Cara Melisanna, ti sono sempre molto grato per la tua attenzione
a Profezie e per la pertinenza dei tuoi commenti. Hai descritto bene la
situazione psicologica di Vera. Quanto al disegno, so che l'espressione
di Michel è rigida, non da seduttore, ma mettiti nei panni di uno
che apre la porta del suo ufficio e si trova dentro un'altra persona...
Come al solito, c' è la possibilità di discutere più
in dettaglio al http://freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=4642&idd=8397&p=3.
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PROFEZIE
Riassunto delle puntate precedenti
Elyon affida a Vera, una copia di sè stessa che appare come una ragazza più grande, l'incarico di rintracciare le gocce astrali, le sosia create dalle guardiane, e ribellatesi ad esse più di un anno prima . La goccia di Cornelia si chiama Carol. Quella di Irma, Irene. Quella di Hay Lin, Pao Chai. Quella di Taranee, Terry. Quella di Will, Wanda. Elyon propone alle gocce di collaborare con Vera a raccogliere informazioni tecnologiche per modernizzare Meridian. Le gocce si trasferiscono, con Vera, in due eleganti appartamenti contigui. Come copertura, fingeranno di essere delle studentesse universitarie; ognuna riceve una lista di argomenti e l'incarico di individuare degli esperti su ciascuno. Le gocce vengono addestrate ai poteri mentali, quali la lettura e trasmissione del pensiero, lo sguardo del comando e la telecinesi. In alcune occasioni, le ragazze commettono goffaggini che attirano l'attenzione della polizia e perfino dei giornali. Wanda convince Vera che la polizia segreta potrebbe rimettersi sulle loro tracce. Il problema della segretezza crea alcune situazioni tese, che però, in seguito, sembrano risolte dalla formula magica "E con cio?", che sopprime la percezione delle incongruenze nelle persone a cui è recitata. Si crea un rapporto più stretto tra Elyon e Carol, che è ammirata per le sue capacità di cavarsela in ogni situazione. Elyon affida a Vera l'incarico di copiare le memorie scientifiche di esperti in diversi campi, cosa che richiede il contatto fronte a fronte per alcuni minuti. Il primo della lista è un professore universitario di nome Michel Raeder, di cui Vera si innamora a prima vista. |
Cap. 27
Seduzione
Camera di Vera
Il tempo passa, lento e veloce. Mancano solo due ore all’appuntamento
con Michel, e l’immagine che ricambia lo sguardo di Vera dallo specchio
scuote ancora il viso corrucciato.
Inutile. Neanche questo vestito la soddisfa. Ma perché
ha puntato sempre su uno stile così sobrio? Ha sempre pensato
che l’azzurro stesse bene con i suoi occhi ed i suoi capelli biondi, ma
ora tutto quello che ha le sembra così quotidiano!
Irene si affaccia alla porta. “Si può?”.
Entra senza attendere risposta, e la studia fino a farla sentire radiografata.
“Vuoi fare colpo, capo?”.
Vera minimizza: “Beh… vorrei solo trovare un vestito degno per l’occasione”.
“Non spaccarti troppo la testa. Sei bella così”.
“Grazie”.
“E poi, gli uomini badano poco ai vestiti. L’importante è cosa
c’è dentro”. Esce dalla camera strizzandole l’occhio.
Vera resta un attimo incerta. Irene è più profonda di
come l’avesse giudicata, o è solo un’altra allusione stile bignè,
ma camuffata meglio?
Si guarda di nuovo allo specchio. Ma sì, l’aspetto può
andare anche così.
Quello che la preoccupa di più è: cosa raccontargli,
se comincia a chiederle di lei?
Midgale, centro città, davanti al ristorante Black Flower
L’insegna del Black Flower è un fiore nero delineato da un bordo
viola, al centro di una stella di foglie verde chiaro. Chissà se
queste meraviglie esistono davvero sulla Terra, o hanno visto la luce solo
su un tavolo da disegno?
Elyon osserva la vetrata dell’elegante locale, parzialmente oscurata
da riquadri neri e viola. Le luci interne sembrano di candele.
