“Aphrodite,
forse dovresti andare a casa. A casa tua. I tuoi genitori sarebbero
felici di…”
“No.”
il
ragazzo si raddrizzò sulla sedia, lanciando uno sguardo
irritato alla donna
seduta davanti a lui. Gli ricordava qualcuno: lo infastidiva. Sorrideva
sempre
come se al mondo non ci fosse alcun problema.
“Non
ho
intenzione di farlo.” insistette, accavallando con stizza le
gambe ed
incrociando le braccia sul petto, cercando inconsapevolmente di
proteggersi
dalle parole della donna.
Era
quasi
un anno che era tornato in Svezia, ma dopo un solo mese in cui era
stato dai
suoi genitori era scappato nuovamente. Non ne poteva più:
gli parlavano come se
fosse un bambino, nascondendo ciò che pensavano veramente.
Lo tenevano sotto
una campana di vetro, troppo apprensivi: non era riuscito a resistere,
non dopo
due anni passati allo sbando. Aveva bussato in lacrime alla porta di
Angelo e i
suoi genitori avevano accettato di accoglierlo, chiamando casa sua per
informare. Sua madre aveva insistito perché andasse in
terapia da uno psicologo
e, visto che anche Angelo glielo aveva ripetuto molte volte, alla fine
aveva
accettato.
Così
in
quel momento si trovava nello studio della dottoressa Gora, la
psicologa da cui
era in cura da quasi un anno. Non era stato facile raccontarle quanto
accaduto,
ma con molta calma ed altrettanto tempo era riuscito a confidarsi. Non
aveva
mai pianto davanti a lei: le sue lacrime poteva vederle solo Death Mask.
“Aphrodite,
riflettici con calma: tornare in quel posto potrebbe vanificare tutti i
passi
fatti finora. Capisco che tu sia preoccupato, ma dovresti aver chiuso
per
sempre con quella vita.”
La
voce
della donna era smielata. Continuava a ricordargli qualcuno.
“Credevo
che Daniel fosse morto in quel fottuto vicolo, ma in verità
non è mai andato
via: non riesco ad essere di nuovo Aphrodite senza tornare
là, senza dire addio
veramente. Non lo faccio solo perché sono preoccupato per
Marisa, lo faccio
anche e soprattutto per me stesso.” il ragazzo
inspirò a fondo, cercando di
riprendere il controllo della voce e del respiro: era terrorizzato dal
pensiero
di tornare in Groenlandia, ma era vero che lo voleva fare anche per se
stesso.
Da
mesi i
notiziari trasmettevano la notizia delle uccisioni di molte prostitute
in
Groenlandia, strangolate e picchiate in un vicolo. Quando facevi quel
genere di
vita era normale il rischio, ma negli ultimi mesi il numero di morti
era salito
sospettosamente. Era quasi sicuro di conoscere il responsabile:
Aphrodite non
lo aveva mai incontrato, ma Daniel ne portava ancora i segni addosso.
Se era lo
stesso uomo che aveva aggredito lui, aveva il dovere di informare la
polizia.
Forse tornare in Groenlandia non era la cosa migliore, ma era sicuro di
doverlo
fare: l’ultima volta era fuggito, com’era abituato
a fare in quel periodo,
senza accorgersi che Daniel, o almeno quello che ne era rimasto, lo
aveva
seguito. Voleva solo dimenticare, ma gli era impossibile.
Chissà
cos’aveva pensato Marisa quando era sparito.
Chissà se ancora si ricordava di
Daniel.
Si
alzò
di scatto, scostandosi i capelli dal viso: “Ormai ho deciso:
le valigie sono
già pronte, il biglietto aereo già acquistato.
Sono maggiorenne, posso andare.
Questo pomeriggio parto: la chiamo quando torno.”
così dicendo uscì dallo
studio: come ogni volta, Death lo aspettava fuori.
“Non
è
riuscita a farti cambiare idea?” chiese, semisdraiato sulla
sedia con le lunghe
gambe tese, le braccia incrociate e una sigaretta spenta stretta fra i
denti.
“Non
ti
ho chiesto io di accompagnarmi! Posso andare da solo!”
Aphrodite
sbuffò, oltrepassandolo con stizza. Non si sorprese quando
sentì la mano di
Angelo trattenerlo per un braccio e costringerlo a sedersi accanto a
lui.
“Ciuriddu,
come posso lasciarti andare solo? I due anni in cui tu non
c’eri… è stato orribile.
Quando ho scoperto che eri sparito io… sapevo di aver
fallito: avevo detto che
mi sarei occupato di te, che ti avrei protetto, che ti avrei reso
felice. Non
ti sono bastato, non ho mantenuto la mia promessa: l’unica
cosa che potevo fare
era ritrovarti e riportarti a casa. Per due cazzo di anni, ogni fottuto
giorno,
ti ho cercato, ho chiesto a tutti, a qualunque bastardo criminale che
avrebbe
potuto aiutarti a sparire… poi, una traccia: Groenlandia. Ti
avevo trovato, ma
ho creduto fosse troppo tardi quando ti ho visto a terra in quel
vicolo…” si
interruppe un attimo, abbassando lo sguardo e riducendo la voce ad un
sussurro:
“Ma tu ora sei qui, con me: non posso rischiare di perderti
ancora.”
