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Autore: BlackEyedSheeps    02/09/2013    1 recensioni
Era lei.
Lei che cercava di confondersi fra la folla, di mimetizzarsi con la rumorosa fauna turistica, di seguire un gruppo di persone di cui aveva appena intuito le traiettorie, ma una volta che Clint aveva agganciato l'obiettivo, difficilmente se lo lasciava sfuggire.

[Clint/Natasha]
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Maria Hill, Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nick Fury
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Compromised'
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Prima di lasciarvi alla lettura, ho una piccola premessa da fare. Dato che oggi, giorno della pubblicazione di questo capitolo, è il compleanno di una delle due autrici di questa fanfiction (sì siamo in due, non sono il mago Othelma, giuro!), la sua controparte anziana, cioè io, ha deciso di farle una sorpresa (cioè, si spera che sia una sorpresa, altrimenti faremo finta che un hacker impazzito abbia preso possesso del nostro account – Ommioddio guarda tu che pezzi di *beeeeep*), prima di tutto pubblicando il capitolo senza averla consultata (No, davvero, questi hacker ormai non hanno proprio rispetto di niente!) e poi regalandole una fanart ispirata alla storia. Che potrebbe altresì farne da copertina (meglio una trapunta) o una sottospecie di banner (Bruce) introduttivo.

Bene, dopo questa inutile sequela di battutacce, non mi resta che chiudere e, augurare a voi buona lettura, mentre alla mia socia di sventure/avventure/scleri sulle condizioni dei capelli di Jeremy Renner, un: BUON COMPLEANNO E CENTO, CENTO, CENTO... di questi giorni!

Smack, bambina, finalmente invecchi anche tu! (ecchè, solo io?)

 

 

 

La mia prima regola è: spera per il meglio e aspettati il peggio.”

(The Bourne Ultimatum)

 

 

Varsavia, Polonia

Ore 8:47

 

Abbandonò parrucca e occhiali mentre studiava il tetto della banca e degli edifici adiacenti per trovare una via di fuga. La cosa non sarebbe stata impossibile, ma neanche semplice. Il lamento assordante della sirena della polizia era sempre più vicina, a ricordarle che Billmann e i suoi uomini non erano gli unici ad avercela con lei. Si tolse le scarpe – troppo alte per un inseguimento -, afferrò l'orlo del tubino nero che indossava e – sentendosi un po' in colpa al gesto – strappò la gonna fino a metà coscia, assicurandosi di avere piena mobilità: la prossima fase sarebbe stata tutto fuorché comoda.

 

Studiò sommariamente il tetto del palazzo alla loro destra: la distanza tra i due era abbastanza ridotta da permettere di raggiungerlo con un salto. Individuò il punto in cui il parapetto si abbassava al livello del pavimento e ci si posizionò davanti, svariati metri più indietro, lo sguardo di Francis puntato addosso.

“Non guardarmi così”, lo redarguì immediatamente “i tetti non dovrebbero essere il tuo habitat naturale?” domandò, scoccandogli una rapida, fulminante occhiata.

Prese la rincorsa e spiccò un salto, dandosi tutto lo slancio possibile. Rimase sospesa per aria per quella che le parve un'eternità, prima di atterrare poco aggraziatamente dall'altra parte.

Attutì la caduta con le braccia, rotolando per un breve tratto. Si rimise in piedi proprio mentre Francis la raggiungeva, in modo ancora meno elegante del suo: se anche avesse voluto sfuggirgli, non avrebbe avuto vita facile. Bollò subito il pensiero come assurdo: c'era Billman, la polizia polacca, lo SHIELD ad inseguirla... aggiungere un quarto giocatore a quell'assurda corsa contro il tempo sarebbe stato semplicemente folle.

 

La porta che sbucava sul tetto della banca si aprì di schianto, riversando uno squadrone di uomini dall'aria poco raccomandabile. Natalia si tuffò dietro il muretto alle proprie spalle. Ebbe appena il tempo di accorgersi che Francis aveva fatto altrettanto, quando una raffica di spari si abbatté su di loro. Si coprì la testa con entrambe le braccia, scambiando una rapida occhiata con l'uomo al suo fianco.

