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Autore: suni    09/03/2008    11 recensioni
Insomma, Ronald Weasley era un ragazzo che aveva formulato più tipi di ipotesi, anche variegate, per il proprio futuro. Ma nessuna, nemmeno la più strana, di tutte quelle immagini proiettate nel domani aveva previsto la realtà. In nessuno dei suoi futuri ideali Ron s’era mai immaginato come comproprietario e cogestore di un negozio di scherzi. Perché quello…
Quello non era il suo posto. Semplicemente.
(Spoiler 7° libro)
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Weasley, George Weasley, Harry Potter, Hermione Granger
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Hermione

Salve a tutti.

Mi dispiace molto per la lentezza. Al momento sono estremamente avvinta da un progetto malsano che mi ha letteralmente assalita all’improvviso e non posso farci alcunché.

Comunque, spero porterete pazienza. Vi lascio, nel frattempo, con i Weasley acquisiti.

Buona lettura.

suni

Hermione

Hermione aveva il sabato libero, ma Ron avrebbe ovviamente dovuto lavorare, nel weekend, perché era il momento della settimana in cui l’affluenza dei clienti era più massiccia. Per questo, se non aveva nulla da fare, lei passava almeno due o tre ore a dargli una mano. Finivano per trovarsi, ad un certo punto della giornata, tutti quanti ai tiri Vispi: lei, il suo maritino, Gin e persino Harry.

A quel punto George, al piano di sopra, sentiva le chiacchiere e le risate – così pensava lei – e scendeva a salutare, offrendo a tutti qualcosa da bere o uno spuntino cui solo Ron non prendeva parte quasi mai, assorbito dall’attività lavorativa. Allora il fratello lo prendeva da parte e gli diceva di andarsi a fare un giro con gli amici, chè al negozio ci avrebbe pensato lui.

Era l’unico momento della settimana in cui George Weasley rimaneva da solo nella bottega che aveva fondato insieme a Fred. Ma Ron non riusciva mai a star fuori molto e finiva per tornare indietro quasi sempre dopo meno di un’ora, nervoso e agitato. Hermione lo guardava andar via trafelato, facendosi largo tra i passeggiatori con la sua stazza imponente.

Sapeva che suo marito non amava particolarmente quel lavoro, ma lo sosteneva in ogni caso per la scelta compiuta, dimostrazione di un inaspettato altruismo.

I gemelli erano stati i fratelli prediletti di Ron, anche se litigava furiosamente con loro. George, in particolare – meglio così, si diceva Hermione con un conseguente moto di colpevolezza – era il suo preferito, forse anche per la faccenda dell’orsacchiotto tramutato in ragno gigante da Fred e tutte le altre fesserie che tutti insieme avevano combinato da bambini. George era anche stato il fratello delle confidenze, più di Fred. Poteva sembrare un gesto suicida quello di confessare i propri segreti a George Weasley – a lei lo sembrava – dal momento che ad ogni frase seria che gli si rivolgeva lui replicava con motteggi e prese in giro, ma evidentemente Ron trovava qualcos’altro al di là, qualcosa che a lei non risultava del tutto evidente perché non era accanto a loro dalla nascita: probabilmente Ron sapeva leggere meglio di lei tra le righe delle parole di George. In ogni caso, tutto questo faceva parte del passato, perché adesso era già molto se il gemello emetteva qualche monosillabo di tanto in tanto, figurarsi scherzare: era proprio fuori discussione.

Comunque fosse, Ron non era stato capace di stare a guardare il gemello rimasto che si lasciava morire; qualcosa dentro di lui si era ribellato, ne aveva anche parlato con lei decine di volte, tormentandosi nell’indecisione. Non ce l’aveva fatta a non fare niente, e in un automatismo involontario s’era calato nel ruolo che gli avrebbe permesso in qualche modo di fargli da punto d’appoggio, di essere una presenza costante: quello di Fred.

