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Autore: pdantzler    07/03/2008    8 recensioni
Harry capita per sbaglio in casa di Piton nell'estate del quinto anno, dopo la morte di Sirius. Costretti a una convivenza forzata, i due scopriranno molte cose l'uno dell'altro. Traduzione a opera di Starliam ed Allison91
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Severus Piton
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Prima di tutto, grazie a tutti per i complimenti. Mi fa molto piacere che apprezziate il mio modo di tradurre, e anch'io sono molto soddisfatta: credo di essere riuscita bene a rendere lo spirito della storia e lo stile dell'autrice.
Grazie davvero a tutti!
Starliam




Harry si chiese se doveva dire qualcosa, magari gridare a Piton di non fare lo sciocco, di uscire dalla macchina mentre erano entrambi ancora vivi.

Piton mise la macchina in moto: era un’azione automatica, e Harry vedeva il piede dell’uomo sul pedale, pronto a sollevarsi. Harry ebbe il fugace pensiero che avrebbe dovuto essere riconoscente che la macchina non aveva il cambio manuale, ma si chiese se una macchina con il cambio a mano avrebbe portato una morte più veloce, più pulita.

“La Metropolvere!” urlò Harry improvvisamente. “Possiamo usare la Metropolvere!”
“Troppo rischioso”, rispose Piton, il piede ancora sul freno. “Non sono del tutto certo di cosa potrebbe succedere se tu usassi quello aperto nel mio studio, visto il tuo recente incidente. D’altra parte, con la tua fortuna, finiresti per uscire da un camino diverso dal mio. Andremo in macchina, quindi sta’ seduto”.

Piton sollevò il piede dal pedale del freno e schiacciò l’acceleratore. La macchina partì di scatto, le ruote che slittavano sul selciato. Piton sembrava imperturbabile, ma Harry riusciva appena a respirare, mentre si dirigevano sempre più veloci verso la strada. Davanti a loro c’era una curva. Vi si stavano avvicinando molto velocemente, e Piton non svoltava, e c’era un grosso albero proprio di fronte a loro. Se Piton non avesse girato il volante, la macchina si sarebbe schiantata dritta contro l’albero.

L’albero era sempre più vicino, e loro non svoltavano. Harry scoprì che non riusciva a dire nulla per protestare: la sua bocca era del tutto secca. Fece l’unica cosa che in quel momento riusciva a fare: chiuse gli occhi e si aggrappò ai braccio del sedile più forte che poteva. Era uno strano modo di morire, pensava una parte del suo cervello. Aveva sempre dato per scontato che sarebbe finito ucciso da Voldemort o morto di vecchiaia, una delle due. Schiantarsi contro un albero, in una macchina guidata da un mago arrogante che aveva letto il manuale d’istruzioni poche ore prima – non era mai stato nei suoi piani.

Pochi secondi, ormai, e si sarebbero schiantati. Un secondo…

Ma non ci fu nessuno schianto: niente vetri che si frantumavano, niente lamiere accartocciate. Era successo così in fretta che era già morto?

Harry aprì un occhio, guardingo. Erano sulla strada oltre la curva, ancora sul selciato, a una velocità sostenuta, ma niente di pericoloso. Si guardò intorno: Piton stava decisamente sogghignando.

“Oh, caro, caro Potter”, lo prese in giro il professore di Pozioni, “così ingenuo e credulone. Quando incontrerai il Signore Oscuro, probabilmente ti dirà che la guerra è stata tutto un gioco, che non ha fatto niente intenzionalmente, e tu gli crederai; abbastanza a lungo da permettergli di ucciderti”. “Cosa?” chiese Harry.
“Pensavi davvero che fossi così stupido da guidare un macchina per la prima volta con te come passeggero, fino a Londra senza sapere come si guida?”
“Ha già guidato una macchina, prima?”
“Ma certo. All’incirca quindici anni fa, proprio fuori Hogwarts, ma non è qualcosa che si dimentica facilmente. Ho semplicemente amato le facce che hai fatto, tutto tirato e agitato, le nocche bianche mentre ti tenevi aggrappato come se ne andasse della tua vita. Piuttosto divertente”.
Harry aggrottò la fronte. “Brutto idiota”, mormorò, con il cuore che batteva ancora all’impazzata nel petto, anche se cercava di non farlo vedere.
“Il linguaggio, signor Potter”, disse Piton, anche se non sembrava troppo infastidito. “Ma cercherò di non spaventarti di nuovo”.
“Non ero spaventato”, affermò Harry, togliendo le mani dai braccioli e lasciandosi ricadere all’indietro sul sedile, con quello che sperava fosse un atteggiamento incurante. “Sapevo che non mi avrebbe ucciso, perché poi avrebbe dovuto risponderne a Silente”.
Piton dette un colpo di volante improvviso che scosse tutta la macchina, e Harry sobbalzò.