 

“Salteranno anche loro”, gli comunicò a voce abbastanza alta perché riuscisse a sentirla al di sopra degli spari. Le sembrò di udire stralci di spicce contrattazioni in tedesco – salto io o salti tu? - dall'altra parte, lo strascicare di pesanti stivali sul cemento, e poi il tonfo dell'atterraggio.

Si portò un dito alle labbra, facendo cenno a Francis di stare zitto e fermo. Non sembrava affatto d'accordo, ma per qualche motivo la lasciò fare.

Ebbe cura di girarsi a fronteggiare il muretto piuttosto che dargli le spalle, restando accucciata per evitare di essere colpita dai proiettili che ancora imperversavano tutt'intorno. Inspirò ed espirò ad intervalli regolari finché il braccio armato dell'uomo che era saltato dalla loro parte non comparve sopra le loro teste.

Saltò in piedi prima che potesse guardare oltre la loro barriera di protezione: gli immobilizzò il polso con una mano, mentre con l'altra si preoccupò di assestargli un pugno in piena faccia.

L'afferrò per la cintura dei pantaloni e lo ribaltò dalla loro parte.

Era già morto. Fuoco amico, valutò rapidamente: gli uomini di Billmann avevano il grilletto facile e una pessima mira.

Gli sfilò la pistola di mano, controllando che non avesse munizioni nelle tasche del giubbotto di pelle. Realizzò di essersi distratta un po' troppo a lungo perché, un attimo dopo, un altro uomo comparve dalla loro parte: imbracciava un mitra.

Francis gli fu addosso prima che potesse avvertirlo del pericolo.

 

Se aveva pensato che tutti quei muscoli fossero solo un vanto estetico – a che servivano quei bicipiti ad un arciere? - Natalia dovette ricredersi: l'uomo fu messo KO nel giro di pochi istanti, la sua arma requisita. Francis indicò alla sua destra. Annuì in tacita risposta. Fu il primo a prendere iniziativa e a mettersi a correre restando basso, fino a raggiungere le scalette che – presumibilmente – li avrebbero condotti all'interno dell'edificio. Natalia lo seguì un attimo dopo, voltandosi e facendo fuoco: l'ennesimo uomo – a metà del salto da un edificio all'altro – sparì, inghiottito dal vuoto.

Scese in fretta i pochi gradini della scala che spariva sotto il livello del pavimento del tetto: erano protetti da entrambi i lati, ma non lo sarebbero stati per molto. Francis provò ad aprire la porta utilizzando la maniglia come ogni comune mortale: sfortunatamente per lui, era chiusa a chiave. Natalia lo incenerì con lo sguardo, costringendolo a farsi da parte. Prese la mira e fece fuoco contro la serratura: non doveva essere granché resistente perché si aprì come burro, lasciando passare il proiettile dalla parte opposta.

 

Non perse tempo e inforcò la lunga rampa di scale di servizio su cui si ritrovarono. Una rapida occhiata alla mappa delle uscite di sicurezza dell'edificio appesa ad ognuno dei piani che via via passavano, ed ebbe la conferma dell'esistenza di un parcheggio sotterraneo. Uscire a piedi dall'edificio e trovare un mezzo di trasporto prima che la polizia e i passeggeri di tutti quei SUV si accorgessero della loro presenza, sarebbe stato praticamente impossibile. Tornare in superficie già a bordo di un'auto, però, avrebbe cambiato sensibilmente le cose.

 

Francis doveva aver capito le sue intenzioni perché non obiettò e non mise in discussione la loro traiettoria. Scesero e scesero per un minuto intero, finché non si ritrovarono davanti ad una doppia porta di metallo. Spinsero un'anta ciascuno, sbucando in un ambiente piuttosto squallido, dal tetto basso, i neon grigiastri, pilastri di cemento a dividere le corsie. Natalia non fece in tempo a passare in rassegna le automobili a loro disposizione che Francis già ne aveva scelta una.

 

“Darà troppo nell'occhio”, non fece segreto del proprio disappunto, osservando la macchina rossa fiammante.