Hermione lo capiva, non era sicura che fosse proprio la cosa migliore ma capiva: aveva fatto la prima cosa che l’impulso gli avesse suggerito. Del resto Ron era sempre stato molto testardo, loro due litigavano da anni per questo. Ma questa volta era diverso, ed Hermione lo aveva semplicemente appoggiato: forse quella non era una soluzione brillante, ma non ce n’erano altre.

Lo seguì con lo sguardo, mentre si allontanava.

“Oggi tirava una brutta aria, no?”

Si voltò verso l’amico tornando bruscamente alla realtà. Harry si stava sistemando gli occhiali sul naso e la guardava con composta educazione, come quando a scuola diceva un parola di troppo e la osservava in silenzio, con l’aria di sperare che magari lei non l’avesse sentito.

“Dici in negozio?” chiese Hermione, girando il cucchiaino nella tazza di tè. “Hanno cenato fuori, due sere fa, e Ron ieri era piuttosto di cattivo umore,” ammise, mentre Ginny si riavvicinava con un ondeggio dei capelli rossi.

Scones, burro e marmellata, la merenda dei campioni!” esclamò con un sorriso, appoggiando un piatto stracolmo sul tavolino. “Peccato che mio fratello sia già scappato via,” aggiunse, lasciandosi cadere sulla sedia accanto ad Harry.

“Immagino che ci vorrà un sacco di tempo, no?” continuò Harry, afferrando un dolcetto con bramosia. “Perché inizi veramente a…non so cosa. Voglio dire, a parte versarci dei gran succhi di zucca quando andiamo a trovarlo non è che faccia molto nel resto delle sue giornate,” commentò, incerto.

“George fa del suo meglio,” intervenne Ginny sulla difensiva, comprendendo immediatamente quale fosse l’abusato oggetto della conversazione e inserendovisi con naturalezza. “Non è facile. Per nessuno,” precisò, incupendosi.

Hermione si affrettò a spalmare del burro sul proprio scone, annuendo frettolosamente.

“Certo,” confermò, risoluta. “Lo abbiamo visto tutti, no?” aggiunse, mentre Harry la appoggiava con un cenno affermativo del capo e allacciava una mano con quella della fidanzata. “Ma credo che l’altra sera sia successo qualcosa. Merlino, Ron era terrificante, ieri mattina,” commentò ancora, stancamente.

Ginny si voltò verso il Harry mordendosi un labbro.

“Magari potresti parlarci tu,” suggerì.

Hermione trattenne a stento un sorriso, nel vedere il volto del migliore amico tingersi di panico. Harry non era mai stato un grande conversatore, e per quanto la fortuna e la temerarietà non gli mancassero, sul campo, non era invece un asso nei rapporti interpersonali.

“Con George?” borbottò, decisamente a disagio.

“O con Ron,” interloquì lei seria.

“Per dirgli cosa?” biascicò Harry impacciato, appiattendosi la frangia sulla fronte in quel gesto nervoso che faceva ormai parte di lui.

Hermione sbuffò, esasperata, scambiando un rapido sguardo condiscendente con Ginny.

“Ehilà, Ron, come va con tuo fratello?” ipotizzò, ironica.

Harry addentò il suo dolce, prendendo tempo. Lei tamburellò le dita sul tavolo, paziente. Possibile che quel ragazzo avesse potuto affrontare Voldemort con una certa padronanza di sé e si trovasse invece in difficoltà davanti alla prospettiva di una semplice chiacchierata col proprio migliore amico?

Ron aveva bisogno di una mano, ne era certa. A lei ne parlava raramente, perché era la sua donna e lui era molto orgoglioso e non amava mostrarsi debole ai suoi occhi, ma era sicura che necessitasse di appoggio. E Harry era la persona giusta per fornirglielo.

Harry

Harry Potter ne sapeva qualcosa, della morte. E anche dei lutti e del loro insormontabile dolore. Ne sapeva molto più di un’infinità di altre persone, perché la maggior parte di coloro che lo avevano amato se n’erano andati in maniera, per così dire, non propriamente naturale.

