Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
Segui la storia  |       
Autore: Honodetsu    27/08/2013    3 recensioni
"...Non seppe come, ma quel momento di leggerezza, di tranquillità, sembrò dissolversi in un attimo. L'assurda idea che potesse essere finita si sgretolò al vento.
L'agitazione e la preoccupazione per l'italiano furono ingogliate da un qualcosa di più profondo, di più intenso. E mai avrebbe immaginato che si potesse provare una cosa del genere e che, un essere umano, potesse sopportare un simile dolore..."
E' con piacere che vi presento questa mia seconda fanfiction su Hetalia; dove amori, passioni, gioia e lacrime non mancheranno di certo.
...Se siete interessati, leggete...
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Francia/Francis Bonnefoy, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Lo scrosciare dell'acqua si interruppe all'improvviso, al suo posto, lo scquillare inquieto di un cellulare. Eliza uscì dalla doccia, ignorando quel sono che, ormai da giorni, riempiva le sue giornate.

Come trovava terribilmente sciocco quel suo tentare di ignorare l'evidenza. Strinse le mani sul lavabo, incrociando con lo sguardo la sua figura riflessa nello specchio.

Quella musichetta ancora svolazzava fastidiosa nell'appartamento.

Tutto ciò che voglio è che questo finisca... Voglio solo vivere la mia vita, voglio davvero vivere...

 

Arthur buttò con fastidio il cellulare sul letto. L'appartmaneto era silenzioso, l'unico rumore era prodotto dallo stridire degli ingranaggi del cervello dell'inglese.

Era da parecchio che Eliza non gli rispondeva. Sbuffò, chiedendosi se era davvero arrivato il momento di fare una piccola visitina a suo padre.

Gli occhi si posarono su una delle tante camicie bianche che, quello scemo di Francis, lasciava stropicciate sul letto. Si passò tra le dita la stoffa candida, quasi lo aiutasse a ragionare.

Ne aveva parlato molto con il francese, nonostante si vergognasse terribilmente. Avevano parlato molto sulla possibilità di una sua partenza per Londra.

L'inglese sbuffò acido, ritrovandosi a riconoscere con ironia che ora, effettivamente, c'era molto dialogo tra di loro. Certo, il soggetto dei loro “colloqui” non era tra i migliori, ma almeno adesso potevano essere definiti una coppia.

Francis gli aveva detto tante volte che se avesse sentito la necessità di partire, lui, non lo avrebbe fermato, a patto che, questa volta, si sarebbe fatto sentire.

Gli sfuggì un sorriso.

Era ironica la sua situazione: prima scappava da Londra e da suo padre ed ora sentiva, invece, che avrebbe almeno dovuto saluarlo prima della sua morte.

Non era stato un buon padre, non era stato nemmeno un brav uomo. L'unica cosa che era riuscito a fare era quella di aver imbambolato quella ragazzina.

Strinse le dita intorno alla camicia.

Già, l'aveva così tanto ingannata e raggirata che lo aveva portato a farla odiare da Arthur. Sentì il cuore stringersi all'interno del suo petto.

Sospirò.

La realtà era che la pensavano entrabi in modi differenti: nessuno era buono, nessuno era cattivo. Nessuno aveva torto e nessuno aveva ragione.

La realtà era che nessuno dei due era mai riuscito a sopportare la morte dell'unica donna che, entrambi, avessero mai amato.

La madre di Arthur e, di conseguenza, la moglie dell'uomo che aveva sempre odiato.

Sbuffò, sdraiandosi pacidamente sul letto e stiracchiandosi.

Già, una sera, una di quelle fantastiche e poche sere in cui il padre riusciva a liberarsi in tempo dal lavoro per la cena. Una di quelle fantastiche volte in cui, lui e sua madre, potevano ricordarsi di avere rispettivamente un padre ed un marito.

Da sempre, Arthur e la madre erano abituati a magiare insieme, solo loro due. Ed al piccolo bambino gli era sempre bastato, gli bastava avere lei, quella fantastica donna, per sentirsi bene.

Quante volte Arthur aveva visto la madre felice e, con altrettanta gioia, gli aveva comunicato che, per pura fortuna, quella sera con loro ci sarebbe stato anche il padre a cenare? Quante volte l'aveva vista sorridere solare attendendo la sera?

Quante volte, in fine, l'aveva vista corrugare la fronte e mordicchiarsi il labbro nello scoprire che, no, pultroppo quella sera il padre non avrebbe fatto in tempo?

Già, si ritrovò ad ammettere amaro, troppe volte.

