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Autore: grenade_    01/09/2013    2 recensioni
Ero innamorato di lei. Abbracciarla, starle accanto, mi procurava sensazioni e brividi che non sarei mai riuscito ad esprimere ad alta voce. Ogni sua parola, ogni suo gesto, erano diventati una perenne ossessione.
Ma ero anche il suo migliore amico. L’unico con cui lei sentisse di confidarsi, su cui poneva fiducia anche ciecamente, e l’ultimo da cui si aspettasse delusioni.
E se avessi dovuto scegliere tra il suo amore e la sua amicizia, avrei scelto la seconda. Perché mentre la prima era qualcosa di incerto e tentennante, sapevo che la sua amicizia sarebbe durata per sempre.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Uno spiffero di vento gelido colpì il mio piede sinistro, che nascosi sotto il lenzuolo caldo. Feci lo stesso con il braccio, quando venne a contatto con l’aria fresca. Era come se l’aria intorno a me fosse di qualche grado sotto lo zero, e il mio letto fosse l’unica fonte di calore presente. Ed io cercavo di attingere quanto più calore possibile, abbastanza da tenermi ancora ben saldo nel mio dolce stato di sonnolenza.
Un raggio di sole andò a battere contro il mio viso, e mi dimenai con le braccia per portare le mani a stropicciarmi gli occhi. Mi spinsi di nuovo pancia in sù, e sbuffai quando compresi di essere ormai in dormiveglia.
Aprii gli occhi in un piccolissimo spiraglio, e fui subito accecato dalla luce proveniente dalla finestra. Ero solito chiudere tutte le tende prima di andare a letto, ma l’avevo evidentemente dimenticato la scorsa sera. E fu per quella mia stupida distrazione che aprii del tutto gli occhi e mi alzai, per coprire i raggi solari con le tendine blu. Tornai a sedermi sul mio letto e sbuffai, rassegnatomi all’idea di non riuscire più a prendere sonno.
Mi voltai verso il lenzuolo scomposto, e ricordai perché quella sera mi ero addormentato così di botto, dimenticandomi delle tende. Dovevo essere crollato presto in un pesante sonno, perché non ricordavo quando Maddie fosse andata via. Nelle mie orecchie risuonava ancora l’eco della sua dolce voce sulle note di Breakeven, poi il nulla. Dovevo essermi addormentato subito, cullato dal suo abbraccio.
Diedi un’occhiata alla radiosveglia sul comodino, che segnava le 9. Intercettai la suoneria del mio cellulare quando prese a squillare secondo la sveglia impostata ma non spensi il display, notando l’insegna “nuovo messaggio” lampeggiare sullo schermo, raffigurante una foto di me, Cory, Elena e Alex, scattata giusto la sera prima.
Sorrisi nel riconoscere il mittente dell’sms, arrivato qualche minuto dopo la mezzanotte.
Se stai leggendo questo sms significa che ti sei appena svegliato dallo stato di coma in cui sei caduto qualche ora fa. Dormivi come un ghiro e non mi andava di svegliarti, sai che mi ispiri tenerezza quando dormi :)
Buonanotte cupcake (o buongiorno, a te la scelta) <3”
Le mie labbra si allargarono in un dolce sorriso al leggere il nomignolo a fine messaggio, che mi aveva affidato qualche anno prima, da ubriaca. “Sei proprio dolce, lo sai? Sei un cupcake. Un piccolo cupcake con la panna” aveva balbettato, prima di crollare tra le mie braccia.
Trascinai l’indice sul display per rispondere, e “Mi sono appena svegliato. Preferisco il buongiorno, sentirsi dire buonanotte alle 9 del mattino non è il massimo. Quindi buongiorno :)” digitai, poi posai di nuovo il cellulare sul comodino.
Mi portai in piedi e mi stiracchiai, prima di recarmi in cucina. Lì trovai Elena seduta su uno degli sgabelli dell’isolotto, che beveva un enorme bicchiere di quella che doveva essere spremuta d’arancia.
