Non ci misero molto a raggiungere il
locale scelto dal
rappresentante francese. Come aveva previsto Matthew, si trattava di un
posto
piuttosto appariscente, quasi elegante, e doveva essere di moda dato
l’alto
numero di clienti che vi erano in quel momento, soprattutto giovani.
Francis si soffermò a parlare con un cameriere che subito
condusse le due
nazioni in un salottino privato, era meglio rimanere in
tranquillità.
Sedendosi al tavolino, Matt, prese a sfogliare il menù nella
speranza di
trovare i suoi amati pancake. Un’aria crucciata si dipinse
sul suo viso e non
si accorse dello sguardo che il francese gli stava rivolgendo, sembrava
pensieroso.
“Anche da piccolo avevi spesso
quell’espressione.”, commentò il biondo
attirando così l’attenzione del rappresentante
canadese che si trovò a sbarrare
gli occhi violetti.
“Come?”
“Quando ti concentravi. In effetti non sei cambiato
tanto…”
Matthew non seppe se sorprendersi per quel commento improvviso o
rimanere
deluso per il fatto che il francese lo stesse considerando al pari di
un
bambino, cosa che in realtà non era ormai da diversi anni.
“Non è vero…”,
mormorò in propria difesa abbassando lo sguardo.
“Oui oui, ti conosco bene.”
In realtà avrebbe avuto molto da ridire a riguardo: Francis
conosceva il
bambino che aveva portato con sé in Francia, che aveva
cresciuto e a cui, una
volta adolescente, aveva detto addio senza uno straccio di spiegazione;
il
Matthew con il quale si trovava a parlare in quel momento poteva anche
assomigliare a quel piccoletto indifeso, ma era completamente cambiato
in molti
aspetti.
“Non è vero…”,
ripetè il canadese con un’aria decisa che fece
comparire un’espressione
sorpresa sul volto del più grande, probabilmente non
l’aveva mai visto
insistere tanto su una questione.
“Matthew…”, cominciò col suo
particolare accento che solitamente rendeva la sua
pronuncia più divertente del dovuto, ma in quel momento
Canada non aveva la
minima voglia di ridere.
“Niente.”, borbottò deluso e amareggiato
in modo da troncare sul nascere una
sua qualsiasi domanda o spiegazione, sapeva, o almeno credeva, che
Francis non
aveva ancora capito il motivo per il quale stesse prendendo tanto
seriamente
quel discorso che all’apparenza, o ad occhio estraneo, poteva
sembrare di poca
importanza. Ma non per lui.
Fortunatamente ci pensò il cameriere a rendere
quell’atmosfera meno tesa, anche
se involontariamente, difatti si presentò con un block notes
in mano per poter
prendere le loro ordinazioni: il canadese, che in quel momento chiuse
il menù
che non aveva nemmeno sfogliato completamente, chiese i pancake
completamente
ricoperti di sciroppo d’acero, per il quale aveva una grande
passione; il
francese invece ordinò un cappuccio con un croissant alla
crema.
Una volta che il cameriere se ne fu andato Matthew prese a guardare
fuori dalla
finestra. In realtà aveva sperato in un’uscita
piacevole e non si era
minimamente aspettato una svolta del genere. Anche se in parte era
stata colpa
sua… O del tutto?
Tornando a posare lo sguardo violaceo sulla figura del suo
accompagnatore, Matt,
si sentì dispiaciuto, Francis era stato gentile con lui e
non aveva voluto
offenderlo con quelle parole, non intenzionalmente.
“Mi dispiace.”, mormorò riprendendo la
sua aria timida e remissiva. Dove era
finita quella decisione di poco prima? Semplicemente si era reso conto
di aver
sbagliato, non si era comportato nel modo giusto e aveva finito per
fare l’antipatico.
“Non preoccuparti.”, ma sul viso del francese era
comparso un sorriso dolce,
uno di quelli che un tempo gli mostrava per tirarlo su di morale o per
dargli
coraggio. Forse era vero, non era cambiato completamente, diversamente
non si
sarebbe sentito rincuorato solo per questo. Dopotutto era lo stesso
bambino che
molti anni prima viveva ancora in territorio francese al suo fianco.
Meravigliosa e strana. Matthew non
avrebbe saputo trovare aggettivi migliori per quel territorio ancora
sconosciuto
che per la prima volta si mostrava ai suoi giovani occhi. La Francia
era tanto
diversa da quelle praterie dove era nato e cresciuto al fianco di suo
fratello
e degli indigeni. Grandi “tende” fatte di mattoni
costeggiavano le trafficate
strade e la cosa strana era che avevano molti piani, come fosse
possibile non l’aveva
ancora capito.
