Film > Le 5 Leggende
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Autore: blackmiranda    02/09/2013    10 recensioni
[SOSPESA] Heather Compton è una ragazza di sedici anni, perfettamente normale se non fosse per un particolare: nonostante non sia più una bambina, crede ancora nell'Uomo Nero. Heather è costantemente tormentata da incubi spaventosi, tanto da soffrire di insonnia e clinofobia. Nulla, però, le è mai parso tanto destabilizzante quanto le allucinazioni che inizia ad avere: creature invisibili legate all'infanzia che sembra vedere solo lei e che tuttavia potrebbero non essere così inesistenti o innocue come verrebbe da pensare...
Un brivido mi attraversa la schiena e sono costretta a distogliere lo sguardo dal disegno. Qualcosa è andato storto, mentre crescevo: ormai ne sono sicura. Non so bene cosa, ma qualcosa deve essere successo, qualcosa di grave, altrimenti adesso non mi ritroverei con una vera e propria fobia che mi impedisce di vivere normalmente e di dormire serenamente.
Vorrei solo che questa cosa la smettesse di perseguitarmi.
Genere: Dark, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jack Frost, Nuovo personaggio, Pitch
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Cap. 2


II









Lisa: Well, I know it's absurd, but I dreamed the boogeyman was after me, and he's hiding under --
Homer: AAAHHHHH! BOOGIE MAN! You nail the windows shut, I'll get the gun!

The Simpsons, 5.10






Apro gli occhi piano e la prima cosa che vedo è la sveglia digitale, con i suoi numeri rossi squadrati che paiono fissarmi con rimprovero. Le due del pomeriggio.

Mi alzo lentamente dal letto completamente disfatto. Mi gira la testa, come sempre quando dormo di giorno. Mi guardo allo specchio di sfuggita, notando con disappunto che il lenzuolo mi ha lasciato un'impronta rossa sulla guancia destra. Dio, devo aver dormito profondamente, non ricordo neanche di aver sognato.

Esco dalla mia stanza in pigiama. I miei sono in salotto: papà legge il giornale e mamma un romanzo. Alzano entrambi lo sguardo allo stesso momento. “Era ora che ti svegliassi, bella addormentata.” borbotta mio padre aggrottando la fronte.

Sbadiglio. “Scusate. Avete già mangiato?” chiedo con voce ancora impastata dal sonno.

“Sì, ma ti ho lasciato in caldo una cotoletta con le verdure.” dice mia madre alzandosi in piedi e dirigendosi in cucina con il libro ancora in mano. “Vieni? O preferisci prima vestirti?”

“E' lo stesso.” mormoro grattandomi la testa. “Prima mangio, va'.” aggiungo seguendo mia madre in cucina. Crollo pigramente su una delle sedie bianche della cucina e mi verso un po' d'acqua dalla caraffa sul tavolo. “Come mai non mi avete svegliata?”

“E' sabato.” risponde lei apparecchiando frettolosamente la tavola.

“Beh, non mi pare che gli altri sabati vi faceste scrupoli a buttarmi giù dal letto.” le faccio notare. “Senza offesa, eh.”

“Cos'è, ti dispiace che ti abbiamo lasciata dormire?” replica lei in tono leggermente infastidito, un tono che conosco molto bene.

“Noo, assolutamente.” mi affretto a rispondere. “Anzi, grazie.”

Mia madre sospira. “Kathy ci ha detto che non hai dormito per tranquillizzarla.” dice mentre versa il contenuto della padella nel mio piatto.

“Oh.” Affetto e mangio un boccone di carne. E' molto saporita, anche troppo, per una che si è appena alzata dal letto.

“Non le avrai detto qualcosa che l'ha spaventata, spero.”

Smetto di masticare per un attimo. L'ho fatto? “... No! Secondo te sono così stronza da spaventare una bambina di otto anni?” chiedo dopo un attimo di incertezza.

“Moderiamo i toni, signorina!” mi rimprovera lei.

“... Scusa.”

Non dice altro. Mi è passata la fame, ma finisco tutto lo stesso per evitare un'altra predica. Mi alzo, raccolgo piatto, bicchiere e posate e li metto nella lavastoviglie, oltrepasso mia madre a testa bassa e mi chiudo in bagno. Mi appoggio alla porta chiusa a chiave, fissando le piastrelle bianche del pavimento.

Odio svegliarmi di pomeriggio. E' come se la giornata mi scivolasse via tra le dita, come se fossi perennemente in ritardo su una tabella di marcia invisibile che mi ostino a imporre a me stessa, pur non seguendola praticamente mai.

