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Autore: RossJaymes    30/08/2013    2 recensioni
Tratto dal secondo capitolo:
«Adesso mi devi dare una mano», dice sporgendosi per guardare meglio la strada. «Dove devo andare per raggiungere casa tua?», chiede grattandosi la nuca.
Resto a guardarlo per un paio di secondi, poi volgo lo sguardo verso la strada. «Puoi lasciarmi davanti quel pub», dico indicando un locale infondo.
«Sicura? Potrebbero uscire ragazzi ubriachi e potrebbero...», si ferma per qualche istante per poi piegare la testa di lato. «...quanti anni hai, tu?».
«Emh... sedici», dico guardandolo attentamente. Dio, ti prego, fa che non scappi da me a gambe levate.
«Sedici», ripete per poi annuire. «Sì, scordarti che io ti lasci davanti a un night club. Dimmi precisamente dov'è casa tua».

Isabella Swan ha sedici anni. Edward Cullen ne ha diciannove.
Una semplice storia adolescenziale. Niente drammi — non di quelli grossi, almeno — e priva di scene strappalacrime. Abbiamo già problemi nella vita reale, perchè aggiungerli volontariamente anche in una fanfiction?
RossJaymes.
 
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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The steps of love.
 


 
Prologo.
 
 
 
 
«Buongiorno principessa!».
 Mugolo in stato di dormiveglia. 

«Io e tua madre siamo dovuti scappare a lavoro, così abbiamo puntato la sveglia a modo nostro».
Mi rigiro nel letto cercando di trovare la posizione giusta, e riprendere il sonno.
«Mi raccomando, alzati presto; oggi c'è la scuola. Adesso, ti lascio all'abilità di tua madre».
Abilità di tua madre? Non sarà...
«Sveglia, sveglia, sveglia, sveglia...».
Non appena sento la voce stridula di mia madre urlare, sconfitta, mi siedo sul letto sbattendo la mano sul materasso in cenno di disapprovazione. L'abilità di mia madre, consiste nel ripetere più volte la stessa parola senza mai stancarsi o confondersi. Spesso — come adesso — i miei genitori, Charlie e Renèe, usano questa scappatoia per svegliarmi la mattina, quando non gli è possibile farlo di presenza, per diversi inconvenienti. E, avere una sveglia parlante, dove puoi registrare la tua voce (o altrui) non è il massimo.
Sposto il lenzuolo di seta bianco — nonostante la temperatura si sia abbassata gradualmente, non abbiamo bisogno di plaid. Il climatizzatore da dove esce l'aria calda ci permette di non congelarci — e mi dirigo in bagno.
Entro nella doccia e mi sciacquo il corpo, riacquistando la tonalità di colore normale. Quando esco, afferro una tovaglia bianca e avvolgo il mio corpo. Ne prendo un'altra per tamponarmi i capelli, e dopo averli resi umidi, mi guardo allo specchio.
Il mio viso è a forma di cuore e quasi sul bianco. Le mie gote sono rosate, per via della doccia, e sono ricoperte da sottili lentiggini. I miei occhi sono color cioccolato, il mio naso sottile e le mie labbra insolite: il labbro superiore è fine, quello inferiore pieno. Il tutto contornato da un semplice colore naturale rosa.
Chiunque riesce ad individuare la mia età da un solo sguardo.
Mia madre Renèe, dice che sono un libro aperto. Pertanto, ogni volta che esco da casa, devo subirmi la strigliata della mia vicina, Dorotea. "Dove stai andando, ragazzina? Non vedi che sei troppo piccola per uscire? Torna subito a casa, non sai il male che c'è fuori". Ha 75 cinque anni, eppure, ci sente e ci vede bene. Sembra che passi la sua vita posizionata in una poltrona, dietro la tenda, in attesa che la sua piccola Isabella sedicenne, esca da casa sua.
Scuoto la testa divertita. 
Percorro le mattonelle ruvide e quando arrivo nella mia camera, apro le ante dell'armadio. Afferro un paio di jeans e una maglietta, non preoccupandomi del risultato finale, poi, indosso le mie sneakers a scacchi e mi dirigo in cucina. 
La cucina è la stanza che preferisco di più in questa casa. Quando i miei genitori decisero di acquistarla, mia madre fece un cambiamento radicale; quello di cambiare lo stile della cucina da moderno a muratura. Mio padre, per dare il suo contributo, aggiunse un isola centrale.
E' una cucina in muratura moderna, rispecchia decisamente il nostro stile.
Quando sorpasso l'arcata, mi appoggio all'isola aprendo lo sportello delle merende. Prendo un cornetto — che strada facendo mi sarei divorato — e mi dirigo all'entrata principale. Afferro la giacca, le chiavi di casa, e poi mi avvio alla Forks High School.
Quest'ultimo è un ampio istituto situato in una zona verde. All'esterno presenta una facciata di mattonele chiare, e ai suoi lati sono presenti due aiuole circondate da begonie gialle. Il tetto è a falde e le finestre a tre ante. L'indirizzo è conosciuto in quanto è l'unica scuola professionale situata a Forks. 
Nel cartello principale, infatti, c'è scritto Forks High School Home of the Spartans.

