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Autore: AnneC    02/09/2013    5 recensioni
Si può abbandonare il proprio Paese e una volta all’estero cercare qualsiasi cosa che ti tenga aggrappato ad esso?
Si può ripartire da zero, iniziare una nuova vita, creare una nuova versione di te senza sentirsi spaesati e soli in una metropoli che ti attende oltre le finestre?
Riuscirai a ristabilire l’ordine o andrà tutto a rotoli?
Resterai o tornerai indietro?
In ogni battaglia serve qualcuno che ti copra le spalle nei momenti di difficoltà e che esulti con te della vittoria. Ma puoi trovarlo in mezzo ad una folla sconosciuta?
C’e chi riesce nel suo intento e chi invece rimane sconfitto.
Cos’è successo a me? Stavo precipitando, ma qualcuno mi ha portata in salvo.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7

~•~

It's in the eyes of the children.


Eppure il cielo grigio sopra di me è sempre lo stesso, ma questa mattina mi sembra diverso. Ogni cosa stamattina mi sembra diversa. La città scorre lenta fuori dalla finestra, il caos settimanale è stato rimpiazzato da una piacevole calma; la gente è più rilassata e i bambini si lanciano palle di neve l’uno contro l’altro, riempiendo l’aria di dolci risate.
Bevo il mio solito tè e forse è l’unico particolare che è rimasto lo stesso.
Prima di cambiarmi per andare al lavoro, provo a chiamare Marisol, ma non mi risponde. Dovrebbe essere già sveglia, dato che abbiamo lo stesso turno.
Abbandono la mia inseparabile amica sciarpa a casa e mi avvio verso la caffetteria. L’effetto del bar ghiacciato influenza ancora la mia capacità di tolleranza del freddo, che mi sembra meno pungente.
Arrivata al locale, mi dirigo nello spogliatoio e appena entro, mi corre incontro a braccia aperte l’esuberante Marisol.
“Scusa se non ti ho risposto, ma non avevo la suoneria e non l’ho sentito” mi dice abbracciandomi, una sua recente abitudine.
“Come ti senti? Niente virus alieno?” le chiedo scrutandola e cercando qualche strano sintomo.
“No, nessun virus. Sono una macchina da guerra!” dice alzando i pugni al cielo.
“Ieri sembrava che avevi un piede nella fossa” le rispondo ridendo.
“Non c’è niente di meglio di una bella dormita al calduccio per recuperare tutte le forze” aggiunge soddisfatta. “E poi ieri sera, quando Josh è rientrato, l’ho mandato a comprare dell’aspirina… A proposito, come mai non si è opposto quando gli ho chiesto di uscire di nuovo?” mi domanda scrutandomi.
“E perché dovrei saperlo io?” le dico, mentre mi allaccio il grembiule verde dell’uniforme intorno alla vita.
“Come perché?! Mica ci sono uscita io con lui”.
“Io non c’entro niente. Non ho fatto niente” aggiungo, alzando le mani in segno di resa.
“Allora perché era così felice? Quando è tornato mancava poco che non saltellasse dalla gioia”. Non appena pronuncia queste parole mi torna alla mente l’immagine di me stessa in Islanda, perché alla fine, ho immaginato anche io quella scenetta buffa.
“Sarà stato merito del Below Zero…” le dico uscendo dalla stanza.
“Quel bar di ghiaccio?” chiede seguendomi. Annuisco e lei aggiunge “Ecco perché non porti la sciarpa!” mi dice puntando un dito in direzione del mio collo.
“Beh sì. Passare un po’ di tempo al gelo ha fatto bene ad entrambi”.
“Diciamo che passare del tempo da soli ha fatto bene ad entrambi” dice sospirando in maniera sognante.
 
Un aspetto della clientela domenicale mi ha sorpreso, non mi aspettavo di vedere più bambini che adulti. Vederli avvicinarsi al bancone, con i cappotti sporchi di neve e le guance rosee, mi fa scaldare il cuore. E per non parlare dei residui di bevande che gli sporcano il viso quando lo bevono dalla tazza, delle loro suppliche al proprio genitore per convincerli a prendere anche i muffin con la cioccolata calda, della luce brillante che illumina i loro occhi gioiosi.
Io e la mia amica non abbiamo fatto altro che seguire le loro mosse e guardarli incantate.
D’un tratto qualcuno più grandicello ci riporta alla realtà.
“Quindi è così che lavorate voi due” ci rimprovera una voce facendoci sobbalzare.
“Josh! Ci hai fatto prendere un colpo!” lo accusa Marisol.
“A chi ordino?” chiede lui trattenendo una risata.
“A me” gli rispondo avvicinandomi alla cassa.
“Ah, la mia preferita…” aggiunge lui ammiccante.
“Smettila” diciamo in coro io e la spagnola, solo che il suo tono è decisamente più duro.
“Un capucino”. “Cappuccino” lo correggo con il sorriso sulle labbra. Lui ritenta, ma la pronuncia è identica al primo tentativo.
“Lascia stare, va bene lo stesso”. Dopotutto lo pronuncia come ogni altro inglese, non c’è da meravigliarsi, ma al suono di quella parola non ho avuto la solita reazione.
“Volevo fare bella figura con te”.
“Non ti serve saper dire cappuccino per fare bella figura” dico sbilanciandomi un po’ troppo. Non posso incoraggiarlo a flirtare.“Hai già fatto colpo col Below Zero” mi sfugge dalle labbra. Ora ho davvero esagerato.
“L’avevo già capito” aggiunge facendomi l’occhiolino.
“Ecco il tuo cappucino” si intromette Marisol, pronunciando quasi correttamente il termine. “Cosa ci fai da queste parti?” chiede al suo coinquilino.
“Sono venuto a salutarvi, non si può?” dice lui disinvolto.
“Certo che si può” gli rispondo io imitandolo.
“Ho combinato una guaio facendovi conoscere” aggiunge sospirando e scuotendo la testa.
“Qual è il programma della serata?” chiedo entusiasta, iniziando a gasarmi.
“Vacci piano, eschimese. Stasera niente ghiaccio” mi riprende Josh.
“Passeremo una bella seratina al calduccio nel nostro appartamento” aggiunge la ragazza riccioluta, smontando il mio entusiasmo.
“E cosa ne sarà della guida alla sopravvivenza ai weekend londinesi?”. Dopotutto mi sarebbero state davvero utili quelle regole in futuro.
“Quarta e ultima regola: mai fare troppa baldoria la domenica sera. Il lunedì mattina potrebbe essere ancora più duro” recita il ragazzo con aria solenne.
“Quarta regola? E la terza quale sarebbe?” domanda Marisol incuriosita. Io e Josh ci scambiamo uno sguardo d’intesa.
 