Per lo meno non ho sonno. La domanda è: cosa me ne faccio di questo sabato pomeriggio? Una doccia non sarebbe male, tanto per cominciare... Potrei vedere se a Laura va di uscire, magari fare un salto al cinema. Credo di avere bisogno di uscire un po' di casa.  

Prendo un respiro profondo e annuisco piano. Ok: doccia, poi sms a Laura - sperando che abbia ancora voglia di uscire con Miss Narcolessia qui presente -, poi... si vedrà, immagino.

Accendo la stufetta elettrica e faccio scorrere l'acqua finché non diventa bollente; nel mentre mi lavo i denti e spazzolo i capelli, in modo da riuscire a lavarli più facilmente.

Dopo una trentina di minuti emergo dalla doccia in una nuvola di vapore acqueo e mi sento subito meglio: più viva, più felice. Esco dal bagno in accappatoio e mi tuffo subito in camera. La brandina è ancora lì, accanto all'armadio; mi volto istantaneamente verso la scrivania, dimentica del fatto che i miei vestiti sono adesso impilati alla bell'e meglio nell'armadio a muro. Sarà una gioia tirarli fuori da lì...

Scavalco la brandina e mi siedo sul letto, agguanto il cellulare da sopra il comodino e scrivo un messaggio a Laura, incrociando le dita. Rimango seduta con il cellulare in mano ad aspettare una risposta. I capelli mi gocciolano sulle gambe, non li ho strizzati bene come avrei dovuto. Dopo cinque minuti, che mi sembrano un'eternità, il telefono vibra.

Ciao! Certo, stasera io e il mio ragazzo ci troviamo in piazza alle sette e mezza. Ci sono anche un paio di suoi amici, non ti dispiace vero? ;)

Rispondo in fretta e furia: ho un po' paura che possa cambiare idea da un momento all'altro. No, figurati. :) Carini, gli amici? XD

Ha ha. :) Uno lo conosci, credo, si chiama David. Quello dell'asilo, ti ricordi?

Aggrotto le sopracciglia. Ora come ora no... Vabbe', vedrò stasera. Grazie! Un bacio.

A stasera! :)

Sorrido, trionfante. Stasera si esce!  

Mia madre bussa alla porta. “Heather, papà ed io usciamo per qualche ora, vuoi venire?”

“No, grazie, alle sette esco con gli amici. Dove andate?” chiedo sporgendomi a sinistra in modo da vedere la porta.

“Oh, sai che vuole comprarsi un computer nuovo, e già che ci sono vedo se hanno anche una lavatrice che non costi troppo...”

“Aha. Beh, divertitevi!” Faccio ciao con la mano mentre mia madre si chiude la porta alle spalle. Do un'occhiata alla sveglia: sono quasi le tre, è meglio iniziare a prepararsi. Mi alzo in piedi, ripiego la brandina alla bell'e meglio e la appoggio al muro, mi tolgo l'accappatoio (ormai mi sono asciugata), prendo la biancheria pulita dal cassetto del comodino e la indosso.

“A noi due, armadio.” mormoro appoggiando le mani sulle maniglie in ottone. Uno, due, tre.

Come volevasi dimostrare, una valanga di vestiti mi crolla addosso. Sbuffo e mi piego a raccogliere da terra la marea di jeans, felpe e maglioni. Per ora le accumulo sul letto, poi si vedrà.

Adocchio un paio di jeans e un maglione di lana azzurro che fanno al caso mio e li metto da parte. Mi fermo un secondo, indecisa sul da farsi. Quella pila di vestiti sul letto mi infastidisce non poco. Non c'è altra soluzione: devo togliere tutto, svuotare l'armadio, buttare via un bel po' di roba e forse riuscirò ad avere una stanza ordinata. Forse.

Potrei anche riuscire a farlo entro stasera. Do un'altra occhiata all'orologio. Alla fine succede sempre che mi preparo con ore di anticipo e poi non so come riempire i buchi di tempo...

E va bene, vediamo cosa riesco a combinare.

Infilo il pigiama: non voglio sudare nel maglione pulito e i jeans sono scomodi quando si tratta di fare le pulizie. I capelli umidi mi danno fastidio; prendo una matita e la uso per raccogliere la mia chioma in una sottospecie di chignon – mi ci sono voluti anni per imparare questo trucchetto: non importa quanti fermagli per capelli io possieda, quando mi servono non li trovo mai, invece di matite non sono mai a corto.

