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Autore: Marty Andry    25/08/2013    1 recensioni
"Tharos. Un ragazzo greco, uno qualunque. Non un semidio, come quelli cantati dai poeti. Un ragazzo semplice il cui nome racchiudeva una grande virtù: coraggio."
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tharos e Apollo si trovarono davanti ad un’apertura delle caverne di Colono, per fortuna vicino ad Atene.
Il  ragazzo stava per scendere, quando il dio lo prese per un braccio.
<< Attento, mortale. Ah, quasi dimenticavo. >>
Degli innumerevoli recipienti e foderi che aveva sulle spalle, ne prese uno che sembrava quello di una spada e glielo porse. Era custodita in un semplice fodera di cuoio, da cui spuntava un manico dorato finemente lavorato.
<< Ambrosia, mio caro. Ambrosia solidificata mescolata all’oro puro. >>
Tharos, curioso, la estrasse dal fodero.
Si ritrovò, così, in mano una lunga spada lucente; non ne aveva mai vista una così.
<< Ora devi andare. Fa’ presto, mi raccomando. Pensa a quante persone risparmierai la vita. In bocca al lupo. >>
Tharos saltò dal carro che, due minuti dopo, stava già attraversando il cielo.
“Su Tharos, ce la puoi fare.” si disse mentalmente.
La caverna era buia, nonostante fosse illuminata dalla luce di alcune torce appese alle pareti. Il luogo era completamente scavato nella roccia più scura che lui avesse mai visto, più scura dell’onice. Aveva appena riposto la spada nella custodia e recuperato sicurezza quando si accorse del macabro spettacolo che stava osservando.
Decine, forse centinaia di uomini, donne e bambini sedute sulle rive dell’Acheronte in attesa di Caronte. Persone che davanti alla morte avevano perso nome, magari anche i titoli di prestigio che avevano conquistato col sudore, persone che avevano avuto una vita felice, oppure triste, chi poteva saperlo. Ognuno, davanti alla morte era un semplice uomo o una semplice donna; la morte non risparmiava nessuno, non aveva compassione. Più che altro, Atropo non aveva pietà. Recideva i fili della vita, conoscendo le vite di tutti, raramente agiva con criterio. Non si fermava nemmeno davanti ai bambini, innocenti, che non avevano nessuna colpa.
Tutta questa gente non aveva un corpo, quasi fluttuavano in quell’aria pesante. Cosa  avevano fatto di male per essere traghettati nelle acque dell’Acheronte, dello Stige, del Cocito o del Flegetonte?! Quali colpe avevano?
Dalla massa, un ragazzo si fece avanti e andò da Tharos.
Il ragazzo rimase impietrito davanti a quella visione. Il corpo, se così lo si poteva chiamare, non aveva alcuna consistenza, si poteva tranquillamente vedere attraverso.
<< E tu chi saresti? >>
La voce di quel ragazzo era rimasta uguale, probabilmente, a quando era ancora in vita.
Una voce bronzea, non dissimile dalla sua, dopotutto.
<< T-T…Tharos. >>
<< Bene, io sono Nikandros. Venivo da Anfissa. Tu vieni da Atene, pensi a tuo fratello Leukos, tuo padre si chiama Aristovoulus, tua madre Euthasia e…Uhm, interessante. La ragazza che ti piace è Antula e ha gli occhi verdi. >>
Tharos rimase scioccato.
<< Sai come lo so? Noi possiamo leggere la mente delle persone. E ti dico anche hai tutto il mio appoggio: Atropo morirà! Cavale quell’occhio, una volta per tutte!! >>
<< Posso chiederti una cosa? >>
<< Certo, dimmi pure. >>
<< Perché ti trovi qui? >>
<< Avevo all’incirca sedici anni, forse diciassette, non ricordo bene, quando venni colpito da forti febbri. Morii una notte d’inverno, non ricordo nemmeno quando, con precisione. Esalai il mio ultimo sospiro davanti a Zoe, oh Zoe! >>
<< Tua madre? >>
<< No. Colei che amo. >>
<< È ancora viva, che tu sappia? >>
<< Sì, così lei, mia madre, mio padre, le mie sorelle… >>
<< Puoi metterti in contatto con loro? >>
<< In sogno, potrei. Ma perché? >>
<< Dì loro di trasferirsi ad Atene. Sperando che lo facciano. Dì anche che c’è una casa, terza strada a destra del tempio di Pallade Atena. È loro. >>
<< Ma… >>
<< Fallo! Fidati di me, Nikandros. Fidati. >>
<< Va bene. Nasconditi, arriva Caronte!! >>
Un uomo gracile e con indosso pochi stracci remava su una barca, mentre onde impetuose lo trasportavano da una parte all’altra. Aveva gli occhi infuocati, proprio come dicevano le varie leggende. Evitò di guardarlo per non dare nell’occhio, mentre gli occhi iniettati di sangue esaminavano una ad una le anime.
<< Addio, Nikandros! >> e sparii dietro ad una stalagmite prima che il traghettatore potesse vedermi.
L’anima del ragazzo si diresse velocemente alla riva dell’Acheronte, ma non salì sulla barca, dando la precedenza ad altre anime e sperando che Tharos riuscisse ad uccidere l’Inflessibile.
Una volta che Caronte si fu girato di spalle, Tharos proseguì il suo cammino, ritrovandosi al cospetto di Ade e Persefone. Il dio dormiva saporitamente, appoggiato un bracciolo del trono ligneo, accanto alla moglie.
Una bellissima donna dai capelli scuri e gli occhi color nocciola, sedeva alla sinistra di Ade. Indossava una veste succinta color porpora, beveva ambrosia.
Mi nascosi dietro l’ennesima stalagmite che intralciava il mio cammino, ma la dea mi disse serenamente << Avanti, Tharos. Sono stata avvisata del tuo arrivo. Va’, finché sei in tempo. E per favore, fa che il prossimo a morire sia lui. >> chiese, indicando il marito. << Voglio tornare da mia madre, in quel mondo di luce e colori per sempre. Non per sei mesi, ma per tutta la vita. Va’ Tharos, sei la nostra unica speranza. Tieni questa chiave e fa’ il tuo dovere. >>
La dea gli porse una chiave argentea, con una scritta in greco: μουαρέ
La chiave non era nulla di speciale, in un certo senso.
Tharos ringraziò la dea e proseguì il suo viaggio nell’Erebo, ma improvvisamente si ricordò di Cerbero, il cane mostruoso che si diceva si trovasse alle porte del regno dei morti. Poco dopo si ritrovò in un’altra specie di sala, con due uscite.
Si affacciò alla bocca di sinistra.
Un’enorme prato verde si estendeva fino alla riva sinistra del Cocito, pieno di alberi e fiori d’ogni tipo. Migliaia di anime di bambini correvano per quel prato, gruppi di donne che parlavano sotto un albero, uomini che discutevano sulle varie arti. Erano tutti come Nikandros.
Indietreggiò prima che si potessero accorgere della sua presenza e si diresse verso l’altra bocca.
Davanti a lui si apriva uno scenario pressoché sereno, così, senza alcuna esitazione, si incamminò, costeggiando la riva destra del Flegetonte. Ma quando era proprio nel mezzo della traversata, un’esplosione di lava illuminò a giorno la zona. Allora Tharos iniziò a correre, ma la lava usciva dappertutto. Con coraggio, saltò, tra uno zampillio e l’altro, fino a raggiungere l’ultima sala dell’Ade dove trovò una porta, rovinata dal tempo, che riportava la scritta della chiave. Comprese dove si trovava.
Ormai non poteva più tirarsi indietro.
  
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