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Autore: Doralice    25/08/2013    4 recensioni
La vita è solo un'ombra che cammina. Un povero attorello sussiegoso che si dimena sopra un palcoscenico, per il tempo assegnato alla sua parte. E poi di lui nessuno udrà più nulla.
Bane/Blake; quasi sicuramente il rating muterà più avanti
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bane, John Blake aka Robin John Blake
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Ballad of the Hound and the Robin'
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Atto IV



Scena I


Lui è giovane è pieno di rabbia. Una rabbia antica che ha imparato a controllare e nutrire, nell'ingenua convinzione che ciò basti ad imbrigliarla. Lui è uno sparviero nelle vesti di un pettirosso. Deve imparare ad usare quella rabbia, deve scavare una ferita nel pettirosso per far dispiegare le ali allo sparviero.

Tu non dici queste cose, le pensi e basta. Perché tu credi che lui non capirebbe. Questo mondo che si vanta della sua immensa cultura, reclusa tra le mura delle biblioteche e dei musei, questo mondo che ha bisogno di dare premi agli uomini di nobili parole, non è fatto per le metafore, ahimè, è fatto per le azioni. E voi ne siete la dimostrazione vivente.

Dunque non glielo dici. Gli porgi una mano per aiutarlo a rialzarsi. L'hai battuto, hai dimostrato un punto, non è necessario infierire. Ma lui è giovane, lo abbiamo detto, ed è orgoglioso. Ti guarda, accigliato e diffidente, scuro in volto come il cielo che minaccia il temporale.

Hai appena dimostrato che avevo ragione. ti dice alzandosi da solo, scuotendo la polvere dai vestiti per non guardarti in faccia Non posso rinunciare alle armi. Sono troppo debole. –

Incroci le braccia al petto: – Se la tua forza di volontà fosse pari alla sua autocommiserazione, non avresti questi problemi.

Sei deluso, dal suo rifiuto e dal suo piangersi addosso, e non lo nascondi. Lui stringe i pugni, ti volta le spalle, si allontana. E poi ci ripensa.

Anche Batman combatteva con le armi! – dice voltandosi e affrontandoti con aria insolente.

È nel torto e non gli piace.

E l'ho sconfitto. rispondi.

È nel torto e non può più arrampicarsi sugli specchi. Batte così in ritirata, scornato come se tu l'avessi offeso. Forse è vero: hai ferito il suo orgoglio, pure di proposito. Non è stato sadismo, a te non è piaciuto. Speravi ancora speri che dalla ferita sgorghi qualcosa di più che questo infantile astio.

Le armi e i trucchi prima o poi finiscono, Robin. gli dici mentre si allontana La sola arma senza limiti è il proprio corpo. Devi imparare a sfruttarla. –

Perfetto! grida senza fermarsi Devo solo trovare un corso serale per apprendisti supereroi! –

Sorridi appena. È solo il principio. Lui è giovane e deve trovare la sua strada. Ma tu sei qui e la tua strada hai già compreso quale sarà. Devi solo aspettare che lui arrivi alle tue stesse conclusioni.


~


Scena II


Ogni uomo porta delle maschere, nello sciocco sforzo di celarvi dietro le proprie debolezze. Nessuno sa che una maschera altro non fa che portarle sul palco queste debolezze, mostrare al mondo cosa ci s'illude di nascondere.

Esattamente come la tua maschera racconta a John come tu sia vulnerabile senza di essa, le maschere di John raccontano a te tante cose di lui.

Mi incuriosisci”, dicono. “Ho paura di te”, dicono. E non ultimo, per usare il suo slang: “Mi fai uscire matto”.

È sicuro che quando è tornato da te, con l'orgoglio messo da parte e una richiesta smozzicata, non si aspettava queste conseguenze.

Sei ore di allenamento? Ogni giorno?! Bane, io devo lavorare. Ho dei turni da rispettare e...

Devi rivedere le tue priorità. lo ammonisci.

Lui ride stupito: – La mia priorità è sopravvivere. Nel caso non lo sapessi, l'affitto scade ogni mese e devo pure mangiare. E anche tu devi mangiare, sai? –

Ah, beata ingenuità.

Credi davvero che se non mi rifornissi di cibo, io non sopravviverei?

John diventa paonazzo e stringe la mascella.

Cosa dovrei fare? Licenziarmi?

Non sa che potrebbe anche farlo. Se la sua preoccupazione è l'autosostentamento, tu hai ancora accesso a fondi segreti che sono in grado di mantenere entrambi per decenni. Ma non è questo il punto.

