Serie TV > Hélène e i suoi amici
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Autore: Magica Emy    24/08/2013    1 recensioni
Si gira su un fianco, voltandomi le spalle e permettendomi così di abbracciarla da dietro e posarle un leggero bacio sulla nuca, che la fa rabbrividire di piacere. Adoro sentirla fremere fra le mie braccia, e in più da un po’ di tempo mi sono accorto che alcune parti del suo corpo sono diventate particolarmente sensibili al tatto, così ne approfitto ogni volta che posso. Come adesso, per esempio, mentre prendo ad accarezzarle il collo con studiata lentezza, per poi percorrerlo in tutta la sua lunghezza con una scia di piccoli baci morbidi che la portano a fremere violentemente contro il mio petto, facendosi ancora più vicina...
Seguito di "Je t'aime", se qualcuno non l'ha ancora letta...corra a farlo!
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Christian…cosa stai facendo?

Giselle si siede vicino a me, nell’unico posto non occupato di tutto il locale, il che dimostra quanto la gente del luogo si stia impegnando al massimo per cercare di evitarmi in tutti i modi possibili. Ma non importa, va bene così. Anch’io eviterei di rivolgermi la parola, se fossi nei loro panni. Ne andrebbe dell’incolumità di tutti, visto che, a quanto pare, sono come una specie di pericolo pubblico ormai. Una calamità naturale, che finisce per distruggere tutto ciò che tocca. Ma lei non sembra particolarmente spaventata da quello che sta vedendo, forse solo un po’ preoccupata a giudicare da come mi guarda, ma nemmeno questo mi interessa, dopotutto. Non so nemmeno che diavolo ci faccia qui in questo momento, e l’unica cosa che desidero è che mi restituisca il bicchiere che mi ha appena tolto di mano, allontanandolo da me con uno scatto deciso e rendendolo ben presto fuori dalla mia portata. Vorrei dirle qualcosa, ribellarmi in qualche modo, ma la mia mente e la mia vista sono ormai talmente annebbiate dall’alcool che non riesco quasi a mettere a fuoco il suo viso, e tutto intorno a me appare così strano e confuso che preferisco non continuare a guardare. Così chiudo gli occhi, prendendomi stancamente la testa fra le mani e sospirando più volte, cercando di ritrovare almeno un po’ della mia lucidità e sperando che questo mi aiuti a sentirmi meglio perché, detto in tutta sincerità, mi sta venendo una gran voglia di vomitare.

- Christian!

La voce di Giselle mi costringe però a riaprire gli occhi, allora mi ritrovo a sbattere più volte le palpebre nel vano tentativo di metterla a fuoco nel migliore dei modi. Accidenti, adesso si che sono davvero ubriaco!

- Credo che tu abbia bevuto un po’ troppo – continua, e la sua voce mi arriva quasi come un’eco indistinta, raggiungendomi a malapena – e non ti fa certo bene. Cosa succede, perché non sei a casa? Su, andiamo, ti porto via da qui.

Mi prende delicatamente per un braccio, costringendomi a rialzarmi in piedi insieme a lei mentre, barcollando e incespicando nei miei stessi piedi, mi guida lentamente verso l’uscita. Camminiamo verso la spiaggia, e alle sue continue e insistenti domande decido di chiudermi in un ostinato silenzio, rompendolo solo quando noto, nel mio stato di confusione, che si sta dirigendo verso casa mia.

- Non ci torno lì, hai capito? Risparmiati pure il disturbo!

Grido, e la mia voce impastata echeggia nel buio mentre una brezza leggera solletica le mie braccia scoperte, facendomi rabbrividire.

- Non vuoi proprio dirmi che cosa è successo, vero?

Insiste, studiandomi concentrata per un lungo momento, poi sospira profondamente ed è in quell’attimo che sembra prendere una decisione definitiva.

- E va bene, vieni con me allora.

Dice infatti, come colta da un’improvvisa ispirazione che mi prende in contropiede, prima di stringermi la mano e trascinarmi velocemente dalla parte opposta della spiaggia. La lascio fare, non oppongo resistenza. Non mi interessa nemmeno lottare, non ne avrei la forza in questo momento. Sono solo…stanco, tanto stanco.

Dopo un tempo che mi sembra interminabile arriviamo finalmente davanti all’uscio di una casa minuscola, o almeno così sembra. Poso distrattamente lo sguardo lungo le sue pareti giallastre, ma tremolano talmente tanto ai miei occhi che ben presto devo costringermi a smettere di guardarle, se non voglio vomitarmi sulle scarpe. Dio, che sbronza. Non devo più bere così. Sento Giselle girare la chiave nella serratura e condurmi gentilmente fino al piccolo ma comodo divano al centro della stanza, dove mi lascio languidamente cadere, esausto e con la terribile sensazione che la testa possa esplodermi da un momento all’altro.

