Capitolo Tre: l’Auspicio
Le
ossa del precedente Asse scricchiolarono come rami secchi in autunno
mentre
prendeva posto sull’inginocchiatoio imbottito, assistito
dall’instancabile
Guardiano.
Mancava
esattamente un anno all’ufficiale successione di Feliciano,
ed era giunto il
momento dell’Auspicio: come da tradizione millenaria, il
vecchio Asse avrebbe
incontrato quello nuovo per profetizzare gli avvenimenti che avrebbero
segnato
la sua reggenza futura. Ma nessuno degli Assi precedenti aveva mai
dovuto
vaticinare su un gemello. Si augurava che la superstizione su di loro
fosse
solo una voce infondata.
I
suoi pensieri furono interrotti dall’apertura del maestoso
portone intarsiato.
Il
futuro della Confederazione gli sorrise dalla soglia dorata.
Il
vecchio Asse si concesse qualche lungo secondo di analisi critica della
coppia
apparsa nella suntuosa sala.
Il
Guardiano svettava sulla modesta statura del nuovo Asse di almeno una
ventina
di centimetri, solenne nella sua divisa scura. A un Guardiano degno del
proprio
titolo non occorrevano pesanti armature per essere protetto: erano
sufficienti
la sua destrezza e la sua resistenza fisica, superiori a quelle di
qualunque
essere umano e ottenute tramite sanguinosi allenamenti. Nemmeno
l’uomo più
robusto della galassia sarebbe mai riuscito a sollevare la pesante
spada che
Ludwig portava sulla schiena, e certamente nessuno, a parte il giovane
dagli
occhi di ghiaccio, sarebbe riuscito a sfruttare il potenziale delle tre
Gemme
Mistiche incastonate nell’elsa.
Spostò
le pupille invecchiate sul suo successore. La tunica bianca
drappeggiava
attorno al suo corpo esile come una nuvola poteva coronare il sole, e
il fine
velo appeso al cappello immacolato nascondeva parzialmente il volto,
steso in
un sorriso amabile.
Nemmeno
Feliciano aveva il diritto di guardare il vecchio Asse negli occhi,
almeno
finché non sarebbe diventato un suo pari.
L’anziano
lo invitò a inginocchiarsi davanti a lui con un gesto della
mano decrepita, e
Feliciano prese posto con grazia, seguito dal Guardiano.
Il
passato e il futuro della Confederazione intrecciarono le mani e
salmodiarono
con precisione le preghiere di inizio cerimonia.
I
Guardiani assistettero in perfetto silenzio mentre Feliciano scostava
il velo
per permettere al vecchio Asse di appoggiare la fronte sulla sua
esattamente
dove si supponeva si trovasse il Terzo Occhio, l’organo
destinato alla
preveggenza.
Il
vecchio Asse non avrebbe mai dimenticato gli avvenimenti di quel giorno.
Quando
il Terzo Occhio si spalancò, la sua pupilla invisibile
abbracciò l’orizzonte
placido di un planetario in cui i vari mondi ruotavano attorno al
Palazzo di
Cristallo in perfetta armonia. Non vi era modo di travisare quella
visione: i
poteri del suo successore erano stati acclamati in passato, e
chiaramente
avrebbero garantito un impeccabile equilibrio in futuro.
Lo
scenario della visione cambiò improvvisamente: nello spazio
buio in cui
galleggiavano i pianeti si aprirono due occhi brucianti, rossi come la
lava
della Fortezza di Efesto. Poi, una dopo l’altra, comparvero
le zanne affilate
di un muso ferino, che ringhiò facendo tremare tutti i mondi.
L’Asse
sentì i polsi trasformarsi in acqua quando la bestia
lanciò un cupo ululato che
arrestò improvvisamente il moto di tutti i pianeti.
Richiamate dal suo urlo
animalesco, altre tre fiere emersero dallo spazio buio: un corvo
gracchiò
sepolcrale, un falco si librò in volo, e un’aquila
sfrecciò verso il muso
tenebroso del lupo.
Alla
comparsa delle belve, i pianeti stessi parvero impazzire: il Chugoku
perse la
stella più splendente, e una spada di foggia orientale si
conficcò nel cuore
del pianeta, facendogli stillare sangue denso e brillante; da Britannia
partirono dei fulmini crepitanti, che mandarono in frantumi mille
pianeti
circostanti; le sei Fortezze si sciolsero, liquefatte come una palla di
cera
gettata nel fuoco, e le loro lacrime viscose si persero nel vuoto della
Galassia. Un’enorme onda dello stesso colore degli occhi
scarlatti del lupo si
gonfiò poco sopra il contorno frastagliato delle sue zanne,
e si riversò feroce
sulla Confederazione, tingendo ogni pianeta rimasto con il suo colore
sanguigno
e spezzando il Palazzo di Quarzo in un caos di frammenti vermigli.