Devi trovare un equilibrio.

Il suo sguardo, come gran parte delle volte che parla con te, è confuso.

Non inizieremo alcun allenamento fino ad allora. concludi irremovibile.

Per qualche giorno, John non ti parla e si fa vedere poco. E a te sta bene. Tu non soffri la solitudine o il silenzio, che reputi invece delle benedizioni. La Batcave è una piccola oasi immersa nella cacofonia del mondo occidentale. Per certi versi, ti ricorda il monastero della Setta delle Ombre. Il solo luogo al mondo che per te è stato una casa.

Come prima, ti occupi delle piccole incombenze che servono a mantenerla funzionante e lentamente inizi a conoscerla. Quando non hai nulla da fare, ti alleni o leggi. E quando il tempo ancora sembra non finire e le ore si srotolano lente tra un giorno e l'altro, usi il passaggio segreto per entrare nel maniero ed esplori le sue grandi stanze.

Cosa mai se ne faceva Bruce Wayne di tutto quello spazio? Il fasto, la ridondanza di quegli ambienti, ti avrebbero fatto stare male, una volta. Ra's Al Ghul predicava di vivere semplicemente, rigettare la vita agiata che la ricchezza materiale dona, in favore di una vita spirituale e votata al miglioramento della condizione umana, che solo la ricchezza interiore può dare. Una filosofia di vita che senza fatica hai abbracciato, in tutti i suoi aspetti, anche quelli più radicali.

Non ti sei mai fermato a chiederti se vi fossero sfumature nel mezzo. La speranza di redenzione e giustizia che ti dava Ra's Al Ghul e che in seguito di avrebbe dato Talia, era un motore potente, che annullava ogni tentativo di far emergere le tue idee, il tuo senso della vita. Te stesso. Ora come allora, sei perso. Ora come allora, ti serve un motivo, un obbiettivo, per poter dare un significato alla tua esistenza. Tu sei nato per servire.

Osservi senza toccarle le foto, scolorite dal tempo e ingrigite da un velo di polvere, che ritraggono un Bruce Wayne bambino assieme ai suoi defunti genitori. Lui era nato per essere servito, ma come te ha finito col sentire di dover servire.

È così che John ti sorprende, uno sguardo sospetto sul suo volto. Puoi percepire una sorta di disprezzo: non ti considera degno di introdurti nella vita di Bruce Wayne, il suo mentore, il suo modello. Colui che a causa tua ha dovuto sacrificare la propria vita per salvare la loro preziosa città.

Non gliene vuoi per questo. Lo capisci, anzi. Sarebbe come portare John nel monastero e guardarlo muoversi tra le sue sacre pareti con la banale curiosità di un turista, calpestare il suolo toccato da Ra's Al Ghul e da Talia senza avvedersene nemmeno. Non lo sopporteresti.

Mi hanno concesso di coprire solo i turni del pranzo. ti annuncia poco dopo, mentre scendete nella Batcave.

Lavorerò anche il weekend, ma se non altro avrò sempre la sera libera. aggiunge Per gli allenamenti e le ronde.

Siete ora nella palestra. John si toglie la felpa e la getta in un angolo.

Vogliamo cominciare? –

E a te piace la sua aria di sfida, la sua impazienza ti piace anche troppo. Non puoi permetterti di essere fiero di lui ancor prima di dare inizio al progetto che hai in mente, prima di sapere se ne sarete in grado o se fallirete miseramente.

È per questo che lo attacchi. Senza preamboli, senza clemenza. Dosando la tua forza il tanto giusto affinché l'unico danno sia il dolore.

Tre ore dopo, John si rialza una volta ancora da terra. Sono molte tre ore come inizio, lo sarebbero anche per un membro della Setta. Ma John ingoia il sangue, si asciuga il sudore e si rimette in piedi. Ancora e ancora. Ogni volta.

Ammiri il suo spirito, la sua resistenza. Ma per raggiungere lo scopo è necessario innanzitutto trovare i propri limiti e sottomettersi ad essi con umiltà.

Non mi stai allenando. John sputa un grumo di saliva sanguinolenta e respira una boccata d'aria Mi stai solo testando.

Ci sei arrivato.

La tua risposta sembra irritarlo ulteriormente. È un ragazzo facilmente irritabile, John. Dovrai lavorare anche su questo aspetto. La pazienza è una virtù estremamente sottovalutata.