“Io
tornerò…” mormorò Aphrodite,
lentamente: aveva già sentito quella storia
moltissime volte, ma gli faceva sempre uno strano effetto. Gli
accendeva un
fuoco nello stomaco, mentre una vocina continuava a ripetergli:
“Quanto sei
stato stupido…”
“Non
voglio perderti di vista mai più…”
Angelo lo strinse delicatamente a sé,
passandogli una mano fra i capelli: “Non lo sopporterei. Non
di nuovo.”
“Devo
andare. Lo devo fare…”
“Lo
so,
ma io verrò con te.”
***
Era
tutto
come ricordava: persino ogni odore era rimasto impresso nella sua
memoria,
indelebile. Afferrò con mani tremanti la propria valigia
rossa: quella blu, con
cui era fuggito tre anni prima e che lo aveva accompagnato in
Groenlandia,
l’aveva buttata. Non era sua, ma di Daniel. E lui non voleva
più avere niente a
che fare con Daniel.
“Stai
bene Aphrodite?” Angelo, al suo fianco, gli sorrise
leggermente.
Gli
mancava il respiro e la vista continuava ad offuscarsi.
Groenlandia.
Daniel. Forse non era pronto ad affrontare il passato, forse non lo
sarebbe mai
stato.
“Io…
sì.
Dai, muoviamoci, voglio trovare Marisa. Ha il turno dalle
vent’uno alle quattro
di mattina. So dove trovarla.”
Aphrodite
strinse le mani a pugno, lasciando che Death portasse anche il suo
trolley e si
incamminò velocemente. Una volta fuori dall’aereo
porto, però, si bloccò
nuovamente: non poteva camminare per quelle strade, non lui, non
Aphrodite.
Solo
Daniel ne avrebbe avuto il coraggio, ma non poteva nemmeno richiamarlo.
Daniel
aveva fatto tutte le scelte sbagliate, sempre, aveva cercato di
annientarlo,
sopprimendo ogni suo sogno, speranza, desiderio.
“Aphrodite…”
Sì,
quello era il suo nome, quello era lui. Non avrebbe dovuto dimenticarlo
mai
più.
Inspirò
a
fondo, appoggiandosi a Death Mask: ormai era lì, non poteva
cedere a quel
punto.
“Aphrodite.”
lo ripeté, cercando di imprimerselo bene in mente, quindi
sollevò piano una
mano, fermando un taxi.
Ricordava
ogni singolo vicolo e le luci della sera in cui si stavano muovendo gli
erano
molto più familiari di quelle giornaliere.
Una
volta
raggiunta la periferia, Aphrodite si ritrovò catapultato in
quello che per due
anni era stato il suo mondo: donne, uomini, ragazze, ragazzi, poco
più che
bambini. Erano tutti lì, sui marciapiedi, mezzi svestiti,
con finti sorrisi.
Conosceva ciò che si nascondeva dietro quelle maschere:
disperazione. Odio.
Aveva sempre creduto che l’odio, in certi casi, rendesse
più forti, ma solo con
la comparsa di Daniel aveva conosciuto veramente quel sentimento:
nessuno
poteva parlare di odio prima di aver iniziato a detestare se stesso, la
propria
vita. Sapeva fin troppo bene cosa significasse, proprio come tutte
quelle
persone che salivano su auto di sconosciuti per vendere
l’unica cosa che
rimaneva loro.
“Si
fermi
qui, per favore.” mormorò all’autista:
“Aspetti solo dieci minuti.” aggiunse,
aprendo la portiera e: “Se lo fa la pago il
doppio!” sbottò, interrompendo
subito le lamentele dell’uomo, che alzò le mani in
segno di resa.
Angelo,
lasciando nell’auto le valigie, lo seguì in
silenzio lungo il viale, fino a
quando svoltarono in una stradina laterale: Marisa era lì,
appoggiata ad una
macchina. Sembrava più magra, più pallida,
più disperata.
La
vide
fare il giro dell’auto, ma quando fece per aprire la portiera
sentì chiaramente
una voce maschile, stridula e nervosa: “No, dietro!”
Marisa
esitò, quindi sbuffò e fece per accontentare il
cliente, ignorando il fatto che
i finestrini posteriori fossero oscurati. Proprio come aveva fatto lui.
Il
cuore
di Aphrodite perse un battito, quindi ricominciò a battere
furiosamente: non
riusciva a muovere un muscolo, come bloccato da una forza invisibile.
Gli
sembrò di sentire nuovamente la mano dell’uomo
serrarsi sulla sua gola e
spezzargli il respiro, percepì chiaramente il dolore provato
nel momento in cui
il suo corpo era stato sbattuto contro il muro, come se non fosse altro
che una
bambola di pezza.
“No!
Non
lo fare!” urlò, non riuscendo tuttavia a muoversi.
