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Autore: Fidia    07/03/2008    3 recensioni
Cosa succederebbe se Luna, ormai quasi trentenne, ricevesse una lettera anonima nella quale un mittente misterioso la invita a recarsi a Manchester? Come reagirebbe se diventasse la pedina inconsapevole di un piano efferato?
Centinaia di engimi si accavallano, dando vita ad un intreccio astruso. Omicidi, amori, ritrovamenti, segreti svelati, strani oggetti preziosi, realtà che si ribaltano.
Per Luna, i Ricciocorni Schiattosi non esistono più. Ben presto l'eterna sognatrice si troverà costretta ad aprire gli occhi sul mondo, ad abbandonare la sua connaturata ingenuità e a guardarsi intorno con ragionevolezza.
La mia prima Fan Fiction, spero che vi piaccia... Accetto tutti i tipi di commenti, naturalmente!
-Un omaggio alla regina del giallo, Agatha Christie...
Genere: Malinconico, Avventura, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Luna Lovegood
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO II
Prescott Scott



Il treno in partenza per Manchester raggiunse la London Liverpool Station di Londra alle otto in punto della mattina successiva. Il cielo era velato da un nembo cinerino e il sole, che il giorno precedente scintillava cocente, sembrava essersi dissolto per magia. Una lieve caligine si sollevava verso il cielo, ottenebrando a tratti lo sguardo. Luna prese posto nello scompartimento numero dieci del treno diretto a Manchester. Terence Lymstock, con un fare titubante e ansioso, la seguì facendo smorfie di dissenso. Aveva continuato a biasimare il comportamento di Luna per tutto il giorno precedente ma la donna non si era dissuasa dai suoi propositi.
<< Non posso certo restare nel dubbio! >> gli aveva detto. << E se succederà qualcosa saremo comunque armati di bacchetta per difenderci! >>.
Terence aveva ribadito che la bacchetta aiutava solo quando colui che la brandiva possedeva riflessi pronti e cognizione del pericolo, ma lei si era rifiutata di abbandonare il suo viaggio. Così il povero Terence, suo malgrado, aveva accettato con accondiscendenza di accompagnarla fino a Manchester, non tanto perché entusiasmato dall’idea dell’invito misterioso, quanto più perché intendeva tener d’occhio la sua amica, che attirava magneticamente i guai.
“Un’ingenua come te potrebbe farsi spaccare il cranio dal suo migliore amico prima di accorgersi di essere stata in compagnia di un assassino” aveva pensato, osservandola mentre mangiava compostamente il suo ghiacciolo al lampone, gli occhi persi nel vuoto.
Luna sprofondò sul sedile di destra, dopo aver spalancato il finestrino. Terence, sbuffando sonnacchiosamente, ripose la valigia nel compartimento adibito a portabagagli e si adagiò lentamente accanto a lei. La voce di una giovane donna Babbana risuonò per i binari della Liverpool Station. Il treno per Manchester era in partenza dal binario 8 ed i passeggeri erano pregati di affrettarsi a prendere posto. Tre minuti dopo, l’ordine della voce divenne perentorio. La locomotiva si gremì di gente e poi, sbuffando superbamente, partì. I palazzi mastodontici di Londra morirono in una campagna verdeggiante, che si estendeva a perdita d’occhio, come un universo infinito di rada vegetazione. Luna se ne stette silenziosamente ad osservare il panorama, mentre Terence, imprecando sottovoce, si diceva pentito di averla seguita.
“Un viaggio assolutamente insensato!” borbottava tra sé. “Come diavolo può una lettera assurda indurre una persona a partire verso una località sconosciuta?”.
