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Autore: Niere    03/09/2013    1 recensioni
Livia e Gianluca, in passato, erano una coppia affiatata, ma la vita li ha cambiati e tutto ciò che è rimasto del loro amore è un bambino di quattro anni e tanto rancore. Il rancore però annebbia la ragione ed entrambi si ritroveranno a mettere in dubbio le scelte fatte, le loro convinzioni e i loro sentimenti.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La verità fa male - POV Livia

Gianluca mi osservava come se fossi atterrata da uno strano pianeta. Non volevo preoccuparmene, dovevo concentrarmi sul non perdere l’ equilibrio. Fino a poche ore fa, l’ idea di bere per dimenticare i miei problemi sembrava fantastica, ma solo in quel momento mi resi conto di aver fatto una sciocchezza. Controllare il mio corpo, le mie emozioni era difficilissimo. La mia vista era un po’ appannata, lo stomaco mi si rivoltava contro e, per terminare in bellezza, tutta la mia tristezza stava riaffiorando più forte di prima. Avevo deciso di bere per staccare la spina per almeno qualche ora, perché quello che avevo scoperto mi aveva turbata: Michela mi aveva confessato che Gianluca ed Eleonora si erano frequentati, lo scorso inverno, e che la relazione era durata qualche settimana. Lo avevo sempre sospettato, ma averne conferma mi faceva male, mi faceva sentire tradita e lasciata alle spalle. Forse ero addirittura gelosa, ma non ne ero del tutto certa. Forse ero una grande egoista, forse ero gelosa, o forse non ero ancora pronta a perdere Gianluca in maniera definitiva. La verità era che quel maledetto incidente mi aveva fatto vedere le cose in modo diverso: ero certa che la mia vita senza lui sarebbe stata quasi impossibile, ma non riuscivo nemmeno a dimenticare tutti i litigi, tutte le incomprensioni, le notti passate a piangere, in silenzio. Ero in un limbo, indecisa sul da farsi.
Gianluca mi scortò fino alla sua macchina, mi aprì lo sportello e disse: “Devo avvertire Andrea che ce ne stiamo andando via. Mi prometti che aspetterai qui?”.
Annuii e presi posto in macchina. Mi abbandonai al sedile e chiusi gli occhi, sperando di dare un po’ di sollievo alla mia testa. Dopo un arco di tempo che mi sembrò interminabile, Gianluca salì in macchina e mise in moto, diretto verso casa mia. Il viaggio fu particolarmente silenzioso, lui era perso nei suoi pensieri, io tentavo di fuggire inutilmente dai miei, mentre calde lacrime mi rigavano il volto.
Arrivammo a casa mia. Gianluca parcheggiò, uscii dalla macchina e aprì lo sportello del passeggero. Mi porse la mano: “Ce la fai a camminare per qualche metro?”.
Mi poggiai a lui e uscii dalla macchina. Mi guardò apprensivo, studiò il mio volto bagnato dalle lacrime, ma non disse nulla. Aveva perso la parola? Il suo comportamento iniziava ad infastidirmi. Mi scortò fino al portone, dove cercai di estrarre le chiavi dalla borsa. Un’ azione facile, che ripetevo almeno tre volte al giorno, ma che in quel momento era complicatissima. Gianluca, un po’ spazientito, mi tolse la borsa dalle mani e, dopo aver rovistato un po’, estrasse le chiavi. Aprì e salimmo lentamente le tre rampe di scale. Arrivati al mio pianerottolo, dovetti sedermi su uno scalino, mi girava la testa e con lei le ombre, la luce al neon, la porta blindata, l’ immagine di Gianluca. Aprì la porta e mi sollevò di peso: “Meno male che sei abbastanza leggera, altrimenti ti avrei lasciata tutta la notte sul pianerottolo.”.
Mi fece sdraiare sul letto, mi sfilò le scarpe e infine gli orecchini neri. Dopo si mise seduto, accanto a me e disse: “Ti è presa la sbornia triste… Mi vuoi dire cosa è successo?”.
Cercai di sollevarmi, molto lentamente. Lo guardai dritto negli occhi e replicai: “C’è che adesso conosco la verità. So di te ed Eleonora. Sei stato con lei anche prima che ci lasciassimo?.”.
