Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Segui la storia  |       
Autore: Cassandra Morgana    08/03/2008    1 recensioni
Un tiranno ed una città a un soffio dalla guerra civile.
Un gruppo di ragazzi improvvisati ribelli, persi nelle sfuggenti sfaccettature del loro essere e del loro ruolo, fra le trame di un complesso interagire nel mondo.
Una minaccia soffusa che aleggia nell'aria...
Un luogo immaginario e un momento storico immaginario, "riconducibile" al XVIII secolo europeo.
Benvenuti a Noir Trésor!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Noir Trésor ~'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 15

Anime stanche

 

 

Accasciato sul divano con fare indolente, Auguste fissava assorto il soffitto sopra di sé, le dita pallide e nervose che indugiavano incuranti a ravviare i capelli arruffati che gli ombreggiavano il volto tirato e privo d’espressione. Trasalì, quando i suoi occhi intercettarono improvvisamente lo sguardo interrogativo di Emilie che lo scrutava in viso. Sobbalzò, quasi una presenza estranea ed arcana fosse giunta presso di lui senza alcun preavviso, furtiva nel cuore della notte, a spezzare il filo dei suoi incubi.

- Che hai fatto alla faccia, Auguste? – la voce della donna rimbombò nella sua testa con lo stesso cupo vigore di una campana che annuncia lo stato di pericolo.

Soltanto allora, riscossosi dal proprio angoscioso torpore, l’uomo si avvide che l’oggetto dell’attenzione di Emilie era l’ematoma che campeggiava sul suo volto, tracciando una piccola mezzaluna violacea a metà strada fra il naso e l’occhio sinistro.

Si morse nervosamente il labbro, mentre la mano scorreva sul volto con rassegnazione, tastando sotto le dita il mento reso ispido dalla barba di qualche giorno. Avrebbe preferito far fronte a qualunque cosa: tutto, in quel momento, ma non rammentare il carico di rancore che la sua ennesima lite con Fernand gli aveva rovesciato addosso, costringendolo ancora una volta a guardare in faccia la propria degradazione.

- Sono caduto – mentì.

- È lecito, da parte mia, immaginare che tu abbia nuovamente fatto a botte? – lo precedette la donna, tuonando la sua secca riprovazione.

Auguste scrollò le spalle con risentita indifferenza.

- Ho avuto una discussione con Fernand – sentenziò, asciutto, evitando lo sguardo di Emilie, la quale, a sua volta, distolse il viso con malcelata irritazione.

- Anche questo, ora – mormorò la donna tra sé.

- Ad ogni modo, preferirei non parlarne, se non ti dispiace. Non ora – si affrettò a troncare il discorso Auguste.

Vide Emilie indugiare soprappensiero sul proprio volto riflesso nello specchio della piccola toeletta e sciogliere con un gesto fluido la chioma bruna raccolta in un nodo sulla nuca, lasciandola ricadere morbidamente sulle spalle.

- Ho sentito dire – proruppe in capo a qualche istante, tentando di squarciare l’insopportabile tensione – che “Madame” ha in progetto una serie d’incontri nel suo salotto.

- A voler essere sincero – Auguste ricambiò brevemente il suo sguardo – Non m’importa molto delle iniziative di quella megera; finché non interferiscono con le mie, perlomeno. Dopo quel che è accaduto a causa dei libelli e della loro imprudente diffusione, tutto ciò che desidero a proposito della Bertie è che si tenga alla larga da tutto ciò che ha lontanamente a che fare con la nostra associazione.

Lo sguardo della donna s’inasprì. Calando pigramente la spazzola sui propri capelli, scrutò il compagno attraverso lo specchio.

- Non riesci a pensare a nient’altro – mormorò con voce gelida – Ormai, le tue trame ai danni del duca stanno diventando una specie di ossessione insanabile.

