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Autore: Shinotsuku Ame    02/09/2013    0 recensioni
«La gente mi evita. Perché tu non lo fai?»
«Perché io non sono la gente, io sono un ballerino»
Ci sono uomini e ballerini. Loro sono una specie a parte, sono speciali e riescono a salvare le persone; come questi ragazzi, salvati dalla solitudine.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Matsumoto Daisuke era uno dei fondatori della NoWhere Crew nonché amico d’infanzia di Kikuchi Hikari; erano vicini di casa, quand’erano piccoli si trovavano in cortile a giocare. Hikari gli aveva fatto conoscere il mondo della danza e lui si era specializzato nel locking. Daisuke conosceva una marea di gente a causa del suo lavoro part-time che svolgeva quando non si allenava. Aveva i capelli neri, tirati su con il gel e una ciocca che scendeva sulla fronte di un colore diverso ogni mese, gli occhi a mandorla e un neo proprio sotto quello destro. Era un ragazzo loquace, socievole e soprattutto sorridente e tutto ciò incrementava il numero di clienti; non per nulla il suo capo era orgoglioso di averlo come dipendente. Comunque tra tutta quella centinaia di amici, aveva una migliore amica di nome Kimura Shizuka, o per lui Shicchi. Era bassa, con i capelli castani lunghi fino alle spalle perfettamente lisci e i lineamenti del viso dolci e fini. Si conoscevano da quando avevano dieci anni, erano davvero uniti. Era sorprendente che, in tutti quegli anni, nessuno dei due si era mai azzardato ad innamorarsi o soltanto prendersi una cotta per l’altro.
Un giorno mentre Daisuke si allenava, Shizuka entrò nella palestra e si sedette a guardarlo.
«Ehi, Shicchi! Come mai qui? Che è successo?» disse Daisuke asciugandosi il sudore.
«Ho riflettuto e devo dirti una cosa…» e lui attese.
«Sono fidanzata con un ragazzo, da una settimana ormai. Penso che tra qualche giorno te lo presenterò.»
«Perché non me l’hai detto prima?! Se…ti ferisse, io non glielo perdonerei. Lo sai.»
La ragazza annuì e sorrise, poi si alzò e andò ad abbracciarlo. Con il fidanzato precedente non era andata bene, lui la aggrediva verbalmente inoltre dopo che si lasciarono cominciò a pedinarla. Lo denunciò varie volte alla polizia, e lui sparì dalla circolazione.
Arrivò il giorno. Matsumoto sedeva ad un tavolo in un cafè del centro città ad aspettare l’amica ed il suo ragazzo quando in lontananza li scorse. Lui era alto, con i capelli neri raccolti in un codino, gli occhi più grandi di quelli caratteristici giapponesi  e i tratti delicatamente femminili.
«Oh, tu devi essere il famoso Dai-chan! È un piacere incontrarti. Io sono Yamaguchi Akane.» disse con un’aria leggermente spavalda. L’altro rispose con un “ciao”, il suo nome per intero e un’espressione seria in volto. Si accomodarono anche loro al grazioso tavolo in ferro di colore verde scuro accompagnato da sedie del medesimo colore con tanto di cuscinetto. Il cielo era limpido, come se qualcuno avesse spazzato via tutte le nuvole per pulire un po’. Cominciarono a parlare, del più e del meno.
«Sai, Dai-chan, Yamaguchi-kun fa un lavoro importante, è sempre fuori casa.» disse la ragazza.
«Lavoro? Tutto il giorno fuori? Quanti anni hai scusa?» sbottò Daisuke sorpreso. Akane sembrava avesse circa 18 anni e non poteva andare a scuola se lavorava tutto il giorno. Per giunta per avere un lavoro importante bisognava avere un titolo di studio importante.
«Compio 22 anni tra un mese; sì, lo so, sembro più piccolo» e sorrise.
A Daisuke non piaceva e si poteva notare. Lo fissava, lo squadrava, lo analizzava. Doveva assolutamente assicurarsi che fosse il ragazzo giusto per Shizuka. Naturalmente quel lavoro che lo teneva fuori di casa e di cui non si sapeva nulla non lo convinceva.
Era mercoledì e, come ogni mercoledì, Daisuke aveva il turno fino alle 11. Mentre andava in palestra per la solita sessione di allenamento, vide Akane bussare alla porta di un negozio, guardarsi intorno ed entrare. Matsumoto si insospettì e decise di aspettarlo. Quando l’altro uscì, salì su una moto e schizzò via. Ovviamente non aveva le prove per affermare che era un poco di buono, con un lavoro da delinquenti magari, ma Matsumoto era il tipo di persona che salta subito alle conclusioni. Era davvero preoccupato per Shicchi, non avrebbe permesso che qualcuno la immischiasse in qualcosa di turpe.
