Prima di raccontarvi dei fatti appena accaduti, vorrei parlarvi del mio passato.
La mia era stata un'infanzia difficile
essendo cresciuto in un quartiere povero e malfamato dove non si
riesce nemmeno a comprare un pezzo di pane per potersi sfamare
almeno per un giorno.
Nella mia famiglia ero il più grande
di quattro figli ed ero costretto a vagare per la città,
seppur inutilmente, a cercare qualcosa da fare per poter guadagnare
qualcosina per la famiglia.
Un giorno, dopo aver chiesto in giro
ai negozianti se servisse una mano e ricevuto i soliti rifiuti, mi
stancai e corsi verso i quartieri residenziali.
Non mi resi
minimamente conto che le mie gambe si erano mosse verso quei posti,
finchè non sbattei contro qualcuno.
Era un signore sulla
quarantina, ben vestito e con un bastone da passeggio.
Se ne stava
a massaggiarsi la schiena e si voltò lentamente verso me, con
aria disgustata, per poi riprendere il suo cammino.
Solo in quel
momento in cui si rigirò mi resi conto che aveva un sacchetto
i monete ben in vista.
Sentii il mio cuore accelerare i battiti e una scarica di adrenalina pervadermi tutto il corpo.
“Vai Levi... prendi quel
sacchetto e fuggi così nessuno potrà acchiapparti”
disse una voce dentro di me.
Mi leccai lentamente le labbra e
iniziai a camminare velocemente dietro il signore, allungai la mano e
gli strappai, delicatamente, il sacchetto dalla cintura per poi
girarmi sui tacchi e correre verso un vicolo secondario con la paura
di esser stato visto da qualcuno.
Cosa avevo fatto? Avevo preso
soldi non miei da qualcuno di cui non sapevo nulla ed ero fuggito
come un verme.
Camminai fino a casa con i sensi di
colpa che mi pervasero la mente finchè mia madre non si
illuminò nel vedermi.
“Allora Levi, come è
andata? Oh ma quel sacchetto?” disse sporgendosi per prendermelo di mano e lo aprì per poi impallidire.
“Dove...dove li hai presi? Sono troppi... cioè...”
“Madre,
un signore del quartiere residenziale mi ha preso a lavorare li. Non
sei felice?”
Semplicemente sul suo volto si dipinse un
sorriso e mi strinse in lacrime... non sapendo che era solo una della
lunga serie di menzogne che iniziai a raccontarle.
Da quel giorno
iniziai a recarmi nel quartiere residenziale e iniziai a rubare a
tutte quelle persone così vanitose, egoistiche e avare che non
fanno altro che bearsi del proprio status e deridere di chi è
più in difficoltà di loro, portando il tutto a casa e
mentire ripetutamente che quei soldi erano frutto della mia
fatica...finchè, un giorno, mia madre si ammalò.
Quando
tornai a casa il medico mi disse che dovevo farmi forza e dover
prendere in considerazione l'idea di dover badare io ai miei fratelli
e sorella, la cosa mi devastò non poco, parecchio.
La donna
che mi aveva messo al mondo con il quale ho passato la mia infanzia
si stava spegnendo per colpa di una malattia incurabile e io le avevo
mentito fino a quel giorno.
Non potevo dirle “Sai madre, in
realtà i soldi con la quale siamo andati avanti erano di
altri, io non ho mai alzato un dito se non per strapparli via dalle
loro mani” dopo, mi sarebbe morta di crepacuore.
Così
decisi di non dirle niente, stare al suo fianco e sperare invanamente
che si riprendesse.
Niente di ciò accadde.
“Madre,
sono tornato!” esclamai correndo in camera sua quando mi fermai
vedendo la mia sorellina piangere a dirotto e i fratelli a battere i
pugni sul letto e invocare il suo nome.
“La mamma non si
sveglia Levi! Mamma non si sveglia! Ci abbiamo provato, magari tu ci
riesci... per piacere svegliala!” singhiozzò stringendo
i pugni per asciugarsi le lacrime.
Non potevo crederci... mia
madre era... morta?
No, non era morta, sicuramente dormiva
profondamente e i piccoli non si saranno fatti sentire.
