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Autore: Claire DeLune    30/08/2013    3 recensioni
Cosa succederebbe se tra Haruka e Rin non ci fosse solo una competizione sportiva, ma anche una amorosa?
Cosa succederebbe se ci fosse un quinto elemento strettamente collegato al passato dei componenti di quel club di nuoto delle elementari? Una ragazza.
E cosa succederebbe se quella ragazza fossi tu?
Ecco l'entrata in scena di un nuovo personaggio molto vicino ai protagonisti, tanto da esserlo lei stessa. Questa ragazza, cresciuta con loro, non ha un nome o un aspetto preciso, perché lei sei proprio tu: la lettrice. E come tale, nella tua mente, lei assumerà il nome e l'aspetta che ognuna preferisce.
҉
(LA STORIA è AMBIENTATA DUE ANNI PRIMA RISPETTO ALL'ORIGINALE, SICCOME MI SONO BASATA SULLA DATA DI PUBBLICAZIONE DELLA LIGHT NOVEL HIGH☆SPEED. POSSIBILE OOC E CAMBIAMENTO DI RATING)
Per chi volesse ricevere avvisi di aggiornamento, specificatelo pure tra le recensioni/commenti. Sarò felice di accontentarvi :)
Genere: Commedia, Sportivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Nuovo personaggio, Rin Matsuoka, Sorpresa
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Legame a Idrogeno'
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1. 
Un tuffo nel passato
 
   Tu e Makoto siete seduti sul tatami intorno al tavolo orientale della sala da pranzo, parallela alla cucina, a parlare del più e del meno. Se non conoscessi bene quel dolce gigante, giureresti che ti sta prendendo in giro per il tuo comportamento di poco prima in bagno.
   Dopo pochi minuti Haruka fa capolino nella stanza ancora in costume. Apre uno sportello da cui estrae una griglia, ci versa dentro un filo d’olio, accende i fornelli e ce la posa sopra. Poi si mette un grembiule da cuoco decisamente poco virile e inserisce un filetto di sgombro nella padella.
   Makoto scatta in piedi incredulo e si avvicina ad Haruka, “Aspetta perché stai grigliando il pesce?!”.
   “Non ho ancora fatto colazione”, ribatte l’altro come se fosse scontato mangiare pesce di prima mattina.
   “E poi stai indossando un grembiule sopra il costume”, continua il primo, “Non hai freddo?”.
   “Non voglio che mi si schizzi d’olio il costume”.
   Ridacchi alla giustificazione di Haruka, pensando che Makoto sarebbe potuto arrivarci anche da solo.
    Certo che ha proprio un bel fisico... Chissà come sarebbe, se non avesse smesso con il nuoto agonistico.
   Immediatamente nella tua mente compare un viso. Rivedi i suoi capelli cremisi incapaci di stare al loro posto; gli occhi, un tempo scintillanti di allegria, gonfi, appannati dalle lacrime e dalla frustrazione, per poi essere costretti nell’espressione aspra e austera che ora li caratterizza.
   Sospiri, mentre immagini il Rin bambino e quello che hai incontrato solo tre anni fa. Confrontandoli, non sembrano neanche la stessa persona.
   Tuttavia, sotto una certa luce, ti piace anche così, con la sua aura di impellenza, prepotente e arrogante, quasi belligerante, perché sei sicura che, nel profondo, è ancora lo stesso bimbo a cui bastava incrociare il tuo sguardo per andare in tilt.
   “Ne volete un po’?”, senti Haruka chiedere, strappandoti al tuo rimuginio, accompagnato dal trillo del tosta pane.
   “Pesce... e toast?”, domanda Makoto ancora scettito, prima di dissentire.
   “E tu, _______?”.
   Gli sorridi di rimando, “No, grazie. Ho già mangiato”.
   Haruka ti scruta dalla testa ai piedi dubbioso. Successivamente posa le sue iridi oceaniche nelle tue.
   “Sicura?”.
   “Sì, certo. Sono a posto”, gli mostri un altro sorriso, arrossendo un poco. Trovi gentile da parte sua preoccuparsi per te. Anche se ti sembra inutile: infondo, tu non hai bisogno di tutte quelle proteine per mantenere solida la muscolatura.
   Haruka non insiste oltre e si siede davanti a te, cominciando a consumare il suo pasto in silenzio.
   Improvvisamente ti senti insicura in sua presenza, ti è persino impossibile sostenere il suo sguardo.
   Perché tutta questa timidezza?!, ti chiedi.