L’aria di Luna sembrava assorta, immersa in un universo di soave inquietudine. Ciononostante, la donna udì perfettamente le invettive sommesse dell’amico e rispose che godersi il paesaggio era la cosa migliore da fare, in quell’istante. Terence Lymstock si strinse nelle spalle e la assecondò, tentando di mantenere la calma. Mentre il rumore continuo e monocorde del treno sui binari si faceva gradualmente più pesante, un vortice di pensieri risucchiò la dolce Luna Lovegood, che si trovò all’improvviso immersa nelle reminescenze degli anni passati. E la sua memoria ripercorse i passi che andavano verso quello stramaledetto giorno di marzo di nove anni prima, quando l’allora ventenne ragazzina dai capelli biondi aveva ricevuto la tremenda notizia della morte di suo padre. Le rimembranze dei giorni più tristi della sua vita apparivano nella mente di Luna con incredibile nitidezza, come evocate da una strana sensazione di malinconia.
Era l’inizio della primavera. Lei e suo padre abitavano ancora nei pressi di Ottery St. Catchpole.
Avevano trascorso quasi tre anni di duro lavoro per riportare la loro dimora cilindrica ai vecchi splendori, perché, in seguito alla demolizione avvenuta nel periodo immediatamente precedente alla memorabile ed epica battaglia di Hogwarts, essa era caduta letteralmente in rovina. Il corno di Erumpent aveva ridotto in cenere tutto il patrimonio familiare e Luna aveva contribuito diligentemente con il suo prezioso aiuto a ricomporre le collezioni andate perdute nel tragico incidente di qualche tempo prima. Alla fine dei lavori di ristrutturazione, padre e figlia si erano detti incredibilmente soddisfatti dei risultati ottenuti. Ma poi era accaduto l’impensabile. Già, come dimenticare quegli attimi? Erano passati solo quattro giorni da quando padre e figlia avevano finito di rinnovare la loro casa. Luna era a pescare, lo ricordava perfettamente. Completamente sola, sulla riva di un ruscello, in attesa che i pesci abboccassero. E poi una voce aveva raggiunto le sue povere orecchie, una voce tutt’altro che rassicurante.
<< Miss Lovegood! Miss Lovegood! >>.
Luna si era voltata, e aveva visto arrivare un Auror molto giovane, che si muoveva in modo inusuale per un essere umano. Era scattata in piedi e aveva chiesto all’uomo che cosa fosse successo.
<< Hanno tentato di rapinare casa sua, >> esordì quello, << e il buon vecchio Xenophilius è caduto vittima di un infarto per paura dei ladri! I furfanti sono riusciti a fuggire senza portare via nulla e… Oh, signorina Luna… Ci ha lasciati… E’ morto! >>.
Delle lacrime amare avevano rigato le guance di Luna alla tragica notizia. Poteva suo padre averla abbandonata? Poteva aver raggiunto la moglie nel regno dei più? Perché Dio l’aveva permesso?
I piagnistei e i lamenti di Luna erano finiti qualche mese dopo la morte di Xenophilius. La ragazza si era arresa all’ingiusta realtà. Coloro che avevano tentato la rapina in casa Lovegood non erano mai stati ritrovati. Ben presto, Luna aveva ereditato il posto del padre alla direzione del Cavillo ed aveva acquistato casa nei pressi della City di Londra, spostando la sede del giornale non troppo lontano dal suo nuovo soggiorno. Era riuscito a vendere la casa ristrutturata con tanto amore ad un ungherese amante delle stramberie. Prima di intraprendere la nuova carriera lavorativa, alla direzione del Cavillo, Luna si era detta: << Farò di questo giornale un fenomeno internazionale, per rendere l’ultimo tributo all’anima di mio padre… >>. E Il Cavillo era entrato in un periodo di imprevedibile prosperità. Tra casa e ufficio, Luna aveva trascorso nove lunghi anni della sua vita. E nove lunghi anni la separavano dunque dalla morte di Xenophilius. Ma il tempo non bastava a dimenticare… La ferita lasciata dal decesso di suo padre era ancora aperta e il dolore attanagliava Luna ogniqualvolta la donna chiudeva gli occhi per abbandonarsi in balìa dei ricordi.
Una brezza fresca scompigliò i suoi capelli biondi, penetrando dal finestrino spalancato. Luna si rilassò e provò a pensare alla lettera misteriosa che gli era stata inviata. Nella sua semplicità, non aveva considerato l’idea di una trappola...