Auguste avvertì la laconica e bruciante rapidità della sentenza percuotergli il volto come una violenta sferzata, la cui fulminea intensità si diradava lentamente in lui, lasciandogli addosso un lungo strascico d’angoscia. Una sensazione di vuoto e di doloroso rimorso, non troppo dissimile da ciò che aveva provato un istante dopo aver schiaffeggiato Fernand, cristallizzò le sue parole in punta di labbra.

Tacque e chinò mestamente il capo, ferito.

- Immagino sia completamente superfluo – rincarò la dose Emilie – Domandarti di venire con me.

Auguste sentì un lampo di collera attraversargli repentino le tempie come una rapida fitta.

Era davvero rimasto l’unico, fra tutti, a non rendersi conto che il mondo si muoveva, che le ore scorrevano ed i giorni s’accavallavano l’un l’altro senza curarsi minimamente se lui si sentisse pronto oppure no a riprendere a respirare?

Perché la manifestazione evidente della sua disperazione, così potente da essere divenuta l’inevitabile prospettiva attraverso la quale si era rassegnato a raffrontarsi con la sua vita, suonava così tremendamente assurda agli occhi di chi contemplava dall’esterno la sua miseria?

Perché nessuno si sforzava di comprendere o, se non altro, di considerare con lucidità quel che gli ultimi avvenimenti avevano prodotto in lui?

Non poté trattenersi.

- Ti sei già risposta da sola – replicò, tagliente – Punto numero uno: non metterei piede nel salotto… “culturale” di quella donna neppure imbalsamato. In secondo luogo, preferirei che tu, Emilie, evitassi con me certe provocazioni ambigue e che parlassi chiaramente.

- Tu non ci sei mai – sbottò la donna, con fare requisitorio – Non ci sei per me, non ci sei per nessuno: completamente assente, preso soltanto da te stesso e dai tuoi ribelli. Cosa sei in questa casa, Auguste? Chi sei veramente? Te lo sei mai domandato? Non ho torto a credere che tutto questo, per te, non sia nient’altro che un insensato pretesto per non restare solo, la notte. Cos’altro rappresenta?

Questo no si disse Auguste. Strinse le palpebre, soffocando un eccesso di dolore, rassegnato alla cruda consapevolezza di ciò che era diventato. Per Emilie, per Lucien… Per Fernand, che inutilmente aveva tentato di scavare nel torbido della sua disperazione.

Emilie aveva ragione: lui non c’era mai stato per nessuno e soltanto ora si rendeva conto di quanto non fosse mai stato facile, per lei, fare i conti ogni giorno con una presenza indecifrabile, sfuggente e profondamente lacerata in mille frammenti di realtà che continuavano a sfuggirle via tra le dita.

 

Un uomo che non la ama: squallidamente, questo è quanto. Sfiderei chiunque a non essersene reso conto.

È dura confrontarsi ogni giorno con una realtà che sembra tramarti contro, ridurti a mera scenografia dell’impronunciabile tragedia che si consuma dinnanzi ai tuoi occhi, e poi tentare, senza successo, di ricucire insieme i brandelli e di donare una parvenza di normalità ed una coerenza a ciò che è irragionevole ed assurdo per antonomasia.

Ma io non ho più la volontà né la forza per donare amore o qualunque cosa ne possa rappresentare un debole surrogato. Non ne sono più capace, se mai lo sono stato: io non so amare nessuno, tranne me stesso, forse. E Lucien.

 

- è… successo così di fresco – esalò timidamente – Dammi un po’ di tempo per accettarlo. Te ne prego.

Chi credi d’ingannare, ancora, tu ed i tuoi pretesti?

- Tutto questo non penso abbia nulla a che vedere con il nostro rapporto, Auguste. Io non mi riferisco al particolare di ciò che sta accadendo oggi. Non è questa la causa né il nodo del problema: c’è sicuramente dell’altro – ribatté duramente Emilie.

 

E tu mi chiedi ora, ora che non sono in grado neppure di guardare lucidamente a me stesso e decidere cosa fare nel mio immediato, di riprendere in mano un legame esausto e deteriorato per causa mia e di ingegnarmi a tenere insieme un rapporto – o qualunque cosa gli somigli?