“Le mie scuse”, disse Piton leggermente. “Non volevo agitare i tuoi delicati nervi”.

“Ah-ha”, sbottò Harry. Si appoggiò allo schienale e si mise a guardare dal finestrino i campi e gli alberi lungo la strada. Era piacevolmente caldo all’interno dell’auto, e Harry si sentiva stanco: sarebbe stato delizioso assopirsi alla luce del sole che entrava dal finestrino. Ma era del tutto sveglio, e per tutta l’ora successiva si divertì a guardare il vento che agitava gli alberi e a fissare il lato della strada che scorreva, visto che andavano davvero veloci.

“Sei molto tranquillo”, osservò Piton, mentre guidava la macchina verso una autostrada segnalata da un cartello che diceva ‘Londra: 27 miglia’. “O stai tenendo il broncio, o stai complottando qualche nuovo guaio”.
“Io non complotto niente”, disse Harry, abbandonando i propri pensieri. “Le cose mi succedono, e io cerco di combatterle, e poi tutti danno la colpa a me perché sono andato a cercarmi dei guai”.“Bugiardo”, disse Piton, continuando a guardare la strada.
“Ehi!” protestò Harry.
“Stai mentendo”, insisté Piton. “Tu vai in cerca di guai, ammettilo!”
“Va bene”, Harry incrociò le braccia al di sopra della cintura di sicurezza. “Lei pensa sempre di saperne meglio di me, e deve sempre avere ragione; quindi non discuterò neanche”.
“Davvero, Potter”, Piton scosse la testa in beffarda incredulità. “Questa è la cosa più intelligente che hai mai detto in cinque anni”.

Era un insulto, ma Harry scoprì che non gli importava che Piton si prendesse gioco di lui.

“Grazie”, rispose con calma. “Ovviamente, sto ancora aspettando che lei faccia un singolo commento intelligente, ma ho ancora due anni di scuola, quindi terrò le dita incrociate”.

La pacca che ricevette sulla spalla non cancellò completamente il ghigno di Harry, e il ragazzo sogghignò ancora di più dal momento che Piton non aveva una battuta pronta per rispondergli.

Londra era affollata e brulicava di traffico e di persone che camminavano, ed Harry trovò strano il fatto che non dovessero fermarsi neanche una volta a un semaforo o a un attraversamento pedonale. La luce dei semafori era rossa, ma nel momento in cui la macchina raggiungeva il semaforo, scattava il verde. Quando raggiunsero la strada su cui si trovava l’entrata di Diagon Alley, Harry non vide neanche un parcheggio libero. Eppure, nel momento in cui arrivarono all’entrata, c’era un largo posto macchina proprio di fronte, come se stesse aspettando loro.

“E’ legale?” chiese Harry mentre si slacciava la cintura di sicurezza.

“Non è illegale”, rispose Piton, parcheggiando e spegnendo la macchina. “Del resto, la macchina è incantata per portarci qua il più velocemente possibile”. Harry si bloccò con la mano sulla maniglia. “Cosa? E’ una macchina incantata? Il Ministero lo sa?” “Sì, l’ho noleggiata da loro”, rispose Piton, scendendo dalla macchina.
Harry scese in fretta, chiudendo la portiera. “Ma io pensavo che queste cose fossero illegali. Il papà di Ron ha avuto dei problemi al nostro secondo anno…”
“Il signor Weasley aveva incantato una macchina per volare e non aveva cercato di registrarla da nessuna parte, ma l’aveva tenuta a casa per uso privato”, rispose Piton severamente. “Sono due cose diverse. Sbrigati, non ho tutto il giorno”.