«Buongiorno…» bofonchiai, grattandomi la nuca con aria ancora un po’ assonnata.
Mia sorella sussultò quando mi vide sulla soglia della cucina a fissarla un po’ perplesso, ma sorrise subito dopo, battendo il palmo della mano sul cuscino dello sgabello accanto a lei, invitandomi a prendere posto.
Eseguii il suo ordine silenzioso e mi sedetti, notando per prima cosa la tavola imbandita di latte, biscotti, the e spremuta d’arancia.
«Buongiorno, fratellino! Non pensavo ti alzassi così presto, ti avrei portato la colazione a letto tra un’oretta...»
Le rivolsi un sorriso e scossi la testa. «Non preoccuparti, non devi farmi da mamma.» la rincuorai; «Manca il caffè...» notai poi, l’unico elemento mancante su quella tavola adibita alla prima colazione.
«Devi scusarmi» mormorò lei, rammaricata, «Il fatto è che non lo bevo più da quando sono incinta, e mi sono dimenticata di farlo... Ma posso prepararlo, mi ci vorrà poco.»
«No no non fa niente, sta’ tranquilla» la afferrai per il polso, prima che si alzasse a preparare il caffè, «posso benissimo farne a meno, e poi ci sono così tante cose qui... Hai fatto i muffin?» incurvai un sopracciglio, notando la teglia fumante sul bancone di fronte a noi.
Elena seguì il mio sguardo, e mi sorrise. «Sì» pronunciò soddisfatta, si alzò «Sono ancora caldi, li ho usciti dal forno da poco, ma credo si possano mangiare»
Si armò di presine e afferrò la teglia, per poi portarla sulla tavola. E il delizioso odore di muffin al cioccolato mi inebriò le narici, estasiandomi. Ne presi uno e lo addentai, mentre lei mi versava del latte in una tazza.
«Da quanto sei sveglia?»
«Qualche ora»
Annuii, dando un altro morso alla brioche. Fece lo stesso ed io presi a guardarmi intorno, notando la cucina e il salotto in perfetto ordine. Ricordavo bene la confusione in salotto quando me n’ero andato a dormire, quella non poteva essere la stessa stanza, a meno che...
«Hai pulito di nuovo la casa da cima a fondo?!» quasi la rimproverai.
Non accennò a guardarmi negli occhi, segno che avevo ragione.
Sbuffai.
Non riuscivo a capire dove trovasse tutta quella energia. Tutte le donne incinta che avevo conosciuto e di cui avevo sentito parlare in televisione si trasformavano in soprammobili durante la gravidanza, capaci soltanto di lamentarsi e chiedere in continuazione, inventarsi dolori che non ci sono pur di ammaliare tutti quanti ad accontentarle nel minimo capriccio; mia sorella sembrava un tornado, un uragano di forza e vitalità, e non sembrava affatto stanca come avrebbe dovuto essere. Anzi si alzava persino più presto del solito per riordinare la casa e preparare la colazione, e a vederla era sempre la solita e pimpante Elena, con il suo meraviglioso sorriso onnipresente. Forse avrei dovuto cominciare a dubitare fosse incinta sul serio, ma il pancione che la faceva assomigliare ad un pallone aerostatico mi dissuadeva dal farlo.
Sbuffò anche lei. «Il fatto che io sia incinta non pretende che diventi un vegetale. Posso ancora fare delle piccole cose come pulire e cucinare, non devi rimproverarmi ogni volta come se avessi cercato di scalare l’Everest.» mi intimò.
Alzai gli occhi al cielo, mandando giù l’ultimo pezzo di muffin. «E’ solo che non dovresti essere così iperattiva, nelle tue condizioni... potresti stancarti e la bambina potrebbe risentirne.»