Casualmente, o perché così volle il destino e Daisuke credeva molto in questa forza misteriosa, il venerdì della stessa settimana Akane entrò nel cafè in cui lavorava l’altro. Arrivò al bancone, sbadigliando.
«Vorrei un frappuccino al cioccolato, per favore»
«Certo arriva subito.»
Il ragazzo di fronte a lui si voltò ed entrambi rimasero per un attimo turbati.
«Accidenti, potevo scegliere un altro cafè, va be’ ormai non importa.»
Daisuke aggrottò le sopracciglia e lo guardò saldamente negli occhi.
«Ehi, Dai-chan, non guardarmi così, non ho fatto niente.» e alzò le mani come in segno di resa, ridendo.
«Punto primo: non chiamarmi Dai-chan, per te sono Matsumoto-kun. Punto secondo: hai fatto qualcosa di male, ti sei fidanzato con la mia migliore amica.»
L’altro non rispose, alzò le spalle e lasciò i soldi lì, sopra il bancone. Era vestito bene, indossava una camicia nera con tanto di cravatta, un paio di pantaloni classici neri e delle scarpe lucide a punta abbinate al tutto. Dai-chan immaginò che stava andando al suo cosiddetto “lavoro”. Non poteva perderlo. Il suo turno doveva ancora finire, mancavano pochi minuti, si cambiò in fretta e furia e cominciò a seguirlo. Akane passò in una decina di negozi, uscendo da essi con delle buste in mano. Daisuke confuso tornò a casa, elaborando delle congetture. Fece la stessa cosa anche la settimana seguente, fino a quando Akane non si accorse di lui.
«Ehi, puoi smetterla di seguirmi? È un po’ fastidioso sai? Poi con quel cappello che ti copre il viso non capisco chi sei! Fatti vedere almeno!»
Matsumoto uscì da dietro il muretto e fissandolo negli occhi si tolse il cappello.
«Ah! Come ho fatto a non pensarci prima! Fammi indovinare, sei preoccupato per Shicchi?»
«Non sai quanto.»
«Non sono il genere di persona che stai insinuando. Comunque ciò che faccio non è affare tuo.» cambiò improvvisamente sguardo. Da quello leggermente scherzoso, passò ad uno serio, tagliente.
«Sì che lo è. Shizuka è la mia migliore amica.»
Mutò e di nuovo aveva lo sguardo allegro.
«Uh, e dove vai con quello zaino dimmi…»
«Ad allenarmi. Ma non è affare tuo giusto?»
Akane sorrise.
«Bene, scusa ma ti devo lasciare, devo tornare ai miei doveri.»
Salutò con la mano e si avviò.
Se prima Daisuke non era convinto, ora proprio non lo sopportava. Da quello sguardo tagliente però, aveva capito che Akane era come una pianta carnivora: bella fino a che non apre le fauci. Bisognava essere cauti. Non badò comunque alle sue parole e continuò a pedinarlo.
«Guarda che se non la smetti non va bene eh. Se non ti fidi di me, chiedi a Shicchi, ti dirà sicuramente la verità.» e di nuovo quell’occhiata. Si sentì come se fosse stato trafitto da un pugnale. Pensò alle sue parole e in fondo aveva ragione. Non perse tempo, chiamò Shizuka e chiacchierarono al telefono per due buone ore. Shizuka ammirava Akane, quasi come un monumento, lui era gentile, non si era permesso di trattarla male, nemmeno una volta.
Il pomeriggio seguente Daisuke andò da Akane, non in incognito.
«Matrumoto-kun, hai finito di fare il ninja?»
«Sì, ho parlato con Shizuka…»
L’altro sorrise.
«Be’…insomma, stavo pensando che potremmo essere amici no?»
«Certamente, anzi, ormai mi sono abituato a te che mi segui, quindi puoi continuare a farlo, affianco a me.»
Così, con molta leggerezza, diventarono amici. Tutti i giorni Daisuke passava un’ora con Akane, mentre lui svolgeva il suo lavoro. Akane entrava nei negozi e l’altro attendeva fuori, senza fare domande. Parlavano di quello che avevano in comune, di Shizuka, un po’ di tutto, il ballerino lo invitò anche a vedere i suoi allenamenti in palestra. Ad ogni modo Daisuke non aveva mai visto Akane parlare con qualcun altro al di fuori di lui. Magari se si cammina per strada, si incontra qualcuno che si conosce, però lui in due settimane non aveva mai salutato nessuno.
Un pomeriggio il misterioso andò a trovare il ballerino. Non entrò subito in palestra, si fermò sul ciglio della porta ad osservare e l’altro non se ne accorse. Era incantato da ogni singolo movimento, come se avesse visto una delle sette meraviglie del mondo. Appena la musica finì, andò dentro.