Mi porto una ciocca di capelli dietro l'orecchio e inizio a piegare i vestiti sul letto, impilandoli per bene in gruppi – di qua le maglie, di là i pantaloni e così via. Mi sforzo di fare un buon lavoro: in fondo, mi capita raramente di avere dei vestiti piegati con cura - di solito li abbandono come capita sulla scrivania o sullo schienale della sedia.

Finito di piegare, mi concentro sui vestiti nell'armadio – e qui inizia la parte difficile. Senza tante cerimonie, giungo alla conclusione che il metodo più efficace sia quello di svuotare completamente l'armadio e ricominciare da zero. Inizio a buttare tutti i vestiti per terra: è quasi rilassante, come fare yoga o meditare, aiuta a scaricare la tensione e a liberare i pensieri. Continuo a scavare senza pietà tra cumuli assortiti di vestiario, fino a svuotare quasi del tutto l'armadio; emana un odore non molto piacevole, di chiuso e naftalina – eredità di anni passati da un bel po' -, che non sono mai riuscita del tutto a togliere.

Scavalco il letto e mi allungo ad aprire la finestra per far passare un po' d'aria. Adesso manca una sola pila di abiti, sorprendentemente ben piegati, in un angolo. Ne prendo in mano uno: come avevo predetto, si tratta di vestitini che indossavo quando frequentavo l'asilo e le elementari. Sono così piccoli, non posso credere che mi stessero bene addosso... C'è anche qualche maglioncino di lana, fatto a mano da mia nonna. Uno è rosso, con Babbo Natale a bordo della slitta ricamato sopra. Ricordo che da bambina non riuscivo a sopportarli, perché la lana mi pungeva la pelle. Era una tortura indossarli per fare piacere alla nonna, che aveva lavorato tanto per regalarmeli...

Scuoto la testa, prendo la pila di abitini con entrambe le mani e la appoggio delicatamente per terra. Devo assolutamente far vedere questi vestiti a mia madre, sono sicura che avrebbe un attacco acuto di nostalgia.

Sul fondo dell'armadio è rimasto solo un pezzo di carta piegato. Lo prendo in mano e lo apro; è ingiallito, il che testimonia senza dubbio la sua età. Socchiudo gli occhi. E' un disegno, fatto chissà quando: decisamente stilizzato, risalente all'epoca in cui non avevo ancora capito bene da quale parte del busto far partire le braccia che disegnavo.

Dio, sono ossessionata con questa storia.      

La figura disegnata è inconfondibile, almeno per me, che non ho mai avuto dubbi sulla sua interpretazione. Mi chiedo che cosa ne direbbe uno psicologo infantile: cosa evincerebbe da quel corpo triangolare, da quella braccia scheletriche, da quei capelli neri e dritti, da quelle fauci spalancate in un sorriso storto e da quegli occhi gialli?

Un brivido mi attraversa la schiena e sono costretta a distogliere lo sguardo dal disegno. Qualcosa è andato storto, mentre crescevo: ormai ne sono sicura. Non so bene cosa, ma qualcosa deve essere successo, qualcosa di grave, altrimenti adesso non mi ritroverei con una vera e propria fobia che mi impedisce di vivere normalmente e di dormire serenamente.

Vorrei solo che questa cosa la smettesse di perseguitarmi.  

Accartoccio il disegno in un gesto secco e rabbioso e lo scaglio con violenza per terra.

Prendo un respiro profondo: sono fortemente tentata di piantare tutto lì e andare in salotto a guardare la tv. Odio quell'armadio, odio questa stanza che pare stringermisi addosso e soffocarmi e odio la mia vita.

Un leggero venticello si insinua in camera e mi risolleva un po' il morale, come spesso succede. Mi alzo in piedi e vado a sedermi un po' sul davanzale della finestra. La neve ha completamente ricoperto l'erba del cortile e il tetto del capanno degli attrezzi di mio padre, facendolo sembrare più bello di quanto non sia in realtà, tutto legno e grigie lamiere.

Chiudo gli occhi per un po' e rimango seduta a godermi il freddo pungente sul viso – sì, forse non è la cosa più intelligente da fare, con i capelli ancora umidi, ma al momento non mi interessa più di tanto: mi schiarisce le idee, è questa la cosa importante.

Dopo un bel po' di tempo passato ad ammirare il cortile innevato, mi giro di scatto e marcio nuovamente di fronte all'armadio, spalancandone le ante cigolanti. Parrebbe che ora sia completamente vuoto. Mi sposto a destra in modo da non bloccare la luce naturale proveniente dalla finestra, ma noto che resta un'ombra nell'angolo sinistro. Apro l'anta sinistra al massimo, ma la chiazza buia pare non risentirne affatto. Do un'occhiata veloce alla finestra, per assicurarmi che non ci sia qualcosa in mezzo a proiettare quell'ombra nell'armadio.

