Capitolo
15
Anime
stanche
Accasciato
sul divano con fare indolente, Auguste fissava assorto il soffitto sopra di sé,
le dita pallide e nervose che indugiavano incuranti a ravviare i capelli
arruffati che gli ombreggiavano il volto tirato e privo d’espressione. Trasalì,
quando i suoi occhi intercettarono improvvisamente lo sguardo interrogativo di
Emilie che lo scrutava in viso. Sobbalzò, quasi una presenza estranea ed arcana
fosse giunta presso di lui senza alcun preavviso, furtiva nel cuore della notte,
a spezzare il filo dei suoi incubi.
-
Che hai fatto alla faccia, Auguste? – la voce della donna rimbombò nella sua
testa con lo stesso cupo vigore di una campana che annuncia lo stato di
pericolo.
Soltanto
allora, riscossosi dal proprio angoscioso torpore, l’uomo si avvide che
l’oggetto dell’attenzione di Emilie era l’ematoma che campeggiava sul suo volto,
tracciando una piccola mezzaluna violacea a metà strada fra il naso e l’occhio
sinistro.
Si
morse nervosamente il labbro, mentre la mano scorreva sul volto con
rassegnazione, tastando sotto le dita il mento reso ispido dalla barba di
qualche giorno. Avrebbe preferito far fronte a qualunque cosa: tutto, in quel
momento, ma non rammentare il carico di rancore che la sua ennesima lite con
Fernand gli aveva rovesciato addosso, costringendolo ancora una volta a guardare
in faccia la propria degradazione.
-
Sono caduto – mentì.
- È
lecito, da parte mia, immaginare che tu abbia nuovamente fatto a botte? – lo
precedette la donna, tuonando la sua secca riprovazione.
Auguste
scrollò le spalle con risentita indifferenza.
-
Ho avuto una discussione con Fernand – sentenziò, asciutto, evitando lo sguardo
di Emilie, la quale, a sua volta, distolse il viso con malcelata
irritazione.
-
Anche questo, ora – mormorò la donna tra sé.
-
Ad ogni modo, preferirei non parlarne, se non ti dispiace. Non ora – si affrettò
a troncare il discorso Auguste.
Vide
Emilie indugiare soprappensiero sul proprio volto riflesso nello specchio della
piccola toeletta e sciogliere con un gesto fluido la chioma bruna raccolta in un
nodo sulla nuca, lasciandola ricadere morbidamente sulle
spalle.
-
Ho sentito dire – proruppe in capo a qualche istante, tentando di squarciare
l’insopportabile tensione – che “Madame” ha in progetto una serie d’incontri nel
suo salotto.
- A
voler essere sincero – Auguste ricambiò brevemente il suo sguardo – Non
m’importa molto delle iniziative di quella megera; finché non interferiscono con
le mie, perlomeno. Dopo quel che è accaduto a causa dei libelli e della loro
imprudente diffusione, tutto ciò che desidero a proposito della Bertie è che si
tenga alla larga da tutto ciò che ha lontanamente a che fare con la nostra
associazione.
Lo
sguardo della donna s’inasprì. Calando pigramente la spazzola sui propri
capelli, scrutò il compagno attraverso lo specchio.
-
Non riesci a pensare a nient’altro – mormorò con voce gelida – Ormai, le tue
trame ai danni del duca stanno diventando una specie di ossessione
insanabile.
Auguste
avvertì la laconica e bruciante rapidità della sentenza percuotergli il volto
come una violenta sferzata, la cui fulminea intensità si diradava lentamente in
lui, lasciandogli addosso un lungo strascico d’angoscia. Una sensazione di vuoto
e di doloroso rimorso, non troppo dissimile da ciò che aveva provato un istante
dopo aver schiaffeggiato Fernand, cristallizzò le sue parole in punta di
labbra.
Tacque
e chinò mestamente il capo, ferito.
-
Immagino sia completamente superfluo – rincarò la dose Emilie – Domandarti di
venire con me.
