leo, come lo chiamavano tutti, guardava dal finestrino opaco, il paesaggio che ormai era impresso nella sua mente. Aveva gli occhi ancora un po’ nel mondo dei sogni. Era in quell’ora del mattino che al Leo nascevano nella testa le idee più strane, i progetti più strambi e le associazioni più a0ssurde. Quel cielo che non aveva un colore conosciuto sulla Terra, che era tra il blu scambiato e il grigio deciso somigliava tanto alla sua vita. Il paesaggio correva sotto le ruote della macchina. Leo era appoggiato al finestrino quasi a voler dormire. Le mani si incontravano nella tasca della sua felpa grigia. Il suo cuscino era il cappuccio morbido di lana calda. Quando fu  a pochi metri dalla scuola si svegliò. Il padre fermò l’auto, come tutte le solite mattine, e Leo continuava a piedi. Rimase ovattato nel caldo dei suoi vestiti e nel silenzio dei suoi pensieri, finché non sentì l’assordante suono delle parole dei suoi compagni di classe. La routine era sempre quella. Arrivato lì si sarebbe posizionato in un angolino aspettando il suono della campanella, qualche volta leggeva, altre ascoltava musica, oppure si  metteva ad osservare il suo mondo. Lo criticava, lo giudicava, lo odiava; ma era l’attività del mattino che più gli piaceva fare. Aveva imparato a leggere i pensieri di alcuni, le ansie di altri e il sonno negli occhi di tutti. Il suono della prima silenziosa campanella non scosse nessuno, solo il secondo irritante suono smosse quella massa di essere pigri. Si entrava a gruppi, secondo come erano disposti fuori. Quando il primo gruppo, composto da sole quattro persone entrò, Leo era già seduto ad osservare il suo diario, per non guardare i loro occhi spenti. Era sempre solo, l’unico gancio che lo teneva saldo alla vita era la scuola. Lo studio che volentieri avrebbe continuato da solo, da privatista. Odiava i suoi compagni che fingevano di ascoltare la lezione, non apprezzavano quello che veniva loro offerto. Non erano degni di stare lì. La professoressa Novaresi, la strega di italiano entrò. Ogni secondo che passava Leo sentiva evaporare la preoccupazione che arrivasse il suo compagno di banco, Baccari. Il vapore fuori usciva dai pori sulla sua pelle. Il silenzio dei nomi dell’appello fu interrotto dal suono di qualcuno che busso la porta. Leo trattenne il fiato. Pregò tutti santi che non fosse lui. Si guardò intorno per cercare altri ritardatari, tutti puntuali mai come quella mattina. Quando entrò, con il fiatone creatosi nei suoi polmoni a dieci metri dalla porta, la Novaresi lo fulminò con i suoi occhi, uno sguardo che non potevi descrivere se non li avevi assaporati, almeno una volta. E tutti rabbrividirono, al pensiero che il compagno potesse essere sottoposto a quella tempesta. – Ogni mattina sei sempre tu, ti dobbiamo chiamare il “il ritardatario perpetuo”, vai a posto e se ricapita chiamo i tuoi genitori – con queste parole concluse la sua minaccia. 
Si odiavano, ma si erano ritrovati lì, vicini, per puro caso.  Non erano nemmeno due settimane ma sembravano, per entrambi, un’eternità. Non si salutarono nemmeno – Resta nel tuo lato – In tono aggressivo sentenziò Leo che odiava ogni contatto fisico, con quel compagno che riteneva ripugnante. Al suono della campanella, Leo si alzò e chiese la parola. – Professoressa… - Fammi indovinare vuoi cambiare posto- lo interruppe - Ora devo andare quando torno ne parliamo- Concluse fuori la porta e aggiunse uno scarno arrivederci. Doveva aspettare quattro ore, quattro lunghissime orribili ore. Le prime tre passarono, ma della quarta Ricci percepì ogni interminabile secondo. Gli occhi erano puntati sulle lancette dell’orologio da polso che i suoi gli avevano regalato al compleanno. Ormai quei cerchi castani seguivano il movimento delle lancette. Non distolse mai gli occhi. L’unico suono che le sue orecchie percepivano era il tic-tac-tic-tac. Si alzò di scatto e il professore di educazione fisica interruppe il suo discorso che non aveva ascoltatori. – Cosa vuole, Ricci? – Esitò un poco poi balbetto – P-p-professore p-p-posso a-a-andare – non concluse la frase che il professore spinse la sua mano e la testa verso la porta, dandogli il permesso. Corse subito, senza farselo ripetere due volte, prese la maniglia e lentamente spinse verso il basso. Prima di chiudere osservò i suoi compagni per pochi secondi, ma nessuno ricambiava. Con un po’ di delusione ed a testa basta si avviò verso il bagno. Si lavò la faccia e con gli occhi chiusi cercò gli asciugamani, ma la mano cadde nel vuoto e lui si ricordò di essere a scuola. Rientrò in classe al suono della campanella. Il professore era fuori la porta, lo guardò con uno sguardo minaccioso, ci aveva messo troppo temo, ma non disse nulla. Leo sapeva di aver torno, ma non gli interessava.
Quando entrò in classe, la Novaresi, cercò Leo che la aspettava in piedi. Mosse le cinque dita per dirgli di avvicinarsi alla cattedra. Piegò le dita per aggrapparsi alla scrivania e distese le gambe tenendole incrociate. – Già la quinta volta che chiedi di cambiare banco, con chi ti trovi? – Scrollò le spalle. – Bene- continuò - siccome tu non hai simpatia per nessuno saranno gli altri a sceglierti come compagno- Incitò i ragazzi a proporsi, ma nessuno rispose. - Va bene, Rado – con tono deciso continuò – Scrivi il nome dei tuoi compagni tranne Ricci e tutti quelli che già si sono seduti vicino a lui. Faremo una pesca, sarà il destino a decidere e speriamo decida bene. Calò il silenzio e Leonardo iniziò a osservare la classe da una prospettiva diversa. Guardò gli occhi spaventati dei suoi compagni. Avevano paura di lui. – Il prescelto o la prescelta è … - una pausa per aumentare la tensione  di tutti – Villa sei tu. Leo non smise di guardare il volto dei compagni che ormai erano sereni, che non lo capivano, non lo apprezzavano Villa prese tutte le sue cose e si spostò vicino a Ricci. – Professoressa! – squittì, la vanitosa Bernardi – Io. Vicino. A. Quello. Non. Mi. Siedo. – il suo viso era disgustato da quel ragazzo. – Quello ha un nome, e per punizione alla tua reazione vi siederete vicino tutto l’anno. – Mah-mah siamo solo a novembre- il suo tono di voce era tremolante. Rassegnata, cadde sulla sedia. 
   
 
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