Mi
avvicinai al lettino e iniziai a scuoterla energicamente iniziando a
chiamarla.
Niente, nessuna risposta.
Riprovai scuotendola con
forza e urlando.
Niente di niente, ancora immobile.
Ripresi a
scuoterla con forza e a gridare più forte per farmi sentire e
quasi non mi resi conto delle guance umide.
Mia madre era morta...
e non potevo farci niente.
Mi lasciai cadere in ginocchio vicino
al letto e lanciai un grido di disperazione mentre le lacrime scesero
copiose per riversarsi sul pavimento, portandosi via ogni minima
traccia restante di sentimenti.
Dopo quella volta si susseguirono
situazioni simili... morirono i miei fratelli e in ultimo la mia
sorellina e ciò non mi toccò minimamente.
Ero
riuscito a reprimere i miei sentimenti e a dire “va beh, prima
o poi tutti dobbiamo morire”.
Continuai comunque la mia
solita vita rubando nei quartieri residenziali e iniziai a spendere i
soldi per mio divertimento man mano che crescevo... finchè non
arrivò lui.
Avevo solo sedici anni quando mi imbattei in
LUI.
Erwin Smith, un uomo alto sull'uno e
ottantacinque, capelli biondi e occhi azzurri.
Non sapevo ancora
chi fosse finchè non mi ritrovai, per l'ennesima volta, con la
mano allungata pronto a rubargli i beni che riuscivo.
C'ero quasi se non fosse stato per il fatto che si era girato verso di me, sorridendomi, e mi avesse tirato una ginocchiata in pieno stomaco per poi farmi finire a terra.
Decisamente non era andata come i miei piani quella volta.
Dopo avermi messo ko e essersi ripreso
i suoi soldi, mi sollevò da terra e si incamminò verso
quello che era il vecchio quartier generale dell'armata ricognitiva
senza darmi nessuna spiegazione.
Mi lanciò su una poltrona
e si andò a sedere di fronte a me acavallando le gambe.
“Sai
perchè sei qui?” mi chiese portandosi le mani sotto al
mento, intrecciando tra loro le dita, guardandomi con aria
interrogatoria.
Quell'uomo mi intimoriva parecchio, così
non gli risposi e abbassai lo sguardo.
Perchè ero li?
Avevano scoperto per caso i miei piccoli furti compiuti in questi
anni?
“Ho notato che hai delle capacità. Hai mai
pensato di unirti a noi?” sul volto dell'uomo si fece avanti
man mano un sorriso, come se avesse capito che ero un po' intimorito
da lui.
“C-chi siete? Perchè io?” mi schiacciai
di più contro la poltrona cercando di evitare il suo
sguardo.
“Noi siamo l'armata ricognitiva, ma se sei qui non
è certo per quello. Ultimamente ho notato il tuo modo di
aggirarti nei quartieri residenziali e come agisci. Parlami un po' di
te.”
Presi un profondo respiro e iniziai a
raccontargli la mia storia, tutto nei minimi particolari spinto da un
moto di fiducia che iniziò a crescere man mano per
quell'individuo seduto di fronte a me e che mi aveva perdonato per
aver tentato di prendermi i suoi soldi... perdonato si fa per dire
dato mi aveva solo tirato un calcio per farmi finire a terra.
Mi
fermai dopo esser arrivato a quella giornata e alzai finalmente lo
sguardo per incontrare i suoi occhi sentendo la paura
sparire.
“Capisco... beh, che ne dici allora di allenarti
per poi unirti a noi? Sai, ci farebbe piacere avere una mente fresca
e giovane come la tua... come ti chiami?” socchiuse gli occhi
per allargare nuovamente il suo sorriso e finalmente
tranquillizzandomi.
“Levi...Levi Rivaille signore... e mi
farebbe piacere..” risposi entusiasta come non mai dopo tanto
tempo.
Almeno avrei avuto una “casa” e qualche
amico... ma non fu subito così.
Iniziai l'addestramento e
finii solo per farmi prendere in giro da tutti essendo stato il più
scarso di loro.