“Nel caso non te ne fossi accorta”, ribatté lui, facendone saltare la serratura. “È l'unico modello di questo secolo”.

“Va bene, ma guido io.”

“Eh?”

“Conosco Varsavia meglio di te! Levati di mezzo.”

In realtà non era affatto sicura che Francis non conoscesse Varsavia, ma, visto che l'uomo non ebbe niente da ridire, suppose di aver fatto centro.

 

Salì al posto del guidatore, lanciò la pistola sul sedile del passeggero e si mise ad armeggiare coi cavi sotto al cruscotto per metterla in moto. Frizione, acceleratore, cambio e un attimo dopo stavano già sfrecciando attraverso il parcheggio, diretti alla rampa d'uscita.

“Ovviamente guida come una pazza”, lo sentì commentare, rivolto più a se stesso che a lei.

Accelerò non appena il gabbiotto del guardiano del parcheggio comparve in fondo alla loro strada: l'urto con la sbarra bianca e rossa fu minimo (non per la sbarra). Risalì la rampa d'asfalto e ricomparve nella strada sul retro della banca, i SUV neri ancora parcheggiati alle loro spalle.

“Tu spara, ce la fai?” gli domandò, abbassando i finestrini senza aspettare di ricevere una risposta.

Notò del movimento nello specchietto retrovisore: gli uomini di Billmann dovevano essersi accorti del loro passaggio.

“Reggiti forte”, l'avvertì, premendo sull'acceleratore.

 

 

Varsavia, Polonia

Ore 9.10

 

Chissà come, gli tornò alla mente il movimento ipnotizzante, rotatorio dei suoi vestiti sporchi in lavanderia.

Ora era certo di capire cosa provassero al momento della centrifuga. E di questo doveva solamente ringraziare Natalia.

“E meno male non abbiamo fatto colazione, stamattina”, smozzicò, prima di guardarsi alle spalle, sentendosi sballottato alla portiera a una curva troppo ardita.

“Gesù!” esclamò. Chissà come mai i santi uscivano fuori sempre nei momenti meno opportuni.

Si era accorto però che, alle loro spalle, tutto li inseguiva fuorché una schiera di angeli; più forse uno sciame di pipistrelli ubriachi.

Le lanciò uno sguardo rapido e senza doverle realmente rispondere, si accertò che la pistola sottratta ad uno dei tirapiedi di Billmann - SIG Sauer P220, semi-automatica - fosse ancora carica. Fece lo stesso con quella abbandonata dalla donna e sbuffò qualcosa.

“Non si può dire che non siano nazionalisti.”

Prese un profondo respiro e in un attimo fu seduto in bilico sul finestrino, solo le gambe all’interno dell’autovettura, agganciate alla cintura di sicurezza che fungeva da cappio anti caduta. Non una posizione comoda.

Si sentì trascinare all’esterno dall’ennesimo sorpasso azzardato: “Naaaaaaat-” alia. Gridò, la voce che si spense come quella di una sirena in allontanamento, cercando di assestare la mira.

Con il primo colpo fece fuori la ruota davanti del grosso SUV, con il secondo centrò il finestrino, scalfendolo solamente.

“Brutti figli di puttana.” Vetri antiproiettile.

La sua imprecazione andò a disperdersi nel vento e sotto una scarica di munizioni.

Si ritirò il tempo di sentire il vetro posteriore della loro vettura andare in frantumi. Non si lasciò scoraggiare. Di fatto, gli avevano facilitato il compito.

“Danke schön, Fledermäuse.*” si arrampicò sul retro della macchina, e con un calcio si libero di quello che restava. Prese la mira, sbandò su un lato ma il colpo in canna andò a buon fine: anche l’altra ruota anteriore del SUV era fuori uso.

Il grosso macchinone zigzagò per un breve tratto, prima di schiantarsi contro un muro, sbarrando la strada agli altri veicoli all’inseguimento.

Fuori uno, pensò solamente, affacciandosi al sedile dove Natalia ancora concentrata sulla strada, si allontanava il più possibile dalle vie trafficate.