Un sacco di gente, tra i suoi pur scarsi detrattori, gli rinfacciava di essere un prepotente e un maleducato e se un tempo, quand’era ragazzino, se la prendeva per questo, ormai si ritrovava a stringersi nelle spalle con un certo assenso, anche se riteneva che ciò non fosse del tutto esatto.

Non era maleducato: era ineducato. E non era colpa sua, a voler essere proprio precisi: non aveva chiesto lui di essere allevato da una famiglia che lo odiava e che si disinteressava completamente a lui se non per angariarlo. Di fatto, Harry Potter non era mai stato educato realmente da qualcuno: suo padre e sua madre erano stato uccisi quando aveva un anno, abbandonandolo nelle mani incapaci e ostili degli zii.

La sua successiva figura paterna, sopravvenuta quando ormai era comunque troppo tardi per dargli una vera formazione, non aveva avuto poi un gran tempo da investire nell’insegnargli come ci si comporta in pubblico o quale atteggiamento avere in occasioni ufficiali; probabilmente Sirius avrebbe saputo giostrarsi perfettamente in un pasto in cui fosse necessario usare otto posate – da bambino dovevano averglielo insegnato – ma di sicuro farlo imparare a lui non era stato uno dei motivi principali per cui era evaso. Ad ogni modo, era stato troppo impegnato a seminare i Dissennatori, mangiare ratti e rinfacciarsi il passato per dedicarsi alla sua educazione, e di certo il fatto che non potessero vedersi praticamente mai e non fosse prudente che si scrivessero spesso non l’aveva aiutato nel suo incarico di padrino. E poi se n’era andato, anche lui, in quell’orribile notte all’Ufficio Misteri. A volte Harry si sorprendeva ancora a chiedersi se magari non sarebbe tornato indietro, pur sapendo per certo che non poteva accadere. Era strana, la morte.

Silente aveva avuto un’intera scuola da mandare avanti, oltre all’Ordine della Fenice, e per quanto avesse dedicato a lui una cura particolare, non aveva avuto esattamente il tempo per educarlo espressamente; cercava piuttosto di farlo rimanere in vita abbastanza a lungo da poter affrontare Voldemort. E Harry aveva visto morire anche lui. Un altro ricordo che non avrebbe potuto rimuovere.

L’ultimo e il più adatto al ruolo di suo “genitore” avrebbe anche potuto ricoprire questo incarico educativo, e quand’era stato suo professore ad Hogwarts Harry aveva realmente imparato qualcosa; ma il pregiudizio e l’odio l’avevano allontanato inesorabilmente, la guerra aveva occupato tutto il suo tempo e si era infine portata via anche lui, lasciando peraltro un altro orfano sulla terra: anche Remus era morto, alla fine, e a Harry ancora sembrava di sentire la sua voce pacata, qualche volta.

Sì, decisamente, della morte ne sapeva qualcosa.

Quindi, dopotutto, poteva anche essere la persona adatta ad occuparsi del problema Weasley; anche perché quelli erano i suoi più cari amici, la sua famiglia.

Voleva bene ai gemelli. Aveva un’infinità di ricordi così divertenti, legati a loro. Merlino, c’erano così tante memorie che lo riportavano a loro, che quasi si accavallavano: gli scherzi a Percy, i sogghigni durante gli allenamenti fanatici di Oliver, le battute ironiche all’epoca della Camera – né Fred né George avevano dubitato di lui per un solo istante – il giorno in cui gli avevano regalato la Mappa, i loro sorrisi increduli e riconoscenti quando aveva consegnato loro il malloppo dopo il Tremaghi, l’epica uscita di scena con la Umbridge. Anche nei momenti più cupi e terribili degli anni di lotta a Voldemort, Fred e George avevano conservato la capacità di far sorridere e infondere speranza. Le loro parole alla radio erano state una luce amica durante la tremenda ricerca degli Horcrux, quando lui, Ron e Hermione si nascondevano dai Mangiamorte.