Devi raggiungere i tuoi limiti e prenderne atto. Solo in questo modo potrai un giorno varcarli. –

Molto saggio. sbuffa lui E quanto ci vorrà?

Hai degli impegni, Robin? lo apostrofi ironicamente.

No. sbotta E non chiamarmi Robin, Cristo!

Smetterò di chiamarti Robin quando tu smetterai di bestemmiare. – lo ammonisci – E adesso in piedi. –


~


Scena III


Adattarsi a quella nuova routine non è difficile per te. La tua vita da molti anni ruota attorno alla disciplina, al lavoro fisico e contemplativo. È come tornare alle vecchie e sane abitudini. E per quanto sia doloroso ammetterlo, preferivi di gran lunga la vita ritirata del monastero che non quella attiva del terrorista.

Quello tra voi due che più fatica ad abituarsi alla situazione, è John. Non tanto per il costante sforzo fisico a cui è costretto è pur sempre un ex agente di polizia addestrato in una delle migliori accademie del mondo. No, ciò che ostacola John è tutt'altro. È l'aspetto più sottile e bizzarro della situazione.

Farsi allenare da te, naturalmente.

Non ha fiducia nei tuoi confronti e glielo leggi in volto ogni minuto. È ancora inciso a fuoco nel suo cuore il ricordo di ciò che hai fatto alla sua città e niente lo cancellerà non t'illudi certo di questo. Ma ha accettato di farsi allenare e non ha calcolato le conseguenze. Tra maestro e allievo deve esservi fiducia e stima. E il rispetto che John nutre per le tue capacità non può né potrà mai bastare.

Per questo John annaspa, cede, fa un passo avanti e poi due indietro, frustrando sé stesso e infastidendo te, che già lo intravedi lo sparviero dietro il pettirosso. E inizi a sentirti comodo in quei nuovi panni.

Sì, Bane, tu ci stai bene in questo nuovo ruolo. Per quanto ancora ti chieda che ruolo sia esattamente.

Se lo chiede anche John. Ma lui non tiene per sé i suoi pensieri. Lui, da buon occidentale, dà sfogo alla cacofonia che ha interiorizzato e ti ci coinvolge, tuo malgrado. Non bada alla stanchezza o alla situazione, e ovviamente non pone mai le domande che davvero lo assillano. Ci gira intorno, tentenna, riempie i silenzi tra di voi con domande inopportune.

Pensi mai a lei?

Ecco, questa ad esempio è una domanda fortemente inopportuna. Fatta quasi casualmente, durante una pausa dagli allenamenti, mentre sfoglia pigramente le notizie dell'Ansa sul computer alla ricerca di nuove prede da cacciare durante la ronda notturna.

Sì.

Sì, tu ci pensi a lei. Spesso. Non ci hai mai riflettuto veramente, ma è così.

John beve un altro sorso dalla bottiglietta d'acqua e torna a guardare la foto di Talia che campeggia sullo schermo.

Voi eravate... amanti?

Oh, Robin...

Esistono diversi modi per declinare l'amore. La lussuria è solo il più scontato.

Non hai mai finto di essere immune al fascino di Talia. L'amavi? Sì. In un modo che nemmeno il sesso avrebbe potuto sublimare. Ma come spiegarlo a John?

Robin John Blake, nato e cresciuto nella meretrice Gotham, dove anche la cosa più bella è volta ad oscenità e sfruttata fino a renderla sterile.

Ah, certo. È più originale declinarsi nella sua personale arma di distruzione di massa.

Come spiegarlo a qualcuno che non può né desidera comprendere?

Se preferisci pensarla in questo modo, non sarò io a distruggere i tuoi confortanti stereotipi.

Chiamalo pure stereotipo, ma è la verità. John spegne il computer, mette via l'acqua So come vanno certe cose.

È pronto per tornare ad allenarsi. Per lui, quella non era che una delle tante discussioni di cui si serve di tanto in tanto per colmare quel vuoto che altrimenti richiederebbe risposte. Sei sempre stato paziente con lui e continuerai ad esserlo, ma anche tu hai dei limiti. È bene che impari a riconoscerli e a non superarli.

Sì, Robin. Tu sai tante cose. gli rispondi freddamente.

Lui si volta, ti guarda. Capisce.

E come tutti coloro che sanno molte cose, quando incontri qualcosa che non comprendi, non sei capace di accettarlo. –

Deve passare un giorno prima che John metta da parte l'orgoglio. Se non altro, sta imparando ad accorciare i tempi, ti dici quando te lo ritrovi davanti alla cella, a dondolare nervoso sui suoi piedi.