 Mentre salgo le scale del palazzo in cui vivo, mi accorgo che la porta d’ingresso è spalancata. Oh cavolo, i ladri! Ma nonostante la paura che mi stessero derubando, entro silenziosamente nell’appartamento. Quando vedo che c’è una valigia sconosciuta accanto all’ingresso, realizzo che è arrivato in nuovo coinquilino.
“C’è nessuno?” chiedo a gran voce, chiudendo la porta.
“Sono qui!” mi risponde una voce femminile dalla camera di fronte alla mia. Attraverso il salotto e percorro il piccolo corridoio che conduce alle camere e al bagno. Prima di entrare, busso alla porta anche se è mezza aperta.
“Entra pure” mi invita una ragazza. E’ un po’ più bassa di me, ha i capelli castani lunghi fino alle spalle e gli occhi color nocciola. “Io sono Anna” le dico, porgendole la mano. Lei la stringe e mi dice che si chiama Rose.
“Sei tu che odori di caffè?” mi dice annusando l’aria. Vorrei vedere se non odorassi anche tu di caffè dopo aver lavorato per otto ore a stretto contatto con la bevanda.
“Si, lavoro in una caffetteria. E’ quasi impossibile non odorare così a fine giornata”.
“Mi piace un sacco respirarne il profumo. Mi ricorda il mio viaggio in Italia” afferma sorridente.
Ok, non è nemmeno arrivata e già mi dice che odoro di caffè e tira in ballo la mia Patria.
“Sì, è il tipico odore che si sente quando entri in un bar” l’appoggio.
“Sei stata nel Bel Paese?” mi domanda imitando l’accento italiano.
“Sono nata lì. Ho vissuto lì per ventidue anni. Cioè, sono italiana”. Perché questo giro di parole? Potevo dire semplicemente sono italiana punto.
“Io adoro il tuo Paese” aggiunge esuberante.
 
Forse sono partita io prevenuta, ma Rose non è affatto male. Anzi, è molto simpatica ed è inglese, il che significa che mi farà conoscere ancora di più la cultura inglese. Non che stia rimpiazzando Josh, per carità, ma avere un’inglese in giro per casa, può solo essere un bene.
Ho parlato con la mia fedele confidente spagnola e mi ha proposto di invitarla alla nostra serata. E Rose ha accettato.
Durante il tragitto ne approfittiamo per conoscerci meglio, e ho scoperto che  ha ventiquattro anni, segue un corso di fotografia all’università e che trascorre ogni anno una vacanza-avventura: parte con il minimo indispensabile e cerca di visitare quanti più luoghi possibili della Nazione che ha scelto.
Mi piace questa tipologia di viaggio, potrei anche unirmi a lei la prossima estate.
Le ho raccontato del mio mal di Patria, e senza che io le chiedessi ancora niente, lei si è proposta per aiutarmi a superalo.
“Ti sveglierò ogni mattina con l’inno inglese” mi dice fermandosi di colpo e portandosi una mano al cuore, come si è soliti fare quando si ascolta il proprio inno.
Non sarebbe male come idea, non ci avevo ancora pensato.
 
“Hai portato una compagnia per il terzo incomodo” mi dice Josh, mentre ci dirigiamo in cucina per preparare i pop corn e Marisol e Rose stanno sistemando varie coperte e cuscini sul divano in soggiorno.
“E’ stata una sua idea” dico mettendomi sulla difensiva.
“Ci sarà una volta in cui mi dirai che sei felice di non aver nessuno tra i piedi?” mi chiede lui attirandomi a sé.
 “Sono felice di non aver nessuno tra i piedi” gli rispondo, avvicinando il mio viso al suo.
Lui ha un sorrisetto sfacciato stampato in faccia, e mentre si sente in sottofondo lo scoppiettare del mais, avvicina ancora di più il suo viso al mio.
Come la volta precedente, i suoi occhi si trasformano da verdi a marroni e il volto di Danny prende il posto del suo.
“Sbrigatevi che il film inizia!” urla Marisol dall’altra stanza, facendoci allontanare all’istante.
Non so se è Marisol che impedisce a me e Josh di spingerci oltre, oppure è il volto dell’irlandese che puntualmente emerge dai miei ricordi. 


 

~•~

Rieccomi a rompervi le scatole xD
Ho notato che sto aggiornando più spesso del previsto...
Ormai non riesco a tenervi sulle spine a lungo xD
Ringrazio chi ha recensito il capitolo precedente e
tutti coloro che hanno aggiunto la storia nelle
preferite/ricordate/seguite e chi legge in silenzio.

Spero vi piaccia ;)

~ AnneC
Ps. Il prossimo capitolo è già terminato e presto sarà online ;)

   
 
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