Il
vecchio Asse sbarrò gli occhi, chiudendo bruscamente il
Terzo.
Gli
occhi ramati del ragazzo lo fissarono in attesa, a una misera distanza
dai
suoi.
«La
pace e la prosperità segneranno la tua reggenza»
predicò il vecchio Asse. «Non
ho mai avuto visione più felice: non vi sarà
nulla che turberà il tuo
equilibrio.»
Feliciano
sistemò di nuovo il velo, bisbigliò la preghiera
conclusiva e si rialzò con
eleganza, inchinandosi al suo predecessore come da cerimoniale. Il
Guardiano si
genuflesse più profondamente di quanto non avesse fatto
Feliciano, poiché la
rigida gerarchia Vaticana lo prevedeva. Dopodiché si fece da
parte per
permettere al futuro Asse di calpestare per primo la soglia di uscita,
e lo
seguì subito dopo.
Il
vecchio Asse attese che i due fossero spariti lungo i corridoi perlacei
prima
di impartire l’ordine al suo Guardiano:
«Porta
questo messaggio all’attuale Capofamiglia Vargas il prima
possibile.»
Il
Guardiano non si chiese il significato del criptico messaggio di cui
sarebbe
stato ambasciatore: si limitò ad ascoltare e memorizzare.
Il
Caos era stato scatenato dal lupo nero, per cui, una volta eliminata la
bestia,
il Caos non si sarebbe risvegliato. Doveva trovare quanto prima
l’altro
gemello, sfuggito alla morte con chissà quale trucco
diabolico, e ucciderlo;
solo così la Confederazione non sarebbe crollata.
La
superstizione sui gemelli si stava rivelando esatta.
Erano
davvero un presagio di malaugurio.
***
«Non
possiamo andare più veloci?»
I
capillari del capitano dell’Aereonave quasi esplosero per
quell’urlo esagitato.
«I
razzi sono al massimo» gridarono in risposta dalla sala
comandi. «Non possiamo
fare di meglio!»
Non
gli fu dato modo di tentare ulteriori vie di fuga: il rumore di una
scialuppa
li fece voltare tutti con mortale lentezza.
La
piccola imbarcazione cilindrica fluttuava serena sul ponte di prua, i
propulsori che emettevano una ghirlanda di fiamme azzurrognole. Il suo
carico
era costituito da due sole persone, ma fu sufficiente
un’occhiata ai loro volti
perché ogni uomo sull’Aereonave sentisse
l’anima fuggire dal corpo.
Il
cappotto rosso del capitano della Reina
de la Oscuridad assomigliava a una cascata di sangue, e il
cimitero di
medaglie strappate ai condottieri sconfitti scintillava su quel fiume
vermiglio. La pesante ascia, più alta dello stesso capitano,
stava appoggiata
sulla spalla destra con la tesa aspettativa di un predatore pronto a
sbranare
la sua vittima.
Al
suo fianco, più piccolo ma non meno spaventoso, un giovane
li fissava torvo, un
piede appoggiato sul bordo della barca.
Il
comandante dell’Aereonave inghiottì un amaro
boccone di saliva. Conosceva le
leggende su quel ragazzino, apparso come per un sortilegio nella ciurma
dalla Reina de la Oscuridad. Si
diceva che da
solo potesse indurre un intero equipaggio al suicidio, e che la belva
che era
in grado di evocare si cibasse unicamente di carne e sangue umani. Il
sacrificio
delle sue vittime era ricordato nella tinta scarlatta della sua giubba,
meno
decorata e più corta rispetto al cappotto del capitano.
Antonio
Fernandez Carriedo era universalmente conosciuto come la Mano Destra
del
Diavolo, e quel ragazzino si era presto guadagnato il titolo di Mano
Sinistra
del Diavolo.
Gli
occhi smeraldini lampeggiarono nell’ombra del cappello, e la
voce di Antonio
Fernandez Carriedo si modulò in un saluto:
«Perdonate
l’intromissione. Abbiamo bisogno di alcune informazioni. Se
ce le fornirete,
sarete tutti in grado di vedere l’alba di domani.»
Il
comandante cercò di mantenere le gambe ferme mentre annuiva
grave.
«Siete
parte della flotta Britannica, non è
così?»
L’uomo
annuì di nuovo, paralizzato. L’enorme stemma del
Leone sulla vela maestra era
più che esplicativo.
«Avete
contatti con la Capitaneria Britannica?» insistette Antonio.
«Come
è ovvio…» tartagliò il
comandante.
