Fanfic su artisti musicali > Justin Bieber
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Autore: breathrauhl    29/08/2013    2 recensioni
"in quel momento anch'io avevo ripreso a vivere, avevo ritrovato me stessa nel suo battito cardiaco"
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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And I try to fix you.
 
 “Dovrei rivestirmi..”
Disse mentre aveva la testa calata e guardava il mio indice toccare la ferita sul suo petto nudo.
“Oh scusami” avevo l’imbarazzo che si leggeva in faccia ma ero abile nel nasconderlo e fui subito pronta ad aprire un nuovo discorso.
 “Okay ti lascio vestire quando hai fatto mi trovi in camera”
Annuì.
Io ritornai in camera e mi buttai sul letto sprofondando tra un sospiro e l’altro.
Chiusi gli occhi.
Attimi di pace che furono interrotti dalla voce di mia madre.
“Hanna cosa vuoi per cena?”
Dio buono Justin era ancora in bagno.
Mi catapultai dal letto e andai in corridoio,mia madre stava per aprire la porta del bagno e avrebbe scoperto Justin,il mio cuore iniziò una corsa velocissima che stava per traforarmi il petto.
“NO” urlai senza contenermi.
 Mia madre mi guardò preoccupata e la sua faccia si era trasformata in un enorme punto interrogativo.
“No che non voglio che tu cucini”
“Hanna devi mangiare”
Mi presi due secondi per rispondere visto che il mio cuore aveva partecipato ad una maratona estiva e stava per esplodere,ripresi fiato e risposi.
“Okay va bene”
 “Vuoi qualcosa in particolare?”
“Ahm,non saprei..”
 “Ho capito,vedo io che fare”
Mi diede un bacio sulla fronte e scese le scale,probabilmente per andare in cucina.
“Credo che tra una mezz’ora sarà pronto tutto okay?”
“Okay mamma”
Sentii la porta del bagno aprirsi e scorgere il suo ciuffo biondo per far capolino ai suoi occhi miele.
Tirai un sospiro di sollievo,ormai Justin era un po’ quello,un ‘meno male’ tirato tra un sospiro e un sorriso.
“Posso uscire?”
 Poveretto,sembrava un cagnolino tenuto nel recinto del giardino.
“Scusa io..”
 “Ehi tranquilla”
Si avvicinò e mi tirò per i fianchi facendomi toccare la sua vita.
Di nuovo il mio cuore si ricordò di essere ad una maratona e pompò più sangue che poteva per correre più in fretta e arrivare al traguardo.
Eravamo vicinissimi e non potei evitare di notare,ancora,i suoi addominali e l’asciugamano che gli avvolgeva la vita e che lasciava tutto alla mia immaginazione. Le sue mani mi tenevano la vita e il suo viso accennava un tiepido sorriso ma che per le mie guance equivalevano alla temperatura del deserto del Shara.
Avevo sete.
 La bocca era asciutta e la gola necessitava di acqua,sembrava davvero di essere nel deserto con quaranta gradi all’ombra.
“Ahm..vedo se riesco a trovare qualcosa da metterti addosso”
“Ho il camice dell’ospedale”
“Non se ne parla che ti metti quella robaccia addosso”
Sorrise.
Le sue mani erano ancora sui miei fianchi e quando sentii che stavano stringendo di più,ruppi quella specie di ‘incastro’ che s’era creato e indietreggiai.
 “Ho fatto qualcosa di male?”
“No,scusa io..io vado a vedere qualcosa da farti mettere addosso”
Mi diressi in camera di mia madre e aprii un cassetto.
Fissai i vestiti dentro senza più ricordarmi cosa dovevo fare.
La mia mente ritornò a Justin che mi teneva i fianchi e i brividi mi percorse la schiena.
Sta volta non era piacere.
 
“Hanna facciamo un gioco vieni”
 
