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Autore: sososisu    06/03/2008    5 recensioni
Aveva un modo particolare di mangiare le fette biscottate, staccava con le piccole dita poco curate, la crosticina esterna, quella bruciacchiata, che le piaceva tanto. L'interno invece lo abbandonava a se stesso. Dimenticato.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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SCHEISSE




Si buttò a pancia in giù sul materasso morbido e profumato. Ce l’aveva fatta, dopo ore e ore passate a rimettere a posto vestiti, scarpe, mutande, cassette, cavi, videocamere, finalmente aveva svuotato tutte le borse.
-E ora, la mia sigaretta-
Si sollevò dal letto e con le punte dei piedi si aiutò a togliere le scarpe, ovviamente senza l’utilizzo delle mani, no, troppo faticoso. Le sue Globe nere dalle stringhe viola volarono per la stanza e andarono a finire in un punto non definito. Alzatasi in piedi si avviò verso il mini-balconcino grattandosi il sedere. Diciamo che non era proprio una ragazza fine.
Tirò fuori da una tasca dei pantaloni verde militare un pacchettino di plastica, lo aprì e ne estrasse una cartina biancastra.
Aprì la finestra e si sedette su una piccola seggiolina posta vicino ad un tavolino di plastica. Decisamente squallido quel balcone.
Poggiò sulla superficie fredda la cartina, dopo di che tirò fuori dalla busta anche un biglietto della metropolitana e un po’ di tabacco. Si fece il filtro, arrotolò la sigaretta e se la accese, tranquillamente.
Faceva dannatamente caldo e per di più non aveva la minima idea di cosa fare, chi chiamare, dove andare. Nessuno le aveva detto Niente su ciò che avrebbe dovuto fare una volta sistematasi nella sua stanza.
Si alzò dalla seggiola di plastica e si avvicinò alla ringhiera del balcone, respirando profondamente fino a riempire i polmoni di quell’aria bollente. Era tutto così tranquillo all’ultimo piano di un palazzo cosi alto … i rumori della città, i rumori quotidiani, le macchine, i clacson, le persone che camminano per la strada senza badare a niente, solo a se stesse … erano lontani. Tutto era lontano. Chiuse gli occhi per poi riaprirli poco dopo. Il cielo azzurro era di una limpidezza quasi anormale. Ad un tratto quella sensazione di vuoto, di relax, si incrinò in un secondo. In pochi attimi i suoi poveri timpani furono raggiunti da un insieme di urla che facevano concorrenza ad un pollame. Preoccupata si sporse leggermente per capire cosa succedesse, ma non sapeva che ciò che avrebbe visto di lì a poco era peggio di un attentato … eccome …
-Ma … cosa?-
Lo sussurrò a fior di labbra, spalancando gli occhi. Un’orda di gente si trovava proprio sotto di lei. Una nuvola di persone che si schiacciava contro una balaustra. Aguzzò la vista in cerca di qualcosa, o meglio, di qualcuno. Della causa di quel marasma totale. Ma ciò che riuscì ad intravedere furono solo una serie di uomini vestiti di nero.
- … Stanno firmando gli autografi-
Quella voce inattesa e sconosciuta proveniente dalle sue spalle la fece sobbalzare. Per poco non cadde giù dal balcone per finir poi spiaccicata nel mezzo di quello sciame di donne inferocite.
-Ehi, attenta … potresti volare di sotto- Le sue orecchie percepirono una vena di sarcasmo in quella voce petulante e a dir poco fastidiosa.
Si voltò verso il suo interlocutore, al quale fino ad ora aveva dato le spalle. Davanti a lei c’era un uomo sulla trentina, capelli castani, occhi del medesimo colore. Niente di particolare … chissà chi era?
-Piacere, sono David Jost, produttore dei Tokio Hotel-
… Ecco svelato l’enigma. Senza sorridere né mostrare alcun gesto gentile, gli porse la mano e gliela strinse, mormorando il suo nome.
-Si, mi avevano detto che mancavi solo tu! La cameraman … o meglio, camerawoman!-
La sua espressione non si scompose. Voleva essere una battuta quella? Beh, di certo non era riuscito a farla ridere. Dalle sue labbra leggermente carnose uscì solo un semplice –Ebbene?- detto con tono secco. Quel tizio le stava già ampiamente sui coglioni, detto in modo fine.
