Coming to the end, ancora una volta vi
ringrazio tutti, uno ad uno, per essere arrivati fin qui. Questo è il penultimo
capitolo, seguirà il finale e poi un epilogo. Quindi, sto barando, e questo è il
terzultimo, ma il clima da imminente tragedia mi piaceva!XD
Mi sento un po’ frustrata: tutti i
capitoli hanno la parola “dream” nel titolo, tranne questo! Ma il titolo che ho
scelto era troppo calzante...
Immagino che anche in Giappone ci sia il
costume di dare un numero diverso ai tram, a seconda del loro percorso?XD Se
così non è, concedetemi la licenza poetica!XD
La citazione musicale iniziale viene da
“The dream within”, Lara Fabian (Final
Fantasy – The spirits within OST)
I due bambini alla fermata del tram sono
di Wren, e la ringrazio per esserseli fatti rubare per una scena! ^_^
Buona
lettura...
VIII
– Episode 24
The
voice is calling a song
A prayer
From deep inside you
To guide
you
Be
The dream within
The light is shining
A
flight on the wind
Salvation begins
Iori si svegliò con una
sensazione di disagio appiccicata addosso. Era come se una nebbia umida e fredda
avesse impregnato casa sua, le sue cose, i suoi vestiti, i suoi pensieri. Il
cielo grigio rifletteva la sua ansia senza spiegazione. Si preparò in fretta,
pensando che aveva bisogno di telefonare a qualcuno, sentire una voce conosciuta
e cacciare via i rimasugli di sogni negativi.
Tentò due telefonate, ma
in entrambi i casi non ebbe risposta.
- Oh, va bene. Basterà un
the e qualche disegno.-
Il the venne fuori
scialbo e si freddò subito, senza darle molto conforto.
- Che giornata iniziata
male!- si disse, tentando di ridere. Ma non era sciocca: la sentiva anche lei,
la sua voce che tremava, dietro la risata.
Era successo qualcosa, da
qualche parte, quella notte. E aveva la tremenda sensazione che fosse accaduta
ai loro protetti.
Si mise al lavoro:
c’erano tavole da consegnare nel giro di poche ore, e l’indomani avrebbero visto
la luce sulle pagine della rivista. Doveva darsi da fare.
Non appena si fu seduta,
qualcosa si impossessò di lei. Era come un frammento del sogno che aveva fatto.
Un brutto sogno. C’era un labirinto. Una ragazza. E poi... un parco? E
qualcos’altro, che non voleva ricordare.
Non voleva. Non
doveva.
Però...
Però ormai aveva preso le
sue mani, e stava tracciando linee, stava dando indicazioni, stava obbedendo ad
una volontà non sua. Le immagini presero vita e si fissarono sul foglio, e Iori
non fu in grado di controllarsi, nemmeno quando tornò in sé. Aveva dimenticato
tutto, quel momento di trance incerta e i suoi incubi. Le tavole furono
consegnate, con la loro indicazione ben precisa.
Qualcuno l’avrebbe letta
e seguita, come sempre.
La vignetta saltò agli
occhi di Tsugumi dopo appena mezzo secondo che la pagina era stata esaminata. La
sua intuizione funzionò, come al solito. Tsugumi sapeva esattamente cosa fare.
Lo faceva da quindici anni. Iori nascondeva i disegni che prevedevano il futuro
tra le vignette dei suoi manga, Tsugumi li comprendeva e agiva di conseguenza.
Premurandosi poi di inserire nei suoi dialoghi qualcosa che segnalasse all’altra
la missione compiuta.
Anche questa volta le
sembrò immediata la comprensione del disegno.
La biblioteca vicino al
parco Tsubaki. Doveva semplicemente far sì che qualcuno vi entrasse. Un uomo con
gli occhiali. Piuttosto semplice. E piuttosto strano, anche. Da qualche giorno
aveva la sensazione che stesse per accadere qualcosa di brutto, e la cosa
peggiore era che questo presentimento non riguardava lei e Iori. O meglio, non
solo loro.
Partiva dai loro
ragazzini. Come se loro fossero l’obiettivo dell’evento negativo che aleggiava
nell’aria. Ma non si fermava lì. Si preparava qualcosa di dimensioni enormi, lo
avvertiva chiaramente.
Per ora, però, finché
Iori non le diceva niente di più preciso, tutto ciò che poteva fare era far
entrare un uomo in biblioteca.
