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Autore: ValeryJackson    30/08/2013    1 recensioni
La vita di Valeri Hart è sempre stata una vita abbastanza normale, con la scuola, una mamma che le vuole bene e la sua immancabile fantasia.
Già, normale, se si escludono ovviamente i mille trasferimenti da una città ad un'altra, gli atteggiamenti insoliti di sua madre (che poi sua madre vera non è) e quelle strane cicatrici che le marchiano la caviglia, mandandola in bestia. Non sa perchè ce le ha. Non ricorda come se l'è fatte. Non ricorda di aver provato dolore. Ricorda solo di essersi risvegliata, un giorno, e di essersele ritrovate addosso. Sua madre le ha sempre dato mille spiegazioni, attribuendo più volte la colpa alla sua sbadataggine, ma Valeri sa che non è così.
A complicare le cose, poi, arriva John, un ragazzo tanto bello quanto misterioso, che farà breccia nel cuore di Valeri e che, scoprirà, è strettamente collegato alla sua vera identità.
**
Cap. 6:
Mary mi guarda negli occhi. Poi il suo sguardo si addolcisce, e mi fissa in modo molto tenero, come si guarda una bambina quando ti dice che ti vuole bene.
"Oh, Valeri", dice, con dolcezza. "Tu non hai idea di che cosa sei capace".
**
Questa é la mia nuova storia! Spero vi piaccia! :)
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa giornata è una vera merda.
No, davvero, non sto scherzando. Fa schifo.
Allora, andiamo per gradi. È iniziato tutto stanotte. Dato che questa settimana ho continuato imperterrita a fare brutti sogni, questa notte non ho chiuso occhio, per paura di sognare di nuovo qualcosa. E così, questa mattina, sono crollata. Non ho sentito la sveglia, e sono dovuta letteralmente saltare fuori dal letto e andarmene, senza nemmeno fare colazione.
Ho fatto per prendere la bicicletta, ma ho scoperto che aveva una ruota bucata. Così sono andata a piedi.
Stavo camminando, quando ha iniziato a piovere. Ed io come una scema avevo scordato l’ombrello.
Come se non bastasse, ho lasciato la ricerca di Astronomia a casa.
Evviva!
Cammino a passo svelto. La pioggia è diminuita a qualche flebile gocciolina, ed io continuo a camminare a testa bassa, evitando di qua e di la le pozzanghere. Sono quasi certa di avere due occhiaie profonde e incavate, e non ho alcuna intenzione di sapere in che stato sono i miei capelli! Inoltre, mi brontola lo stomaco. Ho fame!
Quando arrivo davanti scuola, la maggior parte dei ragazzi è già entrata. Mi guardo intorno, distrattamente, quando noto John e Mia che mi aspettano davanti alla porta. Sorrido e li raggiungo.
John si accorge di me per primo, così mi viene incontro e mi bacia, posandomi una mano dietro la schiena. Mia ci raggiunge subito dopo.
<< Finalmente!>> esclama. Sembra quasi infastidita. << Si può sapere dov’eri?>>
<< Scusate >> mormoro, in leggero imbarazzo. << Oggi non è proprio giornata.>>
John aggrotta la fronte. << Problemi?>>
Faccio finta di pensarci. << Beh, dipende >> dico. << Se per te avere le gomme della bici bucate nel giorno piovoso in cui ti svegli tardi e poi accorgerti a metà strada di aver scordato i compiti a casa è un problema allora, si. Ci sono problemi.>>
John ride e mi da un bacio sulla guancia.
Mia osserva l’orologio. Fa finta di sgranchirsi la voce. << Ehm, scusate. Se voi avete finito di fare i piccioncini, io ho un compito di storia.>>
Entrambi la guardiamo, senza rispondere. Lei sbuffa esasperata e si dirige a grandi falcate verso la porta. Io e John ridiamo, poi ci scambiamo una rapida occhiata. Lui mi sorride, prima di intrecciare le sue dita nelle mie e dirigerci verso l’ingresso.
Non appena entriamo, sento nell’aria un mormorio strano. Tutti quanti parlottano, a bassa voce, e la maggior parte di loro sembrano scioccati. Hanno quasi tutti dei fogli in mano.
Molto probabilmente avranno appena annunciato qualche avvenimento speciale, mi dico.
Poi noto un’altra cosa. Tutti stanno fissando me. È strano, mi notano, sgranano gli occhi e poi si voltano per sussurrare qualcosa ai loro compagni.
Mi guardano. Anzi, ci guardano. Sia a me che ha John.