Si concesse un solo attimo di respiro.

“Dì un po’, dov’è che hai imparato a guidare?”, le chiese, senza ricevere risposta. “Guarda che non era un complimento.”

Trascinò via con il piede i vetri rotti, sparsi sul sedile posteriore, prima di veder spuntare l’ennesima brigata di SUV.

“E andiamo.” Riprese a sparare, e a mettere fuori uso un paio di macchine, prima di rendersi conto che quelle che intravide dal finestrini non erano altro che canne di mitra.

“Merda…” esalò facendo retrofront.

“Ricordi che ti ho detto prima?” le chiese, prendendo mira e andando di nuovo a rete. Il terzo SUV sbandò. “Ecco, sarebbe gradito vedere qualcosa… di peggio.”

La donna non si fece pregare, deviò un paio di vetture, prima di inforcare una traversa tutt’altro che agile.

“Non andremo lontano con due pistole.” Le fece presente.

“Dimmi di che hai bisogno.”

“Un paio di quei mitra.”

E come a rispondere alla sua domanda, non appena il SUV si rifece vivo, la donna deviò a sorpresa in una viuzza che, Clint notò, andava a finire in una strettoia.

“Non ci passiamo!” ebbe appena il tempo di esclamare, prima che Natalia prendesse con la ruota anteriore un muretto e inclinasse la macchina quel tanto che bastava per permetter loro di proseguire. Procedettero così per un paio di metri, prima di crollare non appena la strettoia fu finita.

Lo sguardo attonito di Clint si spostò dalla strada alla donna.

“Da che razza di remake di Fast and Furious sei uscita?”

“Di che diavolo stai parlando?”

“Non conosci Fast and Furious? Vin Diesel, l’uomo che ha un passaporto anche per il suo bicipite.”

Natalia fermò la macchina e, dietro di loro, il rumore di uno schianto fece presente che il SUV si era andato a incastrare a grossa velocità. Accartocciato come una scatola di sardine.

“Vuoi continuare a parlare di assurdità o ti dai una mossa?” la sentì criticare, ma lui le passò una delle pistole ed era già fuori dal retro.

“Coprimi!” le gridò ma non ci fu bisogno di grandi manifestazioni belliche, gli uomini sul SUV erano abbastanza storditi dallo schianto dell’airbag, da non rendersi quasi conto dell’arrivo di Clint. Uno strattone un paio di cazzotti ben assestati e i mitra erano suoi.

“Nat!” le lanciò una delle armi, correndo di nuovo nella sua direzione. Non ci sarebbe voluto molto prima che qualcun altro tornasse a romper loro le uova nel paniere.

“Come mi hai chiamata?!” la sentì protestare indignata, ma non fecero in tempo ad arrivare alla macchina che l’uscita della via era già sbarrata da una macchina della polizia.

“Evviva, sono arrivati i rinforzi.” Soffiò tutt’altro che divertito.

Gli intimarono di restare fermi con le mani alzate ma, prima che Natalia decidesse di scatenare una guerra, notò una porta sul lato e odore di fritto.

Cucine. Fu tutto quello che riuscì a pensare.

Prese la donna per mano, strattonandola in quella direzione. Memore di lezioni passate, con un calcio ben assestato aprì la porta e ce la trascinò letteralmente dentro.

 

Un gruppo di cinesi, affaccendati ai fornelli, arrestarono le proprie attività, per fissarli con aria instupidita.

“Chūnjuǎn dài zǒu?**” disse, prima di ricominciare a correre

 

 

Varsavia, Polonia

Ore 9:29

 

 

Non era esattamente né il momento né l'ora più adatta per pensare agli involtini primavera, ma la fame si fece sentire comunque. Da quanto non faceva un pasto degno di quel nome? Accantonò rapidamente il pensiero, strattonò via la mano dalla presa di Francis e sgomitò tra i cuochi che affollavano la cucina per farsi strada attraverso il ristorante.

Per raggiungerli, la polizia avrebbe dovuto fare il giro dell'isolato in macchina, o attraversare la stradina bloccata da non uno, ma ben due SUV. In ogni caso, era sicura che stessero guadagnando un po' di tempo.