«State
andando splendidamente. Vi prego di non cadere proprio sul mio ultimo
quesito»
si complimentò il capitano impaludato di rosso, prima di
incupire il viso in
un’espressione di assoluta serietà:
«Dove si trova l’ultimo Hellsing?»
Gli
occhi dell’uomo si strabuzzarono fino al punto di esplodere.
Le gambe, che fino
a quel momento avevano mantenuto stoicamente una posizione eretta,
fuggirono
all’indietro, facendolo arretrare di qualche passo.
Ricordava
spaventosamente bene i giorni in cui l’Hellsing era stato
libero di scorrazzare
per la Confederazione con la sua coorte mostruosa. E il ricordo di quei
giorni
lo spaventava ancora di più della coppia davanti a lui.
«Non
siamo autorizzati a rivelarlo.»
Le
dita del capitano tamburellarono sull’impugnatura
dell’ascia.
«Sono
sicuro che siete un uomo ragionevole. E capirete che
un’informazione vale meno
di una vita.»
«Non
questa informazione. Se
l’Hellsing
dovesse svegliarsi, quei demoni mostruosi tornerebbero a infestare la
Confederazione, e migliaia di persone potrebbero
morire…»
L’ascia
si fermò a un millimetro dalla sua giugulare, ma sarebbe
bastato lo sguardo
furibondo del capitano a ucciderlo: le iridi verdi ardevano con una
rabbia così
totale che avrebbe potuto polverizzargli il cuore.
«Stai
dicendo che l’Hellsing è un assassino?»
sibilò.
«Quante
persone sono morte, per colpa dei suoi famigli demoniaci?»
esalò il comandante,
preoccupato che una parola pronunciata troppo forte potesse spingere la
sua
gola verso la lama affilata dell’ascia.
«È stato scomunicato dalle famiglie
Vaticane al completo in quanto eretico!»
«Le
famiglie Vaticane hanno il brutto vizio di distorcere la
realtà a loro piacimento»
intervenne il giovane, scendendo dalla barca con un balzo felino.
«Secondo
loro, io sono morto sei anni fa.»
«Lovino»
chiese Antonio, impietoso del terrore che leggeva negli occhi iniettati
di
sangue del suo avversario. «Pensi di riuscire a estrarre
qualcosa dalla sua
testa?»
Il
ragazzo inclinò il capo meditabondo, e i capelli ramati
solleticarono le spalle
cremisi della giubba.
«Posso
fare un tentativo» concesse. «Non permettere a
nessuno di avvicinarsi.»
L’ascia
del comandante si scostò dalla sua gola solo per essere
sostituita dalle mani
del ragazzo; la gamba del giovane lo colpì dietro le
ginocchia, facendolo
rovinare a terra. Il comandate si ritrovò con la schiena
schiacciata sul ponte
dal peso del ragazzo a cavalcioni su di lui, le sue dita serrate contro
la
gola, e una voce di pece che gli colava nelle orecchie:
«Devi
dormire per un po’, o non riuscirò a fare il mio
lavoro.»
Antonio
analizzò la scena, appagato dei progressi del ragazzo. Non
era più un bambino
pronto a dare di stomaco al primo sentore di sangue: ormai si era
assuefatto
alla battaglia, e il suo cipiglio scontroso non mutava nemmeno quando
la sua
vittima guerreggiava per l’ossigeno, come in quel momento.
Vide i muscoli del
ragazzo tendersi sotto la giacca per resistere all’ultima e
più disperata lotta
del comandante, prima che quest’ultimo si accasciasse privo
di sensi. La mano
del giovane scese ad artiglio sulla sua faccia: indice e anulare
andarono a
puntarsi sugli occhi, il medio raggiunse la fronte, e pollice e mignolo
fecero
presa sulle guance mentre il giovane chiudeva gli occhi per
concentrarsi.
Antonio
fu distolto dalla sua osservazione da un sibilo alla sua sinistra: un
membro
dell’equipaggio aveva tentato di sparargli con il
silenziatore. Vide lo
sgomento e l’orrore spandersi sul volto dell’uomo
come una macchia di petrolio
nel mare quando il proiettile si fermò a pochi centimetri
dalla sua tempia, quasi
fosse sospeso in una soluzione acquosa, senza nemmeno sfiorare la pelle
abbronzata del capitano.
«Bel
tentativo» si congratulò Antonio.
Appoggiò la lunga ascia alla spalla in modo
da poter imbracciare il fucile a canne mozze che teneva appeso sul
fianco
sinistro. Staccò con tranquillità il proiettile
che ancora fluttuava nell’aria
e lo caricò nella sua arma, per poi puntarla verso il cielo.