   Makoto si alza, “Haru, vuoi che vada a prenderti l’uniforme?”.
   “Certo. E’ nella lavanderia sopra la lavatrice”.
   Makoto ti lancia uno sguardo furbo che non riesci ad interpretare. Significava che lo sapevate benissimo dove si trovasse la sua divisa, o che finalmente vi avrebbe lasciati soli?
   A quest’ultimo pensiero, sulle tue gote compare una lieve sfumatura rosata e hai come l’impressione che lo stesso stia succedendo anche sul volto del ragazzo intento a mangiare davanti a te.
   Cerchi di dire qualcosa per rompere la tensione, ma, proprio quando stai per pronunciare il suo nome, qualcosa nella tasca anteriore della tua tracolla comincia a vibrare. Estrai il tuo cellulare e vedi illuminarsi sullo schermo l’anteprima di un sms:
 
Gou Matsuka
Dove sei?
 
   Perdi un battito. In un primo momento credi che sia Rin. Leggi meglio il nome del mittente e ti tranquillizzi.
   Che idea stupida. Rin non ha il mio numero.
   Ti maledici per esserti dimenticata l’appuntamento davanti a scuola con la ragazza del primo anno che hai conosciuto ieri alla cerimonia. Rispondi a Gou per scusarti e cerchi di alzarti, ma una morsa te lo impedisce.
   “Dove stai andando?”, t’interroga Haruka mentre ancora tiene salda la mano attorno alla tua sul tavolo.
   Sussulti intontita da quel gesto e arrossisci di nuovo.
   “Mi sono dimenticata che devo vedermi con un’amica. Scusa”. Ti liberi dalla stretta del giovane, rinfili il telefono in borsa e corri fuori dalla porta in fretta e furia, senza nemmeno accorgerti del ticchettio sordo che emette il ciondolo del tuo dispositivo quando incontra il pavimento.
   In quel momento Makoto rientra in sala da pranzo e trova Haruka seduto al tavolo da solo. Ha un’aria triste e spaesata, come se fosse stato appena abbandonato a se stesso.
   “Dov’è andata _______-chan?”, chiede Makoto, lasciando cadere i vestiti nel grembo di Haruka.
    Quest’ultimo si alza velocemente, lasciando scivolare a terra l’uniforme,  per andare a raccogliere il piccolo ornamento. Con sua grande sorpresa si tratta di un delfino - il suo animale preferito - che balza elegantemente fuori dall’acqua. E’ ridefinito nei minimi dettagli. Sembra vivo.
   “Ti piace?”, chiede Makoto ammiccando. Come se si stesse riferendo a qualcosa che non c’entrasse con quell’affarino. O meglio, a qualcuno.
   “E’ solo un ciondolo”, replica Haruka con la solita noncuranza, che però stavolta lo tradisce sebbene il castano eviti di farglielo notare. Avrà modo di punzecchiarlo più avanti, ne è certo.
   “La raggiungiamo?”.
   “Mi vesto e arrivo”.
 
   Mentre distendi le ginocchia in profonde falcate per raggiungere la tua amica, senti l’aroma ricco di salsedine dell’oceano di fianco a te. Ti fermi ad ammirarlo nella sua placidità, sperando che le temperature si alzino al più presto. Ti piacerebbe così tanto andare a fare il bagno. 
   Sogghigni, Haru, starà pensando la stessa cosa.
   E così è.
   Haruka, poco più indietro rispetto a te, passeggia con Makoto verso quel purgatorio che comunemente viene denominato “liceo”, incurante di ciò che il suo amico stesse blaterando a proposito di essere nuovamente in classe assieme o dell’avere già dato un soprannome alla nuova coordinatrice. Desidera soltanto sentire l’acqua salmastra adattarsi al proprio corpo. 
   Eppure si meraviglia di un pensiero che comincia subdolo ad aleggiargli nella mente: vorrebbe passare quel momento con te.
   Si volta verso l’infinita distesa d’acqua, un po’ per imprimere nella memoria ogni aspetto di essa e un po’ per nascondere il colore innaturale che sta prendendo possesso della sua pelle apatica, ma questo non sfugge allo sguardo critico di Makoto.
   “Spero che faccia caldo al più presto, così potrai farti una bella nuotata”.
   Haruka non saprebbe dire se il giovane avesse o meno omesso la parte su di te apposta, fatto sta che sa sempre cosa accade sotto la sua impassibilità. Spesso si sente nudo agli occhi del suo migliore amico, come se tutto quello che ha sempre cercato ti tenere per sé, sia invece pericolosamente esposto.  