 

Auguste si morse dolorosamente il labbro.

- Vuoi qualcuno che ti tenga compagnia nelle tue serate? Il mondo è pieno di damerini da salotto.

 

Ecco: puntuale e preciso, il dardo colpisce nel segno. Quando il gioco si fa difficile, ecco allora che Auguste sfodera prontamente il suo unico asso nella manica.

Ma io sto per recarmi al funerale della persona che amavo: il nesso è chiaro, è il tassello mancante del mosaico che nessuno, nell’ottica ristretta di ciò che appare dal di fuori, può riuscire a decifrare.

Perché mi si domanda di affrontare la mia desolazione come un uomo nel pieno delle proprie facoltà, ora che sono poco più che uno spettro e desidererei soltanto trovare il modo più indolore per annegare nella mia disperazione?

 

- Vuoi farne una malattia e continuare a ridurre la tua vita ad un mucchio di macerie? Come preferisci.

- Un giorno, Emilie! – la rimbeccò Auguste – È trascorso appena un giorno. E tu mi chiedi di indossare una maschera e di gettarmi tutto dietro le spalle?

- No. Ti chiedo solo di non trasformare la tua esistenza in un inferno di rancore e di rimpianti. Per il tuo bene e di chi ti sta accanto.

Emilie si lisciò nervosamente la scollatura del pallido negligé, per poi avviarsi con fare irritato verso il letto matrimoniale.

Auguste non rispose. Indugiò nella penombra, indeciso se distendersi al fianco della sua donna e tentare di occultare nel sonno il dolore disperato che gli ammorbava l’anima, oppure abbandonare dignitosamente il teatro della sua sconfitta.

Infine, prese con sé una coperta ed una bottiglia di vino e si raggomitolò di fronte al focolare, pronto, un’altra notte, ad affrontare privo di alcun supporto, sepolto nel cumulo di stracci della sua esistenza, la sua personale battaglia con il suo fantasma.

La verità era che nulla pareva in grado di donargli conforto. Se anche qualcuno vi aveva tentato, era stato subito costretto, suo malgrado, a deporre le armi dinnanzi al muro di orgogliosa insofferenza che lui, Auguste, aveva opposto di fronte a sé, ed evitare, piuttosto, di essere investito dagli strali di veleno che costituivano quella sorta di scudo impenetrabile.

Sospirò: la sua rabbia l’aveva condotto soltanto a maltrattare il giovane Fernand, incrementando così l’insanabile frattura tra i suoi uomini e umiliando senza motivo quel ragazzo irruente che – ripensandoci, soltanto ora – non era mai stato in cattiva fede.

Chinò tristemente il capo, scuro in volto: era riuscito a travolgere con la sua furia cieca ed autodistruttrice persino la donna che viveva con lui.

In silenzio, Auguste portò la bottiglia alle labbra, assaporando il liquido forte che gli scaldava il petto e cullandosi nell’illusione che qualche sorso di vino potesse costituire per lui un blando sollievo. Immobile, seguì pigramente con lo sguardo la danza ipnotica delle fiamme dinnanzi a sé, lasciando che il calore del fuoco gli infiammasse le gote.

Qualcosa scattò nella sua mente. Destatosi all’improvviso, si risollevò in piedi ed attese, incerto su dove andare, respirando profondamente l’aria secca e pungente. Senza riflettere, girò sui tacchi e si diresse nuovamente in camera, rapito dai suoi stessi gesti e dal flebile calpestio dei propri passi sul pavimento. Lasciò scorrere in un cigolio sinistro l’ultimo cassetto del comodino dal quale, senza riflettere, estrasse la sua pistola, per poi affrettarsi ad abbandonare in silenzio la stanza, nutrendo silenziosamente la speranza che Emilie non si fosse accorta delle sue manovre equivoche.