Il
colpo partì diretto alle stelle sopra di loro, ogni mozzo
poté vederlo. Così
come lo videro scendere in picchiata verso il ponte, e schivarli uno
per uno
alla velocità della luce fino a conficcarsi nella fronte
dello sventato che
aveva tentato di sparargli. Uno schizzo di sangue investì le
facce dei suoi
colleghi mentre lo sciagurato cadeva a terra con un tonfo sordo.
«Sono
questi i poteri… della Mano Destra dl Diavolo?»
farfugliò un bucaniere, il viso
imbrattato di sangue.
Antoniò
sistemò di nuovo il fucile al suo posto e
dichiarò, scuotendo lievemente
l’ascia che gli stava facendo indolenzire una spalla:
«Impedire
ai proiettili di colpirci e decidere la traiettoria dei nostri
colpi… ogni
Carriedo lo sa fare. Ma non è l’unica cosa
che…»
La
sua arringa fu interrotta dai mugolii sofferenti di Lovino, che lo
portarono a
dirigere di nuovo l’attenzione sul giovane.
Un
groviglio di piccole saette verdi si propagava dalla testa del capitano
e
percorreva tutto il corpo del giovane, effondendo un odore nauseante di
stoffa
e carne bruciata. Lovino aveva bloccato il proprio polso con la mano
libera,
per impedire a se stesso di lasciare andare la presa proprio ora che
era così
vicino alla sua meta. La guerra del ragazzo contro l’incanto
che proteggeva le
memorie del comandante durò qualche secondo ancora, prima
che Lovino venisse
sbalzato via dal corpo supino dell’uomo.
Nonostante
le pesanti armi, Antonio fu lesto ad afferrare il ragazzo prima che
precipitasse al suolo.
«Il
Mago dell’Ovest è davvero potente»
imprecò Lovino, scuotendo la mano bruciata. «I
suoi incantesimi di protezione sui ricordi dei suoi uomini sono
difficili da
ingannare.»
«Non
sei riuscito a ottenere informazioni neanche questa volta?»
lo interrogò
Antonio.
Lovino
lo scalciò con rabbia, offeso da quella mancanza di fiducia
nelle sue capacità.
«Ho
ottenuto qualcosa, invece! Il Mago dell’Ovest è
potente, ma non infallibile!»
sbottò.
Antonio
posò gli occhi sull’uomo svenuto e sulla sua
ciurma atterrita.
«Possiamo
andarcene, allora.»
«Ci
rimane solo una cosa da fare» gli ricordò Lovino.
Antonio
annuì, e afferrò con entrambe le mani la sua
ascia.
L’equipaggio
osservò terrificato la lama che aumentava di dimensioni,
fino a diventare
grande come la scialuppa che ancora attendeva i suoi passeggeri. Ad
Antonio
bastò un gioco di polsi e braccia per far roteare la
gigantesca arma, che
divelse il tetto delle cabine della ciurma in un sol colpo.
«Dobbiamo
ripulirvi la memoria» Lovino congiunse le mani, e una
caligine scura sfiatò
dalle sue spalle, formando due cupe palpebre che si aprirono in un paio
di
occhi sanguigni.
«Non
possiamo permetterci il rischio che qualcuno riveli informazioni sul
nostro
conto» confermò Antonio.
«Purtroppo
per voi, l’unico modo che conosco per impedirvi di
parlare…» gli occhi rossi
baluginarono di una follia animalesca, che fece piombare al suolo anche
i più
coraggiosi dell’equipaggio. «…
è sprofondare le vostre menti nel Caos. Spero
che il vostro soggiorno nella sanità mentale sia stato
piacevole.»
L’ultima
immagine che ebbero del mondo normale furono un paio di pupille rubino
che si
abbattevano su di loro. Poi la loro mente si lacerò, e
l’universo vorticò
intorno a loro, scomponendosi in mille pezzi che non si sarebbero mai
più
ricompattati.
La
scialuppa abbandonò velocemente la nave su cui ormai regnava
la pazzia.
***
«Dunque
Lovino è ancora vivo.»
Il
vecchio Guardiano chinò il capo imbiancato in un cenno di
assenso.
«Ma
non è l’unica raccomandazione che l’Asse
intende rivolgervi riguardo ai vostri
figli. Sono stato incaricato di riportarvi un secondo
messaggio.»
Un
sopracciglio del signor Vargas si incurvò a esternare un
irritato
interrogativo, e il Guardiano proseguì:
«Il
bianco è stato scelto come colore rappresentativo
dell’Asse, poiché riflette
tutti i colori senza assorbirne nemmeno uno. Così deve
essere anche per l’Asse:
riflettere il mondo senza restarne toccato. Ma il bianco è
anche il colore più
facile da sporcare, per questo l’Asse deve restare lontano
dalla lordura.