Le ore di studio sono passate velocemente sopprimendo il mio abituale stato d'animo da scocciata. 
Quando arrivo a casa, ad accogliermi è mia madre, Renèe.
«Ciao tesoro», esclama abbracciandomi. «Oggi si mangia insalata di patate e avocado».
«Oh, no», mormoro. Mia madre ha una strana fissa per il cibo vegetariano. Odia gli hamburger, la carne e il pesce. Preferisce mangiare salutare, ma ovviamente, io e mio padre, non siamo affatto d'accordo. Qualche volta riusciamo a salvarci scappando di casa andando a mangiare in un fast food, ma altre volte, Charlie è costretto a supportare sua moglie, lasciandoci nelle sue grinfie. Come adesso.
«Papà», sussurro contrariata quando gli sono vicino. Lui, di tutta risposta, inarca le sopracciglia all'ingiù, chiedendomi scusa.
Roteo gli occhi, sedendomi a tavola.
Nonostante il cibo disgustoto, il pranzo trascorre tranquillamente tra chiacchiere e bisticci. Quando terminiamo, aiuto mia madre a sistemare la cucina, per poi dirigermi in camera mia.
Apro il primo cassetto a sinistra della mia scrivania e afferro il caricabatterie del mio cellulare. Quando il telefono segna la spina, ovvero, che sta caricando, mi siedo nel letto e chiamo Jessica.
Risponde al terzo squillo. «Bella», esclama una voce smorzata e nasale. Segno che ha il raffreddore. 
«Jess, stai bene?».
«Non proprio. Ricordi quando sono andata con mia madre a Seattle?».
«Sì, certo. Ti avevo chiesto di uscire, ma tu hai negato perchè eri già impegnata», rispondo portando i miei pensieri a quel giorno.
«Già, a proposito mi dispiace», dice per poi starnutire. «dicevo... quel giorno mia madre era convinta che a Seattle ci sarebbe stato il sole e così ci siamo portate il costume».
«Oh no», mormoro andando alla conclusione. «Fammi indovinare: ha piovuto».
«E
sattamente», tossisce.
«Mi dispiace, Jess. Se vuoi stasera vengo a farti compagnia».
«Ti dispiace?».
«Affatto. Ti avevo chiamata per sapere dov'eri finita, dato che oggi a scuola non ti ho vista, ma penso che mia madre non farà alcun problema se salto la cena».
«Mh», mormora. «Dì la verità, stai usando la scusa di venire qui da me per saltare la cena vegetariana», risponde sogghignando.
«In parte», rido.
«Sì certo. Ci vediamo dopo, almeno ho una scusa per farmi la doccia. Mio padre non mi fa muovere da questo maledetto letto», borbotta contrariata.
«Va bene, ci vediamo dopo, puzzolente», le dico scherzando per poi chiudere la chiamata.  
Jessica Stanley è la cosidetta brava ragazza. Quella che va d'accordo con i professori, quella che passa i compiti in classe e quella che aiuta le persone in difficoltà. Organizza quasi ogni anno il ballo di primavera, scambiandosi qualche volta i ruoli di organizzatrice con Alice Brandon. Quest'ultima è un anno più piccola di noi e la sua timidezza trabocca da tutte le parti. Ma è impossibile negare, quanto sia andata a genio ai professori. E' una seconda Jessica, solo più piccola e timida.
Scendo le scale raggiungendo i miei in salotto. Mi siedo accanto a loro nel divano e schiocco più volte le dita in cerca di attenzioni.
Quando si girano, parlo. «Mamma... mi dispiace davvero tanto».
«Per cosa?», chiede lei sistemandosi sul divano temendo al peggio.
«Per saltare la cena vegetariana questa sera».
Sospira riprendendo la tonalità di pelle normale. Pensava che le avrei detto che fossi incinta?
«E perchè dovresti saltarla?».
«Jessica sta male e vorrei andarle a fare compagnia».
Sbuffa spostandosi i capelli di lato, rivolgendo poi lo sguardo a suo marito. «Tu mangerai la cena vegetariana, vero?».
«Emh...», Charlie mi guarda dicendomi un muto "mi hai tradito". «sì, certo tesoro». 
«Bene. Salutami la signora e il signor Stanley quando sei lì, tesoro», dice mia madre dandomi il consenso.
Sorrido soddisfatta e annuisco. «Certo».
Rimango con loro a guardare la partita di baseball e poi, verso le 19:01, decido di prepararmi.