-Ebbene … mia cara, ti spiegherò in poche parole quale sarà il tuo compito: tu e la tua videocamera dovrete filmare i ragazzi e creare un buon dvd live + documentario, chiaro?-
… Ora invece, la sua espressione mutò, eccome …
Sul suo volto si dipinse una smorfia di disappunto. Lei, da sola, avrebbe dovuto provvedere a tutto il dvd di quei quattro finocchi?
-C … come?-
David le sorrise, e lei non capì se si trattava di un sorriso amichevole o dannatamente bastardo. Optò per la seconda opzione, dal momento che lui non tardò a darle una singolare quanto provocatoria risposta.
-Oh non preoccuparti, non da sola … Bill odia essere ripreso sempre dalla stessa persona-
Una grossa vena incominciò a pulsarle sulla fronte. Come si permetteva quel … quel …
-Perfetto … ora cosa devo fare?-
… Decise che effettivamente prendersela con lui non sarebbe servito a nulla, se non a peggiorare la situazione già abbastanza insopportabile.
-Seguimi, ti porto a conoscere i ragazzi-
Lei borbottò qualcosa tra sé e sé, ferita nell’orgoglio da quel damerino che le stava di fronte. Spense la sigaretta sul davanzale si chiuse la porta-finestra alle spalle. Dentro si stava decisamente meglio, l’aria condizionata era accesa e un venticello fresco –forse anche troppo- le carezzava il collo e il viso.
I due si diressero fino all’ascensore, dove incontrarono Meredith, intenta a portare di sotto un’immensa pila di fogli.
-Ehi … ti serve una mano?-
-No no, grazie … ce la faccio … anche da sola-
Le due si sorrisero, per poi entrare nell’ascensore, seguite da David. Lui e Meredith si misero a parlare animosamente, mentre lei, fattasi piccola piccola, rimaneva spiaccicata contro la parete fredda. A quanto pareva quei due erano parecchio amici, o forse era lei che era un’asociale. Non terminò il suo pensiero che le porte si aprirono e davanti a lei si presentò uno spettacolo a dir poco nauseante, anzi, più che nauseante direi decisamente devastante per la sua povera testolina, che stava pian piano incominciando a dolerle assai.
Gente che andava, gente che veniva, un andirivieni di persone, tutte con la t-shirt nera che aveva visto addosso al signor Saki, poche ore prima. Aprì la bocca, incapace di dir parola. In pochi istanti le porte placcate in oro dell’hotel superlussuoso si aprirono per permettere a quattro ragazzi, seguiti da altri duecento scimmioni, di rientrare nell’edificio. In quei pochi attimi durante i quali le porte erano spalancate, si poterono udire tredicimilioni oche starnazzanti urlare. E nel preciso istante in cui si richiusero, il ragazzo che riconobbe essere Bill Kaulitz, si lanciò su una poltrona gigantesta, urlando –Finalmeeenteee- seguito poi a ruota dagli altri tre componenti.
Il tipo suo simile, quello coi dread, si stava letteralmente sciogliendo su un divanetto mentre tredici cameriere tutte una più scollata dell’altra gli offrivano tredici tipi di bevanda rinfrescante diversa. Il batterista, Gulasch … si insomma, quello là … se ne stava appollaiato su una sedia, composto, senza muovere un muscolo. –C’è da dire … - pensò lei - … che non so chi sia il peggiore-
Per ultimo notò quello con i capelli discretamente lunghi … che se ne stava su una poltroncina con i piedi educatamente spaparanzati sul tavolino a leggere una rivista.
La cosa curiosa, secondo lei, era che in pochi attimi si erano letteralmente stravaccati come se fossero stati nel salotto di casa loro.
Provò a dire qualcosa, ma prima ancora che un’innocente vocale potesse uscirle dalle labbra, David e Meredith si avvicinarono ai quattro.
-Allora, come sono state la Fans? Troppo opprimenti?- chiese il primo.