Dunque, fate attenzione a colui che è stato scelto per
ricoprire questo ruolo.»
«Per
quale motivo?» il signor Vargas quasi ringhiò.
Il
Guardiano rafforzò ulteriormente la sua posa marziale e
scandì:
«Perché
il suo bianco pare ansioso di essere sporcato. E la Confederazione non
può
ruotare su un cardine immondo.»
Ciò
riferito, il Guardiano si inchinò e sparì a
larghe falcate lungo il corridoio,
lasciando il signor Vargas solo con le sue meditazioni.
Avrebbe
inviato le sue milizie seduta stante per stanare Lovino e giustiziarlo.
Per
quanto riguardava Feliciano, non doveva preoccuparsi: ormai era
totalmente
sottomesso, e probabilmente si era perfino scordato di aver mai avuto
un
fratello.
L’unico
problema era Lovino, come sempre.
Intinse
il pennino nella boccetta di inchiostro e si preparò a
stilare un mandato di
cattura.
Non
avrebbe permesso a quel gemello indesiderato di sbriciolare il loro
Universo.
***
«C’è
qualcosa che vi turba?»
Feliciano
non aveva proferito verbo da quando se ne erano andati dalla sala
dell’Auspicio: si era tolto il cappello e il velo, li aveva
appoggiati su un
angolo del letto e si era seduto sulla poltrona, rigorosamente lattea.
«Oh…
te ne sei accorto?»
Le
labbra si tirarono in un sorriso stanco, e Feliciano
sprofondò nella poltrona
con aria esausta.
«Non
è stato onesto con me» rivelò.
«Come
fate a saperlo?» domandò austero Ludwig.
Feliciano
si coprì con una mano gli occhi, come se volesse nascondere
il suo peccato
sotto le dita.
«Perché
i miei poteri sono più forti dei suoi. “Il
migliore Asse degli ultimi trecento
anni”. È così che vengo vantato,
no?» di nuovo, quel sorriso figlio
dell’amarezza affiorò sulle sue labbra.
«Pare che i miei poteri siano davvero
smisurati. Nemmeno io me ne ero reso pienamente conto fino…
fino ad oggi. Ho
visto quello che lui ha visto.»
«E
cosa avete visto?»
Feliciano
ritrasse le gambe sulla poltrona, appallottolandosi su se stesso.
Quando la
testa fu nascosta dalle ginocchia, fu quasi impossibile distinguere tra
il
candore delle sue vesti e la tinta nivea della poltrona.
«Se
Lovino sopravvive, la Confederazione verrà stravolta. E, se
ci riuniremo,
l’Universo potrebbe smettere di esistere.»
Le
spalle del giovane sobbalzarono per i brividi che cercavano
disperatamente di
trattenere, e Ludwig si avvicinò alla poltrona, preoccupato
per le condizioni
dell’Asse.
«So
che un’Asse dovrebbe avere a cuore il bene della
Confederazione» dalla gola
otturata di lacrime uscì qualcosa di simile ad un miagolio,
più che ad una voce
umana. «Quindi dovrei lasciare che Lovino muoia e accettare
il mio destino di
solitudine…» la testa si infossò
ulteriormente nelle gambe contratte, tanto che
rimasero visibili solo alcuni ciuffi ramati. «Ma non
voglio.»
Feliciano
sollevò bruscamente il capo: il rosso delle guance
infiammate, il colore
trasparente delle lacrime e il castano infuocato degli occhi erano
quasi
violenti in confronto al predominante bianco.
«I
miei poteri saranno superiori a quelli degli altri Assi, ma il mio
spirito non
è altrettanto forte! Non possono chiedermi di gettare i miei
sentimenti fuori
da questo Palazzo e diventare una bambola senza cuore! Non possono
chiedermi di
uccidere mio fratello!»
«Forse
la vostra interpretazione è sbagliata…»
«Non
è sbagliata! Quello era Roma!»
Vi
fu un attimo di immobilità innaturale prima che Feliciano
portasse una mano a
coprire la sua bocca sfrontata.
«Scusami…
ho urlato…» mormorò, mordendo le parole
per non scoppiare in lacrime. «Ma per
me mio fratello è più importante della
Confederazione… proteggere un Universo
in cui lui non c’è, per me non ha
senso…» alzò sul Guardiano un paio di
occhi
imploranti e traballò: «Ludwig, se ti chiedessero
di scegliere tra tuo fratello
e la Confederazione, chi sceglieresti?»
Per
un attimo, le spalle del Guardiano si contrassero. Poi si rilassarono
di nuovo
nella posizione di riposo militare mentre il giovane rispondeva:
«Mi
è capitata una cosa simile, in passato. E non ho potuto fare
nulla perché ero
troppo debole.»
