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Autore: MrsCrowley    27/08/2013    0 recensioni
Ognuno di noi ha un modo diverso di reagire alle situazioni. C’è chi semplicemente sprofonda in un oceano da dove non riesce più a risalire, chi cerca di vedere il lato migliore di tutto e poi ci sono quelli della peggior specie, chi contraccambia ogni cosa con la stessa moneta.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2.

L’ultimo nemico che sarà sconfitto è la morte


Stanco, un ragazzo ormai non più tanto giovane e dallo sguardo blu elettrico scese giù dal letto. Viveva ancora nella grande casa dei suoi genitori. Non l’aveva abbandonata, e i suoi gli avevano concesso di fare qualsiasi cosa avesse voluto, di godersi appieno gli ultimi giorni di vita che gli spettavano. Non che avesse bisogno del loro consenso,  Adrian. Alzò gli occhi puntandoli verso la finestra, dove splendeva un cielo blu come i suoi occhi. Si sentiva stranamente felice, euforico. Quella sarebbe stata la sua ultima settimana di vita e lui aveva una lista lunghissima di milioni di cose che avrebbe voluto fare prima di lasciare questa vita. Non aveva paura della morte, una volta che fosse giunta l’avrebbe salutata come si fa con una vecchia amica.
Una parte di lui, aveva sempre saputo che sarebbe finita così. A dire il vero pensava di restarci secco a ventisette anni, in una stanza d’albergo, sopraffatto dal suo stesso vomito. Non era stato così però, sarebbe morto nella lussuosa residenza dei suoi genitori, con qualche anno di più dietro le spalle.

***

Chi sa che la vita non sia un morire; e ciò che noi denominiamo morte, non si chiami laggiù vita?
Così diceva Euripide, e fino a un mese fa la pensava anche lui così. La morte era solo un ciclo, nient’altro che l’inizio di una nuova era. La morte era ciò che per il bruco era la larva, qualcosa di ignoto da cui nasce però una splendida farfalla. Lui non ne aveva paura. Non ne aveva paura fino a quando, durante un controllo in ospedale, una bionda infermiera si era avvicinata a lui. Spavaldo Adrian credeva di aver fatto colpo, ma gli cadde addosso una doccia d’acqua gelata che placò per sempre la sua eccitazione.
- Tu sei malato, gravemente. – gli era stato detto così, senza forse il minimo tatto. Come se sapere le cose in quel modo sarebbe stato più facile.
- Non è vero. – aveva risposto prontamente, alzando un sopracciglio. Quante volte aveva lottato contro quel pregiudizio? Per tutti, drogarsi significava essere malati. Volevano capirlo una buona volta che non era così?
- Le cartelle cliniche parlano chiare. Lo abbiamo trovato nel tuo sangue – rispose la donna con cipiglio severo, usando però lo stesso tono conciliante che si usa con i bambini. Adrian sentiva il sangue nelle vene ribollirgli, lo stava trattando come un deficiente?
- Solo perché tu non hai mai provato la bellezza di una siringa, non significa che io sia malato. Mi drogo, e ne vado fiero. Ne sono felice. – rispose con fare provocatorio, passandosi una mano tra i capelli scuri. La ragazza si sedette accanto a lui, prendendogli una mano.
- Hai mai condiviso le siringhe? – chiese incuriosita, fissandolo. Lui annuii stancamente, le condivideva spesso, non gli bastavano tutti i soldi che i suoi gli passavano, ormai doveva spararsi uno schizzo ogni quattro ore e la roba costava vertiginosamente. Effetto della crisi del cazzo e di tutti quegli stupidi ragazzini che iniziavano a drogarsi soltanto per il gusto dello sballo e non lasciavano più la roba per chi ne aveva davvero bisogno, come lui.
- Lo immaginavo. – riprese la ragazza. Lo stava irritando, voleva sentirsi chiedere dove stava andando a parare? No, lui non era il tipo che gliel’avrebbe lasciata vinta con così tanta facilità. Alzò gli occhi al cielo, incrociando le braccia al petto ignorandola.