Peccato che, proprio in una di quelle sere, quella a mancare all'appello era proprio sua madre.

Gli sfuggì un grugnito, molto simile ad una lieve risata stroncata sul nacere.

Fottutissima fortuna...

 

Molti anni erano passati, eppure era come se non si fossero mai lasciati.

Feliciano gli parlò della sua vita a Berlino, di come nevicava nelle giornate invernali e di come il sole splendeva nei giorni estivi. Gli parlò del suo lavoro e di come lo amava.

Era un restauratore di opere d'arti, un lavoro che, fin da bambino, lo aveva sempre affascinato. Romano si ritrovò a riconoscere che, effettivamente, il ragazzino piccolo e solare che aveva lasciato in Italia, ora, se lo ritrovava anche lì a Madrid. Solo in versione un pochino più cresciuta.

Era ancora piccolo di corporatura, né troppo basso né troppo alto, aveva il solito sorriso che contagiava ed i soliti occhi infantili.

Eppure il suo volto non era più tonto ed infantile come quello che ricordava, ora era perfettamente ovale, forse ancora un pochino paffuto, va bene, ma da adulto.

Il maggiore dovette ammeterlo: ear diventato davvero un bel ragazzo. Motivo in più per essere più attenti a quel tipo, ecco, come si chiamava?

-”E poi c'è Ludwig...”-

Quel nome lo trapassò da parte a parte, quasi impedendogli di respirare.

-”Ludwig?”-fece, sorridendo appena-”Ma, sì, parlami di lui. Come vi siete conosciuti?”-

No, la sua non era semplice cortesia, lui voleva sapere come quel tedesco avesse conosciuto il suo Feliciano.

Il minore sorrise, sapendo di essere arrivato su un argomento delicato, arrossì un pò.

-”Come mai ti interessa?”-chiese vergognoso.-” Non credevo fossi un tipo romantico.”-lo prese in giro. Romano increspò le labbra in quello che doveva essere un sorriso accondiscendente.

Sembrava, più che altro, un aborto di un sorriso.

-”Non farti pregare, fretellino...”-fece, tentando di non esplodere per la vergogna. Feliciano rise, capendo che l'argomento sembrava imbarazzare più lui che il diretto interessato.

-”In un museo.”-dichiarò.

Romano era riuscito finalmente a prendere fiato.

-”Cosa?”-chiese, non capendo.

Il più piccolo dei due italiani sorrise intenerito.

-”Ad un museo.”-ripeté-”Lui era lì per piacere ed io anche, se si può dire.”-sorrise, nel ricordare quell'episodio-”Ma direi che ero lì per lavoro.”-

Romano rimase in silenzio ad ascoltare.

-”Mi avevano mandato lì, insieme ad altri colleghi, per restaurare delle statue...”-riamse un attimo in silenzio, quasi rapito da un ricordo improvviso-”Anzi, ora che ci penso erano ridotte davvero male quelle statue,”-Romano si portò una mano sulla fronte, lo aveva perso-“il museo le aveva tenute per parecchio tempo nello scantinato. Un vero peccato per quel che valgono, per questo avevano decis...”-

-”Feliciano, ti prego, risparmiami!”-lo interruppe, tentando di farlo tornare alla realtà.

Il minore rise, rendendosi conto di aver esagerato.

-”Scusa...”-si grattò la nuca-”Ma quando mi ritrovo a parlare del mio lavoro... “-non riuscì a terminare. Sospirò, tentando di controllare l'ansia, dopo tutto stava parlando con il farello che non vedeva da anni. Già, la paura non gli era ancora passata, nonostante avesse notato che, quello ad averne di più, sembrava essere Romano.

Però il sorriso amichevole del fratello maggiore gli fece riaquistare tranquillità. Sospirò, per poi tornare a sorride solare.

-”Insomma, lui se ne stava là, a fingere di osservare la mostra mentre io fingevo di lavorare.”- riprese, in fine.

-”Mi sembra di capire che, già dal primo sguardo, vi piacevate.”-continuò per lui, Romano.

-”Sì.”-arrossì Feliciano-”A dire la verità lui era venuto più volte, in diversi musei, ed il caso volle che ci fossi anche io in tutte le mostre che lui era andato a visitare.”-

Il maggiore sembrò improvvisamente interessarsi a quella storia.