Feliciano
si appoggiò a un bracciolo paffuto, completamente
ammutolito. Ludwig si mise in
ginocchio di fronte a lui, in modo da poterlo fissare negli occhi
mentre
affermava:
«Al
contrario del me stesso di allora, voi siete forte, e anche io lo sono.
Se
combiniamo le nostre forze, potremmo fare in modo di rivedere i nostri
cari
senza che per questo la Confederazione debba cessare di
esistere.»
Le
ciglia del giovane, imperlate di lacrime, fremettero di speranza a
quella
prospettiva.
«Ne
sei certo?» azzardò Feliciano.
«Non
posso esserne sicuro. Ma possiamo cercare una via di uscita.»
Feliciano
asciugò gli occhi sull’ampia manica, annuendo
soddisfatto.
«Devo
chiederti due favori» annunciò l’Asse.
«Il primo è di non usare il
“voi”,
quando siamo da soli. Sembra che tu voglia tenermi a distanza, e non mi
piace.»
«È
per mostrarvi rispetto.»
«Me
lo dimostri standomi al fianco ogni giorno e ogni ora. Non
c’è bisogno di
questa formalità.»
«Come…
preferisci» Ludwig inciampò un attimo nello
spezzare il muro della ritualità.
Il
sorriso di Feliciano diventò finalmente più
genuino, ma si infranse per
l’incertezza nel pronunciare la seconda richiesta:
«Potresti…
abbracciarmi?»
Il
ragazzo dirottò gli occhi sul bracciolo della poltrona, e si
giustificò,
imbarazzato:
«Quando
c’era mio fratello… ero abituato ad abbracciarlo
in continuazione, anche se
ogni tanto mi spingeva via. Invece adesso…»
strinse il pugno su alcune ciocche
ramate, stringendo gli occhi per la nostalgia. «Sono sei anni
che non abbraccio
nessuno… o che nessuno mi tocca. Ed è
così… triste… sembra che a nessuno
importi che io sia vivo o meno, basta che stia al mio posto come una
statua…»
Udì
il fruscio della divisa, ma fu comunque sorpreso quando le braccia del
suo
Guardiano gli circondarono il capo.
«Non
sei solo» furono le uniche cose che Ludwig disse, mentre lo
teneva stretto a
sé.
Feliciano
morse le labbra e serrò gli occhi, ricambiando
l’abbraccio del giovane. Pensava
che Ludwig fosse gelido come la sua terra natale, o come i suoi occhi
glaciali;
invece sentiva il cuore del Guardiano battere nel petto su cui poggiava
la sua
guancia, e avvertiva il calore del giovane trapelare dalla divisa scura
e
avvolgerlo assieme alle sue braccia.
Strinse
più forte la presa sulle spalle massicce, nascondendo il
viso nel torace del
giovane.
Aveva
dimenticato che esisteva del tepore nel mondo, al di là del
caminetto che
riscaldava la sua stanza in inverno. E riscoprirlo gli diede una gioia
che non
sapeva di poter ancora provare.
***
Lovino
esaminò corrucciato il disegno schizzato dal loro navigatore.
«Era
qualcosa di simile» asserì infine, appoggiando il
foglio sul tavolo in modo che
tutti potessero vederlo.
«Sei
assolutamente sicuro di aver visto questo, nella mente del
comandante?» si
sincerò Antonio, per l’ennesima volta.
Lovino
picchiettò l’unghia sul paesaggio abbozzato.
«Ne
sono certo. Qui c’era l’Hellsing,
incatenato» spiegò, indicando un ponte
sottile ricoperto di ghiaccio. «E lo stavano conducendo
qui» concluse,
indicando un nugolo di torri simili a una piantagione di stalattiti.
Un
brusio preoccupato si levò dalla ciurma. Antonio sciolse il
laccio che
tratteneva la coda di riccioli sulla nuca, e legò nuovamente
i capelli prima di
pronosticare:
«Allora
è stato portato alla Prigione Caina.»
Non
vi fu bisogno di aggiungere altro.
La
Prigione Caina era una delle Sei Fortezze e, in quanto tale, godeva
della
protezione di alcuni tra i migliori guerrieri di tutta la
Confederazione:
nessuno era vissuto abbastanza a lungo da raccontare il suo incontro
con i
Golem di Ghiaccio. Inoltre, il clima stesso del mondo in cui era stata
edificata la Prigione scoraggiava qualunque avventuriero: nessuno
poteva
sopravvivere alla temperatura polare o alle asperità del
terreno. In tutto il
pianeta, l’unico edificio esistente era, per
l’appunto, la Fortezza.