Marisa
sobbalzò, voltandosi verso di lui e sbiancando maggiormente
se possibile,
mentre l’auto partì sgommando.
“Phro…”
mormorò Death, fermo pochi passi dietro di lui, senza
capire, ma il ragazzo
nemmeno lo sentì: teneva gli occhi fissi in quelli di
Marisa, incapace di
allontanare lo sguardo dal proprio passato.
La
donna
avanzò velocemente verso di lui, raggiungendolo in pochi
passi e sollevando
lentamente una mano per sfiorargli una guancia. Al contatto con la
pelle fredda
del ragazzo sobbalzò, ritraendosi quasi spaventata.
“Sei
vivo…” mormorò, confusa ed intimorita:
“Io… ti ho creduto morto quando sei
sparito. Credevo avessi seguito il cliente sbagliato, ma tu…
sei vivo. Daniel.”
Aphrodite
sobbalzò, sentendosi quasi colpire da uno schiaffo: Daniel.
Per
Marisa lui era Daniel: freddo, solo e senza sogni.
In
quel
momento la donna gli ricordava tanto, troppo, il ragazzo che era stato,
quel se
stesso che non riconosceva: evidentemente, aveva smesso di illudersi.
“Ti
trovo
bene, meglio dell’ultima volta in cui ci siamo
visti…” mormorò nuovamente la
donna, sfregandosi un braccio: “Come hai fatto?”
Aphrodite
la guardò senza capire.
“A
lasciare questa vita. Come hai fatto? E’ evidente che
né tu né il tuo amico
fate le puttane.”
Il
ragazzo spostò il peso da un piede all’altro,
nervoso, quindi sussurrò
fissandola negli occhi: “Quell’uomo. Un anno fa
nessuno mi ha fermato ed io
l’ho seguito: mi ha portato in un vicolo, in questo
vicolo, mi ha picchiato e strangolato. Sono vivo per
miracolo.”
Senza
accorgersene, Aphrodite aveva iniziato a tremare.
Marisa
invece annuì lentamente, come se la cosa non la riguardasse,
nonostante avesse
appena rischiato di fare la stessa fine: “Oh…
l’uomo che ci sta uccidendo. Forse
sei stato il primo, la sua prova.”
“Devi
stare attenta… perché non torni a casa per questa
sera?”
Lei
scosse la testa, sorridendo nello stesso modo storto tipico di Daniel:
“Trovo
sempre qualcuno che mi porti a casa con sé, ricordi? Anche
tu eri così. Quando
sei per strada stai in gruppo, ma con un cliente sei da sola.”
Aphrodite
non rispose, chinando il capo.
“Daniel.
No, tu non sei Daniel: non vedo nulla di lui in te.”
Il
ragazzo sollevò lentamente lo sguardo, posandolo sul muro
alle spalle della donna,
quello stesso muro contro cui era stato picchiato, vicino al quale era
stato
abbandonato come spazzatura. In quel vicolo si era visto morire.
“Allora,
nonostante tutto, le mie lacrime non sono state piante per niente: non
so chi
tu sia. Daniel è veramente morto.”
“Io
mi
chiamo Aphrodite…” mormorò, senza
più riuscire a frenare le lacrime: nemmeno
lui riusciva a vedere nulla della Marisa che aveva conosciuto in quella
donna.
“Beh,
Aphrodite, una volta Daniel mi chiese come facessero i nostri clienti a
non
rendersi conto di farlo con persone già morte. Allora,
quando la prostituzione
non mi aveva ancora segnata troppo, non capii. Ora è tutto
chiaro: io non ho
più vita. Daniel è morto in quel vicolo. Dovresti
essergli grato, Aphrodite: è
grazie alla sua morte che tu ora sei qui. Piangi per lui qualche volta,
perché era
un ragazzo speciale a modo suo.” detto ciò, Marisa
se ne andò, ignorando le
suppliche e le lacrime del ragazzo.
Non
poteva fare a meno di piangere. Tutto il dolore che in
quell’anno aveva
soffocato si era ribellato, tornando a galla e scivolando via sotto
forma di
gocce salate. Con loro, anche quel poco di Daniel che lo aveva seguito
scompariva, morendo nuovamente, per sempre, in quel vicolo.
“Aphrodite…”
mormorò Angelo abbracciandolo da dietro: “Non puoi
salvare tutti, ciuriddu.”
Si
voltò
fra le sue braccia, lasciando che vedesse il suo viso rigato dalla
sofferenza: “Ora
ho detto addio. Addio per sempre. Daniel è morto,
è stato ucciso da un mostro,
è stato ucciso dai suoi stessi errori. Proprio qui, in
questo vicolo. Daniel
era amico di Marisa, ma ormai anche lei è morta: qui non
c’è più nulla che mi
riguardi.”
Death
annuì, lasciandolo continuare.
“Andiamo
alla polizia: io so chi è quell’uomo,
l’assassino. Non posso salvare tutti, ma
qualcuno sì.”
Per
Daniel e Marisa, ormai, era troppo tardi.
Chiedo
scussa per l’enorme ritardo con cui aggiorno
>.< Grazie a tutti!