***

- Hai contratto il virus, Adrian. – disse la voce spezzata di sua madre, entrando in camera sua quel pomeriggio. Cos’avevano tutti quel giorno, a continuare a ripetergli che era malato? Il ragazzo finse di star dormendo, e la donna piangendo si avvicinò a lui.
- Dio, perché mi hai fatto questo? Il mio unico figlio, un tossico. E morirà tra un mese, me lo stai portando via, perché? – Adrian sbarrò gli occhi irritato. Guardò in cagnesco sua madre, che si raggomitolò sulla sedia, continuando a stringergli la mano e piangendo silenziosamente.
- Dio non esiste, ma’ – fece lui, alzando le spalle. Alla stronzata del Paradiso non aveva mai creduto, e i suoi spesso lo avevano rimproverato per questo, ma lui non era un allocco. Lui era un tipo forte, uno che sapeva come stavano le cose. E Dio non era altro che pura immaginazione.
- Ti ho appena detto che sei malato, e tu.. tu rinneghi Dio? – domanda sbigottita. Quella donna che l’aveva portato in grembo, adesso guardava il figlio di fronte a lei senza neanche riconoscerlo. Gli occhi ancora umidi, le divennero d’un tratto vuoti e vitrei, come se avesse perso l’anima. Ma si può vivere senza anima, a patto che cuore e cervello continuino a funzionare. È un’esistenza orribile e atroce, non hai più la consapevolezza di essere, non hai più i ricordi. Ma vivi. La donna si aggrappò con le unghie sulla sedia, guardando verso il figlio.
- Era un rischio che sapevo di poter correre. Ho l’AIDS, e allora? La state facendo troppo tragica – si lamentò lui, per nulla preoccupato. Negli occhi azzurri brillò un lampo di sfida. Si era preso tutto dalla vita, non aveva rimpianti, perché avrebbe dovuto temere la morte? Quella per lui sarebbe stata soltanto un’altra splendida avventura.
- Cosa stai dicendo? – chiese confusa la donna, aveva la sensazione che suo figlio avesse perso il senno.
- La morte è l’ultimo nemico che sarà sconfitto infondo, no? – gli chiese con un ghigno, lei scosse la testa.
- Tu sei pazzo! La droga ti ha annebbiato anche il cervello! – sbottò lei piangente, meritandosi un’altra truce occhiata dal ragazzo. Non lo riconosceva più.
- Mi sbagliavo ma’. Il pregiudizio è l’ultimo nemico che sarà sconfitto. – disse, chiudendo gli occhi. Per lui il discorso era chiuso, non aveva più senso continuare. Aveva un mese di vita, e in questo mese avrebbe fatto tutto quello che ancora non aveva fatto.

***

L'unico modo per sconfiggere la morte consiste nel non temerla. Lui non ne aveva paura, lui era pronto. Erano passati trenta giorni da quando aveva saputo di dover morire, il suo mese era praticamente finito, ma non ci faceva troppo caso. Guardò il cielo stellato, quel blu intenso gli diede un poco di calore. Si sentì stranamente più vivo, più vivo di quanto fosse stato in tutti quegli anni. E iniziò a tornare in dietro con la memoria, indietro nel suo passato. Chissà che fine avevano fatto quegli altri due ragazzi che aveva conosciuto ad Amsterdam quella sera e con cui aveva diviso così tante esperienze. Loro forse erano stati sfortunati, non erano ancora malati.
Chiuse gli occhi, assaporandosi il torpore del sonno. Non voleva pensare alla droga, al sesso, all’alcool o alla malattia adesso. In quei giorni si era dato alla pazza gioia, aveva fatto di tutto. Distratto, aprì gli occhi per guardare il cielo e vi si specchiò. Gli parve di volare in esso, sospinto dal vento che accarezzava piano il suo corpo.
Era una sensazione bellissima.
Lui aveva sempre desiderato di poter volare, volare davvero, non salire su un aereo o cose del genere. Voleva librarsi in aria, non poteva chiedere di meglio.

***

Un urlo terrificante riempì l’aria. La donna aveva salito le scale come tutte le mattine per andare a svegliare suo figlio. Ma suo figlio aveva gli occhi spalancati, rivolti verso la finestra, e un sorriso vittorioso dipinto sulle labbra. Un sorriso sognante. Un brivido percorse la schiena della donna, mentre si accasciava a terra, prendendo la mano ormai fredda del ragazzo, e portandosela sulle labbra.
Una madre non dovrebbe mai sopravvivere a suo figlio. Si rimproverava aspramente per essere vissuta più a lungo di lui. Guardò gli occhi blu del ragazzo – i suoi stessi occhi blu – e fece una cosa che mai nessuno si sarebbe aspettato da lei. Andò in bagno, e prese la siringa del figlio. Non la iniettò di nulla, ma se la ficcò nelle vene. Voleva prendere anche lei quel virus.
Voleva morire, e raggiungere suo figlio. Ma non voleva sporcarsi il sangue con la droga. Poi ripensò amaramente alle parole del figlio.
L’ultimo nemico che sarà sconfitto è il pregiudizio.
Ah sì? Chiese contrariata. Cercò le pasticche, frugando in tutti i cassetti. Alla fine le trovò.
Una. Due. Tre. Quattro. Cento. Poi perse il conto. Si trascinò vicino al figlio, abbracciandolo e mettendo in bocca un’ultima compressa.
- Ce l’ho fatta. L’ho sconfitt…- sussurrò, specchiandosi nei suoi occhi.
Vennero ritrovati così, alla sera, quando un uomo tornava da lavoro per cenare con la sua famiglia. Su quella casa aleggiava uno strano profumo di morte e disperazione.

Ma lui, Adrian, dalla vita si era preso tutto. E adesso era pronto a volare, nel cielo blu.
  
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