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Autore: Niere    30/08/2013    1 recensioni
Livia e Gianluca, in passato, erano una coppia affiatata, ma la vita li ha cambiati e tutto ciò che è rimasto del loro amore è un bambino di quattro anni e tanto rancore. Il rancore però annebbia la ragione ed entrambi si ritroveranno a mettere in dubbio le scelte fatte, le loro convinzioni e i loro sentimenti.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Al "The Paradise" - POV Gianluca

Dopo i dovuti controlli, lasciai finalmente l’ ospedale e la mia vita riprese in tutta la sua normalità. Ritornai al mio modesto appartamento di appena 40 metri quadri, feci demolire il poco che era rimasto della mia moto e ripresi il lavoro, anche se avevo optato di cominciare con qualche settimana di part-time, sotto consiglio dei medici. Il loro motto era ‘poco stress’. A loro sembrava facile, ma per me era impossibile. Io e lo stress andavamo a braccetto: dei colleghi e un datore di lavoro esigenti, un divorzio alle porte, dei ritmi frenetici.
L’ 11 giugno, come era stato stabilito in precedenza, si sarebbe tenuta la festa di compleanno di Andrea, un mio caro amico. Lui e la sua ragazza, Valeria, amavano le feste in grande e, come al solito, decisero di affittare una delle sale della villa “The Paradise”, un locale prestigioso del centro di Roma. Ero dell’ idea che Andrea si fosse bevuto il cervello: proprio non riuscivo a capire cosa ci trovasse di bello nello spendere metà del suo stipendio per una festa di compleanno come tante.
Indossai un paio di jeans e una camicia nera, presi la macchina e mi avviai verso la villa. Quella sera ero particolarmente teso, perché sapevo che avrei rivisto anche Livia. Andrea e Valeria erano stati categorici: non volevano rinunciare a nessun dei due, volevano mantenere l’ amicizia con entrambi. Non potevo biasimarli, ma non potevo neanche nascondere che per me la situazione non era facile: tra me e Livia bastava un niente per litigare e non volevo rischiare di rovinare la serata ai miei amici.
Dopo mezz’ora di viaggio e di traffico, arrivai a destinazione. Parcheggiai la macchina nel cortile interno e mi avviai per il vialetto curato e circondato dal verde. Solo in quell’ istante mi tornò in mente che esattamente un anno prima, io e Livia ci eravamo lasciati. Era stato proprio dopo la festa di Andrea. Forse quella data e quel luogo portavano sfortuna.
Cercando di non pensarci troppo, entrai nella villa e chiesi ad uno dei camerieri quale fosse la sala riservata per il compleanno di Andrea Dominici. Era la 3, quella in fondo al corridoio. Mi avviai e trovai già la sala piena di amici e gente che non avevo mai visto. Andrea e Valeria mi vennero incontro: lui già abbastanza brillo, mentre lei perfetta come sempre e padrona della situazione. Andrea mi poggiò una mano sulla spalla e disse: “Divertiti, vecchio mio.”.  
Cercai di seguire il suo consiglio e raggiunsi Simone, Alessandro e Nicolas. Dopo le solite domande sul mio stato di salute, presero a parlare di calcio, del campionato che era finito e di quello che sarebbe iniziato tre mesi dopo. Ascoltai solo parte del discorso, perché la mia attenzione si focalizzò solo su Livia, che fece il suo ingresso con mezz’ora di ritardo, proprio lei che amava la puntualità. Aveva indossato dei jeans neri e una maglietta grigia senza maniche. Era un abbigliamento semplice, ma che non sminuiva la sua bellezza e la sua eleganza. Si avvicinò ad Andrea e a Valeria, li salutò e si fermò a parlare con loro per qualche istante. Sorrideva e ascoltava attentamente le parole dei nostri amici, ma era evidente che c’era qualcosa che la turbava. Si guardò intorno, distrattamente e, quando incrociò il mio sguardo, si congedò da Andrea e Valeria. Si avvicinò al tavolo del buffet, da sola. Mi feci coraggio e la raggiunsi: “Ciao, Livia. Come va?”.