Chiamo il taxi — non possedendo ancora un auto tutta mia — e gli do l'indirizzo di casa Stanley. Quando arrivo, pago il tassista e suono il campanello. 
Ad aprirmi è il padre di Jessica. «Salve signor Stanley».
«Oh, Isabella. Prego entra», mi fa spazio permettendomi la visuale della loro casa. E' piccola e molto accogliente. I colori delle pareti sono vivaci, al contrario delle piastrelle. Nelle maggior parte dei muri sono presenti diversi quadri che ritraggono la loro vita.
«Bella, tesoro». Dalla cucina esce la signora Stanley, Meredith, che, essendo vivace — esattamente come sua figlia — preferisce abbandorare la formalità e rivolgersi a me come una sua seconda figlia.
Mi abbraccia e chiama Jessica dal piano di sopra. «No, tranquilli, la raggiungo io».
«Oh, va bene», dice Meredith pulendosi il viso di farina. «Tra poco è pronta la cena».
«A momenti saremo giù», le dico iniziando a salire le scale. «Ah, a proposito: vi salutano i miei genitori», esclamo ricordando la richiesta di mia madre.
Raggiungo Jessica nella sua camera e busso più volte.
«Mamma ho capito, mi sto mettendo a letto», la sento urlare soffiando il naso.
«Non sono Meredith», ridacchio.
Lei spalanca la porta e si butta letteralmente su di me. «Bella, finalmente. Stavo pensando che avessi cambiato idea sulla cucina vegetariana».
«Mai», sbotto indignata sedendomi nel suo letto. «Sono un hamburgerfans a vita».
Ride tossicchiando, aprendo anche la mia ilarità.
La serata a casa Stanley, tuttavia, la trascorro serenamente tra battute, occhiatacce e rivelazioni. Jessica è una ragazza espansiva e solare. Ama parlare... e parlare, parlare, parlare. Però, malgrado questo aspetto negativo, riesce ad essere raggiante anche in uno stato pietoso. Durante la serata mi ha raccontato sulla sua presunta cotta per Mike Newton. Quest'ultimo si ritiene il classico ragazzo bellissimo e impossibile della scuola, peccato che le uniche a sbavargli dietro sono le bidelle -sono grande ma la do ai più piccoli- e... beh, e Jessica.
Le sue attenzioni non fanno altro che pavoneggiarlo, rendendolo più antipatico e insostenibile di prima. Jessica è esattamente il contrario.
Si sono conosciuti ad una festa organizzata da Angela, — cugina di Jessica che adesso abita a Seattle — ed è stato come un colpo di fulmine, anzi, forse di più. Ma probabilmente, per Mike, sarà stato un colpo di tette.
Si fissarono per tutta la serata, inclinando gli sguardi languidi. Dapprima, Jessica credeva fosse solo attrazione fisica, ma ebbe la conferma che fosse di più, tre giorni dopo, quando lo vide uscire dallo sgabuzzino con Tanya -mi piace farmi sbattere da tutti- Denali. Quel giorno ci sorprendemmo tutti di vedere la più stimata — parlando del sesso — e cercata (antipatica, fastidiosa, insopportabile, irritante e insolente, aggiungerei) ragazza dell'istituto rifugiarsi in un ripostiglio per fare sesso con il ragazzo più villano, cafone e bamboccio della scuola.
Si ignorarono per un mese intero e ancora oggi, evitano gli sguardi sfuggiti.
«Grazie per essere venuta, Bells», mi dice Jessica sull'uscio della porta. «I miei mi hanno dato una settimana di riposo, quindi...».