«Non
c’è modo di coglierli di sorpresa»
valutò ad alta voce un consumato bucaniere. «In
quella maledetta terra non c’è nemmeno una
montagna per nascondersi. Solo una
schifosa lastra di ghiaccio.»
«Lovino,
tu non potresti renderci invisibili?» tentò
Antonio, ma il giovane scosse la
testa.
«Potrebbe
fare impazzire i prigionieri. Questo occuperebbe i Golem per un
po’» propose un
altro marinaio, ma questa volta fu Antonio a dissentire:
«Anche
se li facesse impazzire, i prigionieri della Caina sono tutti
addormentati e
intrappolati nel ghiaccio. Non potrebbero fare scompiglio nemmeno
volendo.»
Nessuno
aggiunse altro, notando la tensione spasmodica con cui il capitano
stava
stringendo i pugni. La Prigione Caina era famosa non solo per la sua
ubicazione
impervia, ma anche per la pena riservata ai criminali chiusi nelle sue
celle. I
carcerati venivano immersi in un globo di ghiaccio e in un sonno
profondo, in
cui avrebbero rivissuto tutte le loro peggiori paure fino alla fine dei
tempi.
La sola immagine di Gilbert immobile in una bara congelata e tormentato
da
visioni fasulle gli faceva ruggire il sangue nel cervello.
«Esiste
una persona che può avvicinarsi alle Fortezze senza essere
fermato» rischiò un
mozzo con la pezza sull’occhio. «Il Custode dei
Cancelli.»
«Ma
certo. Vuoi essere tu la prima testa che si fracasserà
contro la sua mazza
ferrata?» lo riprese aspramente un altro marinaio.
«Per lui siamo nemici.»
«È
l’unico modo per raggiungere l’Hellsing! Una volta
in prigione potremo
cavarcela in qualche modo, grazie ai poteri del capitano e del suo
vice, ma
dobbiamo arrivare interi!» protestò vivacemente il
primo.
«E
come pensi di…»
«È
davvero l’unico modo?»
La
domanda di Lovino sferzò la conversazione, spezzandola a
metà. Tutti volsero lo
sguardo verso il ragazzo che a sua volta fissava Antonio, in attesa di
risposta.
«Il
Mago dell’Ovest potrebbe fare qualcosa, ma dopo che gli
abbiamo fatto impazzire
un intero equipaggio dubito che avrà voglia di
ascoltarci… no, potremo contare
su di lui solo per ritrovare il Marauder. Forse»
specificò Antonio. «Per quanto impossibile, il
Custode è l’unica opzione.»
«Così
sia. Se avete troppa paura, non preoccupatevi: andrò da
solo.»
Lovino
non lasciò tempo a nessuno di contestare la sua decisione:
si alzò dal tavolo e
si diresse veloce verso la sua cabina.
Si
tolse la giacca amaranto e la dispiegò sulla gruccia. Un
barbiglio di luce
venne catturato dalla nuova medaglia: aveva raccolto lo stemma del
capitano
della nave di Britannia e lo aveva appuntato sul petto, assieme alle
medaglie
degli altri capitani che aveva sconfitto. Ma erano ancora insufficienti
per
rivaleggiare con Antonio.
Cominciò
a slacciare i bottoni della camicia, ed era a metà strada
quando la porta della
sua cabina si spalancò.
«Dovresti
ascoltare i discorsi altrui fino in fondo-» un cuscino
lanciato con una permalosità
scarlatta si abbatté sul viso del capitano, zittendolo.
«Dovresti
imparare a bussare, dannazione!» esacerbò Lovino,
riallacciando rapido la
camicia.
«Non
puoi biasimarli, se hanno paura del Custode dei Cancelli. Tu non hai
visto cosa
è capace di fare, ma loro sì»
continuò imperterrito Antonio, scavalcando il
guanciale che era rovinato al suolo.
«Infatti
ho detto che andrò da solo. Così nessuno
verrà ferito» replicò asciutto Lovino.
Si
girò bruscamente quando Antonio lo afferrò per il
polso con tanta forza da
fargli quasi male.
«Questo»
sillabò Antonio, sollevando la mano fasciata di Lovino.
«Ustioni di secondo
grado, e non era nemmeno uno scontro diretto con il Mago
dell’Ovest. Pensi
davvero che sopravvivresti a una lotta con il Custode dei
Cancelli?»
«Me
la caverò in qualche modo» contestò
Lovino, cercando di liberare il polso.
Per tutta risposta, Antonio accentuò la presa
e l’enfasi del rimprovero:
«Queste
parole circolano solo nelle bocche degli stupidi. E tutti gli stupidi
finiscono
uccisi in qualche modo assurdo. Vuoi essere ammazzato anche tu, e
lasciare tuo
fratello a piangere col Cristallo?»