“Sembra intimo e accogliente”, sorride compiaciuta. Poi guarda Vera,
che scruta nervosamente tutte le automobili e le persone che appaiono sulla
via. “Cara, perché mi sembri tanto impaziente?”.
“Sono calmissima, Ellie”, risponde tormentandosi una ciocca di capelli.
“Ricorda, devi sorridere tanto. Fallo parlare di sé. Ripeti
spesso il suo nome. Riempi i vuoti ripetendo con parole tue ciò
che ha detto lui”.
Vera sbuffa. Tutta farina del sacco di Carol. “Non ti sapevo
esperta di uomini”.
“Non lo sono”, risponde piccata Elyon. Poi, imbronciata: “Non scordarti
la memoria! Siamo qui per questo”.
Quale memoria… ah, sì. “Naturalmente!”.
Un automobilista rallenta e le guarda ostentatamente. Altrettanto ostentatamente
gli voltano le spalle.
Pochi secondi dopo, una bella voce maschile proveniente da dietro di
loro le fa voltare.
“Ben trovata, Vera”.
“Be… ben trovato, Michel…”. Gli occhi le rimangono come calamitati
dai suoi. “…”.
L’uomo si volta verso Elyon. “E questa è l’amica che ha vinto
la scommessa?”.
“Michel caro. Questa è…è…è mia sorella Elyon”.
“La tua sorellina? Piacere. Michel Raeder”. Le tende la mano con un
sorriso un po’ sbrigativo.
Elyon è spiazzata. Non lo aspettava con quindici minuti di anticipo.
Lei avrebbe voluto rendersi invisibile per tempo. “Ta… tanto piacere. Ora
vi lascio da soli… buona serata!”. Perché si sente arrossire? E’
Vera, la pera matura. Non lei.
Appena fuori vista, Elyon si volta. Rossore ed imbarazzo sono svaniti,
lasciando il posto a una curiosità irresistibile. Il primo appuntamento
di Vera… Non posso perdermelo! Per un attimo sente che dovrebbe
vergognarsene , ma una giustificazione non si fa attendere: Potrebbe
avere bisogno di un angelo custode. A volte è così imbranata,
poverina.
Per chi sa farlo, si sta meno a rendersi invisibili che a pensarlo.
Elyon svanisce nell’indifferenza dei passanti, e torna verso il ristorante.
Eccoli là. Stanno entrando. Lui è galante, le tiene la
porta aperta. Bene, adesso devo trovare qualcuno che la tenga aperta
per me.
Attende uno, due, cinque minuti accanto all’ingresso. Uffa. Mai
che arrivi qualcuno, quando serve.
Spazientita, entra nel locale. Bene, nessuno ha fatto caso alla
porta.
Osserva l’interno, quasi stupita. Le luci sono basse e calde, irregolari
e guizzanti come minuscole fiammelle nascoste, e provengono da fessure
orizzontali che delineano il contorno di tutti i mobili scuri e laccati.
Altri minuscoli punti luce si trovano sopra ciascuno stallo, e si accompagnano
bene alle candele accese sui tavoli. Ma che bello!
Si muove con circospezione. Dove saranno adesso quei due piccioncini?
Li vede verso il fondo del ristorante, in un angolino delizioso. Tengono
già tra le mani dei calici. Ma cos’ha davanti? Un bicchiere di
vino!? Non ne ha mai bevuto prima!
Nessuno può vedere il sorrisino quasi cattivo che si è
disegnato sulla bocca di Elyon. Mi sa che stasera ci si diverte!
Vera le sembra essersi liberata delle sue paure, e guarda rapita Michel
tenendo teneramente una delle sue mani. Mentre l’uomo parla, lei assente
e sospira.
Lo guarda come una pera matura può guardare il sole che la
fa maturare. Elyon sorride compiaciuta per la sua arguzia. Ehi,
bella questa! Però è meglio non raccontarla ad Irene, se
no sarà il tormentone della prossima settimana.