«Ci vediamo il prossimo Lunedì», concludo la frase per lei abbracciandola. «Di nulla, è sempre un piacere venire da te, tesoro».
Sorride e mi da una pacca sul sedere. «Vai topa, che tua madre ti aspetta».
«Sì scoiattola».
«Ehi», protesta. Ridacchio e mi congedo soffiandole un bacio sulla guancia e chiudendomi la porta alle spalle.
Scendo gli scalini e percorro il vialetto stringendomi il giaccone. Se Forks di giorno è fredda, di sera è un gelo.
Jessica abita nella zona residenziale di Port Angeles, nella seconda stradina illuminata da lampioni bianchi. Solitamente prima delle sette di sera le stradine sono più o meno affollate, ma dopo le nove, si rintanano tutte nelle proprie case per le vie inaffidabili.
Affondo le mani nelle tasche e aspetto mia madre alla fine del vialetto. In questo momento, vorrei trovarmi al calduccio a casa mia, con della cioccolata calda in mano, e coperta da un leggero plaid, intenta a guardare le repliche di baseball con mio padre. La perfetta visione di padre e figlia.
Il vibrare incessante del mio cellulare mi risveglia dal torpore e con mani tremanti lo prendo.
«Pronto?».
«Tesoro, sono la mamma».
Sospiro sollevata. «Sei qui vicino?».
«No», la sento parlare con qualcuno per poi rivolgersi di nuovo a me. «In realtà io e tuo padre abbiamo deciso di andare a cenare da vecchi amici, per avere un pò di compagnia e... sì, tesoro lancia l'asso di cuori», grida. «...e quindi ci siamo fermati qui».
Si sono fermati lì? E a loro figlia non ci pensano?
«Grandioso», esclamo agitando le mani. «ed io come diamine torno a casa?».
«Tranquilla, Esme e Carlisle — i nostri amici — hanno un figlio. Verrà a prenderti lui con la sua auto».
«Esme e Carlisle? Esme non era al corso di ricamo con te?». Tre anni fa, mia madre si era data al ricamo cercando i corsi più prestigiosi su internet, per poi farne parte. Proprio in quel corso conobbe Esme, una donna dolcissima. Raramente la vedevo a casa mia, di pomeriggio, prendere il tè con mia madre. 
«Sì, proprio lei».
Sospiro. «Va bene. Loro figlio è già sceso?».
«Sì, da circa venti minuti, dovrebbe essere a momenti da te».
Quando in lontananza cominciano a vedersi due grandi fari bianchi accesi, decido di comunicarglielo a mia madre. «Credo sia qui. Com'è che si chiama? Almeno mi assicuro».
«Ah, certo. Edward, si chiama Edward».
Edward? Edward Cullen?
Merda.





 
Stato autrice.


Salve ragazzi, mi chiamo Rossana.
Questa è la prima FanFiction che scrivo e che pubblico. Generalmente sono abituata a scrivere su pezzi di carta o semplicemente su word, ma non ho mai messo a disposizione su internet una delle mie storie.
Così, ho pensato di iniziare adesso. Premetto che non ho ancora letto alcuna storia qui su Efp. Ne leggero sicuramente e cercherò di ambientarmi.
Spero che la storia vi coinvolga già da questo piccolo e di certo comprensibile prologo. E vorrei anche dirvi, che questa FF è priva di drammi, o momenti strappalacrime; è semplicemente una storia d'amore adolescenziale. Ovviamente ci saranno un pò di inconvenienti (in tutte le storie d'amore ci sono) ma non saranno eccessivi. Vorrei iniziare con qualcosa di leggero, ecco.
Un abbraccio e grazie per aver letto. Aspetto una vostra recensione!
  
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