   Per la seconda volta, ripensa a te e si pone il perché l’empatia di Makoto non abbia colto il tuo nome tra le righe, associandolo ai quei dolci occhi [colore/forma] da cerbiatta che lo fanno sbarellare.
   Improvvisamente Haruka si sente pervadere dalla sensazione che lo abbia fatto davvero di proposito, chiedendosi inevitabilmente se debba essergli grato o sospettare delle sue intenzioni?
   Non capisce ciò che sta provando né tantomeno perché queste emozioni siano venute a galla così repentine. Ma di una cosa è certo. Adesso che Rin non c’è più, non permetterà a nessun altro di schiacciare i sentimenti che sono maturati con lui in questi sette anni.
 
Istituto Iwatobi
 
     Vaghi per un po’ tra la calca e il vociare di ragazzini occupati a discutere di videogiochi e sport e ochette preoccupate di vestiti e trucco. Le fissi accigliata, pensando che le persone sono sempre monotonamente uguali. Una di loro ti guarda dai suoi altezzosi occhi verdi. Non l’hai mai vista prima, quindi deduci che sia una del primo anno che pretende di atteggiarsi a reginetta della scuola.
   “Hai qualche problema?”, chiede sprezzante.
   “Mi stavo solo chiedendo se fossi un nuovo prototipo a grandezza naturale della Mattel, Barbie”, ti allontani, mentre bofonchia una qualche minaccia. Ghigni all’idea.
   “Brava _______, fatti riconoscere”, ti riprende scherzosa Gou, visibilmente divertita dal tuo scambio d’opinioni con la biondina.
   “Ciao, Gou. Scusa per il ritardo”, ti gratti la base della testa, un po’ a disagio.
   “Ti ho detto di non chiamarmi Gou, ma Kou!”.
   Cerchi di scusarti di nuovo, però lei ti dà le spalle e ti sollecita a sistemarle il nastro che le racchiude la lunga coda rosso cardinale.
   Quei capelli hanno una sfumatura così familiare, per non parlare di quelle iridi corallo talmente simili alle sue.
   Quel cognome e quei pigmenti ti sembrano troppo vicini per essere una mera casualità. Non possono esserlo.
   Abbassi il capo, trovando stranamente interessanti le punte delle tue scarpe e, imbarazzata, le domandi, “Kou, per caso hai un fratello?”.
   Gou ti esamina confusa, ma curiosa di sapere dove tu voglia andare a parare, “Sì, si chiama Rin. Perché?”.
   Avverti lo stomaco aggrovigliarsi su se stesso alla conferma dei tuoi dubbi.
   “Lo conosco. Andavo con lui e gli altri ai loro tornei quando eravamo alle medie”.
   “Oh, ma certo! Tu devi essere la _______ di cui parla sempre!”, afferma entusiasta. Felice di aver conosciuto quella che considera il primo amore di onii-chan.
   “T-ti ha parlato di me? Pensavo si fosse trasferito in Australia”.
   “E’ tornato. Non lo sapevi?”.
   Ricominci a scrutare il suolo imbrunita, “No”.
   Per qualche ragione ti suona come una menzogna. Non riesci a credere alla tue stesse parole, perché, dentro di te, sapevi e speravi che un giorno sarebbe tornato. Presto o tardi che sia.
   Gou sembra non accorgersi del tuo cambiamento d’umore, infatti di prende le mani sorridente, confidandoti, “Sai, non ha fatto altro che pensare a te per giorni!”.
   Avverti un calore montare dall’interno, “Davvero?”.
   Gou ti sorride raggiante.
   Iniziate a conversare radiose su suo fratello, come due cognate di vecchia data, quando senti qualcuno chiamare il tuo nome. Giri la testa verso la fonte invocante la tua attenzione e vedi Makoto al cancello d’ingresso affiancato da Haruka, mentre agita la mano a destra e a sinistra. Fai un cenno con la testa a mo’ di saluto e gli sorridi smagliante. 
   Ad un certo punto noti Haruka avvicinarsi sicuro di sé, tenendo le braccia conserte dietro la schiena.
   Lo studi disorientata, ma interessata al motivo ti tanta intraprendenza, “Ciao, Haru”.
   Senza preavviso, il ragazzo acciuffa la tua mano sinistra, ne apre delicatamente le dita e ci sovrappone sopra le proprie, lascia scivolare nel tuo palmo un oggetto metallico e torna da Makoto, sorridendo.