Inoltre vi erano genti vestite in modo molto diverso: alcune persone
con
addosso dei semplici stracci e altre vestiti sfarzosi, proprio come
quelli che
gli aveva procurato quel ragazzo che l’aveva portato in quel
luogo.
Delle nuvole grigie ricoprivano il cielo e infinite gocce cadevano su
quella
città donandole un’aria malinconica.
Per quanto fosse bella non riusciva proprio a sentirsi a suo agio, quel
posto
non gli apparteneva… Né il luogo né le
sue genti.
“Ti piace?”, domandò una voce alle sue
spalle. Francis, come i suoi
accompagnatori, sembrava più che felice di essere tornato a
casa, nonostante
sembrasse visibilmente indolenzito per i giorni in mare appena
terminati.
Gli piaceva? Non particolarmente, ma si. Non lo amava né
l’adorava, ma non
nutriva alcun disgusto particolare per quel luogo, anzi…
“Oui…”, ormai si era abituato a
rispondere in francese, seppure non conoscesse
ancora bene la lingua iniziava ad imparare qualche parola e il
più grande
sembrava entusiasta dei suoi piccoli progressi.
“Resterai a bocca aperta quando vedrai Versailles!
E’ bellissima!”
In realtà il francese aveva definito
‘Bellissima’ ogni singolo aspetto della
Francia, gli aveva descritto il tutto così dettagliatamente
che a Matthew
sembrava di conoscerla da anni.
Socchiudendo gli occhi si concentrò sul rumore degli zoccoli
dei cavalli che
trascinavano la lussuosa carrozza sul quale si trovavano. Non aveva mai
visto
nulla del genere, quando si trovava ancora con la sua tribù
andava a cavallo
con suo fratello, mai gli era capitato di vedere nulla del
genere… Probabilmente
una volta tornato a casa ne avrebbe portata una alla sua gente.
Ma ci sarebbe mai tornato? Avrebbe mai rivisto quelle grandi praterie
dove
correva con suo fratello? Avrebbe mai rivisto i cavalli correre liberi
per
quelle terre selvagge? E le aquile dominare il cielo?
In lontananza vide avvicinarsi una grande cancellata dietro la quale vi
era un
grande edificio, quello che doveva essere il palazzo reale. Francis
gliene
aveva parlato molto, soprattutto dei numerosi nobili che lo abitavano,
anche se
in realtà il piccolo si ricordava i nomi di ben pochi di
loro, erano
complicati.
Durante quegli ultimi giorni avevano parlato molto, anche se in
realtà non era
riuscito ad ottenere delle risposte riguardo a ciò che lo
preoccupava
realmente. Non sapeva che fine avesse fatto il fratello, non aveva la
minima
idea di quando sarebbe tornato a casa.
“Francis…”, decise di approfittare del
momento. Lì dentro c’erano solo loro due
e nessuno li avrebbe sentiti.
“Oui, Matthew?”, domandò il francese
facendosi curioso. In realtà era la prima
volta che si rivolgeva a lui spontaneamente.
“Potrò portare con me una carrozza quando
tornerò a casa?”, gli chiese tutto d’un
fiato.
Il sorriso svanì dal viso del ragazzo che, affrettandosi a
distogliere lo
sguardo, si fece pensieroso. Che non sapesse cosa dirgli? Che non fosse
a
conoscenza della sua sorte?
“Matthew…”, cominciò tornando
a posare su di lui gli occhi azzurri, ora
malinconici come il cielo che si estendeva sopra la capitale
francese,”Certo
che potrai portarne una con te. Te ne procurerò una e anche
una nave tanto
grande da poterla trasportare.”
Per quanto il giovane canadese fosse felice di poter ascoltare quelle
parole,
in cuor suo sapeva che non era realmente così. Il francese
gli aveva detto una
menzogna per non rattristarlo… O forse per tenerlo a bada?
Per non farlo
ribellare?
“Così la potrà vedere anche
Alfred!”, esultò cercando di essere fiducioso.
Doveva credere in lui, doveva fidarsi della sua parola, dopotutto
l’aveva
trattato bene fin da subito, no? Mai si era mostrato scontroso nei suoi
confronti e, anzi, era sempre stato gentile e disponibile.
“Oui, a Alfred.”, il francese finse di rivolgere lo
sguardo fuori dal
finestrino per terminare quel discorso. Il silenzio prese a dominare
l’interno
della carrozza e non una sola parola aleggiò
nell’aria prima dell’arrivo. Solo
gli zoccoli e il rumore della pioggia raggiungeva le orecchie del
bambino che
ora si immaginava di trovarsi nella sua tenda a dormire stretto al
fratello,
proprio come quando fuori vi era il temporale e entrambi si cercavano
per
scampare alla paura.