Il batterista provò a rispondere alla domanda –senza però distogliere lo sguardo dai suoi piedi- ma subito fu bloccato dal finocchio che iniziò a parlare senza respirare nemmeno un nanosecondo, tanto che lei perse il filo del discorso alla seconda parola. David invece, che ci era abituato, capì tutto. E, come al solito, il gentile, tenero, innocente e sensibile Bill Kaulitz, dimostrò la sua vera natura, ovvero di bastardo, stronzo, falso e ipocrita. Dalle sue labbra uscirono una serie di miagolii degni di Catwoman in persona.
-Mmh, siiii le fans erano carine ma … dioo troppo oppressive, insomma, cioè … non sono mica una bambola! Tutte che mi toccavano i capelliiii-
La mascella le cadde e arrivò fino in Cina. Ma questo qua aveva qualche neurone in quella sua testolina o no?
A quel punto si intromise una Meredith alquanto divertita, che per tutto il tempo non aveva distolto gli occhi dal bassista … Andreas … si, lui insomma.
-Beh adesso è ora di pranzare … poi dobbiamo andare a fare le prove per il concerto, quindi per le tre vi voglio belli arzilli nella hall, ok?-
I quattro risposero con un “Si” paragonabile a quello delle giovani marmotte. Lei intanto non aveva ancora cambiato espressione, rimaneva sconvolta davanti a tanta … dio… davanti a tanta maleducazione e stupidità. Evidentemente quelli sapevano solo suonare –forse- ma le buone maniere le avevano dimenticate nel cesso.
Si schiarì la voce e David finalmente si ricordò di lei.
-… A giusto! Ragazzi, questa è …- Lei lo interruppe con uno sguardo glaciale. Diamine, era adulta e vaccinata, sapeva presentarsi anche da sola.
Si avvicinò a Bill e gli porse la mano. Lui la strinse, guardando con aria abbastanza schifata le sue unghie che di certo non erano il massimo della perfezione.
-Piacere, mi chiamo Apfel-
Sul viso del Frontman comparve una smorfia, che ben presto si trasformò in un sorriso, che ben presto si trasformò in una risata.
- …A…Apfel? Ti chiami Mela?-
Lei lo guardò storto, per poi avvicinarsi al chitarrista, porgendo anche a lui la destra. –Tu devi essere Tom, giusto?-
-Si, piacere, scusa mio fratello, è un rincoglionito … io trovo che Apfel sia davvero un bel nome!-
Lei gli sorrise, consapevolissima che era una palla, e che quello, se possibile, era ancora più stupido del suo gemello.
Dopodiché passò al batterista, non era sicura del nome, quindi decise di evitare una figura di merda dicendo: “Tu invece sei Gulasch vero?” per poi scoprire che si chiamava Mark.
… E grazie a dio non lo fece, perché infatti capì presto che il suo nome era Gustav. Non era un tipo particolarmente loquace, si vedeva lontano un chilometro, ma le sembrava il più intelligente della band. Dovrebbe esservi ormai chiaro che lei detestava i tipi esageratamente logorroici. E Gustav rispecchiava il suo genere di compagnia.
Per ultimo si avvicinò al bassista, contenta che le presentazioni fossero andate bene. Con un bel sorriso gli si avvicinò per poi dire un allegro e fiero: -Piacere Andreas, io sono Apfel-
Lui la guardò stranito, piegando il capo verso destra. Lei non capì, cosa aveva sbagliato? –Merda, ho un pezzo di lattuga fra i denti, lo sapevo che non dovevo mangiare quel panino in aereo … merda, merda, merda- Questo fu il suo pensiero prima che la voce calda del ragazzo le arrivasse alle orecchie.
-Andreas?-
Come risvegliata da un incubo, sobbalzò. I due erano ancora mano nella mano. Velocemente lei ritrasse la sua e la ficcò insieme all’altra nelle tasche dei pantaloni.
-Ehm …-
Il suo sguardo era un punto interrogativo. A lui scappò un sorriso.
-Non mi chiamo Andreas, mi chiamo Georg-





Note dell’Autrice: Eccomi! Un po’ in ritardo, lo so … questo capitolo non è il massimo, è solo di transizione, non succede un gran che! Perdonatemi, ma per presentare questa storia ci vogliono un po’ di ciiapteerss [che inglese maccheronico x°DDD]
Chiedo scusa ma non ho la forza di rispondere a tutte le vostre recensioni -.-‘
Dico solamente un grande GRAZIE a tutte^^

Ci vediamo al prossimo capitolo!

Recensioni ben accette! ;-)

Un abbraccio a tutti e un bacione!

Vostra G.

  
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