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Autore: La Kurapikina    30/08/2013    1 recensioni
Aphrodite è un semplice ragazzo Svedese che sente qualcosa di sbagliato in sè... sono capitoli in cui descrivo pezzi della sua vita anno dopo anno.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio, Pisces Aphrodite
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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“Aphrodite, forse dovresti andare a casa. A casa tua. I tuoi genitori sarebbero felici di…”

“No.” il ragazzo si raddrizzò sulla sedia, lanciando uno sguardo irritato alla donna seduta davanti a lui. Gli ricordava qualcuno: lo infastidiva. Sorrideva sempre come se al mondo non ci fosse alcun problema.

“Non ho intenzione di farlo.” insistette, accavallando con stizza le gambe ed incrociando le braccia sul petto, cercando inconsapevolmente di proteggersi dalle parole della donna.

Era quasi un anno che era tornato in Svezia, ma dopo un solo mese in cui era stato dai suoi genitori era scappato nuovamente. Non ne poteva più: gli parlavano come se fosse un bambino, nascondendo ciò che pensavano veramente. Lo tenevano sotto una campana di vetro, troppo apprensivi: non era riuscito a resistere, non dopo due anni passati allo sbando. Aveva bussato in lacrime alla porta di Angelo e i suoi genitori avevano accettato di accoglierlo, chiamando casa sua per informare. Sua madre aveva insistito perché andasse in terapia da uno psicologo e, visto che anche Angelo glielo aveva ripetuto molte volte, alla fine aveva accettato.

Così in quel momento si trovava nello studio della dottoressa Gora, la psicologa da cui era in cura da quasi un anno. Non era stato facile raccontarle quanto accaduto, ma con molta calma ed altrettanto tempo era riuscito a confidarsi. Non aveva mai pianto davanti a lei: le sue lacrime poteva vederle solo Death Mask.

“Aphrodite, riflettici con calma: tornare in quel posto potrebbe vanificare tutti i passi fatti finora. Capisco che tu sia preoccupato, ma dovresti aver chiuso per sempre con quella vita.”

La voce della donna era smielata. Continuava a ricordargli qualcuno.

“Credevo che Daniel fosse morto in quel fottuto vicolo, ma in verità non è mai andato via: non riesco ad essere di nuovo Aphrodite senza tornare là, senza dire addio veramente. Non lo faccio solo perché sono preoccupato per Marisa, lo faccio anche e soprattutto per me stesso.” il ragazzo inspirò a fondo, cercando di riprendere il controllo della voce e del respiro: era terrorizzato dal pensiero di tornare in Groenlandia, ma era vero che lo voleva fare anche per se stesso.

Da mesi i notiziari trasmettevano la notizia delle uccisioni di molte prostitute in Groenlandia, strangolate e picchiate in un vicolo. Quando facevi quel genere di vita era normale il rischio, ma negli ultimi mesi il numero di morti era salito sospettosamente. Era quasi sicuro di conoscere il responsabile: Aphrodite non lo aveva mai incontrato, ma Daniel ne portava ancora i segni addosso. Se era lo stesso uomo che aveva aggredito lui, aveva il dovere di informare la polizia. Forse tornare in Groenlandia non era la cosa migliore, ma era sicuro di doverlo fare: l’ultima volta era fuggito, com’era abituato a fare in quel periodo, senza accorgersi che Daniel, o almeno quello che ne era rimasto, lo aveva seguito. Voleva solo dimenticare, ma gli era impossibile.

Chissà cos’aveva pensato Marisa quando era sparito. Chissà se ancora si ricordava di Daniel.

Si alzò di scatto, scostandosi i capelli dal viso: “Ormai ho deciso: le valigie sono già pronte, il biglietto aereo già acquistato. Sono maggiorenne, posso andare. Questo pomeriggio parto: la chiamo quando torno.” così dicendo uscì dallo studio: come ogni volta, Death lo aspettava fuori.

“Non è riuscita a farti cambiare idea?” chiese, semisdraiato sulla sedia con le lunghe gambe tese, le braccia incrociate e una sigaretta spenta stretta fra i denti.

“Non ti ho chiesto io di accompagnarmi! Posso andare da solo!”

Aphrodite sbuffò, oltrepassandolo con stizza. Non si sorprese quando sentì la mano di Angelo trattenerlo per un braccio e costringerlo a sedersi accanto a lui.

“Ciuriddu, come posso lasciarti andare solo? I due anni in cui tu non c’eri… è stato orribile. Quando ho scoperto che eri sparito io… sapevo di aver fallito: avevo detto che mi sarei occupato di te, che ti avrei protetto, che ti avrei reso felice. Non ti sono bastato, non ho mantenuto la mia promessa: l’unica cosa che potevo fare era ritrovarti e riportarti a casa. Per due cazzo di anni, ogni fottuto giorno, ti ho cercato, ho chiesto a tutti, a qualunque bastardo criminale che avrebbe potuto aiutarti a sparire… poi, una traccia: Groenlandia. Ti avevo trovato, ma ho creduto fosse troppo tardi quando ti ho visto a terra in quel vicolo…” si interruppe un attimo, abbassando lo sguardo e riducendo la voce ad un sussurro: “Ma tu ora sei qui, con me: non posso rischiare di perderti ancora.”