Harry si bloccò improvvisamente. “Aspetti! Cosa facciamo con il mio aspetto?”
Piton sospirò e sembrò addolorato. “Mi dispiace, Potter, prima o poi sapevo che ti saresti reso conto esattamente quanto sei orribile, ma è davvero più colpa dei tuoi genitori che tua”.
“No, non quello”, ringhiò Harry. “Voglio dire, le persone non mi riconosceranno? E non vorranno sapere che cosa ci faccio insieme a lei?”
“Guarda qui”, Piton indicò un finestrino oscurato.
Harry vi si piazzò davanti trattenne il respiro. “Che cosa mi ha fatto?”

Il ragazzo che gli restituiva lo sguardo non era Harry Potter. Questo ragazzo aveva capelli lunghi di un castano più chiaro, Il naso era più lungo e più dritto, e gli occhi avevano sfumature più blu che verdi. Harry si voltò a guardare Piton, che sembrava divertito.

“Quand’è che mi ha cambiato? Non voglio essere così!”
“Rilassati, Potter”, Piton iniziò a camminare. “E’ un semplice incantesimo di alterazione in superficie che sparirà alla fine del giorno. Te l’ho fatto quando ti ho colpito in testa con la mia bacchetta per la tua impertinenza.
“Avrebbe potuto dirmelo, e no, non avrei discusso con lei”, aggiunse Harry, immaginando correttamente quello che Piton avrebbe potuto dire. “Capisco che non posso girare per strada con lei con il mio aspetto. Ma non ho sentito il cambiamento. Perché queste trasformazioni sono così sottili e l’incantesimo così semplice quando la Pozione Polisucco è così difficile da fare e causa dolore quando la si beve?”
“Perché la Pozione Polisucco ti trasforma nella persona che devi imitare, dandoti il suo intero corpo e tutti gli aspetti fisici. Questo incantesimo altera solo alcune caratteristiche del tuo volto. Se qualcuno ti guardasse attentamente, potrebbe capire che assomigli più al signor Potter di chiunque altro, ma nessuno ti osserverà con tanta attenzione. Per adesso, il tuo nome è Henry, e se qualcuno te lo chiede, sei mio nipote che è venuto da me per l’estate”.
“Suo nipote?” fece una smorfia Harry. “Io non voglio essere imparentato con lei”.
“In più”, continuò Piton, come se non avesse sentito Harry, “sei una specie di combina guai, e la mia cara sorella, senza più pazienza e senza sapere cosa fare con te; così ti ha mandato da zio Piton per un po’ di disciplina”.
Harry roteò gli occhi. A quel punto erano arrivati all’entrata, e Piton iniziò a premere i mattoni per farli entrare.

“Non girovagare”, lo avvertì Piton mentre il muro spariva, e Diagon Alley appariva di fronte a loro. “Stammi vicino, e se ti chiamo Henry, farai bene ad arrivare di corsa. Causa qualche problema, e mi troverò un angolino libero da qualche parte per occuparmi di te. Capito?”
“Sì, zio Piton”, rispose Harry, piuttosto maliziosamente.

C’erano davvero poche persone a Diagon Alley; le strade erano praticamente vuote. Harry si chiese se fosse troppo presto per fare shopping, o se le recenti notizie sul ritorno di Voldemort avevano spaventato tutti. Harry si diresse automaticamente verso la Gringott’s, evitando un carretto che pubblicizzava fiori finti che producevano un arcobaleno su cui si poteva camminare. Arrivi a uno ruscello, non ti vuoi bagnare i piedi, metti un fiore per terra da un lato del corso d’acqua, e il fiore proietterà un arcobaleno oltre il ruscello, per permetterti di attraversarlo. Harry si chiese cosa avrebbe detto Piton se avesse voluto comprarne uno. Probabilmente avrebbe detto a Harry di saltare il ruscello o di cercare un ponte. Conoscendo Piton, probabilmente gli avrebbe anche detto di saltare dal ponte una volta averlo trovato.

“Dove stai andando?” Piton afferrò Harry per il braccio e lo tirò indietro.
“Uh?” Harry saltò fuori dai sue pensieri sugli arcobaleni. “Sto andando alla banca. Sa, per prendere i soldi per pagare per le pozioni?”