Se quell’inizio di
mattinata fosse stato l’inizio di una puntata di anime, sarebbe stata
probabilmente la puntata 24 in una serie di 26 puntate. Il preludio ai guai,
insomma, con quel cielo strano e l’aria umida. E il mal di testa leggero, e la
brutta sensazione che si ha mentre si legge una storia che finirà
malissimo.
Solo che quella
sensazione non era diretta verso un manga o una delle sue storie. Era molto
reale, e riguardava loro.
Hikari finì di
prepararsi, cercando di spostare il pensiero sull’incarico di regista della
compagnia teatrale scolastica che aveva accettato il giorno prima. Sarebbe stato
un grosso impegno, ma la cosa gli piaceva, e aveva già molte idee. Tutto stava
nel vedere se potevano metterle in pratica. Comunque la gente del gruppo
teatrale era in gamba, gli sembrava disposta a imbarcarsi in cose abbastanza
folli, e poi...
-
Hikari!-
Sua madre piombò in
camera sua, stringendo il telefono, con un’aria preoccupata come raramente
l’aveva vista.
- Che succede,
mamma?-
- Era la mamma del tuo
amico.-
Il finale tragico non era
una realtà così lontana, aveva ragione.
- Cos’è
successo?-
- L’hanno portato in
ospedale, stanotte. In stato di shock. Non riesce a parlare, sembra
terrorizzato. Non sanno cosa gli sia successo. Sua madre ti vuole
lì.-
- Me? Ma se sembra
pensare che sia io la causa di tutti i mali di suo
figlio!-
- Forse ha capito che sei
l’unica persona che può farci qualcosa.-
Hikari fissò sua madre,
senza capire. Troppe cose tutte insieme: Shuichi che stava male, la madre di
Shuichi che chiedeva di lui, sua madre che diceva cose
strane...
- Hikari, io non lo so
cosa stia succedendo a te o al tuo amico. E non so perché non vuoi dircelo. Sono
spaventata, e forse dovrei chiuderti in casa e obbligarti a dirmelo. Ma non ne
sono capace. Credo sia meglio che tu vada in ospedale, invece. E quando il tuo
amico starà bene, magari mi dirai cosa sta succedendo.-
Hikari le fece cenno di
sì.
- Non credo che andrò a
scuola.- le urlò, mentre correva via.
- Non avevo
dubbi.-
Quando il ragazzo fu
uscito di casa, la donna si diresse verso un piccolo armadio, che se ne stava
nel corridoio, sempre chiuso. Ufficialmente la chiave era stata persa, dentro
non c’era niente e il mobile era solo il ricordo della nonna paterna di
Hikari.
La donna trasse fuori dai
vestiti la catenina che portava, a cui erano appesi alcuni piccoli ciondoli. Uno
aveva la forma di una chiave d’argento. Minuscola, perfetta per la minuscola
apertura situata sotto la finta serratura dell’armadio. Infilò la chiave nella
serratura segreta e la fece scattare. L’anta si aprì, rivelando uno scrigno,
involto in un lungo nastro rosso.
- Vecchia strega, perché
dovevi mettere nei guai proprio lui?- mormorò la donna, trattenendo le lacrime.
Armeggiò con il fiocco e riuscì a sciogliere il nastro. Le ci volle un po’, ma
alla fine fu in grado di aprire lo scrigno.
L’eredità spaventosa di
Megumi, la madre di suo marito. Famosa per fermarsi pochissimo in ogni città in
cui andava ad abitare. Ancora più famosa per la sua nomea di maga e veggente.
Poco conosciuta, invece, come esperta di storia. Non della normale storia che si
studia a scuola. No, quella vecchia pazza era sempre a raccontare episodi
impensabili accaduti nelle città più piccole, nei villaggi più sconosciuti. E al
centro dei suoi racconti improbabili c’erano sempre magie, poteri, futuri
cambiati per pochi secondi, maledizioni antiche quanto il
mondo.
Lei non le aveva mai
creduto molto. Finché un giorno aveva visto qualcosa. Allora aveva dovuto credere,
sì. Suo marito rimaneva in silenzio, diviso tra l’amore per la moglie e quello
per la madre.
Poi Megumi si era
stabilita lì, vicino a loro. Ho qualcosa
da fare, diceva. Ho delle persone da
trovare. Persone a cui affidare un compito.
Perché questa città ha
sempre avuto qualcosa di oscuro. Fin dalle sue origini, questo luogo è stato
prediletto dagli spiriti peggiori, dalle forze più negative. Il perché, si perde
nel tempo, nella fondazione sanguinosa della città.