-”All'inizio ci vedevamo solo di sfuggita, tempo di alzare gli occhi ognuno dalle proprie attività, e vedersi.”-nel raccontarlo il viso nel fratellino sembrava diventare sempre più dolce-”Ma, man mano che il tempo passava, man mano che continuavamo a vederci per puro caso, comminciammo a scambiarci sorrisi, accenni di saluto.”-si ritrovò a ridacchiare tra sé-”Come eravamo schicchi, impacciati e terribilmente dolci.”-

Romano ora era letteralmente risucchiato dalle sue parole. “Impacciati”, “sciocchi, “dolci”. Lui ed Antonio erano mai stati così?

Impacciati, forse.

Schiocchi, sicuramente.

Ma dolci?

Vuoto.

-”Un giorno decisi di andare, aldilà del mio lavoro, in un museo. Mi ripetei tante di quelle volte la scusa che ci andavo solo per passare del tempo, che finii quasi con il crederci.”-ridacchiò ancora, allegro. Romano lo trovò dolcissimo-”La realtà, mi sembra ovvia, ci andavo solo nella speranza di poter incontrare Ludwig.”-

Il fratello sorrise.

-”Sì, ovvio...”-confermò, teneramente.

Feliciano si morse un labbro, riuscendo finalmente a palpare quella bellissima e malinconica confidenza tra fratelli.

-”Per pura fortuna lo incontrai. Quando lo vidi mi venne quasi un mancamento.”-si portò le mani al petto-”E quando mi vide mi sentii anche peggio, come se un fulmine mi avesse preso in pieno.”- rise. E questa volta, nella risata, lo accompagnò anche il fratello.

-”E così, dopo mesi in cui ci vedevamo solo di sfuggita senza esserci mai realmente parlati, passammo un'intera giornata a insieme.”-

Romano sorrise.

-”Ruba cuori, scommetto che non è stato il solo a farti il filo.”-gli fece la linguaccia.

Feliciano arrossì ma non smise di sorridere.

-”E' vero, molte persone, sia donne che uomini, hanno tentato di avvicinarsi a me in questi anni...”-ammise con vergogna-”Però, ti sbagli, Ludwig era visibilmene interessato a me, però...”- rimase in silenzio a pensare per un attimo, quasi tentasse di trovare le parole giuste-”Però non lo ha mai detto esplicidamente e non ha mai cercato di farlo notare...”-

Romano sgranò gli occhi.

-”Era come se a lui bastasse anche il solo avermi lì, come amico.”-

Era una storia così diversa dalla sua, così opposta, così dolce. Si morse un labbro. Così priva di dolore. Lui, invece, quando aveva dovuto soffrire? Quanto aveva dovuto far soffrire, prima di riuscire a capire di amare un uomo?

-”Fui io quello a mostrarsi interessato.”-sorrise-”Ed il risultato lo sai.-

Romano accennò un sorriso.

-”È una storia dolcissima.-corfermò, infine-”Fa quasi venire la nausa per quanto è dolce.”-gli diede una pacca sulla spalla e gli sorrise. Feliciano a quelle parole si lasciò sfuggire una lieve risata.

-”Invece, te?”-sorrise-”Non mi hai ancora detto come hai conosciuto il tuo 'lui'!”-lo prese in giro -”Sono curioso.”-

Romano arrossì.

-”Ecco, lui...”-

Era tutto così difficile da spiegare, c'era da raccontare di Bella, di come aveva sofferto e di come aveva fatto stare male le persone in torno a lui.

-”Sì?”-

Sospirò. Sarebbe stato dannatamente difficile spiegarglielo.

-”Sì...?”-ripetè, Feliciano, con maggiore curiosità.

Bhè, decise di partire dalla parte più facile, cioè, dall'inizio.

-”Il suo nome è Antonio. In realtà l'ho sempre amato, ma...”-

 

Aveva dannatamente bisogno d'aria.

Infatti, sulla panchina e davanti al laghetto di quel famossissimo parco, Gilbert osservava l'acqua scorrere lenta.

Se ne stava lì, nell'attesa disperata di un qualcosa d'ignoto.

Dopo la visita di Ludwig le sue “maledettissime crisi depressive”, così lui le chiamava, erano tornate.

Perché lui era lì mentre il fratello era in Germania?

Perché Ludwig aveva trovato l'amore e lui no?

Perché viveva quella vita così dannatamente monotona?

Si portò le mani alla testa, come tentando di afferrare quei pensieri e di poterli buttare via, lontano. Invece rimanevano lì, piantati nel suo cervello, a torturarlo e a persegurarlo in una estenuante ricerca di risposte.

Risposte che, Gilbert, non avrebbe mai saputo trovare.

Perché lui ha i capelli così luminosi e biondi ed io così opachi e bianchi? Perché lui è destinato ad avere degli occhi così belli ed io degli occhi così spaventosi? Perché lui è così alto rispetto a me? Perché lui è così, ed io no?