Piton esitò, poi disse: “Beh, non preoccuparti per i soldi, per adesso. Ho scritto a diversi negozi dicendo loro che il mio giovane ospite ha distrutto il mio magazzino, e mi hanno detto che poiché sono un buon cliente mi faranno avere i nuovi ingredienti a un prezzo molto basso. Comunque non avranno tutto quello che mi serve, così dovrò coltivare alcune piante nei miei giardini; e tu ti occuperai di loro per il resto dell’estate”.

Harry sbatté le palpebre, fissando Piton. Il professore intendeva dire che non aveva in programma di prendere i soldi di Harry?

“Non essere così grato”, brontolò Piton, camminando verso un piccolo negozio all’angolo. “Non lo faccio per essere gentile. Non volevo spendere tutta la tua fortuna di famiglia e poi trovarti fra qualche anno a bussare alla mia porta, e a lamentarti che sei senza un soldo. Smettila di bighellonare, e seguimi!”

Il primo negozio di Pozioni era buio e scuro, in confronto al sole splendente; e gli occhi di Harry ebbero bisogno di qualche secondo per abituarsi. Una volta che poté vedere normalmente, desiderò essere nuovamente cieco. Non solo, sui numerosi scaffali c’erano bottiglie, contenitori e fiale piene di viscide cose oscure; ma c’erano anche barili di cose non ancora morte. Cose nere scivolose che si agitavano in una botte, non serpenti, non rane, non vermi; una combinazione di tutti e tre, con rotondi occhi fissi. Harry si ficcò le mani in tasca, non volendo toccare niente.

Piton stava già parlando con l’uomo dietro il bancone, un mago rinsecchito con metà denti mancanti e un naso a uncino. “Sì”, disse Piton con voce stanca, “il giovane Henry ha deciso di giocare con le pozioni nel mio magazzino del primo piano ed è riuscito a distruggerlo. Sono riuscito a salvare solo quei pochi ingredienti che ho indicato nella lettera”.
L’uomo dietro il bancone posò i suoi brutti occhi su Harry. “Capisco”, gracchiò l’uomo. “Spero che il nipotino Henry abbia ricevuto la giusta punizione per una tale cattiveria”.
“Mi, creda, l’ha ricevuta” disse seccamente Piton, e Harry cercò di non arrossire. “Ora, potrei dare un’occhiata alle cose che mi ha messo da parte?”

Entrambi gli uomini andarono nel retro, discutendo di pozioni. Harry non si lasciò scappare l’occasione e corse fuori dal negozio; si immaginò di avere all’incirca quindici minuti prima che Piton si accorgesse che era sparito. Voltò nella strada e continuò a correre più veloce che poteva fino a raggiungere l’inizio di Notturn Alley. Il viale sembrò diventare più scuro, i negozi aveva un aspetto minaccioso e pericoloso, e Harry sentì un brivido di ansia scorrergli addosso. Deglutendo, si diresse verso Magie Sinister, il negozio nel quale era accidentalmente finito con la Metropolvere nell’estate prima del secondo anno.

Il negozio era all’incirca lo stesso, pieno di oggetti di Magia Oscura, Ma Harry scoprì che non si sentiva così spaventato come quattro anni prima. Ansimando, corse al bancone, al quale sedeva il signor Sinister, con un’aria depressa.
“Mi scusi”, disse Harry tutto d’un fiato, “ha delle Giratempo?”
“Giratempo?” l’uomo lo fissò. “Non, non le abbiamo. Il Ministero le ha confiscate anni fa. E considerata l’attenzione con cui ci osservano di questi tempi, sarò fortunato se riuscirò a tenere aperto un altro mese. Raid ogni pochi giorni, le famiglie vendono tutti i loro averi di famiglia per evitare sospetti, nessuno compra più niente.
“Sì” - interruppe Harry - “è terribile. E un oggetto chiamato la Collana di Timord? Lo conosce?”
“Ma certo”, il signor Sinister osservò guardingo Harry. “Che cosa vuoi ottenere con un oggetto come quello?”
“Ho commesso un errore tempo fa, e devo sistemarlo”.
“Che tipo di errore?”
Harry si fece venire in mente la bugia perfetta. “Ehm, ho tradito la mia ragazza, e lei ha rotto con me. E adesso la rivoglio indietro, così voglio tornare indietro nel tempo per cambiare quello che ho fatto”.