Eppure... Le
altre forze hanno sempre dotato questa città di
protettori, per bilanciare l’oscurità che vi abita – perché tutto tende
all’equilibrio.
E quelli che come me
conoscono il passato, hanno il dovere di insegnarlo a coloro che custodiranno la
città.
Parole, un turbine di
parole senza senso. L’importante era che rimanessero nei monologhi folli della
vecchia e nelle sue stanze, e non finissero per influenzare il
ragazzo.
Lei era sicura che Megumi
lo avesse fatto apposta, a coinvolgere Hikari.
Non sono io che
attribuisco poteri, io posso solo preparare la strada.
Mentiva, ovviamente.
Doveva lasciare fuori il ragazzo da tutte le sue storie. Doveva farlo! Megumi
l’aveva implorata di crescere suo figlio abituandolo all’idea dell’infinito
universo spirituale che si nascondeva dietro la realtà sensibile, ma Megumi era
morta quando Hikari aveva sei anni, e non aveva potuto fare molto danno, se non
raccontargli le sue fiabe spaventose. Quando Megumi era morta, lei aveva
nascosto tutta la sua roba nell’armadio, pregando che non venisse mai il momento
in cui avrebbe scoperto che anche suo figlio era invischiato nella stessa
follia.
E invece,
adesso...
Frugò nello scrigno. Un
mazzo di tarocchi, una scacchiera, dei piccoli quaderni. Fogli scritti, fogli
disegnati. Oggetti colorati. Alcune foto.
Che senso ha, tutto
questo?
Quando Hikari entrò nella
stanza di Shuichi, si spostarono tutti per farlo passare, come se fosse stato lo
specialista geniale in grado di risolvere la situazione con un’occhiata appena.
Un’infermiera fece uscire tutti e lasciò i due ragazzi da soli nella stanza.
Shuichi era disteso sul letto, pallidissimo. Appena lo vide arrivare, però, si
rianimò. Si alzò di scatto, sforzandosi di chiamarlo per nome. Sembrava non
avesse nemmeno le forze di parlare. Hikari gli fu accanto in un
momento.
- Ehi, cosa diavolo ti è
successo?- domandò, angosciato.
- Stanotte...- mormorò
Shuichi. – Ho disegnato.-
- Ma... la storia non ha
funzionato?-
- Non ce
l’avevo.-
- E che fine ha
fatto?-
- Non lo
so.-
Hikari si avvicinò di più
all’altro, per non perdere nemmeno una sillaba di quel rantolo appena
percettibile che era la voce di Shuichi.
- Cos’hai
disegnato?-
- Era... era orrendo.
L’ho strappato. Una folata di vento. Sono volati via i pezzi. Mi sono sentito
male.-
- Aspetta, aspetta un
attimo. I pezzi del disegno strappato sono volati via?-
- Sì. Credo. Sono uscito
dalla stanza. Tornato. C’era la finestra aperta. Non l’ho mai
aperta.-
- Ok. Ho capito. Però
calmati. Non può essere così grave. No? Era solo un
disegno.-
- No! Era...
era...-
- Calmati. Va bene. Era
particolarmente brutto. Però...- Si fermò un attimo, come colto da un pensiero
improvviso, e quando parlò di nuovo lo fece con la voce distante che usava
quando il suo potere prendeva il sopravvento e lo spingeva a fare profezie a
voce alta. – Non deve entrare in
biblioteca. Quell’uomo. Altrimenti a tutta la città saranno sottratti i colori e
l’anima.-
Poi tornò in sé,
scuotendo la testa, come per cambiare l’immagine nel caleidoscopio folle che
erano i suoi pensieri.
- Hikari, dammi un pezzo
di carta e qualcosa per disegnare!-
- Ho di nuovo parlato a
sproposito?- gemette il ragazzo, guardandosi attorno in cerca di quello che
l’amico aveva richiesto.
- No, semmai hai detto
una cosa fondamentale, ma se non provo a disegnare non lo sapremo
mai!-
Hikari afferrò una borsa
da donna che qualcuno aveva lasciato vicino al letto dell’amico e vi frugò
dentro.
- E’ di tua
madre?-
-
Sì.-
- Si arrabbierà se usiamo
il suo rossetto per disegnare?-
- Sì, ma non me ne frega
nulla.-
Shuichi prese il rossetto
della madre, socchiuse gli occhi e prese a tracciare linee sul lenzuolo bianco
che lo copriva.