Si deterse distrattamente con il dorso della mano la fronte umida. Il freddo metallo dell’arma che stringeva fra le dita gli aveva trasmesso un brivido carico di languore lungo la schiena, immediatamente seguito da una violenta sensazione di vertigine. Allentò la presa: la vista della brace rossastra e delle fiamme che tremolavano come minuscoli spettri, aveva fatto sì per un istante che l’orribile visione del sangue s’imponesse con ferocia nella sua mente. Distolse rapidamente lo sguardo.

 Ritornano, puntuali: vecchi fantasmi che si sovrappongono ad angosce presenti.

Nascondendo il volto tra le mani, Auguste tentò di recuperare il controllo. Da quando la sua esistenza era stata travolta dalla guerra civile a Noir Trésor, seguita dal colpo di Stato che aveva concesso al duca du Lac d’insediarsi al potere in città, Auguste aveva conservato dentro di sé, come doloroso strascico dei drammatici eventi vissuti, un’irrazionale e morbosa avversione per le armi ed il sangue. Ora, il pensiero di quel che stava accingendosi a portare a compimento, non poteva che rievocare disperatamente in lui l’immagine di Lucien privo di vita, un rivo di sangue sul collo che colava fino ad inzuppare la camicia.

Quasi gli cedettero le gambe, mentre, inebriato, seguitò a percorrere con lo sguardo il manico intarsiato della pistola, per poi soffermarsi a contemplare per intero il fulgido, ambiguo splendore dell’arma.

Serrò le palpebre: doveva farlo.

Per lui, forse; per Lucien o, molto più probabilmente, per se stesso: ogni implicazione era relativa.

Sarebbe stato utile a qualcosa? Sapeva che nulla gli avrebbe restituito Lucien, ma la sua coscienza – o quel che ne era restato – gli suggeriva che, se la morte del suo amico fosse rimasta ignorata ed impunita, lui sarebbe impazzito.

Un mero, egoistico, personale desiderio di vendetta; nulla di eroico o degno di lode. Nulla, se non l’ennesimo gesto autodistruttivo e sconsiderato di un uomo distrutto.

 

Pensi che sarà più semplice, dopo, guardarti nello specchio al mattino?

 

Ho forti dubbi.

 

Non spendere altro tempo in superflue riflessioni. Vinci la tua paura.

 

Qualcuno potrà trarre qualche vantaggio dal mio gesto?

 

Trascurabile dettaglio di cui, in questo momento, non m’importa. Non a me.

 

Un amaro sorriso tagliò in due il suo volto, rischiarato appena dalla pallida luce tremolante; gli occhi grigi lampeggiarono di follia, quando il suo sguardo afferrò dietro le imposte il movimento di due figure che strisciavano nell’ombra.

Un sibilo acuto gli sfuggì dalle labbra; le membra tremanti si contrassero nella tensione, mentre si accertava che la pistola fosse carica e, in un gesto divenuto ormai istintivo, tastò all’interno nella tasca, assicurandosi della presenza del pugnale.

L’una per difendersi, l’altro per offendere.

Brandì l’arma dinnanzi a sé ed attese, immobile, dietro l’uscio.

Sento freddo. Mai freddo come ora. Devo mantenere il controllo: soltanto questo.

Auguste serrò le palpebre, stordito dall’orribile rimescolio di sensazioni contrastanti che gli ribolliva nel petto, il respiro ridotto ad un sibilo ansimante, mentre discostava il portone con malagrazia.

Immobile, esaminò le due figure, la pistola stretta dietro la schiena.

Ce la puoi fare?

Auguste scrutò i due uomini dinnanzi a sé, tentando di dissimulare la propria tensione in una maschera indecifrabile.

Il più anziano dei due distorse in un breve sogghigno il volto bruno e coriaceo, solcato dalle rughe e da una cicatrice che gli segnava trasversalmente la fronte, fino a morire sullo zigomo.

- Armi e munizioni com’era nei patti, direttamente dal deposito degli sciacalli del duca – sentenziò il più giovane, che ad Auguste parve poco più che un ragazzo avido e collerico.