   Osservi il ciondolo, illuminandoti.
   “Cos’è?”, indica Gou.
   Recuperi il telefono dalla tua borsa a tracolla e ci riattacchi l’ornamento.
   Sorridi morbida, “Niente, è solo un accessorio per cellulari”.
   La campanella annuncia l’inizio delle lezioni.
   “E’ meglio andare. Ci vediamo!”, la saluti con un abbraccio e corri all’entrata.
 
   Prendi posto in terza fila davanti a Makoto e Haruka. Ringrazi quest’ultimo per il delfino e ti presenti alla tua compagna di banco.
   “Piacere, _______ _______”.
   Ti sorride gioiosa, “Ciao, io sono Yukimura Mako”. A stento trattieni le risate, riflettendo su quanto assomigliasse quel nome a quello del tuo amico dagli occhi di smeraldo. 
   In fondo non è colpa sua se gliene hanno dato uno femminile, concludi.
   “Tutti ai vostri posti”, tuona dolce la voce della coordinatrice, “Vediamo... Tadokoro Junichi-kun”.
   “Presente”.
   “Tezuka Kaori-san”.
   “Presente”.
   “Ehm... Nanase Haruka-san”.
   Dalla classe si leva una debole ilarità generale, mentre Haruka socchiude gli occhi abituato ad essere scambiato per una ragazza. 
   Makoto interviene per sedare la situazione, informando l’insegnante che in realtà è un maschio.
   La donna sussulta, “Ah, è vero! Scusami, Nanase-kun. Ieri eri assente, vero?”, Haruka si volta in direzione della finestra annoiato, mentre lei prosegue, “Sono Miho Amakata, la vostra nuova coordinatrice. Piacere di conoscerti”.
   Dopo la piccola gaffe, Amaka-sensei - o Ama-chan come la chiamano gli studenti - comincia la sua lezione di letteratura classica. Spiega la fine del Periodo Edo, quando l’Impero era scosso da violente sommosse interne, a favore e contro il mantenimento del potere del Bakufu Tokugawa, ad opera dei clan Choshu e Satsuma. Furono gli anni in cui la Shinsengumi ebbe la sua ascesa, insieme a quelle di numerosi autori letterari, come il poeta che state studiando: Kobayashi Issa.
 
Taba oreba
Oru tote yuki no
Furi ni keri
 
   Ti immergi completamente nell’haiku, come un pesce negli abissi, avvertendo la solitudine e la tranquillità che la neve appena caduta invoca.
   Il suono della campanella ti strappa interdetta dall’arem che ti eri ricreata, lasciandoti un senso amaro di insoddisfazione. Ti sembra impossibile che sia già finita la lezione, ma gli erranti che girovagano rumorosi per l’aula te ne danno conferma.
   Vedi gente che si alza per raggiungere i propri amici, pronti a fare del gossip sulla prof. appena congedatasi. Alcuni dicevano che fosse di queste parti, altri che avesse studiato in un’università di Tokyo per inseguire un sogno mai realizzato e che per questo fosse tornata.
   Giri la sedia all’indietro, negligente al sentire altre chiacchiere del genere e, per un attimo, credi di aver captato i pensieri di Haruka, probabilmente simili ai tuoi. Il giovane sospira, prima di guardarti a mo’ di convalida alle tue considerazioni.
   In quell’istante Makoto si rivolge a voi allegro, interrompendo la vostra conversazione fatta di occhiate, “Andiamo a mangiare in terrazzo?”.
   Non capisci che mi girano?, pensa Haruka e la sua espressione ti fa sfuggire una risatina sollazzata.
   “Per me va bene”, gli sorridi gentile.
   Vi alzate e vi dirigete verso le scale, le scendete, parlando del più e del meno, quando Haruka menziona il fatto di essersi scordato il pranzo. Ti dai un colpetto sulla fronte, balbettando flebile un “anch’io”. Per vostra fortuna con voi c’è Makoto che, generoso come sempre, vi offre un po’ del suo. 
   Ti sollevi sulle punte, fai leva sulla spalla sinistra del gigante e gli inumidisci una guancia con un bacio appena accennato, “Grazie. Sei il migliore!”. Ti allontani e credi di vedere una leggera gradazione rosata sul suo viso.
    E’ arrossito per caso?, ti chiedi tra te e te.
   Non sei sicura che la tua sentenza sia corretta, data la differenza di altezza e la scarsa luce nella tromba delle scale, ma, se fossi stata più attenta, ti saresti accorta dell’improvviso irrigidimento assunto dalla postura di Haruka.