- Geniale.- borbottò
Hikari. – Così dovremo portarci in giro il lenzuolo, adesso. Geniale
davvero.-
- Stai zitto.- rispose
Shuichi, tornando in sé. – Semmai dovremo riuscire a far sparire un paziente
senza che nessuno ci dica nulla.-
- Tanto, ormai siamo alla
puntata 24, le cose possono solo peggiorare.-
Shuichi gli lanciò
un’occhiata un po’sconcertata, poi tese il lenzuolo davanti a sé, tentando di
capire qualcosa nei segni rossi che aveva disegnato.
Non era un’immagine, era
un ideogramma.
Uso
(Menzogna).
- E’ una menzogna? La mia
predizione?- mormorò Hikari.
- Non lo so. Credo di sì.
Ma non riesco a capire.-
- Non è che hai sbagliato
a disegnare e volevi fare un kanji completamente diverso?-
- E perché non puoi aver
sbagliato tu?-
- Perché non sono
cosciente mentre prevedo!-
- Nemmeno io mentre
disegno.-
- Ma mentre interpreti
sì!- gridò Hikari, esasperato. – Andiamo, è importante, questa
volta!-
- Come lo
sai?-
- Beh.- Si fermò,
spaesato. – Non lo so. Credo. Te l’ho detto. E’ il potere della puntata 24. In
una serie con 26 puntate.-
- Se esiste un aldilà,
dovrò essere ricompensato per averti sopportato.- sospirò il ragazzo più grande.
– Senti, facciamo così. Ora inventiamo un bel modo per evadere da qui. Poi
andiamo alla biblioteca, e lì cerchiamo di capire meglio.-
- Va bene. Va benissimo.-
rispose Hikari, stizzito. – Ci sono solo un milione e cinquecentomila difetti,
al tuo piano. Prima di tutto: come ti porto fuori di qui senza essere
immediatamente acchiappato e senza che tua madre mi uccida? Secondo, hai idea di
quante biblioteche ci sono in questa città?-
- La biblioteca è quella
vicina al parco Tsubaki.-
- Ah, e come lo
sai?-
- Perché ieri notte nel
disegno che ho fatto c’era quel posto. E perché ieri ho scoperto una cosa
relativa al parco Tsubaki. E una cosa che mi hai detto nella tua previsione...
Che la città perderà i suoi colori... L’ho scritto nel fumetto di ieri notte.
Non era un disegno, era una storia. C’era un uomo, ed era venuto a prendere i
colori di Moyashi.-
- Cosa? Moyashi? E com’è
finita?-
Shuichi scosse la
testa.
- Non come l’avresti
fatta finire tu.-
- Ma chi era l’uomo che
hai disegnato?-
- Matsui
Murasaki.-
- Eh? Che razza di nome
è?-
- Beh, se Murasaki è
inteso come salsa di soia, direi che
sta bene in coppia con Moyashi...
-
- Non mettere sullo
stesso piano due cose del tutto diverse!-
- Senti, non l’ho
inventato, è venuto fuori da solo e...-
-
E?-
Shuichi si guardò
attorno, improvvisamente atterrito da qualcosa.
- Era nella mia
mente.-
- Chi, Matsui
Murasaki?-
- Non lo so. Il nostro
avversario. E’ lui che me l’ha fatto disegnare. Allora, forse... Non lo so...
Io... Il kanji forse è sbagliato. Forse noi...-
Hikari gli strappò di
mano il lenzuolo e lo appallottolò, gettandolo lontano.
- Piantala di blaterare e
mettiti le scarpe. Evadiamo.-
- E come? Fuori ci sono i
miei genitori e gli infermieri, l’hai detto tu!-
- Ho una mezza
idea.-
- Oh. Già le tue idee non
sono granché. Figuriamoci quando sono mezze...- borbottò Shuichi, alzandosi in
piedi con fatica e infilando le scarpe. – Se dobbiamo correre, non credo ce la
farò. Mi sembra che ci sia qualcosa, dentro, che si sta mangiando le mie
energie.-
- Se la mia mezza idea
funziona, non ci sarà da correre.-
- Ok. Devo prepararmi a
correre, allora.-
- Ti vuoi fidare?- gridò
Hikari, risentito. Shuichi tacque ed evidentemente decise di
fidarsi.
Appena furono fuori dalla
stanza, furono subito accerchiati da parenti e infermieri, tutti con gli occhi
puntati sul viso pallido di Shuichi.