Il signor Sinister ebbe una breve risata. “Oh, voi ragazzi. Beh, mi spiace, ma non ho la Collana di Timord. Ho un braccialetto che potrebbe fare dimenticare alla signorina in questione quello che hai fatto, o un anello che la porterà a tollerarti quanto basta perché tu possa riconquistarla”. “No, va bene così”. Harry si allontanò dal bancone. Obbedendo a un’intuizione improvvisa, si voltò di nuovo e chiese: “Non sa dove potrebbe essere, vero?”
“Ma certo che lo so”, rispose il signor Sinister. “In questo momento, è nelle mani di Lucius Malfoy a Malfoy Manor”.

Harry sentì piccoli brividi corrergli lungo la spina dorsale. “Malfoy Manor?”
“Sì, ma non farti venire in mente di rubarla al signor Malfoy”, lo avvertì il signor Sinister. “Ti ucciderà prima che tu riesca a superare la porta d’ingresso”.
“Grazie”, rispose Harry, prima di correre verso la porta. Mentre si affrettava a uscire da Notturn Alley, pensò furiosamente a cosa aveva appena saputo. La Collana era alla porta accanto, a Malfoy Manor. Era più di una coincidenza: era quasi fato, destino, in qualunque modo si volesse chiamarlo. Non era tutto perduto, poteva ancora correggere i suoi sbagli.

Piton stava osservando dozzine di ingredienti quando Harry sgattaiolò nuovamente nel negozio. Il professore non sollevò lo sguardo, mentre diceva all’uomo dietro il bancone: “Va bene, li prendo tutti. Li metta nella mia macchina qua di fronte”.
“Sarà fatto, signore”, l’uomo iniziò a impacchettare gli ingredienti.
“Andiamo, Henry”, fece cenno Piton a Harry, ed entrambi andarono verso la porta. Una volta fuori, Piton afferrò Harry per la nuca in una forte stretta.
“Ow!” esclamò Harry, ma senza tentare di liberarsi.
“Pensavo di averti detto di starmi accanto”, lo rimproverò Piton. “Intendevo ‘stai vicino a me’ e non ‘corri liberamente per strada’. Hai intenzione di ascoltarmi, o devo estendere la tua punizione di non poter lasciare la mia vista per un giorno in più?”
“No, signore, mi dispiace,” si scusò Harry. “Io.. io volevo solo vedere… uh, il nuovo negozio di scherzi di Fred e Gorge. Non pensavo che volesse andarci…”
“E avevi ragione”, tagliò corto Piton. Il professore estrasse la bacchetta e la puntò verso Harry. “Svuota le tasche”.
“Cosa?” Harry non aveva niente in tasca, ma non capiva la richiesta.
“Non voglio che tu compri quei dolci o qualunque cosa facciano che ti trasforma in uccello, in un ratto o in qualcosa di ugualmente rivoltante. Non porterai quelle caramelle in casa mia, quindi svuota le tasche adesso”.
Harry voltò immediatamente le tasche da una parte e dall’altra. “Vede? Nulla”.
Piton non sembrava soddisfatto. Harry si sentì esasperato.
“Guardi, a meno che non voglia spogliarmi qui, deve credere che non inizierò a farle degli scherzi. Non sono Fred e Gorge, e non ho dodici anni, quindi si fidi di me”.
L’espressione accigliata non lasciò il volto di Piton, ma lasciò la nuca di Harry e iniziò a camminare verso il prossimo negozio.

“Un altro negozio, e poi possiamo fermarci per il pranzo. Poi andremo a cercare i tuoi libri di scuola. E se mi trasformo in qualcosa mentre tu sei a Snapdragon Manor, farai meglio a trovarti a cento miglia di distanza quando mi ritrasformo, o non sopravviverai tanto a lungo da pentirtene”.