Strizzai gli occhi più che potevo per non far uscire le lacrime.
Da quando quel bastardo mi aveva messo le mani addosso le cose con i ragazzi erano complicate. Ricordo ancora quando Jimmy al primo anno di liceo aveva tentato di baciarmi ed io ero scappata via.
Le mani di Justin sui miei fianchi.
Iniziai a rovistare nervosamente tra i cassetti,feci scivolare le ginocchia a terra e guardai quello che avevo combinato.
Vestiti per terra,tutto in disordine.
Oltre ai libri e i vestiti che avevo in disordine,la cosa più disordinata di tutte ero proprio io.
Scossi la testa qua e là e mi concentrai su quello che dovevo fare.
Ripiegai tutto e misi apposto.
Aprii l’armadio di mio padre.
Papà,dov’eri?
 Non ti vedevo da un pezzo.
 Le mie mani accarezzarono tutte le sue camicie tirandone una fuori.
Quella che mise per il mio sedicesimo compleanno.
La strinsi a me e aveva ancora il suo profumo addosso.
Dovevo cercare qualcosa per Justin.
Mi ricordai di una tuta che papà non metteva più perché si era ristretta in lavatrice e non aveva mai dato via.
Rovistai in qualche cassetto e poi finalmente la trovai.
Presi una la tuta blu dell’adidas con le strisce bianche ai lati,una t-shirt bianca e un paio di boxer sperando che gli entrassero.
Tornai in camera e Justin era seduto sul letto.
“Ecco,ho trovato qualcosa che potrebbe starti”
Poggia tutto accanto a lui.
Guardò tutto e riportò lo sguardo verso di me.
“Beh? Cambiati”
Mi voltai e andai a chiudere la porta restando in piedi davanti ad essa.
“Purtroppo siamo ristretti,c’è mia mamma in casa e dobbiamo fare attenzione”
A volte era così silenzioso.
Aspettai qualche minuto prima di riaprire bocca ma mi precedette.
“Grazie”
“Posso voltarmi?”
“Si”
“Senti Justin non puoi restare in camera mia”
“Non so dove andare”
I suoi occhi divennero così innocenti e smarriti alle mie parole che furono un tuffo al cuore.
“Non voglio mandarti via,solo che dovrai stare da un’altra parte”
“E dove?”
“Vieni ti faccio vedere”
Uscii dal corridoio e salii un’altra rampa di scale che portava in soffitta.
Una volta arrivata aprii la porta davanti a me che mi mostrò tutto quello che c’era dentro.
Una piccola finestra al lato della stanza lasciava che la luce illuminasse gli scatoloni di cartone messi uno sul l’altro e i mobili coperti da un telo bianco.
Entrammo e il parquet scricchiolò non appena sentì il mio peso e quello di Justin su di esso.
“Rovere” disse Justin all’improvviso “E’ parquet di Rovere”
“Come fai a saperlo?”
“Non lo so,lo so e basta”
Tornò a scrutare tutto quello che c’era nella stanza come suo solito.
“Lo so che non è un albergo a cinque stella ma è meglio di un ponte bagnato e umido”
“Mi piace”
“Cosa?”
“L’odore del rovere,il pavimento,quella finestra che lascia entrare la luce e combatte per illuminare la stanza dal buio,mi piace”
“Almeno”
Si avvicinò verso un telo che a copriva un mobile abbastanza grande,ma guardai meglio e capii che era un pianoforte.
Justin alzò il telo e scoprì i tasti bianchi e neri del piano. Fece scivolare le sue dita su un tasto ne suonò uno,poi l’altro e un altro ancora.
Era così preso da quella melodia che sembrava sotto l’effetto di un ipnosi.
“Tu suoni?” da quello che sembrava credevo che sapesse come mettere le mani su un pianoforte.
“Non lo so,voglio dire almeno credo di si,è come se qualcosa mi dicesse che già ho toccato questi tasti,so già quali sinfonie hanno,quali sono dolci e quali acuti,si credo che suono,o meglio suonavo”
Potevo capire che era stato felice di ricordare di saper suonare,non smetteva di guardare il pianoforte, moriva dalla voglia di sedersi lì e dare vita alla musica che aveva nelle mani.
“Ti prometto che presto lo suonerai”
“Davvero?”
Gli occhi miele si illuminarono come se mi fossi presentata con un pezzo di torta davanti la porta di un bambino di cinque anni .
“Certo,appena avremo casa libera potrai suonare quanto vuoi”
Sorrise e coprì il piano con il telo.
Mi ero ricordata che in soffitta c’era un vecchio materasso,quello che i miei avevano cambiato perché secondo loro era troppo duro.
Feci un giro tra gli le scatole e vidi il materasso che cercavo.
Mi abbassai per tirarlo ma era al quanto pesante.
Tirai di più,ma con mio dispiacere si mosse solo di qualche centimetro.
“Serve un mano?”
“Si grazie”
Io e Justin tirammo il materasso verso il centro della stanza.
Tolsi il telo che lo copriva e per fortuna non era macchiato o rotto.
“Posso metterlo vicino la finestra? Vorrei vedere la luna prima di andare a dormire”
“Come vuoi”
Tirò il materasso verso la finestra e si sedette tutto soddisfatto di quello che aveva fatto.
“E’ comodo”
Si stese e aprì le braccia e le gambe come se stesse facendo l’angelo nella neve.
“Vieni dai”
Il mio stomaco si chiuse in un pugno.
“Devo scendere per la cena”
Tornò il silenzio a farci compagnia e rendere pesante la stanza più di quanto potessero già fare gli scatoloni e i mobili.
“Ahm,metterò in ordine la soffitta per renderla vivibile e dopo ti porterò delle lenzuola”
“Hanna sto bene così non preoccuparti è già tanto quello che stai facendo”
“Non posso tenerti a pane e acqua,sei mio ospite solo che non sei nella camera degli ospiti”
Scoppiammo a ridere e quella pesantezza si ruppe.
“Ora vado,ritorno appena ho finito di mangiare”
Lasciai Justin sul suo materasso e lentamente chiusi la porta dietro di me.
Scesi le scale e prima di entrare in cucina sentii mi madre parlare con qualcuno.
La voce era familiare e decisi di entrare.
“Hanna!”
Non potevo credere ai miei occhi era Yesica.
“Dio non sai quanto mi sei mancata!”
Ci abbracciamo così forte che dovemmo staccarci perché non riuscivamo più a respirare,ma era la sensazione più bella di tutte,sentire l’amore di una persona attraverso un abbraccio.
 