La osserva ancora, notando il viso insolitamente colorito e sognante.
Proprio
un bel bocconcino per un maschietto, pensa mentre rubacchia da un vassoio
di antipasti.
Buona questa tartina. L’invisibilità ha i suoi vant…OUCH!
Non fa in tempo a finire il pensiero, che un cameriere intento a portare
un grande vassoio la investe in pieno. Ruzzolano entrambi sul pavimento,
con clangore di acciaio inox e di cocci.
Per un attimo, Elyon ha la sensazione che l’inserviente la stia guardando
stupito.
Lei rinforza l’incantesimo dell’invisibilità. Non può
farsi scoprire così, tutta imbrattata di sugo di pomodoro.
‘Ben ti sta’, le risuona in testa.
Chi ha osato? Scocca un’occhiata astiosa verso Vera, che guarda
nella sua direzione e ride.
Il cameriere si alza, imbarazzato. “Vogliate scusare, signori”. Raccoglie
il vassoio e quanto resta dei piatti, e si gira proprio mentre Elyon si
sta rialzando.
Colpito da una testa reale, il vassoio ricade con nuovo clangore e
rimacinamento di cocci.
Elyon stringe i denti per non prorompere in imprecazioni che, fossero
pure nella lingua di Meridian, risulterebbero orrende anche all’orecchio
di un sordo. Sente Vera ridere a crepapelle, ed anche altri clienti cominciano
a ridacchiare imbarazzati.
Il cameriere è ancora più confuso, e la fioca luce pietosa
nasconde un po’ i colori della sua faccia. Un altro inserviente impassibile
viene ad aiutarlo, gli sibila qualcosa di poco gentile all’orecchio e lo
aiuta a raccogliere cocci e lasagne con le mani e, come scoprirà
poi, anche con la suola delle scarpe.
Elyon torna a guardare verso il tavolo dove l’altra sta ancora ridendo.
Sente la domanda perplessa di Michel: “Ti diverte tanto, cara?”, e la risposta
enigmatica di Vera: “Oh, ma io non sto ridendo di quel poveraccio”.
‘Come osi? Tu... tu... Guai a te se solo ti sogni di raccontarlo
alle ragazze!’.
Meridian, palazzo reale
Una regina deve sapere in quali occasioni è meglio ritirarsi.
Per esempio, quando si è imbrattate di sugo di pomodoro.
La Luce di Meridian riappare di pessimo umore nella sua sontuosa camera
da letto. La risata di Vera le risuona ancora nelle orecchie. Speriamo
che non ci sia nessuno, ho un diavolo per…
La voce dell’ancella Nagadir risuona allegra dall’anticamera. “Benvenuta,
Altez…”. Appena varcata la porta, si porta le mani al viso. “AH! … PER
GLI SPIRITI! SIETE FERITA?”.
Elyon scuote il viso. Sperava di passare inosservata finché
non avesse potuto cambiarsi d’abito, ma non aveva fatto i conti con la
capacità della sua ancella di percepirla anche da locali distanti.
“Non preoccuparti per il rosso, Nagadir, è salsa di pomodoro alla
chisacosa”. Le porge una manica. “Vuoi assaggiare?”.
“Come accettato, Altezza”. La squadra. Cambiarsi d’abito non basterà,
anche le trecce sembrano intinte nei condimenti. “Preparo il bagno? Tra
un’ora siete attesa in consiglio”.
Midgale, casa di Michel, due ore dopo
“Auto sportiva e appartamento bilocale in mezzo alle nuvole. Proprio
una vita da scapolo!”, commenta Vera, entrando nell’alloggio di Michel,
al quarantatreesimo piano.
“Infatti, per andare all’università, passo più tempo
in ascensore che in automobile!”, scherza lui.
“Ma, con tutte quelle vetrate… non ti senti un po’ come nella vetrina
di un negozio?”.
“Beh, ci sono le persiane. E poi si può spegnere le lampade”,
risponde l’uomo, allungando la mano verso l’interruttore. La semioscurità
avvolge la stanza. Dalle vetrate si vedono le luci della città dall’alto,
le strade ben delineate percorse da lucette appaiate.