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Al momento in cui entrarono in macchina, il sedile posteriore era pieno di pacchetti di pozioni, libri e sacchetti di erbe essiccate. Harry si sentiva pieno per la cena che Piton gli aveva fatto mangiare: un sacco di cibo, considerato che era ancora pieno dal pranzo. In più, Harry era stanco per essere stato tanto tempo in piedi: qualcuno doveva mettere un po’ di sedie in quei negozi. Harry si appoggiò al sedile, mentre Piton avviava la macchina.

“Devo iniziare studiare domani?” chiese Harry, cercando di non sembrare lamentoso. “Voglio avere il tempo di fare altre cose”.
“Per esempio?”
“Non lo so. Voglio volare sulla mia scopa e magari mandare una lettera a Ron e Hermione. Oh, no!” Harry si tirò su di scatto, la cintura gli premette sulla spalla. “Dov’è Edvige? Non l’ho vista per tutta la settimana. L’ultima volta che l’ho vista è quando l’ho mandata con una lettera alla Tana, e poi me ne sono andato. E’ tornata dai Dursley? Probabilmente l’avranno uccisa, ormai”.
“Rilassati”, rispose con calma Piton. “La tua civetta è nella guferia nella torre più alta di Snapdragon Manor. Anche se probabilmente non sarà contenta che tu ti sia dimenticato di lei fino ad ora”.
“Mi dispiace”, rispose Harry. “Ero troppo occupato a prendere fuoco e a farmi sculacciare per pensare alla mia civetta”.

Piton si limitò a sogghignare, ma Harry si sentì ancora peggio per aver ignorato Edvige. Avrebbe iniziato a beccargli le dita e a volargli intorno alla testa becchettandolo per punirlo. Harry si lasciò ricadere sul sedile, non poteva fare niente, adesso.

Una volta fuori dalla città, il sole stava tramontando, e Harry si sentiva molto assonnato. Mentre i suoi occhi si chiudevano, notò che il suo riflesso era tornato alla solita immagine: capelli scuri, naso corto, occhi verdi.

“La prossima volta che cambia la mia faccia, mi avverta”, mormorò Harry. Non ci fu risposta, solo il rombo del motore.

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Erano le dieci passate quando Harry si affrettò in camera di Piton e si mise a frugare alla ricerca del pigiama, prima di entrare nel bagno. Pasti abbondanti, dormire tutto il giorno, poltrire qua e là: quando in autunno avrebbe ricominciato gli allenamenti di Quidditch non sarebbe riuscito a stare sulla scopa. Poteva vedersi mentre rotolava giù dalla scopa per farsi un sonnellino sull’erba.

L’indomani, avrebbe fatto qualcosa per cui valeva la pena perdere un po’ di tempo: ci doveva essere un modo per entrare a Malfoy Manor. Gli venne all’improvviso un’idea brillante, e smise di lavarsi i denti per osservarsi allo specchio. Poteva fare la Pozione Polisucco per diventare Draco. Era nella casa di un Professore di Pozioni, tutti gli ingredienti erano a portata di mano, ce la poteva fare! Ma no, gli sarebbe servito un mese per prepararla, e dove avrebbe trovato un pezzo di Draco?

Beh, allora forse un incantesimo come quello che Piton aveva usato quel giorno? Qualcosa di temporaneo e facile, doveva solo entrare a Malfoy Manor e trovare quella Collana.

Harry si sciacquò la bocca e si asciugò le mani con l’asciugamano. Entrò nel letto improvvisato sul divano e continuò a pensare al suo piano.

Poteva osservare Malfoy Manor per qualche giorno, cercando di capire quand’era che rimaneva vuota. Poi sarebbe entrato: e se ci fossero stati degli elfi domestici di guardia alla porta? Forse con il suo Mantello dell’Invisibilità… ma no, non poteva mettersi a cercarlo di nuovo. Piton sarebbe stato capace di incatenarlo alla sedia, se lo avesse scoperto a curiosare così poco tempo dopo essere stato messo in punizione. Ma ci doveva essere un modo. Le cose si stavano mettendo troppo in suo favore, perché fossero coincidenze. Aveva solo bisogno di pensarci, di studiare il tutto con attenzione…

Piton entrò in camera quando l’orologio segnava le dieci e mezzo. Si era quasi aspettato di dover dare la caccia al suo pupillo per metterlo a letto, e si sorprese nel vedere il Bambino Che Era Sopravvissuto Per Tormentarlo mezzo addormentato.