Yesica mi aveva salvato l’estate scorsa,al campo estivo.
Stavo tentando tagliarmi quando si catapultò verso di me,prese la lametta e la buttò a terra.
“Non hai bisogno di questo per stare bene”
Mi strinse a sè, e il suo abbraccio mi inondò di rassicurazione e speranza per la prima volta.
Yesica era speranza,era credere in se stessi.
Quella ragazza era pura ispirazione.
Era così determinata in tutto quello che faceva che era da invidiare.
Numerose università chiedevano di lei e per poco non facevano a pugni per chi avrebbe avuto l’onore di accoglierla.
Voleva diventare neurochirurgo e son sicura che in futuro ci sarebbe riuscita,di vita ne aveva già salvata una,la mia.
Suo padre era un militare,sfortunatamente era morto durante una sparatoria al Cairo un anno fa.
La determinazione era di famiglia in casa O’Connel,il padre di Yesica le aveva insegnato che ogni errore è fonte di esperienza,ogni caduta fonte di forza. Lei aveva il dono di essere forte più di tutti,ma a volte lo dimenticava,anche se sembrava un sorgente di ferro anche lei la notte si abbandonava alle lacrime,ma sapeva come rialzarsi sapeva come insegnare a farlo,con me ci stava riuscendo.
 
“Resti per cena vero?Mamma può restare?”
Le stringevo la mano mentre non le smettevo di sorridere,ero così felice,avevo dimenticato come ci si sentisse ad essere pieni di gioia.
“Certo che può,ma solo ad un patto”
“Quale?”
“Che mi aiutate a preparare la tavola”
“Ma certo”
Rispondemmo in coro e subito ci demmo da fare,Yesica aveva portato la felicità nel mio cuore.
 
Passammo la serata a ridere e scherzare,riprendendo le vecchie foto di quand’ero piccola e mia madre che annegava nei ricordi.
C’era una certa serenità nell’aria e tutto questo era grazie a Yesica.
 
Justin.
Cazzo Justin era in soffitta,dovevo portargli qualcosa da mangiare.
Mi odierà.
Fantastico.
“Hanna devo andare s’è fatto tardi”
“Di già?”
“Si..ma prometto che verrò spesso,sai ora ho la patente quindi potrò venire senza problemi di bus o metro”
“Non sai quanto mi fa piacere questo,davvero”
“Grazie di tutto signora Moteith”
“Oh Yesica puoi chiamarmi Joann”
“Educazione da padre militare,dovete scusarmi,grazie ancora”
Io e Yesica ci abbracciamo forte quasi come se non volessi farla andare via,l’accompagnai alla porta e ci promettemmo che ci saremmo riviste al più presto.
Abitava a Rosewood ed era un ora di macchina da qui.
“Sii prudente”
“Scrivimi”
“Certo”
La macchina di Yesica lasciò il vialetto e sparì sulla strada.
Già mi mancava.
 