- Possiamo andare insieme
a prendere una boccata d’aria, e magari qualcosa da bere al bar?- domandò
Hikari, con aria dimessa. E incredibilmente convincente. – Credo che dopo starà
meglio.-
- Ma è opportuno?-
domandò la mamma di Shuichi a una delle infermiere.
- Ma sì.- concesse la
donna. – Mi sembra che abbia già ripreso un po’ di forze. Forse ci voleva
davvero il suo amico, per farlo migliorare. Così, quando torneranno, magari
Shuichi sarà pronto a dirci cosa gli è successo.-
- Certo.- confermò
Hikari. – Sicuramente. Grazie. Torniamo subito.-
- Non mi dici
nulla?-
Erano alla fermata del
tram, e l’ospedale era dietro una curva, alle loro spalle.
- Era una buona mezza
idea.- rispose Shuichi. – E tu hai tirato fuori una faccia tosta che non mi
sarei mai aspettato.-
- E’ perché mi
sottovaluti.-
- E’ perché fino a ieri
ti saresti messo a frignare. Sei stato in gamba.-
- Se devo fare qualcosa,
adesso provo a mettercela tutta.-
- Lo so. Me ne ero già
accorto. Entri anche nei giardini altrui.-
Due tram si stavano
avvicinando alla fermata.
- Il quindici arriva
vicinissimo al parco Tsubaki.- disse Hikari, indicandolo, ma Shuichi non lo
ascoltava.
- Ci hanno scoperti. Ci
sono due infermieri che corrono verso di noi!- esclamò, angosciato, afferrando
l’altro per un braccio.
- Dai, se corriamo ce la
facciamo a prendere il tram!-
- Se ne accorgeranno.
Vedranno il numero del tram su cui siamo saliti!-
- Aspetta!- Hikari si
guardò attorno, e focalizzò la sua attenzione su due ragazzini, probabilmente di
quinta o sesta elementare. – Ehi, voi due!- li chiamò.
- Noi?- domandò uno dei
due interpellati, un ragazzino cortese, con gli occhiali e un sorriso
gentile.
- Voi. Sentite, siamo un
po’ nei guai, ma è a fin di bene. Quando quegli infermieri verranno qui, vi
dispiacerebbe dire loro che siamo saliti sul trentadue?-
- Oh, va bene, nessun
problema!- rispose il ragazzino con gli occhiali.
- Come sarebbe a dire?-
si arrabbiò l’altro, un tipetto ombroso, con il codino. – Non sappiamo nemmeno
chi sono!-
- Eh, dovremo fidarci!-
- Ma che stai
dicendo?-
- Grazie, eh!- urlò
Hikari, trascinando Shuichi con sé, e saltando sul tram numero quindici un
attimo prima che le porte si chiudessero.
Il quindici sfrecciò via,
mentre il conducente del trentadue fu costretto a fermare, a causa di due
infermieri che, su indicazione di due ragazzini, erano convinti che a bordo ci
fosse un paziente scappato dall’ospedale. A bordo non c’era proprio nessuno, e
anche i due ragazzini sembravano essersi volatilizzati.
Tsugumi aveva fumato la
diciannovesima sigaretta, mentre aspettava davanti alla biblioteca. Era un
compito facile, ma anche tremendamente noioso. Era lì dalla mattina, ed erano
già le quattro del pomeriggio. E ancora nessun tipo da dirottare dentro la
biblioteca. E c’era da sperare che i suoi sensi e il suo istinto fossero
abbastanza buoni da guidarla verso la persona giusta! Con un sospiro si
accingeva già ad accendere la ventesima sigaretta, quando all’improvviso il tipo
le si palesò davanti. A dire il vero, non aveva un aspetto del tutto
rassicurante. Aveva uno sguardo strano, perso nel vuoto. Sembrava inseguire un
pensiero con tutto se stesso, e non un bel pensiero. Le transitò davanti con
aria assente, quasi senza notarla.
- Ehm... Mi
scusi?-
Non la sentì. Lei si alzò
dalla sua panchina e gli andò dietro.
- Mi
scusi!-
L’uomo si voltò e le
rivolse il suo sguardo lievemente disturbato. Tsugumi rabbrividì. Ma così doveva
essere, era la previsione di Iori, e Iori non aveva mai sbagliato. Per qualche
strana ragione, quell’uomo doveva entrare nella
biblioteca.
- Mi scusi. Mi scusi
davvero, sto per disturbarla, ma avrei bisogno del suo aiuto. Lei è di
qui?-
- Sì. Sì, sono di
qui.-
Anche la voce dell’uomo
era poco rassicurante. Parlava lentamente, strascicando le
parole.
