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Autore: Mon    27/08/2013    0 recensioni
Sherlock sentì il rumore della chiave girare nella serratura della porta del 221B di Baker Street, la sentì cigolare, immaginandosi tutti i movimenti che la persona che l’aveva aperta stava facendo. Vide la sua mano poggiarsi sulla maniglia per poi richiudere piano la porta, vide la figura dirigersi verso i 17 gradini che portavano al piano superiore e poi sentì quella persona armeggiare con qualcosa in cucina. Il dottore era tornato.
Sherlock chiuse gli occhi, adesso era davvero pronto per dormire.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era avvenuto un omicidio la sera prima, la polizia ancora non era riuscita a trovare un senso a tutta la storia, Lestrade, disperato, aveva deciso di cercare Sherlock Holmes. 
L’ispettore aveva scelto il momento sbagliato per arrivare al 221B di Baker Street. Quando mise piede nel salotto sia John che il detective avevano il viso rivolto verso le scale. Lo videro entrare, si allontanarono l’uno dall’altro. John andò a sedersi sulla sua poltrona, Sherlock si avvicinò all’ispettore, scrutandolo da capo a piedi con le mani dietro la schiena. «Non dormi da almeno 24 ore, immagino che tu abbia bisogno di una mano.»
«C’è stato un omicidio la scorsa notte, abbiamo provato e riprovato a cercare un collegamento a tutti gli indizi che abbiamo trovato, ma...» Si avvicinò di più a Sherlock e continuò con voce più bassa, come se avesse paura che qualcuno potesse sentirlo: «Che rimanga tra noi, non ci abbiamo capito niente.»
Sul viso di Sherlock si stampò un leggero sorriso; John vide la reazione del suo amico e non poté fare a meno di pensare che, sotto sotto, stesse provando piacere per il fatto che la polizia si era dovuta rivolgere a lui per trovare un filo logico agli eventi.
«È normale che non riusciate a trovare la soluzione, soprattutto se fate lavorare uno come Anderson!»
Lestrade sbuffò, John, invece, sorrise; era più forte di lui, anche a chilometri di distanza, senza il diretto interessato presente, Sherlock doveva rimarcare il suo eterno conflitto con Anderson.
«Dammi il tempo di vestirmi e sono subito da te!» Sherlock, con fare teatrale, svolazzò nella sua vestaglia blu verso la sua stanza. Il poliziotto si girò verso John che aveva ascoltato la conversazione; gli fece segno di accomodarsi sul divano, prese il suo quadernetto nero e una penna e chiese: «Greg, dimmi qualcosa di più su quello che è successo, così inizio a farmi un’idea.»
Lestrade cominciò a raccontare; era stato trovato il corpo senza vita di una donna all’interno di un appartamento del centro di Londra, alcune macchie di sangue erano state rinvenute vicino al cadavere, il corpo presentava una sola ferita ad un fianco. Il sangue era stato fatto analizzare, apparteneva a due persone diverse, una era la vittima, l’altra ancora non aveva un nome.
«È possibile che la vittima si sia difesa prima di morire, il sangue probabilmente appartiene al suo aggressore.» disse John.
«È quello che abbiamo pensato tutti, ma sotto le unghie della vittima non sono state trovate tracce di epidermide che facciano pensare ad una colluttazione e intorno non ci sono oggetti che possono essere stati usati per ferire il presunto omicida.»
«Magari l’assassino l’ha portato via con sé. Cosa si sa sul conto della vittima?» chiese John.
Lestrade si passò le mani sul viso e disse: «Niente, era senza carta d’identità, senza nessun segno di riconoscimento e non era la proprietaria dell’appartamento dove è stato trovato il corpo.»
«Il proprietario chi è?»
«Un signore di 85 anni che mi ha assicurato, facendomi vedere tutti i documenti, che quella casa era disabitata da un paio di mesi.»
«Il proprietario precedente dov’è?»
«Adesso vive e lavora in America per un’importante compagnia di assicurazioni.»
«Potrebbe essere tornato qui per regolare dei conti che aveva in sospeso...» suggerì John.
«Impossibile. Abbiamo già controllato. Ieri è andato regolarmente al lavoro.»
Sherlock uscì dalla sua stanza, vestito con una camicia bianca, la giacca e i pantaloni neri; prese il suo impermeabile e se lo gettò addosso, la sciarpa blu la legò velocemente al collo poi disse: «Lestrade ho subito bisogno di fare un sopralluogo sul luogo del delitto e di vedere il cadavere, John riassumimi tutto quello che l’ispettore ti ha detto. Andiamo!»
John seguì Sherlock giù per le scale, Lestrade li seguì silenzioso.