Senti, mi dispiace. –

Blando tentativo. Può fare di meglio. Giri la pagina del libro che stai leggendo, ignorandolo.

Lui sbuffa, tentenna ancora.

D'accordo, sono stato un coglione... e... –

Hai la mia attenzione. – lo interrompi.

Alzi lo sguardo su di lui. Il libro giace chiuso in grembo, un dito fra le pagine a tenere il segno.

John gonfia il petto e dice tutto d'un fiato: – E ti chiedo scusa. –

Sembra piuttosto imbarazzato. E tu devi trattenere una risata.

Scuse accettate. – annuisci sforzandoti di mantenerti inflessibile.

Uh... okay.

Torni alla tua lettura, senza aspettarti molto di più.

Posso... fare qualcosa per te?

Te lo dice piano, mangiandosi le parole, evitando ostentatamente il tuo sguardo quando lo alzi con curiosità su di lui.

In verità, sì.

Per più di un anno la chiave è rimasta al sicuro appesa al tuo collo, accanto alla croce di legno appartenuta a Padre Alvaro. È piccola e all'apparenza insignificante, come devono essere tutte le cose davvero importanti. Come lo è la cosa che custodisce.

La sganci dalla catenina e la porgi a John.

Apre una cassetta di sicurezza alla stazione centrale di Gotham. Prendi il pacco che vi troverai e restituisci la chiave.

John prende la chiave e se la rigira tra le dita. Guarda lei, guarda te.

Non è che fa partire una testata nucleare o roba simile?

Tu batti le ciglia e lo fissi severo. Lui arrossisce, come d'abitudine quando lo guardi così.

Va bene... la smetto. borbotta impacciato.

Le sue mani girano a vuoto goffamente, finché non trovano una tasca e vi infilano la chiave.

Ci vado domattina. arretra di un passo, andando a sbattere contro un mobileAnzi, stasera, eh? Ci vado stasera.

E veloce come una volpe si dilegua dal tuo campo visivo.

Ti lasci andare ad un sospiro.

John resta un enigma per te. Nella tua vasta cultura, non hai una conoscenza sufficiente dell'animo umano per comprendere certi misteri. Le sfumature che caratterizzano le persone ti sono oscure e contorte, non rispondono ad alcuna legge. Porti dei dubbi a riguardo non ha mai portato a nulla, né con Talia, né ora con John.

La fede è sempre stata più semplice ed immediata. Essa dà risposte confortanti e ti guida nel buio dell'esistenza.

Ma non regala alcuna domanda. Le persone, sì.

Avresti potuto salvare Talia? Non parli del suo corpo, ma del suo spirito. Avresti potuto salvare entrambi? Se non fossi stato sedotto dall'idea delle vendetta da lei instillata, avreste potuto salvarvi?

John si accorgerà mai di avere ormai già fiducia in te? Ma sopratutto, lo accetterà?

La risposta ti arriva poche ore dopo. Ed è sorprendente.

Non l'hai aperto.

È la prima cosa che gli dici appena te lo ritrovi davanti, con un braccio teso a porgerti il pacco e l'aria di chi si aspetta veramente che esploda da un momento all'altro. È solo una constatazione, ma John impallidisce.

No. si affretta a dire, scotendo la testa e muovendo nervoso il polso a rimarcare il concetto.

Lo liberi del fardello e lo metti da parte. Lui osserva il pacco e poi te e poi nuovamente il pacco. Si umetta le labbra.

Avrei dovuto? chiede con una punta di panicoNon mi hai detto... ho pensato...

No. tronchi lì.

È una situazione seria, non è opportuno che ti venga da ridere. Neppure se ritieni l'impaccio di John tremendamente delizioso.

Grazie. dici lentamente, imponendoti di modulare la voce nel tuo solito tono asettico.

John risponde con un borbottio confuso e si accomiata velocemente.

Ma illudersi che sia finito tutto lì, sarebbe oltremodo sciocco.

La curiosità uccise il gatto, recita il detto. E catturò un momento che per te e John sarebbe stato una svolta. Per quanto vi prenderete parecchio tempo per rendervi conto di questo siete piuttosto lenti sotto certi aspetti.

Di certo non ti spettavi che non avrebbe indagato su quel misterioso pacco. Ma nemmeno ti aspettavi che l'avrebbe fatto in questa maniera inopportuna.

Impulsivo, John. Sciocco, invadente, ingenuo, John.