Auguste
sentì un lampo di collera attraversargli repentino le tempie come una rapida
fitta.
Era
davvero rimasto l’unico, fra tutti, a non rendersi conto che il mondo si
muoveva, che le ore scorrevano ed i giorni s’accavallavano l’un l’altro senza
curarsi minimamente se lui si sentisse pronto oppure no a riprendere a
respirare?
Perché
la manifestazione evidente della sua disperazione, così potente da essere
divenuta l’inevitabile prospettiva attraverso la quale si era rassegnato a
raffrontarsi con la sua vita, suonava così tremendamente assurda agli occhi di
chi contemplava dall’esterno la sua miseria?
Perché
nessuno si sforzava di comprendere o, se non altro, di considerare con lucidità
quel che gli ultimi avvenimenti avevano prodotto in lui?
Non
poté trattenersi.
-
Ti sei già risposta da sola – replicò, tagliente – Punto numero uno: non
metterei piede nel salotto… “culturale” di quella donna neppure imbalsamato. In
secondo luogo, preferirei che tu, Emilie, evitassi con me certe provocazioni
ambigue e che parlassi chiaramente.
-
Tu non ci sei mai – sbottò la donna, con fare requisitorio – Non ci sei per me,
non ci sei per nessuno: completamente assente, preso soltanto da te stesso e dai
tuoi ribelli. Cosa sei in questa casa, Auguste? Chi sei veramente? Te lo sei mai
domandato? Non ho torto a credere che tutto questo, per te, non sia nient’altro
che un insensato pretesto per non restare solo, la notte. Cos’altro
rappresenta?
Questo
no si
disse Auguste. Strinse le palpebre, soffocando un eccesso di dolore, rassegnato
alla cruda consapevolezza di ciò che era diventato. Per Emilie, per Lucien… Per
Fernand, che inutilmente aveva tentato di scavare nel torbido della sua
disperazione.
Emilie
aveva ragione: lui non c’era mai stato per nessuno e soltanto ora si rendeva
conto di quanto non fosse mai stato facile, per lei, fare i conti ogni giorno
con una presenza indecifrabile, sfuggente e profondamente lacerata in mille
frammenti di realtà che continuavano a sfuggirle via tra le
dita.
Un
uomo che non la ama: squallidamente, questo è quanto. Sfiderei chiunque a non
essersene reso conto.
È
dura confrontarsi ogni giorno con una realtà che sembra tramarti contro, ridurti
a mera scenografia dell’impronunciabile tragedia che si consuma dinnanzi ai tuoi
occhi, e poi tentare, senza successo, di ricucire insieme i brandelli e di
donare una parvenza di normalità ed una coerenza a ciò che è irragionevole ed
assurdo per antonomasia.
Ma
io non ho più la volontà né la forza per donare amore o qualunque cosa ne possa
rappresentare un debole surrogato. Non ne sono più capace, se mai lo sono stato:
io non so amare nessuno, tranne me stesso, forse. E Lucien.
-
è… successo così di fresco –
esalò timidamente – Dammi un po’ di tempo per accettarlo. Te ne
prego.
Chi
credi d’ingannare, ancora, tu ed i tuoi pretesti?
-
Tutto questo non penso abbia nulla a che vedere con il nostro rapporto, Auguste.
Io non mi riferisco al particolare di ciò che sta accadendo oggi. Non è questa
la causa né il nodo del problema: c’è sicuramente dell’altro – ribatté duramente
Emilie.
E
tu mi chiedi ora, ora che non sono in grado neppure di guardare lucidamente a me
stesso e decidere cosa fare nel mio immediato, di riprendere in mano un legame
esausto e deteriorato per causa mia e di ingegnarmi a tenere insieme un rapporto
– o qualunque cosa gli somigli?
Auguste
si morse dolorosamente il labbro.
-
Vuoi qualcuno che ti tenga compagnia nelle tue serate? Il mondo è pieno di
damerini da salotto.
Ecco:
puntuale e preciso, il dardo colpisce nel segno. Quando il gioco si fa
difficile, ecco allora che Auguste sfodera prontamente il suo unico asso nella
manica.