«Tu e la tua crew volete diventare i più famosi del Giappone giusto?»
«Oh, Yamaguchi-kun, sei venuto! Ci puoi scommettere!»
«Io…non ho mai avuto queste ambizioni, fare qualcosa di magnifico, non mi è mai stato concesso.»
Daisuke era scettico, era un discorso improvviso, che non c’entrava molto.
«Io non sono così, sempre allegro, ironico, perfino forte. Vuoi sapere tutto? È una maschera questa che indosso, guardami!»
Sembrava stesse dando di matto. Si portò una mano sul viso e fece come per togliersi una maschera. Il suo sguardò cambiò: non era né quello scherzoso né quello penetrante; era uno colmo, come un fiume in piena, di tristezza, ma non di lacrime.
«A che serve avere una maschera, se dentro si muore lo stesso?»
Daisuke rimase impalato, di fronte a lui, trattenendosi dal panico perché non sapeva cosa fare e l’altro iniziò a sfogarsi, raccontando tutta la sua vita. Sua madre morì durante il parto e suo padre, afflitto, lasciò il paese e lui passò sotto la custodia dello zio. Quest’uomo aveva uno ruolo importante all’interno di una banda e malgrado le volontà del ragazzo, anche lui entrò nell’organizzazione al compimento dei 16 anni, abbandonando la scuola e frequentando poche lezioni di un insegnante privato. Agli esordi partecipava ai combattimenti di strada: se vinceva prendeva una somma cospicua di soldi che portava a suo zio. Non ne aveva mai perso uno, pareva avesse delle ottime capacità deduttive. Poi si batté con un tale che si faceva chiamare Ogre: gli ruppe una spalla e una caviglia e non poté più tornare a gareggiare. Per dargli un’altra occupazione, suo zio gli diede l’incarico, che era quello corrente, di ritirare il denaro  dalle persone che avevano a che fare con la banda; gli avevano addirittura dato l’ordine di minacciarli, ma non lo faceva mai, non era una cattiva persona.  Era come un piccolo sassolino trascinato da qualcosa molto più grande di lui, un vortice.
 Daisuke era scioccato, sentiva che c’era qualcosa di losco, ma non credeva tutto ciò.
«Senti, non è colpa tua, sono stati gli altri. Sei stato trasportato, non sapevi che altro fare. Ne hai mai parlato con i tuoi amici?»
«Io non ho amici.»
«E io chi sono allora? Dai, ti aiuterò io okay? Cerchiamo di trovare un altro lavoro onesto? Dai, Yamaguchi-kun. E c’è anche Shizuka, no?» disse con tono stranamente mellifluo.
Akane stava precipitando nel vuoto da tempo, e mai nessuno si era sporto con un braccio per tirarlo su, fino a quel momento. Il braccio di Daisuke era comparso e lui era pronto per reggersi.
Il ballerino si diede subito da fare e domandò al suo capo se c’era un posto nel cafè per Yamaguchi. Il principale accettò e assunse il ragazzo come cameriere, negli stessi turni di Daisuke. I due iniziarono a passare davvero tanto tempo assieme. Una volta uscirono loro due e Shizuka, lei si intromise solo un paio di volte negli argomenti dei due. Non smettevano, né di parlare né di guardarsi, di intendersi. Probabilmente non se ne accorgevano nemmeno, era quella l’impressione che aveva avuto Shizuka. Il tempo sembrava passasse sereno per Akane, tuttavia era solo una temporanea apparenza. Una mattina non si presentò al lavoro ed era strano dato che non si sarebbe assentato per nessuna ragione al mondo. Daisuke pensò che potesse essere ammalato, perciò non si preoccupò eccessivamente.  Purtroppo però non si presentò neanche i giorni successivi. Il ballerino entrò in angoscia, per via dei rapporti di Akane con quella banda, la plausibilità che c’entrassero quei malviventi era alta. Ricevette un messaggio da Shicchi in cui diceva che si dovevano incontrare subito a casa sua. Non fece in tempo ad aprire la porta che l’altro piombò in casa con una raffica di domande. Andarono in salotto: c’era un lungo tavolo in ciliegio con sopra un servizio da tè, sedie del medesimo colore, la parete di fronte all’entrata era decorata da numerose foto di famiglia, sulla destra c’era un divano bordeaux. 
«Cosa? Sai qualcosa? Dov’è?»
«Dai-chan, siediti…Akane mi ha invito un sms con scritto che domattina alle 9 prende un volo per Higashine…»
«Parte? Ma come?! Perché?!»
«Non lo so, non l’ha detto. Penso che dovresti fermarlo.»
«Perché io e…non tu?» vacillò sulle ultime due parole «e come dovrei fare? Non so dove trovarlo!»