 

“выйти с дороги!***”, gridò, irrompendo nella sala principale. Fece lo slalom tra i tavoli, le urla dei clienti terrorizzati ad accompagnarla fino alla porta a vetri. Controllò sommariamente la situazione all'esterno, voltandosi per trovarsi faccia a faccia con Francis.

“Al tre”, l'informò a mezza voce. “Uno, due -” spinse la porta e sfrecciò fuori dal locale prima ancora di poter pronunciare il tre.

Scansò i pedoni sul marciapiede, lanciandosi in mezzo alla strada incurante delle auto e dei mezzi di trasporto pubblici attualmente in transito. Approdò sul lato opposto, imboccando una stradina secondaria e poi un'altra ancora, districandosi nel dedalo di vicoli e traverse con apparente sicurezza.

 

Svoltò sulla sinistra, ritrovandosi una piazzetta minuscola e maleodorante. Invece che continuare a tirar dritto, si nascose dietro una pila di scatoloni e rifiuti di vario genere accatastati accanto a due cassonetti messi in fila contro al marciapiede. Si accucciò sulle ginocchia, portandosi l'indice alle labbra quando Francis l'ebbe raggiunta, il fiato corto e un'ombra di sudore sulla fronte.

 

Niente commenti stupidi, lo redarguì con lo sguardo prima di afferrarlo per il colletto della camicia di malo modo.

“Toccami o chiamami Nat di nuovo e te ne farò pentire”, lo minacciò a voce bassissima, ma assolutamente seria. Lo lasciò andare e si fece muta come una tomba quando i passi degli agenti – e prevedibilmente gli uomini di Billmann ancora in grado di sostenere un inseguimento – si fecero via via più chiari e vicini. Erano molto più lenti di quanto avrebbe mai osato sperare: passarono davanti alla catasta d'immondizia e procedettero attraverso la piazza e oltre, lungo la viuzza che da quella aveva origine. Suppose che fossero troppo impegnati a ricordarsi di respirare e a sopportare il dolore lancinante alla milza per prestare realmente attenzione ai dintorni.

 

Trascorsero cinque minuti buoni prima che le vicinanze tornassero a farsi silenziose e semi-deserte. Si rimise in piedi, sbirciando oltre una cassa piena di bottiglie vuote per assicurarsi che non ci fosse più nessuno.

“Via libera”, decretò infine, valutando se abbandonare il mitra nel cassonetto o portarselo dietro a costo di attirare inevitabilmente l'attenzione. Considerate le condizioni dei suoi abiti, l'arma sarebbe stata l'ultimo dei suoi problemi...

Vide Francis spolverarsi distrattamente i vestiti.

“Per un attimo ho temuto che volessi rubare un'altra auto”, le confessò, fingendo di rabbrividire solo al pensiero. O almeno credeva che stesse facendo finta.

“Piantala”, tagliò corto lei, controllando che la chiavetta recuperata alla banca fosse ancora al suo posto, nascosta nell'imbottitura del reggiseno. “Abbiamo bisogno di un mezzo di trasporto”, ragionò tra sé, sovrappensiero.

“Basta che non sia tu a guidare.”

“Sei vivo, mi pare.”

“Solo perché ho un ottimo controllo del mio apparato digerente.”

Natalia lo ignorò, decidendo di buttare il mitra nel cassonetto dopo aver inserito la sicura.

“Ci serve un autobus o un taxi”, deviò il discorso, avviandosi nella direzione dalla quale erano arrivati solo pochi minuti prima. Si scompigliò i capelli con una mano, già pronta ad interpretare la parte della reduce da una lunga nottata in discoteca, completamente sbronza e in evidente stato confusionario. Quella, o qualsiasi altra storia che avrebbe spiegato il suo aspetto. Francis l'affiancò un attimo dopo, sbadigliando sonoramente. Avanzarono in silenzio, come per tacito accordo.