A modo loro erano stati degli eroi, e ne avevano pagato il prezzo. E adesso il volto vacuo e disperato di George gli faceva male, a guardarlo. Una rabbia sorda e impotente lo invadeva di fronte a quel viso vinto dal dolore. Perciò si sentiva in dovere di fare quanto fosse nelle sue possibilità per venirgli in soccorso; a lui e a tutta la famiglia, perché i Weasley, tutti, soffrivano con George e per lui, ed Harry stesso sentiva la mancanza del suo sorriso.

Ma era ugualmente estremamente nervoso quando, quel martedì sera, si presentò ai Tiri Vispi per proporre a Ron di bersi una burrobirra con lui e cenare insieme, perché le ragazze avevano deciso – in realtà proprio per lasciarli soli – di passare una serata al femminile.

Ron – purtroppo? – aveva accettato con entusiasmo la proposta e Harry si era trovato incastrato in una lunga chiacchierata che non era riuscito a godersi davvero, perché continuava a meditare sull’argomento che avrebbe dovuto introdurre di lì a poco e che seguitava a ritardare.

Alla fine, stanco dell’attesa, preferì farla finita. Mentre Ron, immerso in un dettagliato resoconto del suo ultimo litigio con un fornitore, s’infervorava nel precisare tutte le colpe di quest’ultimo, Harry, con le delicatezza che gli era propria, posò il bicchiere e prese fiato.

“E dimmi, come va con George?” chiese, non molto diplomatico.

Ron s’interruppe di scatto e distolse lo sguardo, con una smorfia.

“Bene. Cioè, normale,” farfugliò, con innegabile dispiacere. Quindi sopirò, scompigliandosi i capelli rossi. “Sai, amico, ultimamente gli sono venute strane idee,” aggiunse, controvoglia.

Harry si sistemò gli occhiali, attento.

“Di che genere?” domandò, cortese.

“Parla di vendere il negozio,” spiegò Ron, desolato.

Harry lo vide serrare le labbra con rammarico, e si grattò una guancia.

“Per fare che?” lo interrogò, perplesso.

Ron scosse la testa, impotente.

“Niente. Stare sdraiato nel letto a guardare il soffitto, presumo,” sibilò, stizzito. “Ha tirato fuori la scusa che a me questo lavoro non piace e che vorrei fare l’Auror e…”

“Potrei farti entrare, lo sai,” lo interruppe Harry bonariamente, buttando giù un sorso di burrobirra. “Posso metterci una buona parola e tu avresti un pos…” proseguì, di slancio.

“Non è questo il punto,” scandì Ron irritato. “E non voglio che sia tu a farmi avere un posto da nessuna parte. Non è per questo che sono tuo amico. Ti sto parlando di George, non di me,” continuò, incrociando bruscamente le braccia sul tavolo.

“Va bene, va bene,” ribatté Harry, vagamente risentito. “Tu che cosa gli hai detto?” continuò, magnanimo, ritenendo più saggio non assecondare l’arrabbiatura dell’amico.

“Che per me è ok lavorare con lui, e non c’è problema.”

“Gli hai detto proprio così?” proseguì Harry, aggrottando appena la fronte.

“Sì,” confermò l’amico, annuendo vigorosamente.

“Molto convincente, Ron,” commentò Harry, atono.

L’altro lo guardò storto, prima di sbuffare.

“Tanto non mi stava nemmeno a sentire,” borbottò per giustificarsi, arrossendo leggermente. “Lui sta gettando la spugna, questo è quanto,” continuò, con voce bassa e addolorata.

Harry annuì, assorto.

Forse Hermione aveva avuto ragione, senza saperlo, a pensare di coinvolgerlo.

“Potrei parlargli,” affermò, indeciso.

“Tu?” osservò Ron scettico. “E perché ti dovrebbe dare retta?”

Harry sospirò, esitando a parlare. Non amava rivangare l’argomento con l’amico, perché si trattava di un problema delicato di cui lui aveva sofferto molto. I Weasley erano stati davvero molto poveri, quando i ragazzi erano piccoli. Alla fine sbuffò, appiattendosi nervosamente i capelli.