- Bene – ribatté Auguste con voce piatta.

Pensoso, lasciò scorrere ancora per qualche istante il proprio sguardo sui due fuorilegge, soffermandosi sulle else dei pugnali che spuntavano non troppo celatamente dalle cinture.

 

Un sicario che si rispetti non se ne va mai in giro senza recare con sé, per ogni sfortunata evenienza, qualche ferro del mestiere; specie se va a spasso dopo il coprifuoco in una città controllata da un altro criminale e si reca a far visita ad un uomo rispettabile.

 

Auguste dovette sforzarsi di camuffare in qualche modo la risata isterica che gli era salita alla gola.

- Che aspetti? Tira fuori la somma per la quale ci si è accordati dopo tanta fatica, e a mai più rivederci.

- Intanto, prova a chiudere per bene la tua boccaccia – ribatté Auguste – o rischierai di svegliare la mia donna.

- Oh, abbiamo una donna?

- Non osare avvicinarti – gli soffiò Auguste, perentorio.

Mosse lo sguardo. Troppo tardi.

Richiamata dalle voci, immobile all’ingresso della stanza, Emilie fissava sconcertata i presenti.

- Auguste, chi diavolo…

- Torna in camera e sbarra la porta, Emilie – le ingiunse, il volto contratto – Ora.

- Ehi, Auguste, quanta fretta! – lo interruppe il più giovane dei due sicari – Stai sereno: nel caso in cui non abbia con te tutti i soldi, potremmo sempre chiudere un occhio e, in cambio, prenderci la signora per una mezz’oretta…

- Torna dentro, Emilie. Ti spiegherò più tardi – Auguste alzò la voce, gli occhi venati d’inquietudine – E tu – soggiunse, rivolto al giovane – Cerca di tornare nell’argomento della serata, se non vuoi ritrovarti a sputare sangue.

- Non ci siamo intesi – intervenne il più anziano con fare sospettoso, quando la donna ebbe abbandonato la stanza – Sarai l’unico a sputare sangue, stasera, se non ti deciderai a collaborare e se non onorerai il tuo debito quanto prima.

- Soltanto un momento – Auguste prese tempo, costringendosi a fissare negli occhi l’uomo che gli aveva parlato – Siete sicuri che non vi sia stato alcun impiccio?

- Noi sappiamo come rimettere al proprio posto i ficcanaso – replicò il vecchio, scuotendo impaziente la lunga e rada capigliatura ormai ingrigita – A parte un… piccolo, insignificante contrattempo che, fortunatamente, non ha provocato guai di sorta, direi che tutto è filato come l’olio.

- Già. È andato tutto per il meglio. Meraviglioso – sussultando impercettibilmente, Auguste tentò di farsi ombra con la mano in modo tale da mascherare una lacrima che era fuggita prepotente che ora gli scivolava lungo lo zigomo.

- Bene, Auguste, il necessario per armare i rivoltosi è al sicuro. Ora, fuori i quattrini.

- Ho giusto con me – scandì Auguste, lo sguardo circonfuso di un alone di follia – una quantità piuttosto interessante di belle monete d’argento. Dal valore approssimativo di cinquecento scudi. Pensa un po’: sono proprio cinquecento! – ripeté con voce cantilenante ed assorta.

- Allora, che diavolo aspetti? Tirale fuori, e piantala, una volta per sempre, con certi giochetti! – lo aggredì il giovane, assestandogli uno scossone.

- Che diavolo avete capito?

Lui stesso si stupì di quanto la sua voce suonasse stranamente calma.

- Intendevo, per l’esattezza, un altro tipo di monete d’argento. Queste.

Auguste tese rigidamente l’arma dinnanzi a sé.

Intravide la realtà precipitare davanti ai suoi occhi, caotica e indistinta come in un sogno confuso, come in un infernale carosello, ma non smarrì la propria lucidità. Fulmineo, tirò indietro il braccio, cercando di colpire con la canna della pistola il ragazzo che, dopo lo sgomento iniziale, si era lanciato su di lui nel maldestro tentativo di disarmarlo. Il giovane riuscì a schivare il colpo, ma il repentino movimento lo sbilanciò, facendogli perdere l’equilibrio.