Ma
io sto per recarmi al funerale della persona che amavo: il nesso è chiaro, è il
tassello mancante del mosaico che nessuno, nell’ottica ristretta di ciò che
appare dal di fuori, può riuscire a decifrare.
Perché
mi si domanda di affrontare la mia desolazione come un uomo nel pieno delle
proprie facoltà, ora che sono poco più che uno spettro e desidererei soltanto
trovare il modo più indolore per annegare nella mia
disperazione?
-
Vuoi farne una malattia e continuare a ridurre la tua vita ad un mucchio di
macerie? Come preferisci.
-
Un giorno, Emilie! – la rimbeccò Auguste – È trascorso appena un giorno. E tu mi
chiedi di indossare una maschera e di gettarmi tutto dietro le
spalle?
-
No. Ti chiedo solo di non trasformare la tua esistenza in un inferno di rancore
e di rimpianti. Per il tuo bene e di chi ti sta accanto.
Emilie
si lisciò nervosamente la scollatura del pallido negligé, per poi avviarsi con
fare irritato verso il letto matrimoniale.
Auguste
non rispose. Indugiò nella penombra, indeciso se distendersi al fianco della sua
donna e tentare di occultare nel sonno il dolore disperato che gli ammorbava
l’anima, oppure abbandonare dignitosamente il teatro della sua
sconfitta.
Infine,
prese con sé una coperta ed una bottiglia di vino e si raggomitolò di fronte al
focolare, pronto, un’altra notte, ad affrontare privo di alcun supporto, sepolto
nel cumulo di stracci della sua esistenza, la sua personale battaglia con il suo
fantasma.
La
verità era che nulla pareva in grado di donargli conforto. Se anche qualcuno vi
aveva tentato, era stato subito costretto, suo malgrado, a deporre le armi
dinnanzi al muro di orgogliosa insofferenza che lui, Auguste, aveva opposto di
fronte a sé, ed evitare, piuttosto, di essere investito dagli strali di veleno
che costituivano quella sorta di scudo impenetrabile.
Sospirò:
la sua rabbia l’aveva condotto soltanto a maltrattare il giovane Fernand,
incrementando così l’insanabile frattura tra i suoi uomini e umiliando senza
motivo quel ragazzo irruente che – ripensandoci, soltanto ora – non era mai
stato in cattiva fede.
Chinò
tristemente il capo, scuro in volto: era riuscito a travolgere con la sua furia
cieca ed autodistruttrice persino la donna che viveva con
lui.
In
silenzio, Auguste portò la bottiglia alle labbra, assaporando il liquido forte
che gli scaldava il petto e cullandosi nell’illusione che qualche sorso di vino
potesse costituire per lui un blando sollievo. Immobile, seguì pigramente con lo
sguardo la danza ipnotica delle fiamme dinnanzi a sé, lasciando che il calore
del fuoco gli infiammasse le gote.
Qualcosa
scattò nella sua mente. Destatosi all’improvviso, si risollevò in piedi ed
attese, incerto su dove andare, respirando profondamente l’aria secca e
pungente. Senza riflettere, girò sui tacchi e si diresse nuovamente in camera,
rapito dai suoi stessi gesti e dal flebile calpestio dei propri passi sul
pavimento. Lasciò scorrere in un cigolio sinistro l’ultimo cassetto del comodino
dal quale, senza riflettere, estrasse la sua pistola, per poi affrettarsi ad
abbandonare in silenzio la stanza, nutrendo silenziosamente la speranza che
Emilie non si fosse accorta delle sue manovre equivoche.
Si
deterse distrattamente con il dorso della mano la fronte umida. Il freddo
metallo dell’arma che stringeva fra le dita gli aveva trasmesso un brivido
carico di languore lungo la schiena, immediatamente seguito da una violenta
sensazione di vertigine. Allentò la presa: la vista della brace rossastra e
delle fiamme che tremolavano come minuscoli spettri, aveva fatto sì per un
istante che l’orribile visione del sangue s’imponesse con ferocia nella sua
mente. Distolse rapidamente lo sguardo.
