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Autore: xAlisx    26/08/2013    2 recensioni
La Grande Battaglia contro il Titano Crono si avvicina sempre di più. Dopo la missione nel Labirinto di Dedalo, Percy Jackson e i suoi amici devono affrontare nuove difficoltà per impedire a Crono di diventare troppo forte. Ad aiutarli arriverà una ragazza misteriosa e con lei il gruppo di amici dovrà affrontare tante nuove avventure.
Storia da collocarsi tra "La battaglia del Labirinto" e "Lo scontro finale". Ovviamente, non tiene contro dei fatti de "L'eroe perduto" e seguiti.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annabeth Chase, Nico di Angelo, Nuovo personaggio, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 6
Riceviamo una telefonata
nel lavandino del bagno
 
Risvegliarsi dopo un combattimento era sempre molto difficile: ti sentivi stordito e confuso e faticavi a controllare il tuo corpo. Quando riaprii gli occhi e tentai di alzarmi, fui sopraffatto da un dolore atroce alle spalle e tornai steso per terra.
«Devi stare fermo, l'ambrosia deve ancora fare effetto.» mormorò Annabeth dolcemente.
Aveva un brutto graffio nella fronte, i capelli erano appiccicati al sangue raggrumato.
«Non siamo messi bene, ma siamo vivi!» borbottai sentendo la testa pesante e gli occhi chiudersi da soli.
Mi diedi una scrollata, per mantenermi sveglio e tentai di mettere a fuoco l'ambiente circostante. Eravamo in una gabbia fatta di ossa – e non volevo sapere se erano ossa umane o meno – e una furia ci trasportava come topi in gabbia. Quando la creatura si accorse che mi ero svegliato, mi salutò con un ringhio stridulo.
«Ciao anche a te!» borbottai.
Thesis era poco distante, china su Nico che sembrava privo di sensi.
«Come sta?» chiesi, preoccupato.
«Ha usato tantissima energia per cercare di proteggerci da quegli spiriti. Avrà bisogno di un po' di riposo e di ambrosia e si riprenderà.» rispose Thesis, apparentemente tranquilla.
Quando però mi guardò negli occhi, vidi una profonda preoccupazione e angoscia. Per lei Nico sembrava già importante e il suo affetto era evidente nei gesti che dedicava al fratellastro per curarlo e farlo stare meglio. Non avrebbe mai potuto sostituire Bianca per Nico, ma ero sicuro che sarebbero andati d'accordo e si sarebbero fatti bene a vicenda.
«Questa simpaticona ci sta portando da Ade?» domandai retoricamente lanciando un'occhiataccia alla furia.
Annabeth annuì, facendo spallucce. «Non vedo l'ora di rivederlo!» affermò con tono ironico.
Nel giro di qualche minuto fummo alle porte del grande palazzo di Ade; il suo Olimpo di marmo nero. La furia planò all'interno e ci lasciò in custodia a due cani infernali enormi e bavosi che ci trascinarono davanti al trono del dio dei morti. Lui era seduto comodamente a grandezza naturale – quindi dieci volte più alto di me –, in attesa. Il suo portamento da dittatore, il trono di ossa e l'aura spaventosa erano esattamente come me li ricordavo. Anzi, forse peggio.
«Fategli uscire!» ordinò con voce piatta.
Uno dei segugi agganciò il chiavistello della gabbia e l'aprì. Thesis uscì per prima, sorreggendo Nico che nel frattempo si era svegliato e sembrava conscio della situazione. Annabeth ed io li seguimmo, sempre all'erta.
«Figlioli, sono quasi commosso che siate tornati a casa.» esordì, fingendo di asciugarsi una lacrima dalla guancia. «E, mio caro nipote, come stai? È da tanto che non ci vediamo.» aggiunse, salutandomi con un gesto della mano.
«Ehm, potrebbe andare meglio. Casa tua non è tanto accogliente.» ribattei, facendo scaturire un ghigno divertito nel volto di mio zio e guadagnandomi un'occhiataccia da Annabeth.
Già, forse non avrei dovuto essere così irrispettoso e arrogante, ma era più forte di me.
«Figlia di Atena.» salutò Ade spostando il suo sguardo verso Annabeth e mimando un inchino con la mano e il capo.
Annabeth s'irrigidì, abbozzò un movimento con la testa e tornò all'erta.
«Ora, potete dirmi cosa ci fate nel mio regno?» chiese Ade, aumentando la voce di qualche ottava in tono animato.
Non era affatto contento di vederci, intuii.
Thesis si fece avanti, per niente intimorita dall'ira di suo padre. «Papà, sono stata io-»
«Alt. Figliola, ricordi quando ti ho chiesto se saresti stata in grado di salvare tua madre? Cosa mi hai risposto?» domandò Ade, cercando di mantenere un certo controllo.
«Che sarei stata in grado di farlo, ma-» tentò di dire Thesis.
«Allora perché sei andata in quel Campo dove nemmeno rispettano tuo padre?» gridò Ade, evidentemente infastidito. «Perché hai chiesto aiuto a quell'inutile centauro e a quell'ubriacone di un dio e ti sei portata dietro questi buoni a nulla?» aggiunse, fuori di sé dalla rabbia.