“Ti ricordi il fatto del Torneo Tremaghi, no?” iniziò, prendendola per le lunghe. “Io l’ho vinto e ho avuto tutti quei soldi di premio e poi li ho dati a Fred e George,” raccontò a disagio, distogliendo lo sguardo. “E’ con quei soldi che hanno aperto i Tiri Vispi e…, penso lui si senta ancora un po’ in debito con me,” aggiunse, borbottando.

Sollevò finalmente lo sguardo, e come temeva Ron aveva una smorfia imbarazzata e un po’ contrita.

“Sì, se non fosse stato per te…” brontolò a disagio. “E’ stato un gesto molto…” esclamò con fervore.

“Oh, piantala,” lo interruppe lui deciso. “Io non li volevo, e a loro servivano. Non te ne sto parlando per farmi complimentare, lasciamo perdere,” continuò velocemente, imbarazzato. “Il punto è che magari a me George darà retta, per via di quella faccenda,” osservò, più pacato.

Ron lo guardò fisso, esitando con aria cupa.

“Lo faresti davvero?” mormorò, incerto.

“Certo,” rispose Harry sicuro, annuendo con risoluzione.

____________

Grazie a tutti coloro che hanno letto, preferito, commentato. In particolare:

Doremichan: Grazie. In effetti doveva essere drammatico, non penso che nella testa di George ci possa essere qualche pensiero particolarmente felice, a questo punto delle vicende. Che dire…spero di continuare a sorprenderti.

Dragonball93: Merlino, non pensavo di provocare un simile spargimento di lacrime. Quasi mi sento in colpa. Capisco la frustrazione per la morte di Fred, anche a me succede con un paio di personaggi. JK riesce a far fuori la gente con una facilità incredibile e in modi talvolta discutibili. Ma è il suo mondo, no? Adesso ho capito che tu e lilla vi conoscete, sul momento non mi era chiara la concordanza di nomi e nick. ^__^ Ed eccoti il nuovo capitolo.

Elly: Oooh, carissima… Che dire. Grazie per tutta questa attenzione che mi porti. Quanto alle “fazioni”, per cominciare, penso che resteremo a questo punto morto in ad un’analisi fatto quando a vent’anni, riguardando indietro mi sembra di poter inserire Ron e gli altri in una “fazione”. Penso che per Harry il discorso sia diverso proprio perché non è cresciuto tra maghi e certi automatismi gli saranno sempre preclusi – e va bene così. E poi Harry… Cioè, Harry è un tipo strano, povero. Io l’ho sempre visto come una specie di disadattato, bonariamente (e spero che ora non verrò lapidata dai lettori per questo). Insomma, il termine fazione indica una divisione netta che ai miei occhi esiste. Passando al capitolo-George, e conseguentemente a George-Fred (il trattino NON implica pairing), capisco che forse l’atteggiamento del sopravvissuto possa parere eccessivamente tragico, ma a me è venuto così. E’ che io non vedo i gemelli come due persone veramente autonome. Cioè, sono ragazzi in gamba, forti, pieni di personalità, ma hanno un legame estremamente preferenziale. Fanno tutto insieme: la scuola, il Quidditch, la fuga, il negozio, la radio…tutto. Fanno discorsi parlando come se fossero una sola persona. Non che li reputi identici. Ho sempre avuto l’idea che George sia in qualche modo il meno “leggero”, anche se di pochissimo, rispetto a Fred, e ho scoperto di recente che non sono l’unica. Quindi, ecco, tutto ciò per dire che in base all’idea che mi sono fatta di loro e alla mia esperienza personale in fatto di gemelli, una perdita del genere è qualcosa di devastante, insanabile. Quanto al resto, sì, Lee comparirà in prima persona e avrà anche una certa influenza sulle vicende. E non dico altro per non anticipare. Grazie ancora, e terrò comunque a mente quel che dici. C’è sempre tempo per cambiare qualcosa. A presto.