“Io tornerò…” mormorò Aphrodite, lentamente: aveva già sentito quella storia moltissime volte, ma gli faceva sempre uno strano effetto. Gli accendeva un fuoco nello stomaco, mentre una vocina continuava a ripetergli: “Quanto sei stato stupido…”

“Non voglio perderti di vista mai più…” Angelo lo strinse delicatamente a sé, passandogli una mano fra i capelli: “Non lo sopporterei. Non di nuovo.”

“Devo andare. Lo devo fare…”

“Lo so, ma io verrò con te.”

 

***

Era tutto come ricordava: persino ogni odore era rimasto impresso nella sua memoria, indelebile. Afferrò con mani tremanti la propria valigia rossa: quella blu, con cui era fuggito tre anni prima e che lo aveva accompagnato in Groenlandia, l’aveva buttata. Non era sua, ma di Daniel. E lui non voleva più avere niente a che fare con Daniel.

“Stai bene Aphrodite?” Angelo, al suo fianco, gli sorrise leggermente.

Gli mancava il respiro e la vista continuava ad offuscarsi.

Groenlandia. Daniel. Forse non era pronto ad affrontare il passato, forse non lo sarebbe mai stato.

“Io… sì. Dai, muoviamoci, voglio trovare Marisa. Ha il turno dalle vent’uno alle quattro di mattina. So dove trovarla.”

Aphrodite strinse le mani a pugno, lasciando che Death portasse anche il suo trolley e si incamminò velocemente. Una volta fuori dall’aereo porto, però, si bloccò nuovamente: non poteva camminare per quelle strade, non lui, non Aphrodite.

Solo Daniel ne avrebbe avuto il coraggio, ma non poteva nemmeno richiamarlo. Daniel aveva fatto tutte le scelte sbagliate, sempre, aveva cercato di annientarlo, sopprimendo ogni suo sogno, speranza, desiderio.

“Aphrodite…”

Sì, quello era il suo nome, quello era lui. Non avrebbe dovuto dimenticarlo mai più.

Inspirò a fondo, appoggiandosi a Death Mask: ormai era lì, non poteva cedere a quel punto.

“Aphrodite.” lo ripeté, cercando di imprimerselo bene in mente, quindi sollevò piano una mano, fermando un taxi.

Ricordava ogni singolo vicolo e le luci della sera in cui si stavano muovendo gli erano molto più familiari di quelle giornaliere.

Una volta raggiunta la periferia, Aphrodite si ritrovò catapultato in quello che per due anni era stato il suo mondo: donne, uomini, ragazze, ragazzi, poco più che bambini. Erano tutti lì, sui marciapiedi, mezzi svestiti, con finti sorrisi. Conosceva ciò che si nascondeva dietro quelle maschere: disperazione. Odio. Aveva sempre creduto che l’odio, in certi casi, rendesse più forti, ma solo con la comparsa di Daniel aveva conosciuto veramente quel sentimento: nessuno poteva parlare di odio prima di aver iniziato a detestare se stesso, la propria vita. Sapeva fin troppo bene cosa significasse, proprio come tutte quelle persone che salivano su auto di sconosciuti per vendere l’unica cosa che rimaneva loro.

“Si fermi qui, per favore.” mormorò all’autista: “Aspetti solo dieci minuti.” aggiunse, aprendo la portiera e: “Se lo fa la pago il doppio!” sbottò, interrompendo subito le lamentele dell’uomo, che alzò le mani in segno di resa.

Angelo, lasciando nell’auto le valigie, lo seguì in silenzio lungo il viale, fino a quando svoltarono in una stradina laterale: Marisa era lì, appoggiata ad una macchina. Sembrava più magra, più pallida, più disperata.

La vide fare il giro dell’auto, ma quando fece per aprire la portiera sentì chiaramente una voce maschile, stridula e nervosa: “No, dietro!”

Marisa esitò, quindi sbuffò e fece per accontentare il cliente, ignorando il fatto che i finestrini posteriori fossero oscurati. Proprio come aveva fatto lui.

Il cuore di Aphrodite perse un battito, quindi ricominciò a battere furiosamente: non riusciva a muovere un muscolo, come bloccato da una forza invisibile. Gli sembrò di sentire nuovamente la mano dell’uomo serrarsi sulla sua gola e spezzargli il respiro, percepì chiaramente il dolore provato nel momento in cui il suo corpo era stato sbattuto contro il muro, come se non fosse altro che una bambola di pezza.

“No! Non lo fare!” urlò, non riuscendo tuttavia a muoversi.