Ritornano, puntuali: vecchi fantasmi che
si sovrappongono ad angosce presenti.
Nascondendo
il volto tra le mani, Auguste tentò di recuperare il controllo. Da quando la sua
esistenza era stata travolta dalla guerra civile a Noir Trésor, seguita dal
colpo di Stato che aveva concesso al duca du Lac d’insediarsi al potere in
città, Auguste aveva conservato dentro di sé, come doloroso strascico dei
drammatici eventi vissuti, un’irrazionale e morbosa avversione per le armi ed il
sangue. Ora, il pensiero di quel che stava accingendosi a portare a compimento,
non poteva che rievocare disperatamente in lui l’immagine di Lucien privo di
vita, un rivo di sangue sul collo che colava fino ad inzuppare la
camicia.
Quasi
gli cedettero le gambe, mentre, inebriato, seguitò a percorrere con lo sguardo
il manico intarsiato della pistola, per poi soffermarsi a contemplare per intero
il fulgido, ambiguo splendore dell’arma.
Serrò
le palpebre: doveva
farlo.
Per
lui, forse; per Lucien o, molto più
probabilmente, per se stesso: ogni implicazione era
relativa.
Sarebbe
stato utile a qualcosa? Sapeva che nulla gli avrebbe restituito Lucien, ma la
sua coscienza – o quel che ne era restato – gli suggeriva che, se la morte del
suo amico fosse rimasta ignorata ed impunita, lui sarebbe
impazzito.
Un
mero, egoistico, personale desiderio di vendetta; nulla di eroico o degno di
lode. Nulla, se non l’ennesimo gesto autodistruttivo e sconsiderato di un uomo
distrutto.
Pensi
che sarà più semplice, dopo, guardarti nello specchio al
mattino?
Ho
forti dubbi.
Non
spendere altro tempo in superflue riflessioni. Vinci la tua
paura.
Qualcuno
potrà trarre qualche vantaggio dal mio gesto?
Trascurabile
dettaglio di cui, in questo momento, non m’importa. Non a
me.
Un
amaro sorriso tagliò in due il suo volto, rischiarato appena dalla pallida luce
tremolante; gli occhi grigi lampeggiarono di follia, quando il suo sguardo
afferrò dietro le imposte il movimento di due figure che strisciavano
nell’ombra.
Un
sibilo acuto gli sfuggì dalle labbra; le membra tremanti si contrassero nella
tensione, mentre si accertava che la pistola fosse carica e, in un gesto
divenuto ormai istintivo, tastò all’interno nella tasca, assicurandosi della
presenza del pugnale.
L’una
per difendersi, l’altro per offendere.
Brandì
l’arma dinnanzi a sé ed attese, immobile, dietro l’uscio.
Sento
freddo. Mai freddo come ora. Devo mantenere il controllo: soltanto
questo.
Auguste
serrò le palpebre, stordito dall’orribile rimescolio di sensazioni contrastanti
che gli ribolliva nel petto, il respiro ridotto ad un sibilo ansimante, mentre
discostava il portone con malagrazia.
Immobile,
esaminò le due figure, la pistola stretta dietro la
schiena.
Ce
la puoi fare?
Auguste
scrutò i due uomini dinnanzi a sé, tentando di dissimulare la propria tensione
in una maschera indecifrabile.
Il
più anziano dei due distorse in un breve sogghigno il volto bruno e coriaceo,
solcato dalle rughe e da una cicatrice che gli segnava trasversalmente la
fronte, fino a morire sullo zigomo.
-
Armi e munizioni com’era nei patti, direttamente dal deposito degli sciacalli
del duca – sentenziò il più giovane, che ad Auguste parve poco più che un
ragazzo avido e collerico.
-
Bene – ribatté Auguste con voce piatta.