Tutte domande terribilmente sciocche ma che per lui, in quel momento, parvero fondamentali. Di vitale imporanza.

Perché lui riesce ad essere calmo anche nelle situazioni difficili ed io no? Perché lui ha una vita migliore della mia? Perchè, se siamo partiti entrambi da orribili condizioni, lui è riuscito a vivere?

Avrebbe voluto avere una forza che non gli apparteneva, una calma che non consoceva ed una vita felice che non avrebbe mai avuto.

Era sul punto di scoppiare, eppure intorno a lui c'era una calma malata. Possibile che, mentre lui dentro di sé stesse morendo, intorno era tutto così calmo?

Una qualsiasi persona, passando in quel preciso momento, non avrebbe notato niente.

Eppure, Gilbert sentiva caldo.

Eppure, a Gilbert mancava il respiro.

Sentì dei passi dieto di lui e per un attimo gli parve di riuscire a respirare. Ma si sbagliava.

-”Ehi, ti senti bene?”-la voce allarmata di qualcuno.

Ma di chi?

-”Ehi, Gilbert!”-

Sapeva il suo nome. Ma chi era? Sentì di essere strattonato per un braccio. Non seppe il motivo, ma sentì il disperato bisogno di liberarsi da quella presa. Scivolò a terra, nella confusione più totale, ancora quella strana presenza intorno a lui.

Ma si poteva sapere chi diavolo era a tormentarlo in quel modo, chiamandolo e toccandolo? Spalncò gli occhi in cerca di un qualcosa, di un paesaggio, di un viso, ma tutto ciò che riuscì a vedere era solo buio. Strinse le dita in quello che, intuì, doveva essere il prato.

-”Ehi, che ti prende?”-

Un respito, due respiri, tre respiri.

-”Gilbert!”-

Ancora niente aria. Strinse gli occhi ed i pugni delle mani.

-”Cosa diavolo hai?!”-la voce si era fatta più preoccupata.

Che insistenza, giusto il tempo che i polmoni si gonffiassero d'aria e che l'ossigeno arrivasse al cervello, ed avrebbe risposto.

Cosa che, fortunatamente, avenne.

-”Eliza...?”-si era voltato, con il fiatone ed il sudore che gli colava lungo la fronte.

La ragazza lo guardava preoccupata, ancora con la mano stretta intorno alla manica della sua giacca. Gilbert si alzò a fatica, sotto gli occhi esterrefatti della ungherese. Rimasero per qualche secondo a guardarsi. I muscoli del viso della ragazza di contrassero in un'espressione di collera.

-”Grandissimo imbeccile...!”-

Lo schiaffo di Eliza arrivò forte e chiaro. Lo fece sbattere contro il posa schiena della panchina con un fianco.

-”Ma che cavolo ti prende?”-le urlò contro alzandosi in piedi e strattonadola per le spalle. Gli occhi della ragazza si illuminarono. Gilbet ebbe timore di quella lucentezza.

-”Imbeccille, che cavolo stavi facendo?”-lo spinse via-“Volevi morire davanti a me?”-

Gilbert riprese equilibrio.

-”Mi... Mi stai prendendo in giro?”-le urlò contro-”Mi schiaffeggi perché stavo per morire?”-la guardò sconvolto-”E poi non stavo per morire! Stavo pensando, scema!”-

Eliza lo guardò con una strana apprenzione.

-”C'è una bella differenza tra pensare e rischiare di morire soffocati, sai?”-Gilbert rimase a guardarla ammutolito, come se non capisse di che cosa stesse parlando-”Non respiravi, cretino! Se soffri d'asma, almeno, portati qualcosa dietro che ti salvi la vita!”-

Asma?!

-”E, soprattutto, se qualcuno cerca di aiutarti, non spingerlo via in quel modo!”-gli urlò, di nuovo.

Il prussiano si passò una mano sulla guancia colpita. Gli occhi che guardavano il vuoto e la mente che viaggiava.

Eliza sembrò finalmente riuscire a calmarsi. Rimase a guardarlo mordersi il labbro inferiore con insistenza. Sbuffò.

-”Dai, siediti e respira.”-gli disse, mettendosi seduta sulla panchina. Lui, ancora confuso, fece come gli era stato detto.

Vi fu un lungo momento di silenzio, in cui il prussiano continuava a torturarsi le mani. La ragazza, esasperata, lo bloccò. Solo in quel momento Gilbert parve tornare alla realtà.