«Dovresti farlo tu, perché ho visto come lo guardi. Tu…tu anneghi dentro di lui, magari non ci fai caso. La prima volta che ti vidi ero gelosa, era il mio fidanzato, ma compresi che non avrei mai potuto competere con il tuo riguardo e amore per lui. Sono sincera. Non lo amavo, mi piaceva un po’ e basta, al tuo contrario. Quindi ora gli invio un messaggio e cercherò di farvi incontrare al cafè di quando vi siete conosciuti. Se non si presenterà, allora dovrai rincorrerlo in cima al mondo.» sorrise delicatamente e premette i tasti del cellulare. Intanto il ragazzo continuava a pensare a quelle parole. Lui aveva parecchi amici, eppure in quel periodo non faceva altro che pensare ad Akane, come quando si hanno centinaia di canzoni sull’mp3 e nonostante ciò si ascolta sempre la stessa.  Daisuke corse fino al posto, Akane ancora non c’era. Lo aspettò per un’ora, tentato di andarsene, ma trattenuto dalla voglia di vederlo. Non si presentò e tornò a casa deluso. Passò la notte a riflettere e decise che il mattino successivo sarebbe andato in quel maledetto aeroporto. Arrivò alle 7.30 e chiese indicazioni per l’imbarco del volo di Higashine. Si sedette sulle poltrone e rimase in attesa.  Aveva lo sguardo fisso nel vuoto quando si rese conto che Akane gli era appena passato davanti.
«Yamaguchi-kun! YAMAGUCHI-KUN! Non puoi andartene! Io…io TI AMO!» l’altro si fermò senza voltarsi.
Si preparò e con il suo sguardo tagliente disse:
«Non dire sciocchezze. Io non posso rimanere qui.»
Daisuke lo raggiunse e si trovarono faccia a faccia.
«Yamaguchi-kun, con me ti sei tolto la maschera, non credo più in quello sguardo. Ora ascoltami: io ti amo.»
Eccoli di nuovo, gli occhi pieni di tristezza.
«Devo. Gli “altri” hanno detto che sarebbero guai se scoprissero che ti ho raccontato tutto.»
«Non t’importa di quello che ti ho detto? »
«Senti Matsumoto-kun,  io ero in una foresta, completamente al buio, non sapendo dove andare, poi è comparsa una lucciola ad aiutarmi, e quello eri tu. Non sai quanto ti devo, quanto ti amo e proprio per questo non voglio farti del male.»
«Non m’importa! Tu dovresti spiegare tutto a tuo zio, chiarirti, evitando di menzionare me o Shizuka. Semplicemente dovresti dimetterti. Ma fa’ come vuoi!»
Dopodiché uscì dall’aeroporto, arrabbiato e nello stesso tempo amareggiato, lasciando Akane alle sue scelte, e andò ad aspettare il bus. Il tempo sembrava sentisse l’umore del ragazzo, infatti il cielo era grigio e il sole timidamente nascosto dietro alle nuvole. La fermata era proprio davanti all’entrata principale, l’aeroporto era enorme, tutto bianco e pieno di vetrate. Era assolto nelle sue considerazioni quando improvvisamente si sentì toccare la spalla e Akane gli stampò un bacio sulle labbra, stringendolo forte.
«Matsumoto-kun, voglio vederti danzare tutti i giorni della mia vita. Sei l’unica soluzione a qualsiasi dannato problema.»
L’altro annuì e mano nella mano si avviarono alla palestra. Daisuke si esibì solo per Akane: era così bello e felice, luminoso come il sole. Era il sole personale di Akane, lo riscaldava, lo rasserenava. Non aveva bisogno d’altro. Tutto tornò al suo posto, tutti i pezzi del puzzle combaciavano. Lo zio di Akane lo assolse dal suo compito, in cambio del silenzio su tutti gli affari, e tornò a lavorare al cafè al fianco di Daisuke, Shizuka approvò la loro relazione e si fidanzò con un ragazzo della sua classe di nome Hayato Shimizu.
«Ehi, Akacchi! Tanti auguri!» lo baciò.
«Ah Dai-chan, grazie.» passò un mese ed arrivò il giorno del compleanno. Come regalo, Daisuke si esibì solo per il suo amato, dopodiché andarono a casa sua e fecero ciò che fanno di solito gli innamorati (e non  era una cena a lume di candele). Ormai la discesa nel vuoto oscuro di Akane era conclusa, si era retto con forza al braccio di Daisuke e lui l’aveva tirato su del tutto e procedevano insieme su una strada chiara e piena di luce.
Alla fine Daisuke aveva pensato bene quella volta: era destino che si incontrassero; e poi era diventato destino che rimanessero insieme.
 
  
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