lilla4eve: carissima mailatrice e fan assidua, eccoti finalmente il capitolo da te tanto atteso. Mi dispiace averci messo tanto ma, come illustrato a inizio pagina, mi è piovuta tra capo e collo un’idea calamitante. Trovo estremamente commovente il tuo shock e lo stato di prostrazione in cui lo scorso capitolo ti ha precipitata, ma non voglio far soffrire così i miei lettori. Spero che questo nuovo capitolo, dai toni un pochino più leggeri, sia stato meno traumatico. Ti vedo veramente sconvolta. Allora: tralasciamo l’argomento JK che potrebbe portare solo a brutte conclusione, tralasciamo l’antipatia per Harry (condivisa) e passiamo, dunque, ai Weasley. Penso che la loro oppressività sia qualcosa di cui non sono consapevoli, un modo per reagire al dolore e aggrapparsi a cosa resta loro. Non è facile saper aiutare una persona che amiamo quando soffre molto, soprattutto se anche noi stiamo soffrendo. Spesso si commettono errori nella convinzione di far bene, ed è quello che sta avvenendo. In un primo momento la vicinanza degli altri Weasley ha fatto bene a George, ma il suo malessere non si è attutito, in compenso lui si è sentito logorare dalla loro costante ingerenza nella sua vita. D’altra parte loro, vedendo la situazione migliorare così poco, hanno decuplicato gli sforzi per aiutarlo. E’ una specie di circolo vizioso, ma non darei veramente delle colpe a qualcuno. In ogni caso, ecco, grazie per essere così entusiasta del mio lavoro. Spero continuerai ad apprezzarlo.

EDVIGE86: Ciao. Sono perfettamente d’accordo sulla tua analisi dell’esasperazione per la troppa vicinanza e sul legame tra Ron e George. Ho la medesima sensazione in merito e per questo ho voluto approfondirla con questa storia. Inoltre ti ringrazio molto per aver apprezzato il mio modo di trasmettere i sentimenti del gemello, non è stato molto facile. E grazie anche per la comprensione riguardo alla lentezza. So che a volte è fastidioso dover aspettare ma del resto ognuno ha i suoi tempi. Spero che la lettura continui ad aggradarti.

Seiryu: Già. Il “non ho potuto salutarlo”(-arla, nel mio caso) è un pensiero che devasta ancora i miei sonni, a volte. Penso che per George debba essere una cosa mostruosa. Non è un pensiero molto sensato – il fatto che una persona sia morta significa cose ben peggiori della mancanza di un saluto – ma credo sia perfettamente naturale. Rende la perdita più acuta e più violenta. Capisco anche l’irritazione verso certi atteggiamenti dei Weasley, che però agiscono in completa buona fede. Il lutto è una cosa complicata, no? Insomma, grazie…ma hai veramente una hit dei miei pezzi migliori? ^__^

Akira14: …ehm. Non era mia intenzione prenderti a pugni. Chiedo scusa. ^__^ dunque, non vedo proprio cosa aggiungere a quello che hai scritto. La tua recensione mi ha davvero fatto molto piacere perché hai colto esattamente gli aspetti su cui volevo porre l’accento ed è stato molto bello scoprire in chi legge una comprensione così piena di quel che avevo scritto – soprattutto considerando che non sono esattamente Eco (con cui mi scuso sentitamente per il paragone azzardato e del tutto ironico nei miei confronti. Sul serio, Grandissimo, non si inquieti). Ecco, tutto ciò per dire che mi lusinghi. E che spero di non aver deluso con questa nuova parte relativa ai familiari “acquisiti”.

Cialy: Aaah, la tRow… Musica per le mie orecchie. Amo, amo, amo, sempre lo ripeterei. Dunque. Tu puoi prenderti tuuutto il tempo che vuoi. Sempre (violini in sottofondo). Che altro… beh, sono contenta che l’analisi mentale di George ti sia piaciuta ed è vero che si, mi sono concentrata sulla sua immobilità fisica e psichica, che vanno di pari passo. Quant’è vero ciò che affermi sulle deprimenti scelte di colei… A presto.

Grazie a tutti i lettori

suni

   
 
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