***

Sherlock osservava la scena del delitto nei minimi particolari, spostandosi da una parte all’altra della stanza, gesticolando e sussurrando, tra sé e sé, parole incomprensibili. Controllò tutti gli angoli più nascosti con la lente d’ingrandimento, si chinò per controllare il luogo dove il corpo della vittima era stato trovato e lo studiò con particolare attenzione.
Lestrade lo guardava lavorare e ascoltava attentamente ciò che il detective aveva da dire riguardo al caso, John, con le mani dietro la schiena, ascoltava, invece, distrattamente. Era una sensazione diversa rispetto a tutte le altre volte quella che stava provando quella sera il dottore; erano sul luogo di un delitto, pronti per iniziare un nuovo caso insieme, ma l’unica cosa a cui John riusciva a pensare era ciò che sarebbe potuto succedere poco prima, nella loro casa di Baker Street, se Lestrade non fosse arrivato a disturbarli con una precisione degna di un orologio svizzero. John aveva avuto la sensazione che Sherlock stesse finalmente per dirgli qualcosa che lui avrebbe sicuramente ricordato per sempre; stando accanto al suo detective aveva imparato a osservare le cose attentamente e, grazie a questo, aveva visto che gli occhi del suo compagno stavano parlando per lui. Avrebbe voluto sentir pronunciare qualcosa di diverso dalla profonda voce di Sherlock, almeno per una volta, qualcosa che non riguardasse il lavoro, ma proprio quello era andato a bussare, inesorabile, alla porta del 221B di Baker Street.  
Il dottore alzò lo sguardo quando si sentì chiamare dalla voce del moro. «John, sto parlando con te!» disse, avvicinandosi all’amico. Lui guardò Sherlock e fece un piccolo cenno del capo. «Allora, cosa ne pensi?»
Il biondo incontrò gli occhi dell’amico e abbassò lo sguardo sul punto dove il corpo della donna era stato rinvenuto. «Non stavo ascoltando attentamente. Scusami Sherlock.» Il detective si avvicinò all’orecchio del dottore e gli sussurrò: «Ho bisogno che tu resti concentrato, ho bisogno del tuo aiuto John.»
Il biondo annuì, Sherlock si allontanò da lui e, ricominciando a girare per la stanza, illustrò nuovamente tutti i dettagli che aveva osservato. Dopo aver chiesto nuovamente l’opinione di John, che stavolta si fece trovare pronto, si rivolse a Lestrade. «Devo andare in laboratorio, ho bisogno di controllare un paio di cose. Chiama Molly e dille di farsi trovare pronta.»
«Sherlock sono le dieci di sera!» protestò Lestrade.
«Ho detto chiama Molly.» rispose il detective, in tutta tranquillità.