“Chi mi vuole del male?” continuava a ripetersi. Era una considerazione assai sciocca quella vagliata da Terence. Sicuramente il mittente della lettera era una brava persona che aveva bisogno di aiuto. E poi, l’intuito femminile riusciva a superare di gran lunga tutti i ragionamenti degli uomini; Luna ne era fermamente convinta. La prima fermata a Birmingham occupò tre lunghe ore, in cui Terence provò invano a rilassarsi, leggendo con disinteresse una guida della città di Manchester. Ma Luna lo tormentava con sguardi preoccupanti. In che guaio l’aveva cacciato!
<< Prossima destinazione, Liverpool! >> esclamò un altoparlante Babbano ed il treno ripartì, stridendo enfaticamente.
Il sole aveva raggiunto lo zenit ed era sparito dietro le nuvole, scivolando verso ovest.
“Davies Road, 80… Davies Road, 80… Davies Road, 80…” continuava a pensare Luna, sperando di non dimenticare l’indirizzo del luogo verso cui erano diretti.
“Perché diamine il mittente della lettera doveva consigliarci di usare un treno Babbano!” si disse Terence, insofferente. “Sono maledettamente lenti, con una Passaporta o un altro mezzo controllato dal Ministero saremmo arrivati di gran lunga prima! Manchester! Puah! Non c’è città che detesti di più!”.
Liverpool apparve e scomparve in meno di mezz’ora.
L’atmosfera marittima, una volta che il treno lasciò la stazione, andò pian piano perdendosi. Vecchi edifici decrepiti e chiese dall’aspetto solenne rimpiazzarono i palazzi che prima scorrevano veloci sotto gli occhi dei passeggeri del treno. Luna si sgranchì gambe e braccia, pronta per rigettarsi a capofitto nelle sue meste meditazioni. Ma, d’improvviso, cadde addormentata…


Quando Terence la riscosse con una pacca, Luna aprì gli occhi simultaneamente.
<< Vuoi rimanere sul treno o ci diamo una mossa? >>.
<< Oh, siamo già arrivati? >> rispose la donna, ancora insonnolita. << Non me n’ero accorta! >>.
Terence scosse la testa. << Grazie tante, stavi dormendo! Tu hai bisogno di assistenze continue, Luna, chissà dove ti cacceresti se non ci fossi io! >>.
Il treno arrestò bruscamente la sua marcia e tutti i passeggeri si prepararono a scendere giù, i bagagli in spalla. Luna si alzò con pacata indolenza, provocando in Terence un fremito di irritazione. I due presero gli zaini che avevano portato con loro e si unirono al tumulto della folla che si muoveva freneticamente nella stazione di Manchester. Erano arrivati a destinazione, finalmente! Luna non si sarebbe aspettata un luogo tanto grande. Nella sua fantasia, aveva sempre immaginato Manchester come una cittadina di modeste dimensioni, un agglomerato a misura d’uomo, vivibile e tranquillo. Invece il trambusto dei tram, che andavano e venivano precipitosamente, il rumore dei trapani Babbani che rimbombavano nell’aria, spezzando il silenzio inaspettatamente, la vista dei cantieri perenni, delle impalcature che tempestavano le strade e dei palazzi svettanti contribuivano a creare una strana sensazione di caos.
<< Neanche in ufficio si è mai vista una disordine tale! >> urlò Terence, mentre tentava, in compagnia di Luna, di districarsi dalla folla e di sovrastare i rumori con la propria voce.
I bagagli della gente che popolava la stazione cozzavano l’uno contro l’altro, producendo un fastidioso rumore. Solo dopo alcuni minuti di fila estenuante i due riuscirono ad arrivare in strada, alla stazione Babbana dei taxi.
<< E adesso? >> borbottò Terence, con il tono di chi vuol dire “Te l’avevo detto che non dovevamo venire!”.
<< Adesso dobbiamo semplicemente andare in Davies Road! Non vedo quale sia il problema! >> rispose Luna.