“Se vuoi vedere quei miei libri, li tengo in camera”, le sussurra Michel
all’orecchio.
Vera sente il suo respiro sulla pelle. “Posso leggerli anche qui”,
risponde passandogli le mani attorno al collo.
Si stringono e si baciano a lungo.
Alla prima pausa per riprendere il fiato, Vera pensa che è arrivato
il momento di fare il suo dovere di spia. In realtà è curiosissima
di sapere tutto di quest’uomo.
Si alza in punta dei piedi per arrivare a livello, e fa aderire le
fronti. Come con Elyon. Inizia la sequenza per la copiatura della memoria.
Nessun effetto. Più veloce… ancora niente. Non sente quel pizzicore
quasi elettrico, quella leggera vertigine che accompagna questo momento
magico, e prelude al flusso di immagini caotiche e sovrapposte. L’unica
vertigine che sente è quella dei due bicchierini di Porto.
Si stacca da lui. “Michel…”.
“Vera…”. L’attesa nel suo sguardo si può percepire anche al
buio.
“Scusa, ho tanto sonno… puoi prepararmi il caffè?”.
“Ma certo!”.
Quando la luce si riaccende, Vera può indovinare un po’ di stupore
nel suo sguardo, ma non riesce a leggere nessun pensiero. E’ l’effetto
dell’alcool. Spazza via le esitazioni, ma appanna i poteri della mente,
a partire dai più raffinati.
Resta appoggiata alla parete, mentre Michel armeggia con la macchinetta
del caffé nell’angolo cucina. E’ stranamente ordinato per un uomo,
osserva.
“Viene una donna?”, chiede Vera con voce impastata.
Lui la ricambia con uno sguardo stupito. “Come?”.
“A fare le pulizie, intendo”.
“Certo”. Il caffé comincia a salire nella tazzina monouso. “E
tu, fai le pulizie da sola?”.
“No, chiamo un uomo”, risponde lei con una risatina soffocata.
“Ah”.
Non l’ha apprezzata. Eppure mi era sembrata così carina,
questa battuta…
Mentre sorseggia con prudenza il caffé fumante, la bruciatura
in bocca le ricorda del pranzo con Elyon. Si sono divertite, oggi… Elyon!
E se è ancora qui a ficcanasare? E’ così curiosa e infantile,
qualche volta…
“Sei immersa nei tuoi pensieri?”, le chiede Michel.
“Chiamiamoli pensieri… sono i fumi del vino”, si schermisce.
Poco dopo le sembra che le palpebre pesino di meno, che la mente sia
più rapida. Proviamo la lettura del pensiero…
‘Quest’oca è proprio brilla’.
OCA!?!? OCA...A ME?!?!?
Questa intuizione è stata come un pugno nello stomaco per Vera.
Oca! Odioso bellimbusto, non mi aggiungerai alla tua collezione di
trofei! Facciamo presto, e poi buonanotte!
Lui le legge un’ombra inaspettata sul viso. “Cos’hai?”.
“Niente! Torna a spegnere la luce!”.
Un po’ stupito dal tono autoritario, Michel si riaccosta all’interruttore
e spegne.
Le luci della città hanno perso tutta la loro poesia. Con rabbia,
lei gli si allaccia al collo, evita la sua bocca, e si alza in punta dei
piedi. Fronte a fronte, un po’spostata di lato. Sì, questa volta
funzionerà. Tre minuti e… ma… ma…
“EHI! GIU’ LE MANI, PORCO!”, grida spingendolo indietro.
Dopo un attimo la luce si riaccende. Lui la guarda smarrito. “Ma che
c’è?”.
“LO SAI BENISSIMO!”.
“Datti una calmata. Se non volevi…”.
“UNA CALMATA UN CAVOLO! QUEST’OCA BRILLA NON SARÀ IL TUO PROSSIMO
TROFEO!”.
La guarda a bocca aperta. “Stai dicendo cose senza senso!”.