Ha il coraggio sfrontato della gioventù, quello che brucia violento e breve, per poi svanire al primo soffio di timore. Alla presa ferrea della tua mano attorno al suo polso.

Non è fragile, John. Sei tu il mostro. Sei tu che potresti frantumargli le ossa stringendo appena la mano, se solo volessi.

I suoi occhi ti fissano sbarrati nella penombra della cella e tu sei acutamente consapevole delle sue pulsazioni accelerate, del suo respiro spezzato che cozza col silenzio scandito dal sibilo regolare che proviene dalla tua maschera.

Hai sviluppato negli anni l'abilità di non tradire emozione anche quando dentro sei squarciato in due. Ti è sempre stata assai utile. Con i nemici, per incutere loro timore e dunque castrarli. Con i seguaci, per donare loro sicurezza e dunque rafforzarli. Con Talia, per sostenervi a vicenda in quel mondo che vi ha precluso ogni contatto con le debolezze dei sentimenti.

Ma ora? Ora che sei morto e non hai più nemici o seguaci, ora che non hai più Talia con cui condividere quella solitudine del cuore... ora, a cosa serve?

Ad impaurire un ragazzo troppo curioso.

La tua presa si allenta gradualmente, come ad avvisarlo di non commettere altre impudenze. “Ti perdono” gli dice la tua mano, “All'alba farò finta di niente”.

C'è da vedere se anche John sceglierà di fare finta di niente. I gatti, dopotutto, hanno sette vite.


~


Scena IV


John diventa ogni giorno più veloce e sicuro di sé. Somiglia a quello sparviero che sai occultato dietro il pettirosso.

Mi ingiungi di non chiamarti Robin, ma ancora ti nascondi tra le sue piume. (*) lo stuzzichi costantemente.

Le sue risposte sono prevedibili scatti di rabbia che tu incanali prontamente nella lotta. Lo guidi, nutri la furia e la indirizzi verso il suo scopo.

Alla fine della giornata, John non è il solo ad essere esausto. È un faticoso compito quello del maestro. In particolare quando si ha a che fare con un allievo così indisciplinato da scoppiare a ridere nel bel mezzo di un allenamento.

Lo lasci andare e ti rialzi: Hai qualcosa da dirmi, Blake?

Blake. Il modo in cui lo chiami quando desideri mantenere le distanze.

Un orsetto di peluche? Bane... dice ansante, tra una risata e l'altra Seriamente?

Non vuoi credere che sia vero. Eppure lo è.

John si rialza e continua in quel monologo umiliante: Mi hai dato la chiave con quell'aria tutta misteriosa e mi hai fatto prendere quel pacco e...

Lo trovi divertente. constati con gelida cortesia.

Sì! ti risponde con la voce ancora aperta dalla risata Sei un terrorista, tu... uccidi le persone! E la notte dormi con un orsetto! Come fai a non vedere l'ironia?

Si chiama Osito.

E John scoppia nuovamente a ridere.

Gli hai pure dato un nome?! ti chiede incredulo.

Non io. rispondi distaccato L'uomo che me lo regalò.

Regalo azzeccato per un terrorista!

Non sta ascoltando, non gli interessa. Desidera solo prendersi gioco di te e continuerà a farlo. John non ha alcuna fiducia o rispetto in te e sei stato un patetico illuso a crederlo.

Per quanto sia difficile da credere, a due anni ancora non ero ancora entrato nel giro.

L'ironia svanisce in fretta nei modi di John. Ma non altrettanto in fretta svanisce il dolore che essa ti ha causato. Come possa un insignificante pettirosso fare tanto del male ad un mostro come te, è uno di quei misteri che probabilmente non riuscirai mai a sciogliere.

È... era uno dei tuoi giocattoli? lo senti balbettare.

E perché mai dovresti rispondergli? Per dargli modo di scavare ancora in quella parte di te che non vuoi esposta alla sua ironia?

Era il mio unico giocattolo. ti senti dire, contro ogni buonsenso.

Puoi vedere il senso di colpa crollargli addosso e schiacciarlo. Puoi sentirtene parte, come se non lo meritasse.

In che razza di posto sei cresciuto? Persino noi all'orfanotrofio avevamo qualcosa di meglio.

Ha parlato con un filo di voce e qualcosa nell'espressione che non gli hai mai visto.

La gente la chiamava la Fossa. Invero era un buco nel terreno e ci finiva tutto il marcio del mondo.

John abbassa lo sguardo e fissa accigliato il vuoto, impegnato a metabolizzare quell'informazione.

Ma hai detto... avevi due anni quando...

Sì.