Il clacson delle auto in corsa risuonava assordante. Alla dinamica attività degli incroci si contrapponeva la statica serenità del luogo di fermata dei taxi. Luna osservò con molta attenzione il circondario, prima di decidere quale auto avrebbero dovuto prendere. Era entrata solo poche volte in una macchina Babbana, e quando era molto piccola. Era stata un’esperienza emozionante e ripeterla non avrebbe potuto che divertirla.
Alcuni dei passeggeri che avevano viaggiato verso Manchester in compagnia di Luna e Terence si dileguarono a piedi, altri presero delle auto. In poco tempo, i due furono gli unici a rimanere al capolinea dei taxi, senza sapere cosa fare. Terence batteva i piedi per terra con insistenza, Luna contemplava estatica l’attivismo della città, pensando a come sarebbe stato vivere in una metropoli come quella. Quando Terence non poté più sopportare il peso dell’attesa, attirò l’attenzione di una donna nera, molto grassa, che entrava a fatica nella sua divisa da tassista.
<< Potrebbe darci uno strappo fino a… Luna, dove hai detto che…? >>.
<< Davies Road, 80! >> sorrise la ragazza.
La tassista fissò con le sue biglie lattiginose i due maghi. << Davies Road è a cinque chilometri da qui, quasi fuori città, e oggi il traffico è superiore alla media! Beh, mi darete una mancia extra! Saltate su! >>.
Luna e Terence, dopo essersi scambiati degli sguardi eloquenti, si accomodarono nel taxi. L’auto partì, emettendo una scia di fumo grigiastro. Il disordine della stazione fu inghiottito da una serie sterminata di case tipicamente inglesi. Manchester: ville, fontane, comignoli, chiese metropolitane; gente di ogni genere, asiatici, americani ed europei; studenti indaffarati, uomini dall’aria solenne con ventiquattrore di vernice nera.
Dopo quasi un’ora di viaggio, il taxi giunse in una viottola sterrata e ciottolosa. Abbandonata la strada maestra, la guidatrice sterzò a sinistra, in direzione di una mastodontica collina sopraelevata. La marcia dell’auto si fermò d’improvviso.
<< Ha detto numero 80? Ne è sicura? >> esclamò l’autista, guardando Luna attraverso lo specchietto retrovisore. << Questo viale si ferma al numero 62! >> Terence assunse un’espressione imperscrutabile.
<< Magari è la casa sulla collina! >> disse Luna di rimando, indicando una villetta dall’aria aristocratica che si ergeva imponente e grandiosa, come un re di indiscussa autorevolezza, sul colle vicino.
<< Beh, non posso certo salire fino a lassù! La strada è pietrosa e accidentata! >> disse la tassista.
Terence sbuffò e Luna rispose: << Non si preoccupi, scendiamo qui! Vorrà dire che risaliremo la collina a piedi e arriveremo al numero 80 senza l’auto! La ringrazio! >>.
L’autista aprì la mano, attendendo la lauta mancia che meritava, ma Terence trasse dai jeans consunti la propria bacchetta, la puntòo sulla testa della donna e sussurrò: << Oh, tu guarda che mi tocca fare! Oblivion! >>.
Luna e il collega, dopo aver chiuso le portiere del taxi, si ritrovarono a ripercorrere la salita che portava al grande cottage posto sull’altura dinnanzi a loro.
“Davies Road, 80!” pensò Luna. “Sembra un gran bel posto!”.
<< Siamo sicuri che sia quella, la casa che cerchiamo? >> chiese Terence, scettico. << La tassista ha detto che Davies Road si ferma a 62, spiegami perché quella dovrebbe avere il numero 80… >>.
<< Sento che è così! >> disse semplicemente Luna, mentre si inerpicavano sul sentiero ghiaioso.