Ritornai in casa e decisi di caricare la lavastoviglie così da mandar mia madre in camera a riposare.
Una volta che mamma salì in camera misi in un piatto la fetta di bistecca che avevo lasciato apposta per Justin,per la quale mamma si era lamentata che non avevo mangiato tutto e presi anche del pane con un barattolo di cioccolata.
Andiamo,il cioccolato piaceva a tutti penso anche a chi aveva perso la memoria,anzi credevo che con un bel cucchiaio di cioccolato qualche ricordo gli sarebbe riaffiorato alla mente.
Caricai la lavastoviglie e subito dopo andai in soffitta senza farmi scoprire da mia madre.
Sembravo un equilibrista con tutta quella roba nelle mani mentre salivo le scale.
Con qualche strana abilità nascosta aprii la porta senza far cadere niente.
Justin era accucciato vicino alla finestra e si teneva le gambe al petto.
Colpa mia.
Mi avvicinai a lui accompagnata dallo scricchiolio del parquet.
"Ehi"
"Ehi"
Non mi guardò,non si scompose neanche un p0’ e restò lì a fissare il vialetto che si vedeva dalla finestra. "Chi era?"
"Chi era chi?"
"La ragazza dalla jeep rossa"
"Una mia amica"
Non rispose.
Mi abbassai con le ginocchia a terra e poggia il sedere sui talloni.
Si voltò.
La luce della luna illuminava il suo viso così da poter ammirare i suoi occhi miele.
"Ti ho,ti ho portato qualcosa da mangiare"
Presi il piatto e glielo porsi.
Senza dire niente mangiò la bistecca in silenzio. Era triste, e dovevo rompere il ghiaccio in qualche modo. "Senti,so che c'è qualcosa che non va, puoi parlarmi se vuoi"
"No, sto bene"
"So che c'è qualcosa che non va, parlamene"
"Oh tu sai che c'è qualcosa che non va?grande, io non mi conosco e tu per quasi quarantotto ore che stai con me hai la presunzione di dirmi che c'é qualcosa che non va, beh vedi un po’ te. Non so chi sono, non so che fare,non so niente,ecco cosa non va"
Era incavolato,acido ed era..stronzo.
Non mi piacque per niente il modo in cui mi aveva risposto,chi si credeva di essere?
Beh, okay magari non lo sapeva neanche lui,ma poteva essere meno arrogante.
Mi alzai di scatto e mi diressi verso la porta.
Non solo lo stavo ospitando/nascondendo a casa mia e si permetteva di fare l'insolente con me?ma fanculo.
"Ora dove vai?"
"In camera mia"
Stavo per aprire la porta quando sentii la presenza di qualcuno dietro di me che mi portò a girarmi. "Hanna"
"Che vuoi?"
"Non rispondermi così"
"Tu non dovevi rispondermi in quel modo,insolente"
"Che cosa? Scusami se ho perso la memoria e non so un cazzo di me!"
"Non c'era bisogno di fare l'antipatico"
Tornò al suo stato primordiale,il silenzio.
"Senti,ci vediamo domani mattina"
Ormai ero davanti la porta e avevo deciso di andare in camera mia.
"Non lasciarmi solo"
Il mio stomaco si accartocciò.
"Puoi restare ancora un altro po’?"
"Come vuoi" rientrai in soffitta e mi sedetti di fronte a lui,vicino la finestra.
"Ti sei mai sentita diversa?"
Aspettai un po’ prima di rispondere e mi passò per la mente tutte le volte che mi avevano affibbiato il soprannome 'Hanna la strana'.
"Ogni giorno della mia vita..si,sono diversa e non sai quanto"
"Io mi sento così,mi sento un alieno,non so niente di niente,qualsiasi cosa io guardi non so se l'ho vista per la prima volta o se già l'ho conosciuta. Non so se ho una famiglia,se mi stanno cercando o se sono dispiaciuti della mia scomparsa non so se ho degli amici, non se ho qualcuno che mi ama"
Si alzò in piedi mettendo una mano tra i capelli tirando le punte,guardò fuori dalla finestra col suo sguardo smarrito ma sta volta i suoi occhi erano stati travolti dalla tristezza,erano scuri e profondi,profondi come un pozzo,per lui pieno di domande e di perché.
Voleva solo trovare la luce per uscire da quel tunnel buio che gli incatenava l'anima.
Con scatto veloce portò le mani alla testa accasciandosi a terra,il mio cuore sprofondò sul parquet di rovere ma non fece nessuno scricchiolio.
"Justin!"
Mi alzai dalla mia postazione con lo stomaco in subbuglio per lo spavento.
"Dio!Questo dolore alla testa ti prego fallo smettere" mi implorò con le lacrime agli occhi mentre stringeva le mani sul capo.
Feci appoggiare Justin sul mio petto e lasciai che le mie mani accarezzassero la sua testa.
"Tranquillo ora passa,sono qui"
Mi dondolai leggermente come se gli stessi intonando una ninna nanna.
Sentivo sulla sua pelle la tristezza e quel senso di vuoto che s'impadroniva di lui,mi sentii impotente. Inutile.
Ecco una delle mie qualità.
Che dire sono un capolavoro,ho tutti i difetti al posto giusto.
"Sono qui Justin calmati ti prego"
Cercai di farlo stendere sul materasso,non mi accorsi che gli tenevo stretta la mano.
Avevo le mie dita che occupavano i suoi spazi vuoti,almeno quelli non si sentivano soli.
Teneva gli occhi leggermente serrati e l'espressione cupa del suo volto iniziò a svanire.
"Hanna"
"Si?"
"Puoi stenderti qui vicino a me?"
Senza che rispondessi continuò con un 'per favore' supplichevole.
Ubbidii.
"Stanotte ho fatto un sogno"
Fece una pausa e aprì gli occhi,guardò il soffitto e continuò.
"Guidavo una macchina,accanto a me c'era una ragazza,capelli scuri,lunghi ma per quanto mi sforzo a ricordare il suo volto non ci riesco. Ad un certo punto la macchina sbanda e si capovolta. La testa mi scoppiava avevo il corpo pieno di dolori e non riuscivo a muovermi,la ragazza vicino a me era.."
"Era come?"
"Era morta"
"Justin sarà stato un brutto sogno"
Inconsciamente gli presi la mano come per tranquillizzarlo e lui si vinto verso di me.
"E se riguardasse il mio passato,voglio dire,la mia vita?"
Avevo letto,su qualche rivista che chi perde la memoria spesso fa dei sogni che riguardano il suo passato. "Non lo so,forse a poco a poco riacquisterai la memoria.."
Rimase in silenzio a guardare il soffitto. Era sempre così quando per la mente passano tanto pensieri,il soffitto diventa sempre interessante.
"È meglio se ti riposi ora"
Non appena finii la frase si voltò e si accucciò sul suo lato del materasso.
Non sapevo che fare,o cosa dire,ancora una volta.
Era meglio lasciarlo solo o restare li con lui ancora per un po’?
Non potevo rischiare di non farmi trovare in camera da mia madre,ma per quanto una parte di me volesse rimanere mi alzai dal materasso e mi diressi verso la porta.
"Buona notte"
La mia prima notte senza Justin.
 