 

La situazione cominciava a farsi un po' troppo surreale per i suoi gusti: prima sarebbero arrivati al jet, meglio sarebbe stato. La buona (anche se aveva ancora qualche riserva a riguardo) notizia era che non l'aveva ancora uccisa, né aveva accennato a farlo. O, se l'aveva fatto, non se n'era minimamente accorta. Dovette arrendersi all'evidenza: aveva disobbedito agli ordini, aveva preso un'altra direzione, aveva improvvisato...

Le sfuggì un mezzo sospiro mentre tirava fuori la chiavetta per porgergliela. Immagino sia meglio che la tenga tu. L'espressione che gli lesse sul viso le parve vagamente sorpresa, ma decise di non farci caso.

“Dubito che tu abbia la più pallida idea di cosa succede dopo, vero?” gli chiese, un'impercettibile nota di ansia nella voce.

Detestava gli imprevisti, dover andare avanti alla cieca, affidarsi agli altri, non avere il controllo assoluto degli eventi: le sembrava la ricetta per una catastrofe perfetta. Lo stomaco si contrasse al pensiero e, per un attimo, si sentì immensamente stupida: aveva davvero intenzione di consegnarsi allo SHIELD?

“Direi di tornare al jet”, propose lui, senza capire od evitando di farlo.

Natalia non rispose, preoccupandosi adesso di deviare dal percorso che avevano fatto all'andata.

Camminarono ancora per svariati minuti, Francis indietro di un paio di passi rispetto a lei, il ronzio delle strade meno trafficate di Varsavia a far loro da sfondo.

 

Il suo cervello aveva già ricominciato a presentarle infiniti scenari e vie d'uscita da quell'assurda situazione, uno meno probabile dell'altro. Non era stato poi così male, lavorare in coppia. Il pensiero, invece che rallegrarla, la fece sprofondare in un nervosismo ancora peggiore.

 

Si fermò di colpo in mezzo ad una strada bloccata per lavori in corso. Un silenzio fin troppo innaturale li circondava: nessun rumore dal cantiere, nessun operaio o passante nei paraggi. L'unica figura che riuscì ad individuare era un uomo in completo elegante, non molto alto, non molto prestante. Un paio di occhiali scuri a schermargli gli occhi.

Sentì Francis trattenere il respiro alle sue spalle: per qualche assurda ragione era convinta che l'avesse riconosciuto.

 

Qualcuno ci sta osservando, realizzò, sollevando lo sguardo sui palazzi circostanti. Avvertì i passi silenziosi un attimo dopo. Socchiuse gli occhi. Inspirò lentamente. Tentò inutilmente di rilassare i muscoli già tesi e pronti all'azione.

Sta' calma, si impose prima di tornare a guardare davanti a sé: una decina d'uomini in nero li circondava, armi e occhiate che andavano dal gelido al confuso, puntate nella loro direzione.

Il cerchio si aprì, lasciando passare l'uomo elegante con gli occhiali da sole. Quando parlò, la delusione, la preoccupazione e la stanchezza risuonarono nella sua voce.

“Agente Barton, signorina Romanova... temo dobbiate venire con me.”

 

~~~~~~~~

Note:

*Grazie mille, pipistrelli

**Involtini primavera a portar via?

***Levatevi di mezzo!

 

~~~~~~~~

**NEL PROSSIMO CAPITOLO**

 

Violazione del protocollo, negligenza, insubordinazione, insufficienti spiegazioni riguardo l’impiego di mezzi specifici dello SHIELD…”, l’elenco sembrava piuttosto lungo. “Le prove sembrano essere sufficienti per assicurarle una sospensione immediata.”

Se quella era una minaccia la faccia della Hill la rendeva anche peggio.

 

~~~~~~~~

Per quanto si stesse impegnando a mantenere la solita facciata gelida, Natalia fu costretta a trattenere il respiro: davanti ai suoi occhi si stendeva un mare di rosso, un macabro collage fatto di sangue, occhi vitrei, corpi rigidi. Le sue vittime.

Si è tenuta occupata, signorina Romanova”, esordì, lo sguardo placido, il tono tranquillo, quasi amichevole. Credevano seriamente che mandarle un ometto dall'aria simpatica l'avrebbe resa più incline a parlare?

  
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