“Lo sai benissimo il senso che hanno!”. Riprende il soprabito dalla
spalliera con le mani che tremano. “Mi hai deluso. Michel. Io pensavo di
avere trovato un amico, ed invece volevi solo approfittare di me!”. Detto
questo, si gira sui tacchi ed esce, sbattendo la porta d’ingresso alle
spalle.
“VERA! NON PUOI ANDARTENE COSÌ!”, le grida l’uomo, riaprendo
la porta. “Ma… dove sei?”. Davanti ai suoi occhi c’è solo un corridoio
buio e deserto.
Cucina delle Gocce
“QUEL PORCO!”.
Pao Chai, Wanda e Therese alzano stupite gli occhi dalla loro partita
di Monopoli, verso la figura appena materializzata nel corridoio. Non c’è
da sbagliarsi, quello di Vera è un viso da bufera.
“Qualcosa non va?”, chiede Terry.
“NIENTE VA! Quel maiale…”.
Wanda scuote la testa. “Non puoi fidarti degli uomini! A loro non importa
certo della tua felicità!”.
“Ma cos’è successo esattamente?”, chiede Terry.
“Sembrava così carino… è stato adorabile fino a quel
momento, poi mi ha chiamata oca brilla!”.
“Come?”, si scandalizza Pao Chai. “Come ha osato?”.
“Beh… veramente lo ha solo pensato…”.
Più che scandalizzata, Therese sembra perplessa. “Perché
lo ha pensato?”.
Vera la guarda male. Ma da che parte sta, questa? “E poi mi
ha messo le mani addosso”.
Wanda batte forte il pugno sul tavolo. “Da rompergli gli attributi!”.
Le casette del monopoli sobbalzano sul tabellone e restano lì, spaurite.
Un dado ruzzola giù, trovando rifugio sotto un cassettone.
Vera riprende: “Solo perché sono rimasta con lui al buio, nel
suo appartamento, ha creduto che volessi soddisfare i suoi porci desideri”.
“Ma gli hai copiato la memoria?”, chiede Therese.
“Ho cercato di farlo”.
“E….”.
“Non funzionava. Colpa del vino”, deve ammettere. Scruta le altre.
Si aspettava più solidarietà. “Ehi, non ero brilla. Ero solo
un po’ allegra”.
C’è qualcosa negli sguardi con cui è ricambiata.
‘Se l’è cercata’ ‘Tutto qui? Non sa cos’è la
vera mancanza di rispetto’ ‘Eppure prima sembrava davvero una pera
matura’.
Come osano? Salta in piedi. “Basta! Io non sono così!”.
“Ma…”.
“IO LO ODIO! Perché mi ha trattata come un pezzo di carne! Perché
mi ha fatto bere per approfittarsi di me! Perché va con tante donne,
e crede di avermi in pugno come le altre! Perché è pieno
di sé. Perché si crede bello! Perché… perché
parla di chimica a tavola! E perchè… perché gioca a Tetris
in ufficio. Perché…”.
Tace. Si è vista con i loro occhi, e sentita con le loro orecchie.
Torna a sedere. Stupida. Vera, sei una stupida. Non c’è modo
di nasconderlo.
Guarda Pao Chai. Più volte , pensando tra di sé, l’ha
chiamata anatra mandarina. Chissà se lo ha percepito ? Ora
sa come ci si sente.
Vera cerca di riprendere il suo contegno. “Ragazze, scusatemi. Dimenticate
quanto ho detto stasera. È stato solo uno sfogo. Domani è
un altro giorno. Buona notte”.
Si alza, diretta al suo appartamento.
Apre di malumore la porta sul pianerottolo. Trasale trovandosi davanti
ad una faccia grinzosa. E’la signora Priest, la vicina del piano di sotto,
ancora con il dito alzato verso il loro campanello.
“Signorina Portland! Capisco che alla vostra età una ragazza
possa avere delle disavventure, ma non è il caso di…”. Esita davanti
allo sguardo di ira con cui è ricambiata. “… di… di tenere la televisione
ad alto volume fino a quest’ora”.