Strano. Mi avvicino lentamente e allungo la mano a toccare il legno.

Ritraggo la mano di scatto. Non è possibile.

Senza staccare gli occhi dall'angolo buio, apro il cassetto del comodino e afferro la torcia che tengo nascosta tra la biancheria. Le mani mi tremano, e il fascio di luce fa altrettanto mentre conferma quello che ho iniziato a temere quando non ho sentito il legno sotto le dita: c'è un buco nell'armadio.

Allungo di nuovo la mano, perché fatico a credere a quello che vedo. Ci deve essere anche un buco nel muro, perché non riesco a vederne la fine. Che razza di animale può aver fatto una cosa del genere? Un topo o... che altro?

La finestra sbatte all'improvviso e mi fa sobbalzare, mentre la torcia mi sfugge dalle mani. Il cuore mi batte all'impazzata e ho il respiro mozzato; senza pensarci due volte, oltrepasso la montagna di vestiti e, incespicando, mi precipito fuori dalla stanza, chiudendo con violenza la porta alle mie spalle. Mi allontano, camminando a ritroso, mentre cerco con tutte le mie forze di calmare la corsa impazzita dei miei pensieri. Sta' calma, sta' calma, sta' calma, non è successo niente, è solo il vento...

Entro in cucina e accendo la luce. La caraffa mezza piena è ancora sul tavolo; prendo un bicchiere pulito e bevo un po' d'acqua. Non è successo niente, adesso torna papà e gli fai vedere il buco e finalmente si deciderà a buttare quell'armadio di merda. Rimango immobile, con il bicchiere in mano, a fissare i limoni gialli sulla tovaglia di plastica del tavolo. Mi sento tremendamente stupida, ma nonostante ciò non ho proprio il coraggio di rientrare in camera, neanche per recuperare il cellulare che ho lasciato sul letto. Prendo un altro sorso d'acqua. Calma. E' solo suggestione, colpa di quel maledetto disegno...

Non riesco a sedermi. Mi guardo intorno di soppiatto. La cucina è illuminata dalla luce al neon del lampadario, così bianca che pare splendere. E' tutto in ordine, pulito e profumato: il contrario di camera mia, praticamente. L'unica nota di colore nella stanza è appunto la tovaglia, con i suoi limoni, talmente realistici da sembrare veri. Mia madre ha sempre avuto una predilezione per il bianco, colore che io non ho mai amato, anche se devo ammettere che in questo momento ha il potere di tranquillizzarmi.

Mi trascino in salotto. Tutto tranquillo anche qui. Mi siedo sul divano, ma non riesco a rilassarmi: ho la schiena irrigidita e le mani, pur se impercettibilmente, mi tremano ancora. Dopo un momento di esitazione, accendo la televisione, giusto perché il silenzio in casa mi innervosisce.

Tenendo sempre sott'occhio la porta del salotto, inizio a fare zapping tra i canali finché una vecchia puntata de I Simpson cattura la mia attenzione. L'avrò già vista un milione di volte, ma è comunque meglio della maggior parte dei programmi che ci sono in tv a quest'ora...

Oh, adesso ricordo! Mr. Burns apre un casinò e Marge scopre la dipendenza dal gioco d'azzardo. Molto carina, come puntata. Stringo le ginocchia al petto e mi distraggo, in qualche modo, finché Lisa non corre urlando in camera di Homer e gli confessa di aver sognato l'Uomo Nero.

Ma dio mio, anche qui? Ma perché, perché sono così sfigata?!

La reazione di Homer mi strappa un sorriso, comunque. Ed ecco che mi sento di nuovo ridicola. Sì, perché, nonostante l'esagerazione comica, mi rivedo in Homer, che si barrica dietro un materasso col fucile imbracciato per paura dell'Uomo Nero. Abbasso lo sguardo e quasi arrossisco per la vergogna. Sono un caso disperato, da manicomio. Ma ecco la chiave che gira nella toppa della porta d'ingresso: i miei sono tornati, finalmente.

“Papà!” esclamo balzando giù dal divano. “Devo farti vedere una cosa.”

“Eh? Oh, sì, un momento solo.” Mi guarda stranito mentre si toglie sciarpa e cappotto. “Non dovevi uscire, stasera?”