Scesi le scale con la silenziosità che avevo acquistato nelle ultime quarantotto ore e andai in camera. Sospirai come se volessi liberarmi di quella tensione che avevo nei polmoni e ci riuscii.
Sfilai i jeans e li misi sulla sedia,tolsi la maglia e poggiai anche quella lì sopra.
Peccato che non potevo spogliarmi delle preoccupazioni,delle paure.
Portai le mani dietro al collo come per massaggiarlo,sentivo che la stanchezza si stava diramando sul mio corpo.
Chiusi gli occhi e rimasi in piedi nella mia camera.
Il silenzio.
Ricordo quelle volte in cui mi chiudevo in camera e piangevo,il silenzio diventava così assordante e le mie lacrime sempre più salate.
Sentii la mano di qualcuno poggiarsi sulla mia schiena.
Rabbrividii.
Qualcuno mi stava toccando,non mi piaceva.
Mi voltai di scatto.
Era lui.
"Scusa,ti ho fatto paura"
Aveva spostato le sue mani suoi miei fianchi e sentivo il suo calore ramificarsi sul mio corpo.
C'era contatto.
"Per favore non..toccarmi" J
ustin fece scivolare la sua mano via dai miei fianchi.
"Non volevo essere inopportuno,scusa"
Mi accorsi che ero in intimo e lui era davanti a me,ero svestita davanti ai suoi occhi.
"Ti prego esci dalla mia camera" J
ustin mi prese una mano,la mia tensione salì alle stelle.
"Non voglio farti niente,non riuscivo a dormire e sono venuto da te,calmati Hanna"
"Ti prego torna di sopra"
Cercai di prendere la maglia sulla sedia e di coprirmi.
Volevo solo che se ne andasse,ero 'disturbata' dal fatto che ero in intimo davanti a lui.
"Va fuori" dissi con tono duro e deciso.
Justin si voltò e vidi la sua figura scomparire dietro la porta.
Rimasi li a fissare il vuoto.
Si dice di affogare le paure,ma le mie avevano imparato a nuotare.

  
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