Si voltò verso di me, mi studiò con il suo sguardo freddo e rispose: “Bene, e tu?”.
Chiese ad un cameriere un bicchiere di champagne e la cosa mi stupì, visto che solitamente cercava di evitare gli alcolici. Feci finta di nulla: “Tutto bene. Matteo come sta?”.
Bevve il suo champagne e replicò: “Splendidamente. E’ a casa di mia madre.”.
Dopo aver richiesto al cameriere un altro bicchiere, si allontanò dal tavolo e la seguii, imperterrito. Prese posto su uno dei divanetti situati all’ angolo della sala e io feci altrettanto. Indicai il suo drink: “Non ti farà male bere a stomaco vuoto?”.
Mi guardò con aria di sfida: “La cosa non ti riguarda.”.
Alzai gli occhi al cielo, poi presi un bel respiro e replicai: “Possibile che ogni volta dobbiamo litigare come dei bambini? Abbiamo venticinque anni e proprio non riusciamo a comportarci da persone adulte.”.
Non rispose. Terminò tutto d’un fiato il suo champagne e posò il bicchiere vuoto sul tavolino di fronte a lei. La osservai stupito e preoccupato nello stesso tempo. Non era la Livia che conoscevo.
La bloccai per un polso e la costrinsi a guardarmi negli occhi: “Dannazione, ma cos’ hai questa sera?”.
Cercò di allentare la presa: “Lasciami, mi fai male.”.
Mentiva. Non le stavo facendo assolutamente nulla. Nonostante ciò, mollai la presa, non volevo farla arrabbiare o innervosire ancora di più. Si alzò di scatto e si allontanò in fretta, lontano dal mio sguardo indagatore. Uscì dalla sala e, solo in quell’ istante, mi decisi a seguirla. La vidi svoltare per un corridoio e entrare nel bagno delle donne. Dannazione, non potevo seguirla fin lì. Mi guardai intorno, in cerca di un’ ispirazione. Poi, mi decisi ad entrare, poco mi importava se mi avessero scoperto e se mi avessero preso per un pervertito.
Entrai e trovai una porta chiusa e due aperte. Bussai a quella chiusa: “Livia, tutto ok?”.
Non rispose, ma la sentivo piangere. Cercai di sfondare la porta, preoccupato come non mai: “Ti prego, esci da lì. Guarda che butto giù tutto”.
Con voce strozzata, replicò: “Voglio stare da sola.”.
Cercai di trovare un tono più calmo: “Non in queste condizioni. Livia, per una volta ascoltami. Esci da lì... Ti riporto a casa.”.
Dopo pochi secondi, la serratura del bagnò scattò e Livia uscì fuori come se fosse un fantasma. Aveva gli occhi lucidi dal pianto e il trucco un po’ sfatto. Aveva un espressione distrutta. Guardando il pavimento, disse: “Potresti portarmi via senza dire una parola?”.
Cercai di non ridere della sua strana richiesta: “Lo sai che è impossibile. Dai, coraggio, andiamocene.”.
Annuì, e, lentamente, si avviò verso l’ uscita. Era in difficoltà, ma non voleva farsi aiutare. Lei e il suo maledetto  orgoglio… Uscimmo dalla villa e proseguimmo verso la macchina. Mi guardò colpevole e disse: “Mi sento uno schifo… Non avrei dovuto bere così tanto.”.
Le sorrisi, colto da una strana voglia di tranquillizzarla: “Non hai bevuto molto… Erano solo due bicchieri di champagne…”.
“In realtà, ho bevuto anche prima di arrivare qui… Credo di aver mandato giù almeno due o tre bicchieri di vino.”.
Mi arrestai: “E hai guidato fin qui?”.
“No, ha guidato Michela. Sono venuta con lei.”.



Ciao... Anche il quarto capitolo è concluso... Ma la serata, per Livia e Gianluca, non finisce di certo qui..
Vorrei ringraziare tutte le persone che seguono questa storia nata un po' per caso, e, in particolar modo, Sun_Rise93.
A presto!!!
  
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