I suoi occhi di anime inquiete si agitarono, cambiando colore da sfumature chiare a sfumature più scure. Era furioso, ma cercai di non farmi intimorire. Non mi piaceva essere chiamato buono a nulla, soprattutto perché qualche anno prima anche Ade aveva avuto bisogno di me per risolvere un problema.
«Non era tanto buono a nulla quando ti ho riportato indietro il tuo elmo, zio.» ribattei, in tono offeso e arrabbiato.
«Era la fortuna del principiante!» affermò convinto, senza degnarmi di uno sguardo.
«Papà, Thesis ha fatto la cosa giusta. Insieme riusciremo a portare a termine la missione.» sostenne Nico, con una tale convinzione che quasi gli credetti anche io.
«Oh, non metto in dubbio che avrete successo. Troverete Persefone e la falce e porterete entrambi da me, altrimenti vi condannerò a vagare per i Campi della Pena per l'eternità!» fece Ade, ghignando come al solito.
Per quanto la minaccia mi facesse rabbrividire, c'era qualcosa nella frase di mio zio che mi fece riflettere.
«Tu non sai dov'è la tua falce. Hai detto che dobbiamo trovare Persefone e la falce. Tu non puoi dirci dove si trova la tua arma perché nemmeno tu lo sai!» dissi all'improvviso, puntando un dito accusatorio contro il diretto interessato.
Ade chinò il capo, accusando il colpo della mia accusa. «Solo Persefone sa dove si trova la falce. L'ha nascosta per far sì che non cadesse in mani sbagliate e me l'avrebbe data solo se ne avessi avuto bisogno.» spiegò, guardando un punto lontano, come se stesse ricordando un momento preciso del passato.
«Quindi siamo punto e a capo?» chiese Annabeth, frustata.
«Le cose non cambiano: se non salverete Persefone e la falce da Crono, i Campi della Pena vi aspettano.» ringhiò Ade, infastidito.
Scossi il capo. Non mi aspettavo certo un aiuto da parte di Ade, ma la missione si preannunciava ancora più difficile di quanto già non fosse.
Thesis si avvicinò a me. «Andiamocene.» disse, prendendomi la mano.
«Non ve ne potete andare senza le perle.» intervenne Ade, come se fosse una cosa ovvia.
«Nico ed io entriamo e usciamo dagli Inferi come e quando vogliamo. Percy e Annabeth viaggeranno con noi. Adesso, papà, noi ce ne andiamo. Porteremo a termine la missione, con o senza il tuo aiuto.» ribatté Thesis, e il suo tono aveva dentro tanta delusione e tanto odio che Ade non osò dire nulla.
Annabeth, Nico, Thesis ed io ci schierammo, ci prendemmo le mani e viaggiammo. Non sapevo dove saremo finiti, bastava che andassimo il più lontano possibile dagli Inferi.
 
Ci ritrovammo in una stazione. Il viaggio fu meno terribile del precedente, ma non appena arrivammo Annabeth ed io dovemmo comunque sederci in delle seggiole per riprenderci un attimo.
Thesis prese a guardarsi intorno, spaesata. Non aveva mai visto nulla all'infuori dell'Inferno, doveva trovare quel posto – e ogni posto in generale – davvero bizzarro.
«Dove siamo?» domandò Annabeth, cercando qualche indicazione in giro.
«Stazione ferroviaria di Denver.» lesse Nico da un cartello.
«Perfetto. Siamo senza indizi, non sappiamo dove andare e siamo bloccati in una città a caso!» si lamentò Annabeth, prendendo un respiro per stare calma.
Non potevo darle torto. Eravamo senza meta e a Denver potevamo sopravvivere sì e no due giorni, poi avremmo finito i soldi e saremmo finiti a vagare in lungo e in largo senza sapere cosa fare. E poi ci aspettavano i Campi della Pena. Un quadro molto allettante.
«Perché ci avete portato qui?» chiesi, spostando lo sguardo tra i due fratelli.
Nico scosse il capo. «Io stavo tornando al Campo, ma Thesis ha tirato verso un'altra direzione. È più forte di me, ha avuto la meglio lei. Ed eccoci qui.» spiegò, facendo spallucce.
«Non so perché, ma questo posto, questa città, mi dice qualcosa. Accadrà qualcosa qui, in questa Denver. Dobbiamo solo aspettare.» assicurò la dea, guardandoci in cerca di approvazione.
Era incredibile come in soli due giorni avessi cambiato idea su Thesis: all'inizio avevo paura di lei, del suo portamento autoritario e della sua forza. Ora invece mi faceva quasi pena: la sua infanzia doveva essere stata terribile – tra genitori non del tutto dolci e gentili e luoghi dove vivere davvero penosi – e il suo atteggiamento non era più ostile come quando ci eravamo conosciuti. Alla fine, ero convinto che saremo andati d'accordo.
«Va bene. Aspettiamo.» sostenne Nico.
Era l'unica cosa che potevamo fare, aspettare. Così mettemmo insieme tutti i soldi che avevamo – e non erano tanti – e decidemmo di alloggiare nel motel più vicino.
