Cap. IV°
Anima insanguinata
-Il nostro Hiwatari si è scoperto
un cuore a quanto pare…- commentò Borgof, ghignando al di sopra delle mani
riunite. In piedi davanti alla scrivania, Kei lo fissava con la sua solita aria
di fredda indifferenza. –Non credere che non abbia notato il tuo giochetto con
Huznestov… Cos'è, Ivanov aveva bisogno che qualcuno gli tenesse la manina mentre
si lamentava?
Il blader rimase in silenzio
senza reagire minimamente. Nemmeno i suoi occhi mostrarono una qualsiasi
emozione: pozze viola, imperscrutabili e glaciali. Non concedeva mai al mondo di
scoprire i suoi pensieri o cosa provasse: la scuola di quell'uomo gli aveva
fatto da maestro.
-Oppure è andato a curarlo come
una brava infermiera?- proseguì lo pseudo monaco. –In questo caso lo spettacolo
sarà ancora più divertente…
Spettacolo?! Che diavolo aveva in
mente quel pazzo? A giudicare dalla sua espressione sadica, nulla di buono. E
l'ipotesi prese corpo quando udì bussare alla porta.
-Avanti.
Yuri entrò con passo malfermo,
senza la sua abituale baldanza. Pareva un cucciolo spaventato, maltrattato,
incatenato…
Gettò uno sguardo interrogativo
al dominatore del fuoco, ma questi non sapeva rispondere a quella muta
domanda.
-Yuri…eccoti qui- esordì Borgof,
alzandosi e svelando ad entrambi l'arma di tortura che teneva in mano. La sua
preferita: la frusta chiodata. –Vedi, il nostro caro Hiwatari ha voluto fare
l'eroe- continuò, avvicinandosi ai due. –E ora riceverà la punizione per la sua
bravata. Purtroppo, sai bene che non posso sfiorarlo, il signor Hito tiene
troppo a lui. Quindi sarai tu a pagare al suo posto…in fondo, penso che questo
gli farà molto più male di qualunque tortura…
La frusta calò sulla schiena di
Yuri, gettandolo a terra e riaprendo ferite che non riuscivano mai a
rimarginarsi. Macchie rosse si ampliarono rapidamente sul tessuto candido della
tuta lacerata del ragazzo, che stringeva le labbra fra i denti per impedirsi di
urlare.
Un altro colpo…e un
altro…
Le punte della frusta iniziavano
a grondare sangue.
Kei assisteva impotente a quella
violenza che lui stesso aveva causato: se fosse stato più attento, Borgof non si
sarebbe accorto del suo patto con Boris. Quello spettacolo gli stava straziando
il cuore, ma non poteva fare niente, se non serrare gli occhi, sussultando ad
ogni schiocco.
Aveva provato una volta a
fermarlo, a frapporsi…e Yuri aveva sofferto il doppio.
Non poteva fare altro che
aspettare: se quel testardo avesse urlato, sarebbe finito tutto. Invece si
ostinava a resistergli, a impedirgli quella soddisfazione. E intanto la felpa
lacera mostrava la pelle bianca costellata di ferite, dove rivoli cremisi
scorrevano come fiumi in piena.
Infine le grida, quasi esplose
dalla gola di Yuri e la frusta si placò.
-Spero che la lezione ti sia
servita, Kei. Puoi andare.
Il giovane esitò un istante,
obbligandosi a non guardare l'amico al suolo. Poi si voltò e
uscì.
-E ora veniamo a noi, Ivanov. La
perdita del bit-power è inaccettabile.
-Lo…lo ritroverò…signore…-
mormorò rialzandosi con enorme fatica, avvertendo il sangue scorrergli lungo
tutta la schiena.
-Sarà molto meglio per te, se non
vuoi diventare la mia cavia… Ho giusto dei nuovi attrezzi che hanno bisogno di
una prova- ribatté Borgof. –E non pensare di approfittarne per scappare: ti
troverei anche in capo al mondo, lo sai.
Eccome se lo sapeva. Gli agganci
di quell'uomo erano fitti come una ragnatela e arrivavano ovunque. Gli sarebbe
bastato uno schiocco di dita per riacciuffarlo. E non sarebbe sopravvissuto alla
sua vendetta.
Il lupo uggiolava e piegava il
capo di fronte a lui. Non aveva alternative. Non ne aveva mai
avute.
-Partirò…alla sua
ricerca…
-Perfetto.