Pensoso,
lasciò scorrere ancora per qualche istante il proprio sguardo sui due
fuorilegge, soffermandosi sulle else dei pugnali che spuntavano non troppo
celatamente dalle cinture.
Un
sicario che si rispetti non se ne va mai in giro senza recare con sé, per ogni
sfortunata evenienza, qualche ferro del mestiere; specie se va a spasso dopo il
coprifuoco in una città controllata da un altro criminale e si reca a far visita
ad un uomo rispettabile.
Auguste
dovette sforzarsi di camuffare in qualche modo la risata isterica che gli era
salita alla gola.
-
Che aspetti? Tira fuori la somma per la quale ci si è accordati dopo tanta
fatica, e a mai più rivederci.
-
Intanto, prova a chiudere per bene la tua boccaccia – ribatté Auguste – o
rischierai di svegliare la mia donna.
-
Oh, abbiamo una donna?
-
Non osare avvicinarti – gli soffiò Auguste, perentorio.
Mosse
lo sguardo. Troppo
tardi.
Richiamata
dalle voci, immobile all’ingresso della stanza, Emilie fissava sconcertata i
presenti.
-
Auguste, chi diavolo…
-
Torna in camera e sbarra la porta, Emilie – le ingiunse, il volto contratto –
Ora.
-
Ehi, Auguste, quanta fretta! – lo interruppe il più giovane dei due sicari –
Stai sereno: nel caso in cui non abbia con te tutti i soldi, potremmo sempre
chiudere un occhio e, in cambio, prenderci la signora per una
mezz’oretta…
-
Torna dentro, Emilie. Ti spiegherò più tardi – Auguste alzò la voce, gli occhi
venati d’inquietudine – E tu – soggiunse, rivolto al giovane – Cerca di tornare
nell’argomento della serata, se non vuoi ritrovarti a sputare
sangue.
-
Non ci siamo intesi – intervenne il più anziano con fare sospettoso, quando la
donna ebbe abbandonato la stanza – Sarai l’unico a sputare sangue, stasera, se
non ti deciderai a collaborare e se non onorerai il tuo debito quanto
prima.
-
Soltanto un momento – Auguste prese tempo, costringendosi a fissare negli occhi
l’uomo che gli aveva parlato – Siete sicuri che non vi sia stato alcun
impiccio?
-
Noi sappiamo come rimettere al proprio posto i ficcanaso – replicò il vecchio,
scuotendo impaziente la lunga e rada capigliatura ormai ingrigita – A parte un…
piccolo, insignificante contrattempo che, fortunatamente, non ha provocato guai
di sorta, direi che tutto è filato come l’olio.
-
Già. È andato tutto per il meglio. Meraviglioso – sussultando
impercettibilmente, Auguste tentò di farsi ombra con la mano in modo tale da
mascherare una lacrima che era fuggita prepotente che ora gli scivolava lungo lo
zigomo.
-
Bene, Auguste, il necessario per armare i rivoltosi è al sicuro. Ora, fuori i
quattrini.
-
Ho giusto con me – scandì Auguste, lo sguardo circonfuso di un alone di follia –
una quantità piuttosto interessante di belle monete d’argento. Dal valore
approssimativo di cinquecento scudi. Pensa un po’: sono proprio cinquecento! –
ripeté con voce cantilenante ed assorta.
-
Allora, che diavolo aspetti? Tirale fuori, e piantala, una volta per sempre, con
certi giochetti! – lo aggredì il giovane, assestandogli uno
scossone.
-
Che diavolo avete capito?
Lui
stesso si stupì di quanto la sua voce suonasse stranamente
calma.
-
Intendevo, per l’esattezza, un altro tipo di monete d’argento.
Queste.
Auguste
tese rigidamente l’arma dinnanzi a sé.
Intravide
la realtà precipitare davanti ai suoi occhi, caotica e indistinta come in un
sogno confuso, come in un infernale carosello, ma non smarrì la propria
lucidità. Fulmineo, tirò indietro il braccio, cercando di colpire con la canna
della pistola il ragazzo che, dopo lo sgomento iniziale, si era lanciato su di
lui nel maldestro tentativo di disarmarlo. Il giovane riuscì a schivare il
colpo, ma il repentino movimento lo sbilanciò, facendogli perdere
l’equilibrio.