- Ecco, può accompagnarmi
un attimo in biblioteca? Ho bisogno di prendere un libro sulla storia locale, e
le impiegate non hanno saputo consigliarmi niente di interessante, così pensavo
che un abitante della città potesse essermi di aiuto.-
- Io non ne so
niente.-
- Solo un momento. Solo
per dare un’occhiata a un libro e dirmi se secondo lei è valido. Tra due minuti
sarà di nuovo fuori.-
- Senta, io ho una cosa
da fare.-
- Oh. Non ce la fa
proprio a ritardare di un minuto?-
L’uomo assunse
un’espressione seccata, e fece per ribattere, ma un attimo dopo si era fermato,
come se un pensiero improvviso gli avesse attraversato la mente, facendogli
vedere la situazione sotto un altro punto di vista.
- Sì.- mormorò. – Sì,
perché no? Va bene. Vengo. Vengo con lei.-
In quel momento Tsugumi
non era più sicura di essere nel giusto. Quell’uomo era strano. Stava succedendo
qualcosa, l’azione che lei stava compiendo avrebbe messo in moto qualcosa.
Eppure... Eppure Iori aveva dato un’indicazione chiara. L’unica interpretazione
che il suo potere poteva dare del disegno era quella.
- Bene.- rispose,
tentando di sorridere all’uomo. – Bene, andiamo.-
Stava facendo la cosa
giusta. Stava facendo la cosa giusta,
no?
Non c’erano dubbi. Era la
cosa giusta.
Erano già sui gradini che
conducevano all’ingresso della biblioteca, quando furono fermati da un
grido.
- Non
entrate!-
Tsugumi si voltò, e vide
i loro due ragazzini, che dovevano aver corso come dei pazzi per arrivare fin lì
ed avvertirla di...
- Non devo farlo
entrare?-
- No!- Il più piccolo dei
due sembrava completamente fuori di sé. – Lo fermi, non lo faccia
entrare!-
- Ma perché?- domandò
lei, afferrando istintivamente l’uomo per un braccio, per evitare che prendesse
da solo la decisione di entrare.
- Perché...- cominciò il
più piccolo, perdendosi un attimo dopo.
- Ne siete sicuri?-
domandò lei. – E non cercate scuse cretine, con me, io lo so chi siete
voi!-
Questa volta furono i due
ragazzi a rimanere sconcertati e muti.
- Lo so chi siete, e so
cosa potete fare. Posso farlo anch’io.- spiegò lei, lasciandosi addolcire il
volto da un sorriso. – Ma a me è arrivata un’indicazione diversa. Mi è stato
detto di farlo entrare.-
- Se lo fa entrare
provocherà un incendio...- ansimò Shuichi, crollando a terra. Hikari si
precipitò al suo fianco, per sostenerlo.
- Anche noi all’inizio ci
siamo sbagliati.- spiegò alla donna. – Io ho avuto la premonizione, lui ha fatto
un disegno che indicava il contrario. Ma poi...-
Tsugumi gridò. L’uomo si
era liberato, e aveva tirato fuori qualcosa dalle tasche.
- Io ho una cosa da fare,
e ora lei mi ha fatto perdere tempo e la farò qui.-
Prima che potessero fare
qualsiasi movimento, l’uomo aveva gettato a terra una bottiglia di vetro, che si
infranse, bagnando il pavimento con un liquido incolore. Poi si spostò di corsa,
fissandoli con i suoi occhi sconvolti. Infine lanciò un accendino, mirando alla
pozza trasparente ai piedi di Tsugumi.
La donna fece appena in
tempo a gridare, poi si levarono le fiamme.
Iori si svegliò
all’improvviso, si sentiva soffocare. Non riusciva a capire dove fosse e come ci
fosse arrivata.
...andiamo, non farti
prendere dal panico. E’ solo il tuo divano.
D’accordo, aveva capito
dov’era, ma questo non spiegava niente. Non andava mai a dormire di pomeriggio,
meno che mai su quello scomodissimo divano.
Infatti non sei andata a
dormire, sei corsa al divano prima di svenire.
Benissimo. Sempre
meglio.
Non è niente. Sarà stato
un abbassamento di pressione. Una cosa normale.
Si sedette al tavolo da
lavoro e cominciò a trarre lunghi respiri per calmarsi.
Quando tornò in sé, era
passato chissà quanto, e il tavolo era cosparso di fogli pieni di segni, segni
che ripetevano sempre lo stesso intricato disegno,
incomprensibile.