«Se mai sarò stanca andrò a letto, come ho sempre fatto in questi 25 anni di vita. Essere incinta è solo un pancione in più, niente di così grave da relegarmi a letto come una malata, o una disabile.»
«Va bene, mi arrendo, ti lascerò fare tutto quello che vuoi e non dirò una sola parola a riguardo, d’accordo?» mi rassegnai, consapevole che mai e poi mai avrei vinto un dibattito contro di lei, testarda com’era.
Elena finalmente sorrise, posando un soffice bacio sulla mia guancia. «Ti va di venire con me in un posto?» mi propose poi.
«Che genere di posto?» chiesi io, scettico.
«Lo scoprirai quando saremo lì. Allora, mi accompagni?»
«Va bene» annuii, mentre immergevo il mio secondo muffin nel latte. «E adesso cosa fai?» domandai ancora, mentre sistemava su di un vassoio una tazza di latte, un bicchiere di spremuta d’arancia, una tazza di thé con dei biscotti.
«Porto la colazione a Cory.» rispose semplicemente, dopo aver preso due muffin e averli posati su di un piattino. Sollevò il vassoio e sfoderò un sorriso, poi si allontanò, per recarsi verso le stanze da letto.
«Non lo starai viziando un po’ troppo?»
«Sto viziando entrambi, fratellino, faccio pratica per la piccola.» mi rispose, ormai lontana «Tu finisci la colazione e vai a prepararti, e non scordarti di lavarti i denti!»
Scossi la testa, ridacchiando. Finii la colazione e corsi a lavarmi, proprio come lei mi aveva ordinato di fare.
 
«Fammi capire bene...» la interruppi, per fare chiarezza nella mia mente, o forse solo per capacitarmi «Quindi se ci sono complicazioni col bambino... ti taglieranno la pancia, per tirarlo fuori?»
Si girò ad osservarmi, con la mano ancora fissa sul pancione. «Sì, più o meno è così.»
«E se sbagliano e ti prendono lo stomaco, o il fegato, o qualche altro organo?»
«Ovviamente non potrebbe succedere, Niall...»
«E che mi dici del solco che rimarrebbe nella tua pancia? Si richiude, no?»
«Certo, coi punti di sutura. Li stessi che hai avuto tu quando ti sei tagliato il polpaccio a 7 anni.»
«Io non me lo ricordo...»
«Urlavi come un matto.»
Aggrottai la fronte, perplesso. E la signora davanti a noi accennò un sorriso divertito, per poi tornare a tranquillizzare la figlia, incinta di 8 mesi, ormai prossima al parto.
Quando quella mattina mia sorella mi aveva proposto di accompagnarla senza rivelarmi dove, non avevo immaginato mi avrebbe trascinato nel reparto di ginecologia del St.Andrews. A dire il vero non ci avevo mai messo piede in quell’ospedale, fino a quel giorno.
Aspettavamo il dottor Wayne da ormai un’ora, seduti sulle poltroncine in plastica gialle del reparto. Avevo osservato con circospezione ogni angolo di quelle mura, tappezzate da diverse foto e poster illustrativi, e le persone che attendevano il proprio turno, quasi tutte donne. C’erano solo due uomini oltre me, a sostenere la propria moglie o compagna, ed uno di loro era già andato via, felice di aver scoperto che avrebbe avuto un maschietto.
Nell’attesa, Elena mi aveva spiegato le procedure del parto e gli eventuali rischi, tra cui il parto cesareo. Ed io, avevo appena scoperto come si fa un’ecografia.
«Stai bene?» feci, portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Strinse gli occhi «Vorrei andare al bagno, ma per il resto tutto apposto...»
Le sorrisi e le baciai affettuosamente la guancia, poi un’infermiera mora sbucò dalla porticina. «Horan?» cominciò a guardarsi attorno, disorientata.
«Sono io» soffiò mia sorella, e la aiutai ad alzarsi. L’infermiera ci sorrise e ci fece strada, conducendoci nello studio del ginecologo.