-
Bravo – cinguettò Auguste, sarcastico – Resta pure seduto. Ora, da ragazzo
ragionevole quale sei, da’ qua il tuo pugnale e le altre armi che tieni
nascoste. E tu, nonno – soggiunse, rivolto all’altro – Segui il buon
esempio.
-
Pagherai cara la tua schifosa impudenza, Auguste de la Garde, maledetto figlio
di una cagna! – inveì il vecchio tra i denti.
-
Certo, certo – Auguste tese nuovamente la pistola dinnanzi a sé, mantenendo i
due uomini sotto tiro – Pagherò, come desiderate. Io estinguo sempre i miei
debiti: di me, non potete certo dubitare. Adesso, se lor signori me lo
consentono, si va a fare un lungo giro. Non c’è niente di meglio di una
passeggiata al chiaro di luna, quando gli affari sono andati a gonfie vele, ed
un buon uomo ha tutto il sacrosanto diritto di riposare e godersi i frutti della
propria fatica. È andato tutto per il meglio, non trovate? Salvo qualche
contrattempo lungo la strada, a ben dire: ma nulla cui una stilettata ed una
buona dose di fortuna non sappiano porre rimedio, no? Nulla che un sicario di
professione non sappia sistemare a dovere!
-
Non so cosa tu stia biascicando né cos’altro abbia in mente. Stai molto attento,
de la Garde: sei sempre stato furbo, ma stavolta hai oltrepassato il
limite.
-
Me ne ricorderò senz’altro; ma adesso, preoccupatevi piuttosto di alzare i
tacchi. E niente scherzi.
Ignorando
le minacce e le proteste dell’uomo, Auguste spinse i due oltre la porta, pronto
a seguirli nella notte, mentre, sotto il velo di discrezione che le tenebre gli
offrivano, il suo volto si corrugava nell’impulso della disperazione, e due
fiotti di lacrime roventi gli annebbiavano la vista.
Il
mio cantuccio:
Bene
bene… Finalmente sono riuscita ad aggiornare NT, anche se in tempi un tantino
“biblici” causa impegni universitari.
Ringrazio,
come sempre, tutti i lettori, in particolare coloro che hanno lasciato le loro
recensioni. In particolare:
Mikayla:
carissima, sono contenta che NT sia di tuo gradimento! Ho molto apprezzato la
tua recensione ed i tuoi consigli. Effettivamente, mi capita di tanto in tanto
di rileggere la storia e di correggere e cambiare qualcosina qua e là (dettagli
puramente stilistici, la trama, ovviamente, resta invariata), in quanto capita
anche a me di scoprire qualche frase che “stona” leggermente”… Credo sia tutto
da imputare al fatto che, man mano che si acquisisce dimestichezza scrivendo, lo
stile tende ad evolvere… Beh, in meglio, si spera! Spero che continui a seguire
Noir Trésor e che la storia sia di
tuo gradimento!^^
Poppy:
ti
ringrazio tantissimo per la tua recensione! Sono contenta che i personaggi siano
di tuo gradimento… In particolare, sono molto lieta che Ambrosie ti piaccia: in
effetti, nonostante sia io una ragazza, trovo stranamente più complesso
caratterizzare un personaggio femminile. Dunque, sono contenta di essere, in
parte, riuscita nel mio intendo! Alla prossima!^^
Renovatio:
ti ringrazio tantissimo per la tua recensione, graditissima! Sono contenta che
abbia apprezzato il mio modo di scrivere, nonché i personaggi. Naturalmente, la
trama pian piano si dipanerà ed emergeranno sempre di più le implicazioni
emotive dei vari personaggi… Ed i misteri, pian piano, finiranno per venire alla
luce. Spero che NT continui ad essere di tuo gradimento e che continui a seguire
l’evolversi della storia. A presto!^^