Per fortuna ne trovammo uno a qualche chilometro dalla stazione. Il sole stava calando e non era l'ideale viaggiare di notte. Prendemmo una camera quadrupla, per non separarci, e ci sistemammo alla bene e meglio.
La stanza era molto povera – d'altronde il motel era il più economico; l'unico che potevamo permetterci: le pareti avevano una carta da parati con disegni floreali neri. Il soffitto era giallognolo e scrostato. I letti avevano tutti le lenzuola azzurre, ma erano talmente consumate che il colore stava diventando quasi bianco. L'unico lato positivo di quel posto, era il bagno in camera che era dotato di doccia, lavandino e gabinetto funzionanti, per fortuna.
Decidemmo di darci una rinfrescata e dormire un po' intanto che il fenomeno che Thesis aveva preannunciato si verificasse.
«Quindi credi che qui a Denver succederà qualcosa?» domandò Nico alla sorella, stendendosi nel suo letto.
Lo imitai, mentre Thesis si sedette eretta, come se avesse paura di posare la testa sul cuscino. Annabeth, intanto, canticchiava sotto la doccia.
«Non so, è come se qualcuno voglia che ci troviamo qui. Forse sto solo dicendo stupidaggini, e non succederà nulla, ma comunque non abbiamo nient'altro a cui aggrapparci, quindi...» rispose la dea.
Restammo in silenzio per un po', tanto che quasi mi addormentai, stremato dagli avvenimenti. Solo che all'improvviso Annabeth cacciò un urlo dal bagno e Nico, Thesis ed io balzammo in piedi, spaventati.
Mi precipitai alla porta e nemmeno feci in tempo a bussare che Annabeth aprì, un asciugamano addosso e i capelli gocciolanti. «C'è qualcosa nel lavandino.» boccheggiò, troppo sorpresa per spiegare.
Guardai Thesis e Nico e poi entrai nel bagno, affacciandomi nel lavandino. Quello che vidi fu molto strano: Persefone era legata a delle catene di ferro. Sembrava che fosse in una grotta e guardava dritto verso di me.
Prima che potessi reagire – insomma, non capita tutti i giorni di ritrovarsi una dea nel lavandino -, Thesis si fece avanti e si chinò per guardare anche lei. «Mamma.» fece, incredula.
«Figliola, sapevo che avresti seguito il tuo istinto. Sei arrivata esattamente dove volevo.» ribatté la dea, e solo a quel punto mi accorsi che quello era un messaggio-Iride.
I messaggi-Iride erano molto usati tra gli dei: bastava gettare una dracma in una fonte d'acqua, dire con chi volevi parlare e puff, ecco che ti ritrovati il destinatario della chiamata davanti. Meglio di un cellulare!
«Mamma, cosa ti stanno facendo?» domandò Thesis, preoccupata.
«Sto bene, stai tranquilla. Ma non abbiamo tempo, devo dirti come arrivare alla falce di tuo padre prima dei mostri di Crono. Ci sono delle prove da superare. Ho chiesto a degli amici di custodire la falce, per far sì che nessuno potesse impossessarsene senza superare determinate prove. Troverai la prima prova proprio lì a Denver.» spiegò la dea, a bassa voce per paura di essere sentita. «Ora devo andare. Se riuscirò, mi farò sentire di nuovo.» concluse, tra interferenze date dal collegamento.
«Aspetta, mamma. Dove ti trovi?» provò a chiedere Thesis, ma la chiamata finì senza che ricevesse risposta.
La dea restò qualche minuto a guardare il lavandino, poi si asciugò il viso – probabilmente le era scesa qualche lacrima, e non potevo biasimarla – e si voltò verso di noi. «Dobbiamo trovare l'indizio. Dobbiamo salvare mia madre a tutti i costi.» disse, con tanta determinazione che anche io fui investito da nuova forza.














SPAZIO ALIS: Chiedo scusa per il ritardo - sempre che qualcuno stesse aspettando il nuovo capitolo ;)
Ed eccoci al sesto capitolo, l'ultimo capitolo che ho pronto e il settimo non ha intenzione di scriversi, quindi, abbiate pazienza se tardo!
In questo capitolo incontriamo Ade: bene, sappiate che io amo Ade e spero con tutta me stessa che sia abbastanza IC! <3
Il titolo del capitolo si riferisce, ovviamente, alla chiamata-Iride che ricevono in albergo. Perché il titolo si riferisce alla parte finale del capitolo? Perché anche lo zio Rick fa queste cose, infatti anche nei libri il titolo si capisce quasi sempre a fine capitolo.
Spero che il capitolo sembri rialistico. Mi spiego meglio: vorrei sapere se fino ad ora sono riuscita a rispecchiare un po' le avventure che racconta Rick Riordan nei libri, rendendo le cose lineari e credibili. Fatemi sapere, così se qualcosa non va cerco di migliorare ;)
E niente, fatemi sapere anche se vi sta piacendo la storia con una recensioncina, su, non mordo!
Alla prossima - che non so quando sarà,
Alis
   
 
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