- Bravo – cinguettò Auguste, sarcastico – Resta pure seduto. Ora, da ragazzo ragionevole quale sei, da’ qua il tuo pugnale e le altre armi che tieni nascoste. E tu, nonno – soggiunse, rivolto all’altro – Segui il buon esempio.

- Pagherai cara la tua schifosa impudenza, Auguste de la Garde, maledetto figlio di una cagna! – inveì il vecchio tra i denti.

- Certo, certo – Auguste tese nuovamente la pistola dinnanzi a sé, mantenendo i due uomini sotto tiro – Pagherò, come desiderate. Io estinguo sempre i miei debiti: di me, non potete certo dubitare. Adesso, se lor signori me lo consentono, si va a fare un lungo giro. Non c’è niente di meglio di una passeggiata al chiaro di luna, quando gli affari sono andati a gonfie vele, ed un buon uomo ha tutto il sacrosanto diritto di riposare e godersi i frutti della propria fatica. È andato tutto per il meglio, non trovate? Salvo qualche contrattempo lungo la strada, a ben dire: ma nulla cui una stilettata ed una buona dose di fortuna non sappiano porre rimedio, no? Nulla che un sicario di professione non sappia sistemare a dovere!

- Non so cosa tu stia biascicando né cos’altro abbia in mente. Stai molto attento, de la Garde: sei sempre stato furbo, ma stavolta hai oltrepassato il limite.

- Me ne ricorderò senz’altro; ma adesso, preoccupatevi piuttosto di alzare i tacchi. E niente scherzi.

Ignorando le minacce e le proteste dell’uomo, Auguste spinse i due oltre la porta, pronto a seguirli nella notte, mentre, sotto il velo di discrezione che le tenebre gli offrivano, il suo volto si corrugava nell’impulso della disperazione, e due fiotti di lacrime roventi gli annebbiavano la vista.

 

 

 

 

 

 

Il mio cantuccio:

Bene bene… Finalmente sono riuscita ad aggiornare NT, anche se in tempi un tantino “biblici” causa impegni universitari.

Ringrazio, come sempre, tutti i lettori, in particolare coloro che hanno lasciato le loro recensioni. In particolare:

 

Mikayla: carissima, sono contenta che NT sia di tuo gradimento! Ho molto apprezzato la tua recensione ed i tuoi consigli. Effettivamente, mi capita di tanto in tanto di rileggere la storia e di correggere e cambiare qualcosina qua e là (dettagli puramente stilistici, la trama, ovviamente, resta invariata), in quanto capita anche a me di scoprire qualche frase che “stona” leggermente”… Credo sia tutto da imputare al fatto che, man mano che si acquisisce dimestichezza scrivendo, lo stile tende ad evolvere… Beh, in meglio, si spera! Spero che continui a seguire Noir Trésor e che la storia sia di tuo gradimento!^^

 

Poppy: ti ringrazio tantissimo per la tua recensione! Sono contenta che i personaggi siano di tuo gradimento… In particolare, sono molto lieta che Ambrosie ti piaccia: in effetti, nonostante sia io una ragazza, trovo stranamente più complesso caratterizzare un personaggio femminile. Dunque, sono contenta di essere, in parte, riuscita nel mio intendo! Alla prossima!^^

 

Renovatio: ti ringrazio tantissimo per la tua recensione, graditissima! Sono contenta che abbia apprezzato il mio modo di scrivere, nonché i personaggi. Naturalmente, la trama pian piano si dipanerà ed emergeranno sempre di più le implicazioni emotive dei vari personaggi… Ed i misteri, pian piano, finiranno per venire alla luce. Spero che NT continui ad essere di tuo gradimento e che continui a seguire l’evolversi della storia. A presto!^^

 

 

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: Cassandra Morgana