Quando era orario di pranzo o cena mi rubavano il
mangiare davanti o me lo rovesciavano addosso.
Non andava bene...
per niente bene, nessuno a difendermi, nessuno a dirmi “Levi,
reagisci, fatti avanti e affrontali”... nessuno.
All'improvviso il senso di apatia e di menefreghismo si rifece avanti, così come era successo dopo la tragica scomparsa di mia madre, e iniziai a reagire alle provocazioni di tutti e anche dei miei insegnanti, finendo spesso con l'esser punito.
Finiti gli anni di addestramento
finalmente avrei potuto scegliere dove andare, così finii per
l'unirmi, come “promesso”, alla squadra ricognitiva.
Ed
eccolo che mi venne vicino l'uomo che mi aveva tolto dalla strada,
con un'espressione seria in volto, a congratularsi con tutti coloro
che avevano scelto di far parte della sua squadra per avercela fatta
a sopportare i duri allenamenti a cui erano sottoposte le
reclute.
“Mi chiamo Erwin Smith e da oggi starete tutti
sotto i miei ordini. Chi proverà solo a non fare ciò
che gli verrà detto, verrà severamente punito... e non
sto scherzando.” esordì per poi voltarsi verso di me per
farmi capire che non ero un'eccezione nonostante la sua bontà
di cuore.
E man mano il mio percorso si fece in salita, iniziai a
farmi rispettare e cercai di non mettere i piedi in testa ai miei
superiori e, quando ci provavo, finivo per esser ridotto in fin di
vita davanti a tutti dal comandante Erwin.
Iniziai a rispettarlo
ancor di più e, dopo anni passati con lui, finii per diventare
il suo braccio destro.
Selezionai gli uomini basandomi sulle
capacità dei vecchi compagni di addestramento e su quelli di
Erwin, così misi su una delle squadre più spettacolari
e forti che c'erano a difendere l'umanità.
Gli anni
passarono, le spedizioni andarono a finire con gli stessi risultati,
perdita di soldati valorosi che combatterono per l'umanità e
per cercare nuove informazioni su quei predatori tanto crudeli. E
arrivò il giorno in cui nuove reclute si unirono a noi, tra
queste spiccava un ragazzo dalle doti particolari, il potersi
trasformare in uno di loro.
Mi colpì sin da subito la sua
determinazione nel voler sterminarli tutti i titani e rendere
l'umanità libera da quella condanna, così decisi di
prenderlo in mia custodia dopo esser riusciti a “ottenerlo”.
Dopo un po' di tempo, quello giusto per
far si che si calmassero le acque per la storia che Eren riuscisse a
trasformarsi in un titano, ci organizzammo per la spedizione fuori
dalle mura e andammo.
Tutto era calcolato nei minimi dettagli e di
certo qualche titano bizzarro non poteva di certo farci qualcosa...
finchè non apparve lei.
Non era un titano qualunque, era un
titano donna che possedeva una velocità straordinaria e la
capacità di “congelare” qualche zona del corpo per
difendersi dagli attacchi.
Eliminò uno ad uno i nostri
compagni mentre noi continuammo a galoppare verso la foresta.
Ormai
era in pugno, ce l'avevamo quasi fatta a scoprire chi c'era
all'interno.
Infondo era tutto calcolato, ci seguì
all'interno e, dopo un po' di percorso, la bloccammo.
Lasciai
l'ordine ai miei uomini di andare avanti e proteggere a tutti i costi
Eren, ci serviva vivo il novellino, così affiancai Erwin in
attesa dell'ennesimo colpo immobilizzante e andai.
Era stata
capace di eliminare una buona parte di noi con tanta facilità...
doveva pagarla... ma i piani cambiarono, lei urlò e attirò
altri titani a sé per farsi divorare...almeno così
maggior parte credeva.
Era scappata, la donna all'interno di quel
mostro era scappata ed era stata anche abbastanza veloce, così
decidetti di cercare la mia squadra.
Il resto non lo so... so
soltanto che si era sentito un grido familiare e capii che qualcosa
non andava e mi dirigei verso quella voce... Eren si era trasformato,
segno che il titano donna era li dai miei uomini.