- Aspettami qui, torno subito.

Dice e scompare nella stanza accanto, per poi ricomparire solo pochi minuti dopo con in mano una tazza fumante che si affretta a porgermi, e che prendo con mani tremanti. La fisso, senza capire.

- È una tisana alle erbe che ti aiuterà ad attenuare gli effetti della sbronza, così non avrai più quell’aria da pulcino smarrito che ti ritrovi!

Sorrido a quella battuta, trangugiando quel liquido dal sapore orrendo che però sembra avere proprietà miracolose. Quando lo finisco, infatti, mi sembra di essere più padrone di me stesso, anche se solo un pochino. In effetti mi sento come se mi avessero dato un colpo in testa.

- Allora, va un po’ meglio?

Mi chiede.

- Si.

Rispondo, mentendo spudoratamente, infastidito persino dal suono della sua voce che è come carta vetrata sui miei nervi già provati.

- Bene, mi auguro che adesso tu possa finalmente dirmi cosa ti ha spinto a ridurti in questo stato. Non ti ho mai visto così prima d’ora, e ti confesso che mi stai davvero facendo preoccupare…

- Dove siamo?

La interrompo, nel disperato tentativo di cambiare argomento, mentre mi guardo attorno con curiosità.

- Nella mia nuova casa – spiega con un sorriso – l’ho presa in affitto solo pochi giorni fa perché ero stanca di stare alla pensione. È carina, ma non fa proprio per me, che sono un tipo che ama la stabilità e che preferisce di gran lunga provare a ricostruirla, almeno per tutto il tempo che passerò in questa splendida isola. Così…eccomi qui. C’è ancora un po’ di confusione in giro, ma conto di sistemarmi al più presto. Allora, possiamo tornare a noi adesso? Me lo dici che ci facevi al bar a bere come una spugna?

- E tu, allora?

Chiedo, guardandola di sottecchi.

- Avevo fame e non mi andava di cucinare, ammetto di non essere molto brava in questo, così sono andata al bar per mettere qualcosa sotto i denti. Adesso tocca a te.

Mi sorride con aria furbetta, e capisco di non poter sfuggire ancora a lungo alle sue domande.

- Ho litigato con Johanna.

Ammetto, così, abbassando lo sguardo verso la punta delle mie scarpe. La sento venirmi più vicino, posandomi una mano sulla spalla in segno di conforto.

- Oh, mi dispiace tanto. Spero non sia niente di grave, e che possiate presto superare questo momento.

Dice, e sento le sue dita accarezzarmi piano il braccio, in un ritmico movimento che mi provoca una piacevole scossa lungo tutto il corpo.

- Purtroppo…credo che stavolta non sarà così semplice. Mi ha detto delle cose orribili, mi ha ferito, e io…io non so…

- Ehy – mi interrompe, sollevandomi delicatamente il mento per costringermi a guardarla negli occhi, e io mi sento quasi sopraffatto dalla sua gentilezza – non angustiarti, perché qualunque brutta cosa possa averti detto, nessuno meglio di me sa che non è vera. Tu sei una persona speciale Christian, e non devi darle retta. Magari era solo arrabbiata.

Scuoto la testa con decisione, senza smettere di specchiarmi nei suoi occhi chiari e sinceri. So che sta dicendo quello che pensa, ma lei non sa, non sa niente di…

- Ha detto che sarebbe stato meglio che fossi morto la notte dell’incidente.

Dico quasi senza accorgermene, mettendo così a tacere anche i miei più oscuri pensieri mentre mi accorgo di una piccola ruga che ben presto solca la sua fronte alta, facendole cambiare espressione.

- Oh mio Dio, ma è…terribile! Nessuna persona normale potrebbe mai dire una cosa del genere all’uomo che ama, come può averlo fatto?

Mi accarezza dolcemente il viso, sfiorandomi i capelli con le dita.

- Quella donna non ti merita…

Sussurra poi, prima di sfiorarmi le labbra con un bacio che mi ritrovo ben presto a ricambiare, smettendo totalmente di pensare. No, non voglio pensare mai più. Mai più…

L’attiro a me, annullando così in un colpo solo la già breve distanza tra noi, continuando a baciarla con foga mentre la sento trafficare con i bottoni della mia camicia, decisa più che mai a liberarmi di quell’indumento, diventato improvvisamente troppo stretto e soffocante. La stoffa scivola leggera lungo le mie spalle, e le sue mani mi accarezzano il petto con studiata lentezza prima che le mie labbra scendano a stuzzicare piano il suo collo candido, facendola gemere di piacere e portandola a stringersi a me ancora di più, aderendo completamente al mio corpo. La sento muoversi, agitarsi impaziente contro di me, ed è proprio allora che mi accorgo davvero di ciò che sto facendo. Io…non so se lo voglio davvero. La prendo così per le braccia, staccandomi da lei e dalle sue labbra morbide e invitanti e scostandola con decisione, lasciandola confusa e disorientata.