Era snervante vedere il marmocchio dormire: sembrava così piccolo e innocente, quello che gli mancava era stringere un orsacchiotto, e Piton sarebbe stato così nauseato dall’immagine della dolcezza e dell’innocenza che non sarebbe più riuscito a guardare il ragazzo.

Almeno, era tranquillo. C’era ancora una bella fetta dell’estate da passare, e il marmocchio stava diventando anche troppo bravo a rispondere ai commenti maligni che gli faceva Piton. Se continuava così, il ragazzo sarebbe tornato a Hogwarts con abbastanza battute acute da esasperare ogni professore della scuola.

Con un’ultima occhiata per accertarsi che Potter dormisse, Piton diminuì la luce delle candele. Non c’era motivo di rischiare di svegliarlo di nuovo.

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Doveva solo arrivare alle quattro. Era l’ora in cui la sua punizione era iniziata, tre giorni prima, e sarebbe terminata alle quattro in punto. Non aveva fatto niente che spingesse Piton ad allungare la punizione, e Harry se ne stava seduto molto tranquillo, scrivendo le frasi che avrebbe dovuto finire la sera prima. Anche se odiava ammetterlo, Piton era stato molto gentile, ultimamente. La sera prima Harry era molto stanco, appena uscito dalla macchina, ma si era aspettato che Piton gli ordinasse di prendere penna e pergamena e di iniziare a scrivere. Invece, gli aveva lasciato prendere una tazza di cioccolata calda prima di insistere che andasse a letto. Quindi, tutto quello che Harry doveva fare era comportarsi bene per le prossime sei ore, fino alle quattro. Sei ore: era un sacco di tempo, per cacciarsi nei guai.

Harry si mosse sulla sedia scomoda, e con il braccio urtò la boccetta dell’inchiostro, spargendolo tutto sulle frasi che aveva scritto. Piton, che stava leggendo la posta, sospirò.
“Potter…”
“Queste contano”, insisté Harry. “Lei mi ha visto che le scrivevo. Erano un centinaio di righe, non voglio scriverle di nuovo”.
“Se avessi voluto farle, non sarebbe stata una punizione”, commentò Piton. “Prendi un nuovo foglio, e scrivane ancora cinquanta; poi potrai iniziare a guardare i tuoi libri di scuola. Ho preparato uno schema di studio per te…”

Harry si lamentò rumorosamente.

“E tu ti atterrai allo schema”, continuò Piton in tono severo.
“Non voglio studiare”, brontolò Harry. “Sono stanco di studiare. La mia punizione finisce questo pomeriggio, e ho fatto tutto quello che mi ha detto: voglio andare a volare”.

Anche Harry arrossì per quanto sembrava lamentoso, e sapeva che Piton stava pensando: “scontroso marmocchio”. Ma Harry pensava di essere stato molto buono, tutto considerato, e non era che lui avesse desiderato vivere con Piton…

“Va bene”, brontolò Piton, “se non devi fare altro che infastidirmi, questo pomeriggio puoi andare a volare, dopo un’ora in cui strapperai le erbacce in giardino. Ma ci sono delle regole su dove e quando puoi volare, e se non le segui alla lettera, segherò quella scopa a metà”.

E Piton lo avrebbe fatto, certo – lo stupido idiota. Ma Harry sapeva che ci avrebbe pensato due volte prima di fare qualcosa che avrebbe messo in pericolo la scopa che gli aveva dato Sirius. Comunque, realizzò Harry mentre ricominciava a scrivere le frasi, avrebbe fatto qualunque cosa per riportare indietro il suo padrino. Avrebbe dovuto esserci Sirius, seduto sulla grande poltrona, a leggere la posta. Avrebbe dovuto essere Sirius a criticarlo e a dirgli cosa fare. E se ce ne fosse stato bisogno (anche se Harry non lo credeva probabile), avrebbe dovuto essere Sirius a punirlo; non un pipistrello troppo cresciuto di professore di Pozioni dalla mano troppo pesante.

Harry si sentì crescere dentro una rinnovata determinazione. Avrebbe salvato Sirius. E Piton non avrebbe mai saputo cosa lo aveva colpito.
  
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