“Sì, tra poco mi vesto, ma prima devi vedere una cosa. C'è un buco nel mio armadio, e nel muro dietro l'armadio, credo porti al posto dove passano le tubature o qualcosa del genere...” farfuglio indicando la porta della mia camera.

“Cosa? Un buco?” se ne esce mia madre, incredula.

“Sì, non so cosa l'abbia scavato, forse un topo...”

“Un topo?!”

“Sta' calma, Rachel. Adesso vediamo, non può essere così grave...”

Papà apre la porta ed entra nella mia stanza; mamma ed io lo seguiamo a breve distanza.

“Dio, Heather, fa un freddo cane qui dentro! Chiudi quella dannata finestra!” esclama lui, fermandosi di fronte alla montagna di vestiti e lanciandomi un'occhiata perplessa.

Corro a chiudere la finestra. “Stavo mettendo in ordine, ho svuotato l'armadio e l'ho trovato. Lì a sinistra, in fondo, lo vedi?”

Si inginocchia. “Dove, scusa?”

Mi avvicino. “Lì, nell'angolo a sinistra. Prendi la torcia, è lì per terra...”

“... Io non vedo niente.”

Mia madre si sporge in avanti. “L'hai trovato, Harold?”

“No. Heather, non capisco cosa tu abbia visto, ma qui mi sembra tutto a posto.”

“Cosa? Ma è lì, come fai a non vederlo?” Oltrepasso mia madre, spazientita, e mi pianto di fronte all'armadio.

Peccato che mio padre abbia ragione e che non ci sia nulla di strano. Nessun buco, nessuna ombra, nessun passaggio di nessun genere. Solo un armadio vuoto.

Rimango perfettamente immobile, ammutolita. “Ma...” balbetto sconvolta.

“Ma?” mi incalza mio padre.

“Era... qui... l'ho... l'ho visto, prima c'era, te lo giuro!” dico a voce un po' troppo alta, quasi stridula.  “Era qui... proprio qui!” aggiungo toccando il legno che – sono sicura – prima non c'era. Non c'era, maledizione, non c'era!  Eppure adesso lo vedo con i miei occhi, ne sento la consistenza sotto le dita...   

“Tesoro, sicura di stare bene? Magari hai la febbre, fammi sentire...” mi fa mia madre cercando di toccarmi la fronte.

“No! Aspetta...” la supplico, afferrando la torcia. “C'era un buco, non riuscivo a vederne la fine e ho pensato che proseguisse all'interno del muro...”

“E questo..?” mormora mio padre raccogliendo un foglio da terra. Il foglio che io avevo accartocciato e che adesso è inspiegabilmente tornato liscio, senza neanche una piega. “Oh, Heather, ancora con questa storia?” Non capisco se il suo è un tono di disapprovazione, di pietà o di rassegnazione, ma in ogni caso mi sento come se mi avessero appena legato una zavorra al collo e mi stessero per spingere in acqua.  

“Papà, ti giuro che l'avevo... l'ho trovato in fondo all'armadio, ma l'avevo... accartocciato...” Un groppo in gola mi impedisce di proferire altro e, senza che me ne renda conto, calde lacrime iniziano a scivolare sulle mie guance. “Ti giuro che c'era, l'ho visto...

Mia madre si abbassa e mi posa entrambe le mani sulle spalle. “Sta' tranquilla, tesoro. Devi avere la febbre, stai delirando. Andrà tutto bene, devi solo riposare un po'. Adesso ti stendi sul divano, ti porto una coperta di lana e un po' di latte caldo, misuriamo la febbre e magari ti prendi una tachipirina, ok?”

Annuisco, singhiozzando. La testa mi gira, ho lo stomaco sottosopra e non sto capendo più niente.

Dio, aiutami, cosa sta succedendo?










Ed eccomi di ritorno! ;) I capitoli iniziali mi vengono sempre piuttosto facilmente, per fortuna. Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

La citazione iniziale è tratta dalla decima puntata della quinta stagione de I Simpson, $pringfield. L'ho vista l'altro giorno e non ho potuto fare a meno di trovarla deliziosamente divertente. xD
Per tutti coloro che hanno sollevato un sopracciglio alla reazione di Heather: ricordate che la sua non è una semplice paura, ma una fobia. Parlando per esperienza personale, trovarsi faccia a faccia con l'oggetto della propria fobia non è per niente facile, anche se si è perfettamente consci di quanto irrazionale sia la paura che si sta provando.

Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo, se vi va. :) Intanto ringrazio immensamente Makochan e valix97 per le recensioni e chi ha messo la storia tra le seguite, le preferite e le ricordate. Significa davvero molto, per me.

Alla prossima!
   
 
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