E’ da ieri che qualcosa
non va, e tu lo sai bene. Come se qualcuno fosse... Entrato nella tua testa. Per
farti fare le cose sbagliate.
Fissò i disegni,
sentendosi, come era già successo tante volte, completamente inutile. Senza
Tsugumi... Senza di lei...
No!
Afferrò un foglio e una
matita, stringendola furiosamente. Almeno poteva provare! Forse Tsugumi era in
pericolo. Forse aveva addirittura disegnato qualcosa di sbagliato, forse c’era
davvero qualcuno nella sua testa, e lei aveva mandato Tsugumi in mezzo ai guai.
Cominciò a riprodurre con
calma il disegno che aveva fatto mentre era fuori di sé. Le linee si facevano
sempre più distinte, la forma iniziava ad assumere proporzioni
regolari.
Somiglia a qualcosa che
conosco.
Provò a marcare di più i
tratti, lavorando di intuito per tirare fuori un’immagine riconoscibile. E alla
fine l’intuizione arrivò.
Oh, ma io so cos’è! E’ il
disegno che c’era sulle vecchie porte della biblioteca... Quella che piaceva a
Tsugumi. Quella vicina al parco Tsubaki. Poi le hanno tolte, quelle vecchie
porte di legno, e ne hanno messe di nuovo. Ma Tsugumi mi aveva già chiesto di
rifarle il simbolo. Voleva usarlo per qualcuno dei nostri
manga.
La risposta non poteva
essere più chiara di così.
Quando Iori arrivò alla
biblioteca trovò la polizia, un capannello di gente concitata, e al centro di
tutto quel caos due ragazzi che conosceva bene. Si precipitò tra la folla,
chiedendo informazioni.
- Sembra che un piromane
abbia tentato di dare fuoco alla biblioteca. Credo che l’abbiano fermato quei
due ragazzi, là, e quella donna. La polizia l’ha già
preso.-
- I tre stanno bene?-
domandò lei.
- Sì, sì, le fiamme hanno
solo bruciacchiato un po’ le porte della biblioteca.- rispose qualcun
altro.
Iori prese a cercare con
lo sguardo tra la gente, e localizzò i due ragazzi, che stavano parlando con un
poliziotto.
- Dov’è la donna?-
domandò.
- E’ lì, non la vede?
Vicino ai due ragazzi!-
- Accidenti. Per fortuna
che nessuno si è fatto male.-
- Forse sono riusciti a
scappare prima di essere raggiunti dalle fiamme.-
- Ma l’incendio, come
l’hanno domato?-
- Ci avrà pensato il
personale della biblioteca.-
Iori nascose il viso tra
le mani.
Sei qui, sei
qui!
Iori rimase lì finché la
folla si fu dissolta e la polizia se ne fu andata. Attese, finché non vide altri
che i due ragazzini. Avanzò verso di loro, e loro si accorsero della sua
presenza.
- Hikari!
Shuichi!-
- Anche lei ci conosce
per qualche strano motivo?- domandò Hikari, esasperato.
- Sì, siamo state io e la
persona che è con voi, a farvi incontrare.-
- C’è qualcuno che parla
con voi?- domandò Tsugumi, afferrando Shuichi per un
braccio.
- Sì. E’ qui davanti a
noi. Non è possibile non vederla!-
- Per me lo è. E’ una donna con i
riccioli?-
- Sì,
ma...-
- Cosa sta succedendo?-
chiese Hikari. – Cos’è questa faccenda? Non potete
vedervi?-
- No.- risposero le due,
in coro.
- E’ colpa del nostro
nemico.-
- E’ stata la persona che
odia anche voi.-
- Calma!- le fermò
Hikari. – Non parlate insieme!-
Tutte e due risero, poi
Iori abbassò la testa, esattamente mentre l’altra iniziava a
spiegare.
- Abbiamo un potere
simile al vostro. Siamo state amiche e collaboratrici, finché un giorno,
quindici anni fa, abbiamo scoperto di non poterci più vedere. Abbiamo continuato
a tenerci in contatto, però.-
- Come?- domandò
Shuichi.
- Beh, lei è Tsubasa
Amane, io sono Nagisa Hidenori. Mandandoci messaggi tramite i nostri
manga!-
- Chi siete?- gridò
Hikari.
- Voi due?-
Di nuovo le due donne
risero insieme. Tsugumi tacque, e Iori ricominciò a
spiegare.
- Poi abbiamo sognato.