Mi sorrise, ma il suo era un sorriso preoccupato: “No… solo dopo la nostra rottura, ma sono stato con lei solo per ripicca nei tuoi confronti e per dimostrare a me stesso che potevo andare avanti anche senza di te.”.
Mi avvicinai a lui: “Ti prego, resta qui stanotte. Non voglio rimanere da sola.”.
Eravamo vicinissimi, i nostri corpi quasi si sfioravano. Nonostante la vista un po’ sfocata e la testa che mi scoppiava, non riuscivo a non pensare a quanto fosse bello, a quanto lo avessi amato in passato. Ricordavo che il mio cuore batteva all’ impazzata ogni volta che mi baciava o mi accarezzava. Era una bella sensazione e, quella sera, avevo bisogno di riprovarla, per sentirmi meglio.
Accostai le mie labbra alle sue e lo baciai, prima lentamente, poi in modo più passionale. Lui rimase sorpreso e immobile per qualche istante, poi ricambiò il bacio. Le sue braccia mi avvolsero e mi sentii leggera, libera. Non sapevo cosa provavo per lui, ma qualcosa in me riconobbe le sue mani, le sue labbra, la sua dolcezza mischiata alla passionalità. E mi illusi di essere tornata la diciassettenne che lo aspettava all’ uscita da scuola, che sapeva ridere, che non aveva paura del futuro.
Mi sentii audace, sicura di me, come non capitava da troppo tempo. Mi feci coraggio ed iniziai a sbottonargli la camicia. Primo bottone, secondo, terzo…
Poi, Gianluca interruppe il bacio. Si allontanò lentamente da me, sciogliendo l’ abbraccio. Lo guardai sorpresa e un po’ delusa. Con un filo di voce, chiesi: “Cosa c’è? Non vuoi…”.
Mi sorrise e mi accarezzò il volto: “No, al contrario, ma non posso permettermi di lasciarmi andare con te, questa sera. Fidati, adesso ti sembra la cosa giusta, ma domani vedrai tutto in modo diverso … Ed io non voglio fare nulla che ti costringa ad odiarmi ancora di più.”.
Odiare. Che parola grossa. Ma cosa odiavo veramente? Forse un futuro che mi era stato rubato. Perché io, negli ultimi anni, mi ero convinta che il suo lavoro, la sua carriera, mi avessero portato via il suo amore. Ed anche Eleonora, nel suo piccolo, aveva rubato qualcosa: l’ illusione che lui appartenesse solo a me, che non si curasse delle altre donne che lo circondavano. Mi sentivo derubata di ciò che avevo sognato quando ero incinta di Matteo. Avevo sognato di passare la mia vita accanto a lui, di avere la certezza che ci sarebbe sempre stato, di poter sentire la sua voce, di poter contare sulla sua forza d’ animo nei momenti difficili, di poterlo rendere felice con i semplici gesti della vita quotidiana. Mi morsi un labbro e replicai: “Io non ti odio.”.
Nei suoi occhi lessi un barlume di speranza: “Adesso basta parlare, dovresti riposare.”.
Annuii, poco convinta: “Mi prometti che resterai fino a domani mattina? Non mi sento molto bene.”.
Scoppiò a ridere: “La prossima volta ci penserai due volte prima di darti all’ alcool. Ma come ti è venuto in mente? Hai sempre bevuto pochissimo… Dovevi immaginare che ti saresti ridotta uno straccio…”.
Mi sdraiai e affondai il viso sul cuscino: “Oh, ti prego, stai zitto!”.
Sentivo le palpebre pesanti. Ero così stanca che quasi non mi importava di essere stata rifiutata da Gianluca. Non mi importava neanche cosa pensasse di me in quel momento. Chiusi gli occhi, sperando che il mal di testa sparisse in pochi minuti.
Mi addormentai in poco tempo, ma non riposai bene, la notte venne popolata da strani incubi. Mi girai e rigirai nel letto, maledicendo me stessa e tutto l’ alcool che avevo assunto.
Venni svegliata dal suono del citofono. Credendo di essere sola, tentai di alzarmi dal letto. Dei passi per il  corridoio mi fecero ricordare di avere Gianluca in giro per casa, così mi sdraiai di nuovo. Matteo entrò in casa, e con voce allegra, disse: “Papà, cosa ci fai qui? Mi hai fatto una sorpresa?”.
 
  
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