***

Sherlock scese dal taxi, lasciò la portiera dell’auto aperta, John lo seguì. Erano le due di notte, il detective aveva appena finito di lavorare nel laboratorio dell’ospedale.
Insieme, i due, salirono le scale del 221B di Baker Street, Sherlock continuava a parlare. Arrivati al piano superiore, il detective si tolse la giacca e si andò a sedere sulla sua poltrona, accavallò le gambe, congiunse le mani e le portò sotto al mento, cominciò a guardare un punto nel vuoto. John lo fissò; sapeva benissimo cosa stava facendo il moro, pensava. Sospirò, si tolse la giacca e decise di andare a dormire.
«Buonanotte Sherlock.» disse.
Il detective alzò leggermente la testa, quanto bastava per controllare se davvero John stava uscendo dalla stanza. «Dove vai?» si affrettò a chiedere.
Il dottore si girò. «A dormire. Non credo che tu adesso abbia bisogno di me, devi pensare giusto?»
«Penso meglio se tu stai qui con me.»
John alzò un sopracciglio. «Hai il tuo teschio no?»
Sherlock spostò lo sguardo di ghiaccio sulla scatola cranica poggiata sullo scaffale sopra al caminetto, poi volse di nuovo lo sguardo verso John. «Lui non risponde.»
«Nemmeno io stasera sarei in grado di farlo. Buonanotte Sherlock.»
John fece pochi passi e si ritrovò il moro davanti, a bloccargli il passaggio. «Ho bisogno di te...» disse Sherlock. «Cioè, voglio dire, mi serve il tuo aiuto.» si corresse subito, cancellando quella piccola speranza che si era accesa in John quando il detective aveva pronunciato la prima parte della frase. Sbuffò, tornando indietro. Rimase in piedi in mezzo alla stanza, guardò Sherlock e chiese: «Esattamente cosa dovrei fare?»
«Resta qui, c’è sempre qualcosa da fare...»
John roteò gli occhi. «Possibile Sherlock che tu non capisca?»
Il detective aggrottò la fronte. «Non capisco? Cosa?»
«Che avrei bisogno di una spiegazione...»
Sherlock continuava a guardare John con aria perplessa; il dottore si avvicinò a lui e lo guardò dritto negli occhi. «Non ti viene in mente che forse avrei bisogno di una risposta a quello che ci siamo detti, ormai parecchie ore fa, prima che Lestrade arrivasse a sottoporci il caso?»
«Oh, quello...» rispose Sherlock, quasi in un sussurro, abbassando lo sguardo.
«Te ne eri già dimenticato, vero? Troppo preso a cercare di risolvere il caso! Facciamo così, ne riparliamo quando questa storia sarà finita.»
John fece per andarsi a sedere, ma un “no” sussurrato dalla profonda voce di Sherlock lo fece voltare verso il detective. «Voglio dire, se ti serve per avere la mente libera da altri pensieri, possiamo parlarne adesso.»
«Non sono io che ne devo parlare, Sherlock. Sai già quello che penso.»
«John...» Il detective si schiarì la voce, cercando di darle un tono più sicuro. «Io non sono bravo in queste cose, non so cosa si fa in questi casi, non so nemmeno quali sono le cose giuste da dire.»
Il dottore si avvicinò leggermente di più a Sherlock. «Basta solo che tu mi dica che non puoi fare a meno di me, non solo dal punto di vista lavorativo, non solo come amico, perché io è questo che sento.»
Sherlock abbassò lo sguardo. «Possibile che...» si schiarì nuovamente la voce. «... che tu, con tutte le donne che hai avuto e con tutte quelle che potresti avere, abbia voglia di passare le giornate con me?»
John sorrise. «Si, di tutte quelle non mi importa, quello di cui mi interessa davvero sei e sarai solo tu.»
Sul viso di Sherlock si stampò un timido sorriso, alzò lo sguardo ed incontrò quello di John. Il dottore si avvicinò leggermente, sfiorando nuovamente la mano del detective, così come aveva fatto qualche ora prima. Stavolta non arrivò nessuno ad interromperli. Il moro abbassò leggermente la testa, portandola più vicina a quella di John.
«Lascia cadere quel muro che ti sei costruito intorno, fallo per me Sherlock.» John avvicinò ancora di più il viso a quello del suo compagno, tanto da poter sentire il respiro caldo del detective. Lui non lo guardava negli occhi, fu compito di John far si che questo accadesse. Si sporse verso il moro e gli sfiorò le labbra, Sherlock, a questo punto, alzò lo sguardo verso di lui. John gli sorrise, il detective, timidamente, ricambiò.
«Aspettavo che ti accorgessi di me da molto tempo...» sussurrò Sherlock.
«Non osservavo, da quando ho cominciato a farlo, ho capito.»
Il detective sorrise, compiaciuto. «Te l’ho sempre detto io!»
«Oh avanti. Perché devi rovinare un momento come questo!»
«Scusa...» si limitò a dire il detective.
«Accetto le scuse solo se tu adesso mi dai un bacio.»
Sherlock inghiottì, John si sporse leggermente verso di lui e lo guardò; non staccò lo sguardo fino a che le labbra di Sherlock si poggiarono delicatamente sulle sue, a quel punto chiuse gli occhi, lasciandosi andare.
Quando si allontanarono, John fissò il compagno, in attesa di un riscontro. Sherlock gli regalò un sorriso, uno dei più belli che gli avesse mai visto. Il dottore, sollevato, ricambiò.
«Adesso possiamo tornare alle nostre indagini.» concluse John. «Ad una sola condizione però...»
Sherlock sbuffò. «Cosa c’è ancora?»
«Che adesso ci sediamo sul divano e io possa stringerti e tenerti vicino a me.»
«Accetto.»









Salve!! 
Dico solo una cosa: che faticaccia! Per fare questo capitolo ho sudato sette camicie. Ho il timore di essere andata OOC e probabilmente l'ho fatto davvero, ma dopo aver pensato e ripensato, mi piaceva finirla così. 
Il titolo del capitolo, così come il titolo della storia, l'ho preso in prestito da una canzone di un gruppo americano: gli All Time Low. La canzone è bellissima, si chiama come la mia storia appunto. Detto ciò, ringrazio tutti quelli che hanno seguito il mio primo tentativo nel fandom di Sherlock e grazie delle recensioni. 
Non sarà la prima e l'ultima, adesso che ho cominciato, non so se vi libererete facilmente di me. Sempre che abbiate ancora voglia di leggere i miei scleri. 
Grazie ancora e alla prossima.
Mon.

  
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