Marisa sobbalzò, voltandosi verso di lui e sbiancando maggiormente se possibile, mentre l’auto partì sgommando.

“Phro…” mormorò Death, fermo pochi passi dietro di lui, senza capire, ma il ragazzo nemmeno lo sentì: teneva gli occhi fissi in quelli di Marisa, incapace di allontanare lo sguardo dal proprio passato.

La donna avanzò velocemente verso di lui, raggiungendolo in pochi passi e sollevando lentamente una mano per sfiorargli una guancia. Al contatto con la pelle fredda del ragazzo sobbalzò, ritraendosi quasi spaventata.

“Sei vivo…” mormorò, confusa ed intimorita: “Io… ti ho creduto morto quando sei sparito. Credevo avessi seguito il cliente sbagliato, ma tu… sei vivo. Daniel.”

Aphrodite sobbalzò, sentendosi quasi colpire da uno schiaffo: Daniel.

Per Marisa lui era Daniel: freddo, solo e senza sogni.

In quel momento la donna gli ricordava tanto, troppo, il ragazzo che era stato, quel se stesso che non riconosceva: evidentemente, aveva smesso di illudersi.

“Ti trovo bene, meglio dell’ultima volta in cui ci siamo visti…” mormorò nuovamente la donna, sfregandosi un braccio: “Come hai fatto?”

Aphrodite la guardò senza capire.

“A lasciare questa vita. Come hai fatto? E’ evidente che né tu né il tuo amico fate le puttane.”

Il ragazzo spostò il peso da un piede all’altro, nervoso, quindi sussurrò fissandola negli occhi: “Quell’uomo. Un anno fa nessuno mi ha fermato ed io l’ho seguito: mi ha portato in un vicolo, in questo vicolo, mi ha picchiato e strangolato. Sono vivo per miracolo.”

Senza accorgersene, Aphrodite aveva iniziato a tremare.

Marisa invece annuì lentamente, come se la cosa non la riguardasse, nonostante avesse appena rischiato di fare la stessa fine: “Oh… l’uomo che ci sta uccidendo. Forse sei stato il primo, la sua prova.”

“Devi stare attenta… perché non torni a casa per questa sera?”

Lei scosse la testa, sorridendo nello stesso modo storto tipico di Daniel: “Trovo sempre qualcuno che mi porti a casa con sé, ricordi? Anche tu eri così. Quando sei per strada stai in gruppo, ma con un cliente sei da sola.”

Aphrodite non rispose, chinando il capo.

“Daniel. No, tu non sei Daniel: non vedo nulla di lui in te.”

Il ragazzo sollevò lentamente lo sguardo, posandolo sul muro alle spalle della donna, quello stesso muro contro cui era stato picchiato, vicino al quale era stato abbandonato come spazzatura. In quel vicolo si era visto morire.

“Allora, nonostante tutto, le mie lacrime non sono state piante per niente: non so chi tu sia. Daniel è veramente morto.”

“Io mi chiamo Aphrodite…” mormorò, senza più riuscire a frenare le lacrime: nemmeno lui riusciva a vedere nulla della Marisa che aveva conosciuto in quella donna.

“Beh, Aphrodite, una volta Daniel mi chiese come facessero i nostri clienti a non rendersi conto di farlo con persone già morte. Allora, quando la prostituzione non mi aveva ancora segnata troppo, non capii. Ora è tutto chiaro: io non ho più vita. Daniel è morto in quel vicolo. Dovresti essergli grato, Aphrodite: è grazie alla sua morte che tu ora sei qui. Piangi per lui qualche volta, perché era un ragazzo speciale a modo suo.” detto ciò, Marisa se ne andò, ignorando le suppliche e le lacrime del ragazzo.

Non poteva fare a meno di piangere. Tutto il dolore che in quell’anno aveva soffocato si era ribellato, tornando a galla e scivolando via sotto forma di gocce salate. Con loro, anche quel poco di Daniel che lo aveva seguito scompariva, morendo nuovamente, per sempre, in quel vicolo.

“Aphrodite…” mormorò Angelo abbracciandolo da dietro: “Non puoi salvare tutti, ciuriddu.”

Si voltò fra le sue braccia, lasciando che vedesse il suo viso rigato dalla sofferenza: “Ora ho detto addio. Addio per sempre. Daniel è morto, è stato ucciso da un mostro, è stato ucciso dai suoi stessi errori. Proprio qui, in questo vicolo. Daniel era amico di Marisa, ma ormai anche lei è morta: qui non c’è più nulla che mi riguardi.”

Death annuì, lasciandolo continuare.

“Andiamo alla polizia: io so chi è quell’uomo, l’assassino. Non posso salvare tutti, ma qualcuno sì.”

Per Daniel e Marisa, ormai, era troppo tardi.

 

 

 

 

 

 

Chiedo scussa per l’enorme ritardo con cui aggiorno >.< Grazie a tutti!

  
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