Il dottor Wayne era un uomo di colore, alto, non troppo barbuto e con l’aria amichevole. Il suo studio era costituito da una scrivania, alcune sedie, qualche mobile, e le pareti erano identiche a quelle della sala d’attesa. Scambiò qualche parola consueta con mia sorella e la condusse nella stanza adibita alle ecografie. Era piena di zeppa di attrezzature e diversi congegni, non avrei saputo indovinare a cosa servissero.
Fece stendere Elena sul lettino e digitò qualcosa sul computer, illuminando un piccolo schermo nero sulla destra, dove appariva in alto il nome di mia sorella e le sue generalità.
«Lei è il padre?» mi chiese, mentre spalmava una specie di gel sulla pancia di Elena.
Scossi la testa, un po’ imbarazzato. «Sono il fratello» gli spiegai.
Il dottore sorrise. «Mi sembravi un po’ troppo giovane, in effetti...» rifletté «Com’è che ti chiami?»
«Niall.»
«Bene Niall, adesso tieni gli occhi fissi su quello schermo, e quando vedi qualcosa muoversi avvisaci, ok?»
Annuii.
Il dottore finì col gel e prese un piccolo apparecchio, con cui andò a premere sulla pancia di mia sorella. Continuò a muoverlo, fin quando sullo schermo apparve una piccola sagoma. Sembrava rannicchiata, e non compieva movimenti diversi da alcuni dondolii.
«Ecco, ecco, eccola!» esclamai, in preda all’euforia. Mi avvicinai a Elena e «Guarda El, è lì, la vedi?» indicai un punto sullo schermo.
Mia sorella annuì sorridente, mentre manteneva lo sguardo fisso sul display incantata, come me.
«Quella è la tua nipotina, Niall, e sembra proprio si stia facendo un bel sonnellino» commentò il dottore.
Risi, senza comunque staccare gli occhi dalla piccola sagoma. Era sorprendente e commovente vedere quella piccola creatura in uno schermo, sentirla vicina, nonostante fosse ancora rinchiusa nel pancione di mia sorella. Era così minuta, fragile e innocente, e mi sembrava quasi di averla tra le braccia, mentre continuavo a percepire ogni suo movimento nel display. Era un piccolo angelo da proteggere, e per la prima volta mi sentivo commosso, davvero entusiasta di stare per diventare zio.
«Guarda Niall, ha mosso la gamba!» mi fece notare Elena, che strinse la mia mano.
«Hai ragione, l’ha fatto di nuovo! Credi sappia che la stiamo vedendo?»
«Non credo, il dottore dice che dorme. Ma sa che la sto accarezzando» mormorò commossa, passandosi la mano sulla pancia piena.
Sorrisi, andando ad imitarla «Sarà bellissimo accarezzarle la pelle, quando uscirà da qui dentro»
«La terrò con me ogni secondo, non la lascerò mai da sola» sussurrò, quasi potesse parlare con la piccola. Ma ero certo fosse sincera, mentre voltava lo sguardo a vedere sua figlia, e sorrideva, il sorriso più dolce che possa esserci: quello di una madre.
«Sarai una madre impeccabile.» mormorai, baciandole la fronte.
«E tu un ottimo zio.»
Annuii, sorridente. «Saremo la sua famiglia.»
«E lei sarà il nostro piccolo tesoro.»
Mi chinai a baciarle la pancia, e la piccola tornò a rannicchiarsi, riprendendo a dormire.


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ed eccomi con il nuovo capitolo :)
Ho voluto dedicare uno spazio abbastanza grande al rapporto tra Niall e sua sorella, perché personalmente lo adoro. E alla nuova arrivata :)
Come sempre, hope you like it!
Vi lascio con una gif in anteprima di Samantha, che comparirà tra qualche capitolo :)
 A presto! 


  
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