Aggrotto la fronte. Che cos’hanno da guardare? Ok, si, forse ho un aspetto orribile, glie lo concedo, ma cosa vogliono da John? Io e lui ormai stiamo insieme da un po’. Cosa c’è di strano se ci teniamo per mano?
I mormorii aumentano quando attraversiamo il corridoio.
<< Ma che cosa succede?>> chiede Mia, confusa. Io non rispondo, non so che dire. Molti ragazzi indicano i fogli che hanno in mano e poi ci guardano. Che diavolo c’è scritto su quei fogli?
Mi guardo intorno, e noto una cosa che mi lascia un attimo interdetta. Tutta la scuola è tappezzata di questi volantini. Gli armadietti, i muri, le porte. Tutto! Mi rendo conto che non c’è una scritta sopra, ma una foto. Una foto che non riesco a distinguere, per la confusione. Ma che cosa c’entro io?
John mi lascia lentamente la mano e si fa largo fra alcuni studenti per afferrare un volantino su un armadietto. Lo stacca con forza e lo guarda.
La sua faccia passa dalla sorpresa, all’incredulità, alla rabbia. Poi, diventa preoccupata.
Aggrotto la fronte, guardandolo, e un volantino finisce per sbaglio sotto il mio piede. Lo raccolgo.
Sopra c’è la foto di due ragazzi, a Central Park. Si abbracciano e si guardano negli occhi. Sembra quasi che stiano per baciarsi.
Aspetta, ma quelli sono…
Il mio cuore si ferma per un secondo, togliendomi il respiro.
Quelli sulla foto sono Jessica e John…
No, non può essere. Mi sto sbagliando. Devo sbagliarmi!
Guardo John, in cerca di una conferma. Una conferma che quello è tutto uno stupido errore, che quello sulla foto non è lui. Una conferma che quella sulla foto non è Jessica. Una conferma che, purtroppo, non arriva.
Lui mi guarda, spaesato, non sapendo cosa dire. E il mondo mi crolla addosso.
Un nodo mi aggroviglia lo stomaco, e gli occhi cominciano a farmi male. Guardo negli occhi John. La mia è più una supplica, che una domanda.
Lui scuote la testa, avvicinandosi. << Valeri, ascolta. Non è come pensi. Io… >>
Non sento il resto della sua frase. Scappo via, in lacrime.
Sento chiamare il mio nome, ma non mi volto. Esco di corsa da scuola e mi avventuro nel bosco.
Corro, corro e corro. Corro all’impazzata. Non ho idea di dove sto andando, vedo solo alberi saettare veloci accanto a me. Alberi che piano piano diventano indistinti. Ho gli occhi gonfi di lacrime, ma non riesco ancora a piangere. Il vento che mi sferza il viso mi impedisce di farlo.
Alberi, alberi e ancora alberi. Qualche foglia secca si accartoccia sotto i miei piedi, qualche ramo si spezza. Mi fanno male le gambe, mi fanno male i polmoni. Mi fa male il cuore.
Voglio fuggire da tutto questo. Voglio arrivare fino al puntino bianco per poi svegliarmi nel mio letto e rendermi conto che questo è solo un brutto sogno.
Prima sentivo delle voci chiamare il mio nome. Ora non più. Credo di essere sola.
Continuo a correre per un po’, il cuore che minaccia di scoppiarmi nel petto. Ho la testa che mi pulsa e mi fa male il fianco.
Mi fermo e mi appoggio a un albero, sfinita. Mi guardo intorno, disperata.
Non era un sogno. Tutto questo era vero. Quella foto era… era…
Mi stringo forte la pancia, che mi fa male. Ho le guance bagnate. Altre lacrime escono da i miei occhi.
Mi accascio a terra, mi stringo le gambe al petto, la testa fra le ginocchia, e piango. Piango a non finire. Piango fino a sentirmi male, finché i singhiozzi non sono così forti da togliermi il respiro.
Sono sola. Mi fa male il petto e Dio solo sa come faccia il mio cuore a non essere ancora esploso. Non è esploso, ma si è spezzato. Si è frantumato in tanto piccoli pezzettini che hanno iniziato a fluttuare senza meta nel mio petto, non sapendo più dove andare e facendomi un male cane.
Sento che sta per scoppiarmi la testa. Continua a pulsare, e ormai le mie lacrime sono così forti da otturarmi le orecchie. Stringo forte i pugni. Mi sto bagnando la maglietta, le braccia, e il jeans all’altezza delle ginocchia. Ma non mi importa. Ormai il mio mondo è crollato.
Sento di aver perso qualcosa, qualcosa che non può tornare. Mi sento persa, inutile.
Mi sento tradita.
 