   Saltelli giù dai gradini, quando la porta si spalanca davanti a voi e una testolina contornata da vaporosi capelli dorati si agita felice per avervi trovato.
   “Mako-chan, _______-chan, Haru-chan! Da quanto tempo! Frequento anch’io l’istituto Iwatobi”, strepita il ragazzo.
   Vi fissate smarriti, ripetendo i nomignoli a voi affibbiati, per poi spalancare gli occhi e gridare, “Nagisa?!”.
    Il biondo vi sorride al settimo cielo. Gli corri incontro e lo circondi in un forte abbraccio, constatando che anche lui è cresciuto parecchio e che, se non fosse per quell’espressione teneramente infantile, fisicamente sembrerebbe più grande di te.
   “Sono passati un sacco di anni”, affermi contenta, mentre avvolge le braccia intorno a te.
   Lo inviti a pranzare con voi sul tetto e, ovviamente, accetta all’istante.
   “Non pensavo di rivederti dopo la chiusura del club di nuoto”, interloquisce Makoto, mentre ammirate il panorama che si offre dinnanzi a voi.
   “Già, sono andato in un’altra scuola”, conviene Nagisa, ma, al solito, la sua attenzione viene catturata all’istante da ben altro - a suo avviso più interessante del passato -, “Ci sono dei ciliegi vicina alla piscina! Haru-chan, c’erano dei ciliegi anche vicino alla piscina della tua scuola media, vero?”.
   “Smettila di chiamarmi in quel modo”.
   “Beh, però è così che ti chiami”.
   Immediatamente Haruka lo scruta dall’alto al basso, sdegnoso, costringendo Makoto ad intervenire.
   “Quella piscina è vecchia: non viene più utilizzata. E ovviamente non c’è un club di nuoto”.
   “Allora dove nuotate?”, pone ingenuo il nuovo arrivato.
   “Ho smesso col nuoto competitivo”, replica Haruka indolente.
   “Cosa?! E perché?! Ero così esaltato all’idea di nuotare di nuovo con te!”.
   “Non siamo più dei bambini”, prosegue l’altro nel medesimo tono, “Adesso le cose sono cambiate”.
   Nagisa l’osserva amareggiato, così decidi di alleggerire la situazione, “Beh, avrà anche smesso col nuoto agonistico, ma adora ancora l’acqua. Haru, nono può viverci senza”.
   “E’ vero”, si aggrega Makoto, “D’estate nuota al mare...”, sogghigna, “...e stamattina era a mollo nella vasca”.
   “Ma questo non c’entra niente col nuoto”, dissente l’altro, “Significa solo che gli piace fare il bagno”.
   Successivamente l’entusiasmo fulmineo di Nagisa si riversa su Haruka con proposte paradossali a proposito di club altrettanto stravaganti, che prontamente il moro rifiuta, negandogli persino il contatto visivo con il suo volto.
   Tu e Makoto vi guardate, chiaramente pensando la stessa, e scoppiate in una risata fragorosa.
   Nagisa non è cambiato di una virgola.
   Per un attimo il tuo umore si rabbuia, percependo che manca qualcosa all’allegra combriccola che ti intrattiene. Manca lui. Vorresti avvertirli che Rin è tornato, eppure non lo fai, intimorita che questo possa rovinare il vostro ritrovo.
   In quel momento la campanella suona di nuovo, informandovi che è ora di riprendere le lezioni. Tu e Haruka sbuffate all’unisono, scambiandovi successivamente un piccolo sorriso.
   Gli occhi magenta di Nagisa si illuminano. Si avvicina di soppiatto a Makoto, gli picchietta la spalla e cerca informazioni su voi due. L’altro gli sussurra soltanto di avere il sospetto che finalmente Haruka si sia svegliato e abbia deciso di agire prima che sia troppo tardi.
   Nagisa ridacchia compiaciuto, coprendosi la bocca con la mano e vi supera, attraversando la soglia che dà sul terrazzo e balzellando giù dalle scale. Si blocca, scosso da qualcosa che avrebbe dovuto dirvi fin dall’inizio, “Il nostro vecchio circolo di nuoto di quando andavamo alle medie verrà demolito a breve”.
   Vedi Haruka strabuzzare gli occhi in un misto di tristezza e stupore. Senti l’urgenza di stringergli la mano, nonostante l’indecisione che ti pervade al  solo immaginare in quale modo potrebbe reagire. Tuttavia lui ti sorprende, rispondendo al contatto e stringendo a sua volta la dita attorno alle tue.