-”Falla finita...”-gli disse, guardandolo negli occhi, fino a specchiarsi in quelle iridi rosse. Gilbert, dal canto suo, osservò il verde dei suoi occhi. Quel verde gli ricordava qualcosa.

Antonio...

Ma no, si sbagliava. Quegli occhi non potevano nemmeno essere lontanamente paragonati a quelli di Antonio. Erano troppo belli per essere come quelli di un uomo.

Ehi, che gli prendeva? Cos'era all'improvviso quella voglia di sfiorarle una guancia e di sorriderle.

-”Adesso che ti prende...?”-gli chiese, senza staccare lo sguardo dal suo, un po' preoccupata. Lui scosse la testa, gli sfuggì un sorriso amaro.

-”Niente...”-sospirò-”Garzie e scusami se sono stato violento, non ero in me...”-

Eliza rimase interdetta. Probabilmente non si aspettava una simile dichiarazione da un tipo come lui. Si morse l'interno di una guancia.

-”T... Tranquillo...”-gli disse, incerta. Ancora un attimo di esitazione. Passò uno sguardo veloce sul profilo del prussiano. Sembrava aver ripreso colore. Tornò a guardarsi le mani.

-”Non avevo mai visto un attacco d'asma così...”-confessò. Lui sbuffò, la guardò irritato.

-”Nessuno ha detto che sia stato un attacco d'asma, l'hai deciso solo tu.”-fece con fastidio. La ragazza sembrò piccata da quelle parole. Alzò gli occhi al cielo.

-”Allora, cos'era?”-chiese, mettendolo in difficoltà.

-”Non...”-si morse un labbro confuso ed infastidito-”Non lo so...”-confessò in fine.

Lei alzò nuovamente gli occhi al cielo.

-”Allora come fai a dire che non sia un attacco d'asma?”-

Gilbert si alzò dalla panchina, stufo di quella sua fissa.

-”Perché io non soffro d'asma.”-la guardò provocatorio-”Ti sembro forse una donnicciola? Ti sembro il tipo che possa soffrire d'asma?”-e concluse il tutto con un sorriso strafottente.

Eliza gli diede una rapida occhiata. Odioso, terribilmente odioso, sembrava un animale che mostrava i denti.

Eppure.

Eppure quel ghigno, quell'animale che le si presentava a pochi centimetri da lei, le parve così bello.

-”Che idiota.”-confermò, cercando di soffocare quei segreti pensieri.

Lui sorrise, forse aspettandosi una risposta simile.

-”Allora, di grazia, ti prego di lasciare stare questo idiota.”-la guardò con finto fastidio-”Perché, questo idiota, preferisce morire piuttosto che farsi aiutare da te!”-

A quel punto Eliza divenne paonazza. Forse per il fastidio o per la vergogna, fatto sta che divenne rossa e che, perciò, il prussiano scoppiò a ridere.

-”Brutto, ingrato, se non ci fossi stata io a quest'ora saresti sotto terra!”-puntò un dito verso il prato, quasi tentasse di rendere il concetto più chiaro.

Gilbert ridacchiò di gusto, cominciando a pensare, tra sé, che forse non era poi tanto male questa ungherese (o era inglese? Non lo capirà mai).

-”Ah! Se ti riaccadrà ed io ti starò davanti, stanne certo, che non ti aiuterò, anzi, girerò i tacchi e me ne andrò per la mia strada!”-lo disse ma mentì, sia a lui, che a sé stessa.

Ed intando Gilbert si voltò nuovamente a guardarla.

Già, diversamente dalle altre volte, ora la vedeva bella. Sorrise amaro, che fosse stato quell'attacco di poco fa a fargli quell'effetto?

Si portò una mano al capo, scoprendo che gli doleva. Lo sguado ancora su di lei.

Probabilmente era vero, se non ci fosse stata in quel momento, sarebbe morto. Sospirò, per poi lasciarsi andare ad un ghigno strafottente.

Già, probabilmente non era tipo da soffrire d'asma.

-”Smettila di sorridere come un deficente, dico sul serio!”-gli urlò lei.

Gilbert si portò una mano sul petto, sentendo il cuore battere regolare.

Ma probabilmente era tipo da attacchi di panico e, ciò, non gli piaceva per niente.

---------------------------------------------------------------------
Note

Ok, rieccomi! Spero che qualcuno tra di voi sia tornato dalle vecanze e che abbia tempo\voglia di continuare a seguirmi! Ecco qui il seguito, spero che la storia continui a piacervi, fatemi sapere quello che ne pensate!
Baci a tutti,

Honodetsu:D

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Axis Powers Hetalia / Vai alla pagina dell'autore: Honodetsu