Yuri si congedò, lasciando
l'ufficio con l'ultimo granello di dignità che gli fosse rimasto. Dignità che
perse appena la porta si chiuse alle sue spalle: si abbandonò al dolore,
crollando sfinito. Un altro incontro come quello e non avrebbe visto l'alba
successiva. Sentiva la schiena ridotta a un ammasso di carne umida e vischiosa.
E la sofferenza era indescrivibile.
Gettò uno sguardo alla fine del
corridoio, dove si trovava la sua stanza. Non gli era mai parsa così distante e
quei cunicoli così impervi. Non ce l'avrebbe fatta…
-Yuri…- Avvertì una voce accanto
a sé. La vocina squillante e argentina del suo spiritello.
-Dimlè…-
sussurrò.
La creatura lo osservava con gli
occhioni sgranati: era nuovamente ridotto in quello stato… Ma cosa accadeva in
quel posto? Chi poteva fare del male a un suo simile, per di più così giovane?
Per lei era inconcepibile: gli spiriti erano pacifici e mai si sarebbero feriti
tra loro… Gli umani erano diversi…si colpivano pur sapendo cosa si provasse,
cosa fosse il dolore…
Forse non sarebbe mai riuscita a
capirli.
Aiutò il ragazzo a raggiungere la
camera, entrando in contatto con quel liquido rosso che chiamavano sangue. Era
caldo e sotto alcuni aspetti le ricordava la linfa degli alberi. Era quella
sostanza a farli vivere, a donare quel tepore che emanavano i loro
corpi.
Il russo si stese sul letto a
pancia in sotto, riprendendo respiro. Era svuotato, violato, umiliato…Borgof lo
aveva privato di ogni cosa. Una bambola consumata
dall'uso…
Un tempo, quand'era bambino,
aveva creduto in un dio: era bello pensare che qualcuno vegliasse sull'umanità,
punendo i malvagi e premiando i giusti…
Poi aveva imparato sulla sua
pelle che, in un mondo d'ingiustizia, non potevano esistere eroi da premiare.
C'erano solo persone crudeli che imponevano la loro cattiveria e la loro
autorità, lacerando le anime di innocenti.
Il figlio di Dio non aveva
tollerato le violenze sui bambini.
Se aveva permesso che a loro
venissero fatte, forse era perché le meritavano. Oppure li aveva abbandonati
anche lui, come il resto del mondo, che preferiva ignorare ciò che accadeva lì
dentro.
Delle lacrime incontrollabili gli
solcarono le guance scavate. Doveva esserci un po' di pace anche per lui da
qualche parte…doveva o vivere non avrebbe avuto senso. Eppure quella speranza
era sempre più flebile e lontana, sfocata nelle ombre che attanagliavano il suo
cuore, persa nei costanti orrori che lo attendevano appostati in ogni
angolo.
Sussultò quando dita gelate gli
accarezzarono la schiena martoriata, allontanandosi di colpo alla sua reazione.
Dimlè si ritrasse, credendo di avergli fatto male.
-Scusa…- disse
dispiaciuta.
-No…è stata solo…l'abitudine…-
rispose, rilassandosi sotto la mano dello spirito che, con un fazzoletto, gli
tamponava le ferite. Nessuno oltre a lui poteva vedere Dimlè e questo lo salvava
dalle punizioni: non sapeva come facesse, ma Borgof riusciva sempre a scoprire
ogni cosa che accadeva fra quelle mura ed era pronto a far pagare cara la
disubbidienza.
L'unico a non aver assaggiato i
suoi strumenti di tortura era Kei, protetto dal suo nome. Ma non era da
invidiare: un passo falso, e altri pagavano al suo posto, com'era successo quel
giorno.
No, lo stato del dominatore del
fuoco non era assolutamente invidiabile.
-Sai…come
sta…Wolborg?
-Immagino stia bene: è padrone
della neve e del ghiaccio. È a casa sua.
Casa…Yuri non aveva un posto che
potesse definire in quel modo. aveva soltanto una prigione di doveri e di scelte
sbagliate, costruita da un passato che camminava al suo fianco. Il suo Lupo
doveva essere felice…forse non era giusto rinchiuderlo nuovamente nel
bey.
Forse…ma ci avrebbe pensato più
tardi…
Dimlè si accorse che era
scivolato nel sonno, sfinito da quella vita crudele e violenta. Stese un panno
pulito sul suo dorso, poi lo coprì.
-Riposa, Yu… Domani avrà inizio
la tua avventura.
In lontananza, l'ululato del Lupo
struggeva i cuori degli abitanti della steppa, cavalcando deserti di ghiaccio e
città, fino a raggiungere la sua anima gemella…
E intanto tu, inverno, tu
continua a cantare…porta nel vento l'eco delle voci di un tempo
passato…