   “Perciò”, espone Nagisa, librandosi in aria per saltare gli ultimi gradini, un’altra sua idea malsana, “che ne dite di andare a fare un salto prima che avvenga?”
   “Per recuperare quella cosa?”, lo interroga Makoto.
   “Quale cosa?”, mormori incerta ad Haruka.
   “Il trofeo”, ti informa e le tue labbra mimano un “ah”.
   “Ci intrufoleremo quatti quatti di notte e...”, continua imperterrito il biondo.
   Haruka si scioglie dalla presa e comincia a scendere le scale, “Puoi andarci da solo”.
   “Che guastafeste che sei!”, dice Nagisa, parandoglisi davanti con fare bambinesco, “Vieni con noi, Haru-chan”.
   “No”.
   “Dai, sarà divertente”.
   “Non credo proprio”.
   “E dai, fallo contento”, si intromette Makoto accondiscendente.
   Haruka gratta la gola rumorosamente, “_______, tu che ne pensi?”.
   “Mmm... per me va bene”, Nagisa spalanca la bocca pronto ad urlare dalla gioia, però tu lo interrompi aggiungendo, “In più lì c’è una piscina”.
   L’espressione di Haruka vacilla.
   “Una piscina è molto più grande di una vasca da bagno”, sentenzia Makoto, facendoti l’occhiolino, entrambi consapevoli che Haruka avrebbe ceduto. Infatti...
   “E va bene”, mantiene il suo singolare tono disinteressato, seppure non lo sia affatto.
   Ciò che però vi elude, è che una quinta persona ha udito la vostra conversazione e che, la suddetta persona, ne ha informata un’altra a proposito del vostro piano.
 
Casa Nanase
 
   “Wow! Haru-chan, vivi davvero qui tutto solo?”, chiede stupito Nagisa, facendo scorrere i vari separé che gli capitano a tiro.
   Con la solita cortesia Makoto replica, “Suo padre si è dovuto trasferire per lavoro e sua madre è andata con lui”.
   Dalla cucina si sente un leggero scoppiettio, ti avvicini ad Haruka e vedi che sta preparando altro sgombro.
   “Ancora pesce?”, chiedi shoccata.
   La sue espressione si corruccia, “Nessuno ti obbliga a mangiarlo”.
   “No, sembra buono”, ammicchi.
   “Haru-chan è sempre stato bravo ai fornelli”, si frappone il biondino.
   “Posso aiutarti?”, domandi in un soffio. Temi che non ti abbia sentito.
   “Passami i piatti dalla credenza”, risponde amorevole, mostrandoti un sorriso della stessa natura.
   Per un secondo tentenni sul da farsi, stordita da tanta dolcezza nei tuoi confronti.
   Nel frattempo Nagisa si è accomodato al tavolo amareggiato, sentendosi palesemente trascurato.
   Prendi i piatti a due alla volta e li servi in tavola. Vi sedete e iniziate a degustare il piatto forte dello chef, quando Makoto si rivolge ad Haruka insicuro, “Allora, sei proprio sicuro di volerlo fare?”.
   Nagisa s’immischia, “Che c’è? Prima eri d’accordo e ora hai paura?”.
   “Non è come pensi”, riprende l’altro, “E’ giusto se lo dissotterriamo solo noi tre?”.
   “Non vedo altra scelta. Rin non è più in Giappone”.
   Improvvisamente hai la necessità di alleviare la tua gola secca. Porti il bordo del bicchiere alle labbra e lo sollevi per lasciar passare il liquido trasparente al loro interno, contemporaneamente posi le tue pupille su Haruka seduto di fronte a te e, per un attimo, ti pare di non essere l’unica a nascondere qualcosa a riguardo. Ma poi i suoi occhi mutano. 
   Volano via. 
   Indietro nel tempo.
   “Non farò le scuole medie qui”, annuncia il bambino dai denti di squalo, fissando il ciliegio spoglio dinnanzi a sé senza vederlo realmente. 
   Il compagno al suo fianco strabuzza le profonde iridi blu, non proferendo parola: lascia che sia il terzo a parlare.
   Infatti: “Eh? Che vuoi dire?”.
   “Andrò in Australia”.
   “Andrai...”, gli si rompe la voce, “...in un’altra nazione?”.
   “Già. Frequenterò una scuola di nuoto”.
   Il cupo ragazzino che ha rubato gli occhi all’oceano, distoglie lo sguardo, per fissarlo sulla scritta che, tempo prima, avevano inciso nel muretto della scuola. 