- No…Giselle mi dispiace, ma non credo sia una buona idea. Non sono in me in questo momento, e prima di fare qualcosa di cui entrambi potremmo pentirci, io…è meglio se ci fermiamo.

- Christian…

Non posso – sussurro, cercando di ignorare la sua espressione addolorata e supplichevole – cerca di capire, ti prego. Io non voglio questo…mi dispiace…

Mi ricompongo come meglio posso, avviandomi velocemente verso l’uscita senza voltarmi indietro, e senza nemmeno darle il tempo di dire una sola parola. So che, in fondo, è meglio così…

Sembra che i fastidiosi effetti dell’alcool stiano lentamente svanendo, permettendomi finalmente di tornare a respirare, anche se la testa mi pulsa ancora in modo insopportabile. Che cosa speravo di fare, dimenticare tutto quello che è successo, dimenticare Johanna tra le braccia di un’altra? A cosa sarebbe servito? Forse a farci ancora del male,  a ferirci più di quanto non abbiamo già fatto finora, e a cacciare di mezzo una terza persona che di certo non si merita questo trattamento. Mio Dio, come ho potuto credere di poter risolvere tutto in questo modo? È a questo che sto pensando mentre mi ritrovo a passeggiare sulla spiaggia, a piedi nudi e a notte fonda, rabbrividendo quando una folata d’aria gelida mi pizzica la pelle, facendomi sobbalzare per la sorpresa. La luce argentea della luna brilla sopra la mia testa, riflettendosi pian piano sulle onde del mare e donandomi uno strano senso di quiete, che però non serve ad alleviare le mie pene. Non voglio tornare a casa, non ancora, non sono pronto per questo. Non sono pronto ad affrontare tutto ciò che mi aspetta, ad affrontare lei…

No, non voglio.

 

 

 

 

 

 

 

Un altro colpo, un altro ancora nella strada deserta. I fari si spengono, la mia testa comincia a pulsare…c’è dolore intorno a me, solo dolore, non sento nient’altro…non vedo nient’altro…è tutto così buio qui, e non so nemmeno dove mi trovo. Il bambino scalcia con forza dentro di me, si agita senza parlare, ha paura…anche lui ha paura…non ti agitare piccolo mio, io non ti lascerò. Troveremo una soluzione, vedrai. Non posso, non posso perderti…ne usciremo…

Mi sveglio di soprassalto, ansante e sudata, mettendomi a sedere sul letto di scatto. Mi sfioro la pancia, scoprendola completamente piatta, allora tiro un sospiro di sollievo. Era solo un sogno. Lo stesso orribile, identico sogno che si diverte a torturarmi ogni notte, facendomi rivivere quel drammatico incidente e rendendo la mia vita un inferno, ancora una volta. Ma non ho perso il mio bambino, lui c’è, c’è ancora…anche se io ho bisogno di esserne sicura. Mi trascino giù dal letto e, con il cuore che batte ancora all’impazzata, impedendomi quasi di respirare mi precipito in camera di Logan, avvicinandomi con passi felpati alla piccola culla solo per guardarlo dormire, per ascoltare il suo respiro. Per saperlo al sicuro. Mi passo stancamente le mani sugli occhi, scoprendoli ancora una volta bagnati di lacrime. Non riuscirò più a chiudere occhio per questa notte, e di nuovo la storia si ripete. Sospiro a lungo e con forza, sfiorando la fronte del mio bambino con un bacio lieve prima di uscire dalla stanza, lasciando la porta socchiusa per dirigermi al piano di sotto. Accendo la luce con mani tremanti, gurdandomi intorno, agitata. Sono quasi le tre del mattino e la casa sembra così vuota e silenziosa. Fin troppo, forse. Mi avvicino alla finestra stringendomi nelle spalle, osservando rapita la luna che, proprio di fronte a me si riflette sulla superficie dell’acqua, creando uno strano gioco di luci e di colori dai quali mi accorgo di non riuscire proprio a staccare gli occhi. Non so nemmeno…come sentirmi. Non so cosa provo, non sento niente. Non sono niente. Mi sento così…vuota, arida, spenta come non credo di essere mai stata in vita mia. È tutto talmente irreale che faccio quasi fatica a crederci, a viverlo. Christian non è ancora tornato, e l’unica cosa a cui riesco a pensare è che c’è una parte di me che spera con tutto il cuore che lui non faccia mai più ritorno…

   
 
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