Qualche mese fa abbiamo sognato voi. Sapevamo che c’eravate, e che era
importante che vi incontraste. Dovevate collaborare, come noi. E forse
sconfiggere il nostro comune avversario.-
- Si può sapere come
avete fatto a manovrare il nostro incontro?- domandò
Shuichi.
- E’ stata una
faticaccia!-
- Voi due sembravate
davvero incompatibili...-
- Stiamo di nuovo
parlando in coro, vero?-
- Comunque, alla fine, a
forza di darvi volantini di quel centro commerciale, ce l’ho fatta a farvici
arrivare!- disse Tsugumi.
- Io, quando ho visto che
entrambi frequentavate lo stesso centro commerciale, ho fatto finta di essere
una commessa di quel posto!- spiegò Iori. – Un sacco di pomeriggi in cui ho
lasciato indietro il lavoro, passati a cercare di spingervi nello stesso
reparto. Non ne avete idea! Per fortuna alla fine il potere di Hikari vi ha dato
una mano!-
- Una fortuna enorme...-
borbottò Hikari.
- Suppongo di dovervi
ringraziare.- disse Shuichi, trasognato, come se avesse appena pensato a voce
alta, senza accorgersene.
- Davvero?- domandò
Hikari, colto di sorpresa. Shuichi rimase senza parole, con un’espressione
piuttosto idiota in viso. Le due donne risero, e Iori si passò rapidamente una
mano sul viso.
- Iori starà piangendo di
sicuro...- commentò Tsugumi.
All’improvviso si levò il
vento. Si era fatto buio troppo presto anche per settembre. Shuichi perse
l’equilibrio, e fu raccolto al volo da Hikari e Tsugumi.
- Che succede?- domandò
l’amico.
- Non sto bene... E’
qualcosa...-
- E’ nel parco!- esclamò
Iori, portando le mani al petto, come se di nuovo non riuscisse a respirare. –
Non mi lascia, è ancora nella mia testa!-
- Qualunque cosa sia, va
affrontato.- mormorò Shuichi.
- Ma non sappiamo come...
E tu stai male!- protestò Hikari.
- Non possiamo rimanere
così.- rispose Iori. – Non lo voglio nella mia testa!-
Nemmeno io lo voglio
nelle nostre teste!, si ribellò Hikari. Ho visto cosa mi fa fare! Non voglio che
faccia del male a nessuno di voi...
Guardò con preoccupazione
l’amico, quella donnina pallida e determinata e la sua amica, che aveva
un’espressione gelida e inflessibile. Poi spostò lo sguardo, andando oltre i
confini del piccolo giardino della biblioteca, fino a raggiungere il parco
Tsubaki.
Più stupidi e più
intelligenti di quanto credessi. Perché?
Perché non riesco a
prevedere esattamente cosa faranno?
Eppure io, più di
chiunque altro, dovrei essere in grado di capire la loro
mente!
- Da quando gli alberi
del parco Tsubaki sono così fitti?- domandò Hikari, che guidava il piccolo
gruppo.
- Questo non è più il
parco Tsubaki.- dissero le due donne, quasi insieme.
- Lo è.- ribatté Shuichi.
– Ma non quello che conosciamo noi. Qualcuno l’ha trasformato. Io l’ho
disegnato.-
- Hai disegnato anche
quelle?- domandò Hikari, rabbrividendo. Indicò qualcosa che improvvisamente era
comparso tra gli alberi. Era una statua, qualcosa che sembrava voler
rappresentare una creatura vivente, ma tutta ripiegata su sé stessa,
raggrinzita. Come un disegno su un foglio accartocciato, o un’immagine appena
abbozzata, e poi subito coperta da scarabocchi o
cancellata.
- Sì. Ho disegnato tutto
questo.-
- E hai disegnato anche
me. E se non lo avessi fatto, voi non sareste qui, e di certo sareste più in
forma. Ma per fortuna, senza il talismano che ti faceva dormire, sono riuscito a
controllarti. La tua doujinshi mi ha dato vita. Sei un ragazzino talentuoso, era
molto tempo che non mi disegnavano così bene...-
Dalle ombre emerse una
figura. Alto, capelli verdi, camicia bianca e azzurra a quadri, cravatta arancio
e benda rossa sull’occhio sinistro.
- E tu chi sei?- gridò
Hikari, parandosi davanti al suo gruppetto, come per
proteggerli.
- Matsui Murasaki. Un
nome di cui vado molto fiero. Sono il vostro avversario.-
...continua...