   Finalmente parla, “Che intenzioni hai?”.
   Lo squaletto sorride sghembo, rapito dall’entusiasmo del suo sogno, “Diventerò un nuotatore e parteciperò alle Olimpiadi”. Non si accorge che l’altro ha aggrottato le sopracciglia deluso, arrabbiato e costernato dalla consapevolezza di ciò che perderà: il suo rivale, il suo sfidante, il suo migliore amico.
   “Perché non ce lo hai detto? E la staffetta?”, ribatte il bimbo castano.
   Il piccolo sognatore si infila le mani in tasca, prima d’incamminarsi, dicendo, “Tranquilli, ci sarò. Partirò il giorno dopo il torneo”, si arresta sul posto, “Perciò questa sarà l’ultima volta che noi quattro nuoteremo insieme”.
   Gli occhi corindoni del terzo giovanotto si posano tremolanti su quello più taciturno, implorandolo muto di dire qualcosa. Qualunque cosa. Eccetto...
   “Faccio solo stile libero”.
   “E allora devi partecipare alla staffetta”, proclama deciso il cucciolo di pescecane, sbriciolando tra le dita delle foglie secche, “E’ la nostra ultima occasione. Nuotiamo insieme”.
   Il ragazzino che fino ad allora aveva osservato ossessivamente il graffito For The Team, sente la quiete dell’acqua nel proprio io alle parole, “Se lo farai”,  lo analizza con attenzione, “Ti mostrerò una parte di me che non hai mai visto”.
   Nessuno sembra accorgersi della tensione che si nasconde dentro Haruka a parte te, neppure Makoto. Ancora una volta avverti l’impulso ti dargli conforto e così fai. Ti allunghi sul tavolo verso la sua mano e gliel’afferri, incurante degli spettatori. Come in terrazza, il giovane non si sottrae, anzi sembra rasserenarsi. Sovrappone il pollice sulla tua e comincia ad accarezzartela delicato, quasi temesse ti farti male.
   Nagisa, con la sua ormai riconosciuta inadeguatezza, finge rumorosamente di avere il raspino per richiamare la vostra attenzione. Subito voi due vi raddrizzate e riprendete a consumare il vostro pasto come se nulla fosse mai accaduto, ignorando gli sguardi avveduti che i presenti vi stanno lanciando.
   Finita la cena, aiutate Haruka a lavare le stoviglie e a riordinare, recuperate una pala dallo sgabuzzino degli attrezzi e partite alla volta del circolo di nuoto.
 
Iwatobi Swimming Club
   
   Siete all’ingresso di quello che un tempo era il vostro luogo di ritrovo, oramai ridotto a un ammasso di mura fatiscenti e maleodoranti, impregnate di cloro e muffa.
   “Certo che questo posto è proprio messo male”, dichiari contrariata e afflitta, avvertendo tutti i tuoi ricordi spazzati via.
   Nagisa recupera un pacchettino dalla tasca dei jeans, informandovi che potrebbe esservi utile, lo scarta mostrando al mondo una polverina bianca.
   Guardi il viso angelico del tuo amico incredula, Cocaina?!
   Subito il biondo enuncia quasi in risposta al tuo pensiero, “Sale purificatore”.
   Adesso lo guardi scettica, pensando che l’idea della droga sarebbe stata meno idiota.
   “Sale?”, sollecita Makoto dubbioso.
    Nagisa volge i suoi occhi rosati sull’edificio, “Dicono che questo posto sia infestato”.
   “Oh, ma per favore!”.
   “Non sto scherzando, _______-chan! Pare che abbiano visto delle ombre muoversi e sentito pure dei lamenti”.
   Makoto posa lo sguardo affranto sul murales in rovina del muro principale, dove l’intonaco scolorito che disegna un bambino, lascia dei segni carmini sotto le palpebre, dando l’impressione che pianga sangue,  “Non spaventarmi”.
   “Non muovetevi”, ci ordina Nagisa insaporendoci. 
   Un granello salta alla bocca di Haruka che, lambendolo, capisce che, “Questo è zucchero, mica sale”.
   Nagisa sbianca per lo sbaglio e suggerisce di inoltrarci nello stabile.
   Camminate per i corridoi alla luce di tua torcia elettrica e ancora il biondo cerca giustificazioni per la bufala di poco prima. Speri per lui che non l’abbia pagata quella roba.
   “Beh, è tutta una questione mentale, perciò anche lo zucchero andrà bene per lo scopo”.