L’immagine della villa sul poggio si fece sempre più grande e maestosa. Poco dopo aver risalito tutta la collina, Luna e Terence poterono ammirarla nella sua magnifica bellezza. Era un’abitazione dall’aspetto antico. Il tetto leggermente spiovente era tempestato di tegole chiare. Non c’erano finestre sulla facciata giallo cedro, ma solo un grande portone, dinnanzi al quale si trovavano tre gradini di alabastro. Una targhetta con una scritta era stata incastonata appena sopra la soglia.

80. DAVIES ROAD. RESIDENZA DI PRESCOTT SCOTT – Magichimico

Luna sgranò gli occhi.
“Che strano!” si disse. “Mi sembra di aver già sentito da qualche parte questo nome...”.
Alla vista della targhetta, Terence fu colto da una fifa terribile.
<< Questa casa ha un aspetto tetro, Luna! Andiamo via, per favore, andiamo via! >>.
In realtà, l’abitazione aveva poco di tetro. Erano gli effetti della luce a conferirgli un che di spettrale, ma era tutta colpa del sole che tramontava all’orizzonte. E così era quella la casa da cui era partita quella stranissima lettera.
<< Curioso! >> esclamò Luna, tentennante. << Cosa proponi di fare? Proviamo a suonare il campanello? >>. Terence si avvicinò al portone con passi incerti e ovattati. << Non ce n’è bisogno! >> disse. << La porta è aperta! >>.
Le diede una spinta, e il portone cigolò sinistramente, crepitando sui cardini.
<< Ci vorrebbe una passata d’olio! >> commentò Luna, con aria meditabonda. E si avvicinarono.
L’apertura del portone rivelò un ingresso di proporzioni straordinarie. Delle ombre strambe si inseguivano su un tappeto rosso, che, partendo dall’uscio, risaliva per delle scale dall’aspetto vetusto. Un grande specchio parietale copriva il muro di fondo. Terence fece un passo indietro quando vide la propria figura che vi si rifletteva. Delle colonnine ornamentali occupavano i posti vuoti dell’atrio. Qualche quadro dall’aspetto sobrio riempiva alcuni sprazzi anneriti delle pareti del vestibolo. All’interno della casa, una quiete spettrale…
<< C’è nessuno? >> provò a dire Luna, ma Terence le tappò immediatamente la bocca.
<< Vuoi stare zitta? >> sussurrò a bassa voce. << Stai indietro e seguimi a debita distanza, salgo per primo le scale… Se succede qualcosa, dattela a gambe! >>.
Terence avanzò e, come previsto, andò su per le scale. Luna prese alla lettera i suoi consigli. Ogni passo sembrava avvicinarli di più all’oscuro abitante della casa misteriosa. Superando il tappeto rosso, Luna e Terence giunsero sul pianerottolo del primo piano. Su di esso si estendeva un corridoio infinito, che convergeva in alcuni punti con altri anditi, formando un intricato labirinto, traboccante di porte. Terence si avvicinò alla prima che si ritrovò davanti. Era semichiusa ed un alone mistico sembrava provenire dal suo interno.
Luna stette indietro, appena oltre le scale…
“E adesso? E adesso?”.
Terence spalancò di getto la porta e piombò nella camera.
Un urlo terrorizzato si levò nel silenzio del numero 80 di Davies Road. La voce di Terence.
<< Cos’è successo, Terry? Cos’è successo? >>.
Luna si precipitò nella stanza dove un attimo prima aveva visto sparire il suo amico. Trasse un sospiro di sollievo quando lo vide lì, vivo e vegeto vicino ad un vecchio armadio e dinnanzi ad una macabra silhouette adagiata su una sedia a dondolo.
<< Quello è il nostro anfitrione, Luna! >> esclamò Terence, e additò la sagoma dell’uomo, chiaramente morto, che si dondolava lentamente sulla sedia, proprio di fronte alle tende giallastre della camera che svolazzavano tetre.
<< La finestra è aperta! Qualcuno è arrivato prima di noi! Qualcuno non voleva che incontrassimo questo fantomatico mister Scott! >>.
Luna si portò le mani ai capelli, gli occhi sbarrati e la bocca allungata in un urlo di terrore che non riuscì ad emettere…

  
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