La
pupilla di Lovino si dilatò, colpita a morte da quella
previsione nefanda.
L’ira di Antonio si acquietò un poco, vedendo la
testardaggine del giovane
ritirarsi dal suo viso per lasciare spazio all’ansia.
Allentò la stretta sul
suo polso, senza però lasciarlo andare, e
consigliò, adamantino:
«Se
vuoi rivedere tuo fratello, abbi più cura della tua
vita.»
Approfittò
della momentanea sottomissione di Lovino per aggiungere:
«Caleremo
una scialuppa di sei persone per raggiungere la Fortezza Errante del
Custode.
Cercheremo di negoziare, non di combattere. Chiaro?»
«E
se loro ci attaccassero?»
«Allora
ci ritireremo. E cercheremo un altro modo per liberare
l’Hellsing.»
Lovino
portò le iridi, di nuovo ferme nella consueta espressione
guardinga, sul volto
del capitano e indagò:
«Sei
davvero sicuro che, se risvegliamo l’Hellsing e il Marauder,
potremo aprire una
breccia nel Palazzo di Quarzo?»
«Loro
sono le uniche persone che conosco in grado di accompagnarci in questa
pazzia.
Nonché le più potenti»
confermò Antonio.
Lovino
lasciò passare qualche secondo prima di porre la seconda
domanda:
«Perché
vuoi distruggere il Palazzo di Quarzo? Io lo faccio per mio fratello,
ma tu…»
«Ho
visto cosa si cela dietro la giustizia propagandata dalle famiglie
Vaticane. E
non credo che una simile ipocrisia possa mantenere questa
Confederazione
stabile ancora a lungo.»
La
replica fu talmente immediata da lasciarlo quasi stordito. Antonio lo
confuse
ulteriormente estraendo un sorriso sornione del tutto inadatto
all’argomento
trattato.
«Un
giorno te ne parlerò» promise.
«Mi
basta che tu mi aiuti a liberare mio fratello. Non mi importa delle tue
motivazioni» scalpitò Lovino, facendo un ulteriore
tentativo per liberare il
polso.
Le
dita del capitano non gli permisero di fuggire, anzi, avvicinarono la
mano
bendata al viso dell’uomo. Il palmo venne accarezzato dalle
iridi verdi di
Antonio, calamitate da esso come se cercassero di scorgervi un percorso
invisibile, prima che le labbra scendessero a lambire le fasciature.
Lovino
si agitò come un luccio appena pescato, e le sue proteste
verbali aumentarono
di tono quando la mano libera del capitano fece pressione sulla sua
schiena. Le
esclamazioni di Lovino si strozzarono contro il cappotto del
comandante. Le
insinuazioni di Antonio si infiltrarono nelle sue ciocche ramate,
accapponandogli i capelli sulla nuca.
«È
ammirevole che tu desideri rivedere tuo fratello con tanta
intensità. Ma ogni
tanto dovresti renderti conto che lui non sarà
l’unica persona che incontrerai
nel tuo cammino. E perderai moltissime occasioni lungo il viaggio, se
concentrerai tutto te stesso solo sulla meta.»
Antonio
lo rilasciò all’improvviso, evitando di un soffio
il calcio diretto ai suoi
stinchi.
«Ci
metteremo sulle tracce della Fortezza Errante da questo preciso
momento. Se
vuoi unirti a noi, sai dove trovarci» si accomiatò.
Lovino
si gettò la giacca sulle spalle e infilò le
maniche con una collera imbarazzata
che gli colorava le guance.
Era
sbagliato pensare solo al fratello? Doveva prestare attenzione anche
alle altre
occasioni?
«E
quali sarebbero queste occasioni? Tu?»
sberciò, abbassando la maniglia con veemenza. «Non
farmi ridere, bastardo!»
E
chiuse le sciocchezze del capitano dietro quella porta prima di recarsi
di
nuovo nella sala comune.
Ed
eccomi qui
con il terzo capitolo<3
Uhm,
non ho
molto da dichiarare/annunciare, questa volta XD
Solo,
per le fan
di Ivan: il fanciullo è in direttura di arrivo 8D
E,
beh, non ho
altri da aggiungere *che tristezza di postille finali XD*
Un
bacione da
questa scrittrice derelitta<3
A
presto!
Red
Le immagini utilizzate nei banner non mi appartengono; tuttavia, avendole prese dai miei archivi, non ricordo gli autori ç_ç Se qualcuno dovesse riconoscere la fonte di qualche immagine, me lo faccia sapere e provvederò a metterei credits<3