   “Solito cliché”, affermi.
   “Un classico”, conviene Haruka avvicinandotisi.
   “L’errore più vecchio di sempre”, interviene Makoto un secondo prima di balzare dietro le spalle di Haruka, spaventato da un rumore metallico, “C-cos’è stato?”.
   Nagisa si gratta nervosamente la nuca, “Ho colpito una lattina vuota”.
   “L’hai fatto apposta, non è vero?!”, sbraita il gigante buono.
   “Hai sempre avuto paura del buio”, lo deride il piccoletto.
   “Così non mi sei d’aiuto!”.
   “Scusa”.
   Ti impunti sul posto, convinta di aver sentito qualcosa, ti volti di scatto.
   Niente, il corridoio è vuoto.
   “Che cos’hai, _______?”, chiede Haruka.
   “Mmm... Nulla. Mi era sembrato... Non importa”.
   Ricominci a muovere i piedi, conservando il tuo sospetto e stando anche molto più vicina al moro che, senza fiatare, ti prende per mano, ricambiando la sensazione di tranquillità che gli avevi donato solo un’ora prima.
   Non parlate molto, non l’avete mai fatto, ma questi semplici gesti ti bastano, sono tutto quando si tratta di Haruka.
   Tenti di ripudiare in un angolo remoto del tuo inconscio l’impressione di essere seguiti e per farlo di aggrappi salda al suo braccio. Il sospetto non sparisce del tutto, si acquieta e basta.
   Il risveglio del timore non è affatto infondato. Se solo sapessi cosa sta provando l’ombra dietro di voi nel vedere la ragazza che ama essere consolata così spassionatamente da colui che odia di più, ti si gelerebbe il sangue nelle vene. Le braci dei suoi occhi ardono veementi d’ira.
   Giungete agli spogliatoi. Tralasciando i colori spenti dal tempo, tutto è rimasto identico. Gli stessi armadietti rosa per le femmine e azzurri per i maschi; gli stessi tappetini anti-caduta; e le stesse panchine.
   Quanti ricordi...
   Arrivate alle docce che collegano alla piscina coperta.
   “Pensavo che dentro fosse messo peggio”, dice soddisfatto Makoto.
   “Ma questo...”, inizia Nagisa.
   “E’ il latrio”, conclude Makoto.
   Il biondo corre alla parete delle fotografie, per poi invitarvi ad avvicinarvi.
   “Guardate”.
   “E’ la foto di quando avete vinto la staffetta”, sorridi.
   Sul viso di Haruka ricompare di nuovo quell’espressione assorta. Quanto vorresti sapere cosa gli passa per la mente.
   Il bambino moro cela gelosamente i suoi zaffiri dietro agli occhialini e assesta la cuffia sopra di essi per essere sicuro che stiano al loro posto. Prende posizione sul blocco di partenza, mentre attende fremente l’arrivo del suo compare. Vede la cuffia gialla avvicinarsi, le bracciate a farfalla farsi più stanche, ma ugualmente tenaci. Poi le pinne dello squalo picchiano forti sulla parete della piscina, dando il via alla corsa verso la libertà del delfino. 
   Ognuno ha ottenuto quello che voleva, il pescecane il suo trofeo e il delfino la sua emancipazione. Non restava che decidere cosa farne della coppa.
   “L’abbiamo vinto noi quattro insieme”, esorta il bambino dai capelli cremisi, “Non ha senso che uno solo di noi se lo porti a casa. Mettiamolo in una capsula del tempo...”, prosegue chiudendo il coperchio della scatola, “... e quando saremo più grandi lo riprenderemo”.
   Guarda gli altri sorridente, prima di rivolgersi al moro, ghignando, “Romantico, eh?”.
   “Haru”, lo chiama una voce e per un attimo è convinto che sia quella di Rin, “Haru, andiamo!”, lo esorta Makoto.
   Permette a voi di incamminarvi, intanto che sfila la foto dalla cornice e la infila malamente nella tasca della felpa.
   Haruka vi raggiunge poco dopo in corridoio.
   “Pensate che il segno sia ancora qui?”, si pone Nagisa.
   “Non lo so, però sbrighiamoci, per favore”, risponde Makoto visivamente agitato.
   A un certo punto si odono dei passi. Vi assestate sul posto. Makoto trasalisce. Haruka rimane composto come sempre.
   Il volto dello sconosciuto esce dalla penombra, esponendo le iridi scarlatte da sotto il berretto nero. Lo riconosci subito, ma non osi dire niente.
   
 
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