Non ho idea di quanto tempo io sia rimasta seduta lì a piangere.
So solo che quando i miei singhiozzi erano diminuiti e le lacrime rigavano calde le mie guance senza far rumore, alzai lo sguardo, e il sole stava tramontando. Dovevo essere rimasta lì tutta la mattinata, e anche tutto il pomeriggio. Il tempo era volato, ed io l’avevo passato a piangere.
Ma non avevo ancora finito. Perché la sola vista di quel cielo roseo mi fece tornare in mente il volto di John. So che non aveva senso, ma per me ce l’aveva. E ricominciai a piangere, singhiozzando, seppur stavolta più sommessamente.
Dopo qualche minuto, una mano si posò sulla mia spalla, facendomi sobbalzare.
Alzai lo sguardo, gli occhi gonfi di lacrime, e ciò che vidi mi lasciò un attimo senza parole. O meglio, chi vidi.
Matt, che mi scrutava teneramente con i suoi occhi verdi, si inginocchiò accanto a me. Mi passò una mano sui capelli.
<< Su, andiamo a casa >> mi disse.
Io ero troppo stanca e affannata per alzarmi. Lui lo capì, così mi prese in braccio e mi portò fuori dal bosco. Mi permise addirittura di posare la testa sul suo petto, continuando a singhiozzare, e non disse niente, neanche quando gli bagnai la maglietta.
In quel momento capii tutto. Mia doveva avermi cercato, per mari e per monti. Evidentemente non mi aveva trovato, e, disperata, aveva chiamato Matt, chiedendogli di cercarmi. Lui, ovviamente, aveva accettato.
Apprezzavo molto il fatto che era lì. Che era lì, con me. Ero scappata, senza ascoltare spiegazioni, senza che nessuno mi consolasse.
Ma ora, fra le sue braccia, mi rendevo conto di quanto in realtà fosse confortante avere accanto una persona vicina. Avere accanto un amico.
Mi portò a casa. Lui avrebbe anche voluto scortarmi alla porta, ma io rifiutai. Lo ringraziai per tutto e lui mi sorrise.
<< Di niente >> mormorò, gli occhi pieni di compassione. Non aveva spiccicato una parola per tutto il tragitto. Non aveva detto niente, non aveva accennato a John. A quanto pare, anche per lui era difficile da credere. In fondo, John era suo amico.
Aspettò che io aprissi la porta di casa, prima di riaccendere il motore e ripartire.
Io sono entrata come uno zombie.
Ed è così, che ora mi sto dirigendo per il corridoio.
Vado in cucina. Mary è seduta al tavolo, la testa fra le mani, preoccupata. Non appena mi nota sull’uscio, si alza di scatto.
<< Valeri… >> mormora.
Io non ce la faccio. Lascio cadere a terra lo zaino e corro in camera mia.
Sbatto con forza la porta e mi butto sul letto. Stringo forte il cuscino, affondandoci la testa, e ricomincio a piangere, a singhiozzare.
Dopo un po’, sento la porta della mia camera aprirsi piano. Mary entra e si siede accanto a me.
Mi posa una mano sulla spalla. << Valeri… >> ritenta di nuovo, ma i miei singhiozzi sono troppo forti, e lei non riesce a terminare la frase.
Se ora potessi vedere i suoi occhi, giurerei che sono preoccupati. << Cos’è successo?>> mi chiede, cauta.
Mi sembra strano che non lo sappia già. Possibile che Mia non glie l’abbia detto? Molto probabilmente no. Forse ha ritenuto più giusto che fossi io a parlagliene.
<< Mi dispiace >> singhiozzo. << Io… io… >> Non riesco a parlare. Le parole mi muoiono in gola.
<< Schh >> mormora Mary, accarezzandomi la schiena. Poi mi afferra saldamente la spalla. << Vieni qui.>>
Lentamente, mi alzo, guidata dalla sua stretta. Non appena sono seduta, Mary mi abbraccia.
Io affondo il viso nell’incavo del suo collo, e continuo a piangere. Più forte.
Mary non dice niente, si limita ad accarezzarmi i capelli e a stringermi a se. In qualche modo, il suo profumo mi rilassa.
Tento con tutte le mie forze di smettere di piangere, ma questo non fa che peggiorare la situazione, e sembra quasi che io abbia il singhiozzo.
Mary se ne accorge e mi posa una mano sulla nuca, accarezzandomi i capelli.
<< Piangi, bambina mia >> dice. << Piangi finché ne hai bisogno. Piangi finché non ti stanchi. Piangi finché non ti senti male. Piangi finché ne hai voglia.>>
E così faccio. Piango. Piango con tutto il fiato che ho in gola. Piango finché non mi fa male la gola, piango finché non mi bruciando i polmoni. Piango finché non mi sento troppo stanca perfino per respirare.
Mi faccio cullare dalle sue mani fra i mei capelli e dal suo odore.
Piango finché non mi rendo davvero conto che tutte quelle lacrime sono solo per John.

Angolo Scrittrice
Salve Gentee!!
Ecco qui, per voi, un nuovo capitoloo! :D

So che è un po' corto, e mi dispiace, ma dopo un po' non sapevo più cosa scrivere e così mi sono fermata qui.
So già che la maggior parte di voi mi sta odiando in questo momento, e che adesso mi trovassi di fronte a qualcuno si voi puzzerei già di pomodori, ma, ehi, che posso farci? Mia la storia, mie le idee, mie le cavolate che scrivo. Purtroppo questo capitolo era indispensabile :(
Ma state tranquilli. Mi rifarò con i prossimi ;)
Coomunque... Che ve ne pare? Vi è piaciuto? Anche se forse non è esattamente il capitolo che aspettavate, me lo lasciate un commentino? Vi pregooo! *w*
Aspetto con ansia i vostri pareri ^^
Di più non so che dirvi.
Un bacione! ;*
Alla prossima :D
La vostra
ValeryJackson

P.s. Sto scrivendo una nuova fanfiction per il fandom di Percy Jackson. Qualcuno di voi è interessato? ^^  
  
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