La pietà non la sopporti e quindi guardi altrove, cerchi un modo per troncare quel dialogo, ignorando quella parte di te che senti ribellarsi all'idea, aggrappandoti al ricordo di Talia e alla dignità che ti istilla. Devi avere rispetto di te stesso, se vuoi che a sua volta John abbia rispetto di te.

Cosa può avere di marcio un bambino?

È una domanda talmente ingenua che per un attimo le tue convinzioni vacillano. Per un attimo vorresti davvero mettere da parte tutto Bane, Talia, l'orgoglio, il matestro, l'allievo e prendere da parte John e parlargli, far parlare quella parte di te che tanto tempo ha taciuto. Permettere a lui di raccontargli ogni cosa.

Le sue radici. dici, e in quelle tre parole è racchiuso l'accesso a lui.

Non capisco...

Ed è una fortuna per te. sibili.

Il contraccolpo di quella chiusura inaspettata lo spaventa. John ammutolisce e fa un passo indietro, per una volta intimidito a buon ragione.

Maledizione. Finirà mai di farti sentire in colpa dopo che lui stesso ti ha umiliato?


~


Scena V


Osito è al sicuro, nascosto dietro il cuscino, quando John entra timidamente nella tua cella.

Non ho bisogno della tua pietà.

Lui sospira impaziente, dondola sui piedi un modo di fare che ormai riconosci in lui. Infine prende il coraggio a due mani e si avvicina, seguito dal tuo sguardo indagatore.

Non è pietà, è solo... un the.

È quello che ti porta, in effetti. Posa la tazza sul comodino accanto alla tua branda e resta lì un attimo, lo sguardo che vaga ovunque senza mai soffermarsi su di te. Se vuole dei ringraziamenti, non li avrà.

Be', buonanotte. ti augura infine.

La delusione traspare in ogni suo gesto e ti chiedi come sia possibile che quel ragazzo sia lo stesso che ti ha stordito con una scarica di teaser, addormentato con un sedativo e tenuto recluso là dentro per settimane.

Buonanotte, Robin.

Robin. Il modo in cui lo chiami quando non desideri mantenere le distanze. E lui ne è ben consapevole: glielo leggi nel sorrisetto che a stento nasconde mentre se ne va via svelto, lasciandoti al tuo sonno.

Ma il sonno sai già che non arriverà questa notte.

Attendi che le luci del corridoio si spengano, attendi che i rumori che riecheggiano nella Batcave si affievoliscano. Respiri a fondo una, due volte nell'aria impregnata di analgesico. E con due dita slacci le cinghie della maschera, tenendola premuta ancora un momento sulla faccia. Respiri a fondo un'ultima volta prima di levarla.

L'aria è fredda e ti colpiscono come al solito gli odori. Anche se ormai non ti sono più sconosciuti e anzi li saluti come familiari, è sempre una lieve sorpresa ritrovarli. Il sapone con cui sono state lavate le lenzuola, l'umidità delle pareti, il tuo stesso odore, il the che spande il suo profumo caldo, l'odore di John che ancora aleggia nell'aria ferma della stanza.

Berrai quel the, più tardi. Forse domani mattina. Ora è troppo caldo per la tua bocca martoriata. Ma va bene il suo profumo che ti arriva intenso. Va bene il significato che porta con sé.

Respiri un paio di boccate, ignorando il dolore, concentrandoti sul suo odore.

Se John non ti confondesse con i suoi gesti spontanei siano essi di rabbia o di stupidità o di gentilezza – per te sarebbe più semplice. Se fosse solo il tuo allievo, se questa vostra strana vita avesse regole, se voi foste al monastero... ma non siete lì, non avete regole, non è solo il tuo allievo. Non puoi vedere questa situazione sotto quella comoda luce, non puoi assimilarla a quel rapporto che tante volte hai visto instaurarsi tra un novizio e il suo mentore. E dunque non puoi impunemente ripensare al suo sangue che pulsa rapito e vivo sotto le tue dita, al sudore che gli imperla la nuca sottile e gli inzuppa la maglietta quando vi allenate, al suo odore che ancora è sospeso lì e che puoi rubare, alla sua ingenua paura che ti fa sentire vile, al profilo di un naso fratturato, al taglio malinconico delle sue labbra.

Non puoi e non vuoi, ma lo fai. E i tuoi cargo pants ti fanno stretti di lussuria e il tuo cuore si fa pesante di senso di colpa.





(*) “Robin” in inglese significa appunto “pettirosso”.

   
 
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