Cercai di
individuare la direzione e la seguii con molta facilità,
finchè davanti ai miei occhi non si presentò una scena
raccapricciante.
Scie di sangue e quattro corpi senza vita in pose
innaturali per chiunque erano sparse vicino ai alberi.
Non mi
aveva mai turbato la morte di qualcuno, infondo ci ero abituato fin
da bambino a queste cose... almeno non fino a quel momento.
Erano i miei compagni di squadra, di
addestramento e di combattimenti contro quei predatori tanto
crudeli... non poteva esser vero.
Erano diventati miei amici, chi
molto più e chi meno, però erano come una famiglia per
me, quella famiglia che avevo perso e di cui le sensazioni avevo
dimenticato.
Passai prima davanti a Gunter... davanti a Erd....
Auruo e infine mi soffermai su un'albero e li, sotto di me, vidi
Petra.
Petra... mi era sempre stata vicina nei momenti di bisogno,
pronta a darmi una mano se gliela avessi chiesta o se ero stanco
pronta a prendersi lei le responsabilità per farmi rilassare
quei cinque minuti.
I suoi occhi spenti sembravano guardare verso
di me, come se prima di morire sapesse che mi sarei fermato li, le
labbra dischiuse pronte a pronunciare le sue ultime parole... ma non
ce l'aveva fatta.
Abbassai lo sguardo e strinsi i pugni per
reprimere per l'ennesima volta i miei sentimenti, inutili e futili
sentimenti che non servivano a niente in queste situazioni.
Dopo
tanto tempo mi risalì tutto e velocemente, passandomi la mia
vita come in un lampo, rivivendo in un'istante il mio passato fino a
quei giorni.
Mi lasciai cadere in ginocchio sul ramo dove mi ero
fermato e iniziai a gridare con tutto il fiato in corpo.
Come era possibile che i miei uomini
più valorosi fossero morti?
No, non era possibile, stavano
dormendo vero?
Già, come mia madre quando ero un bambino,
se sarei sceso e avrei scocco Petra si sarebbe svegliata vero?
Così
scesi e le andai vicino stringendola tra le mie braccia.
“Petra...
Petra ti prego, svegliati..” sussurrai al suo orecchio
continuando a scuoterla piano-
“Petra... è ora di
svegliarsi dai... dobbiamo andare... svegliati..” niente, non
voleva riaprire gli occhi, la scena si stava ripetendo.
La
strinsi di più a me e la guardai nei suoi occhi vitrei non
volendo ancora accettare la rassegnazione.
La appoggiai a terra e
iniziai a scuoterla con più forza chiamandola con tono più
alto di voce.
“Petra! Non è ora di dormire, dai
alzati! Dobbiamo andare..” nulla da fare, era tutto inutile.
Le
lacrime iniziarono a scendere e caddero sul viso pallido della donna
ai miei piedi, quella donna che era stata sempre così speciale
per me.
“Petra, ti prego alzati! Non puoi lasciarmi solo!”
mi lasciai cadere al suo fianco e le presi la mano avvicinandomi con
il volto al suo.
“Petra... io ti amo... non farmi prendere
certi spaventi ti prego... svegliati...” niente di niente.
Mi
morsi il labbro a sangue e passai delicatamente la mano tra i suoi
morbidi capelli continuando a gardarla negli occhi.
Avvicinai pian
piano le labbra alle sue fino a congiungerle e le chiusi gli
occhi.
“Petra... ti ho amata davvero... chi ti ha fatto
questo la pagherà...” sussurrai sulle sue labbra e mi
alzai asciugandomi gli occhi con il dorso della mano.
Petra era
morta, e la colpa era mia che non ero li con loro... dovevo fare
qualcosa... così mi diressi verso l'unico ancora vivo della
mia squadra, Eren, nella speranza di salvare almeno lui.
E'
passato un mese da quell'incidente, chiamandolo così, e ancora
oggi, ripensando a ciò che era successo... non posso fare a
meno di andarmi a nascondere nel mio ufficio e lasciarmi andare alla
tristezza della perdita delle persone che erano diventati come
fratelli... e della mia amata..