Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Hatsumi    04/09/2013    1 recensioni
"Vorrei un uomo con gli occhi del colore della pioggia."
Jennifer, assistente sociale, inguaribile romantica e indolente meteoropatica poco o nulla conosce dell'amore. Non è in grado di spiegare le caratteristiche dell'uomo che potrebbe seriamente rapirle il cuore ma sa, è certa, che i suoi occhi dovranno essere: "Vitrei al punto che ad ogni suo sguardo mi venga alla mente l’acqua che scorre e che in qualche modo lavi via tutti i miei pensieri.".
Eppure Jennifer detesta la pioggia. Si tratta di un semplice capriccio o c'è forse qualcosa nel suo animo a suggerirle tale desiderio? Qualcosa di nascosto, dimenticato pronto ad emergere,
sconvolgendo la sua esistenza.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2

Non credo di aver mai sentito il tempo scorrere così lentamente. I miei documenti sembrano non finire mai e la lancetta dell’orologio pare abbia timore del mio sguardo. Ogni qual volta alzi il capo e mi ritrovi ad osservare il quadrante bianco dell’orologio sulla parete difronte a me, la lancetta dei minuti risulta ferma: completamente immobile. Quasi qualcuno avesse deciso di togliere le pile all’orologio al solo scopo di farmi dispetto. Almeno un paio di volte ho avvertito l’impulso e la curiosità di alzarmi, spostare la sedia contro la parete dove l’orologio è posizionato (questo poiché sono troppo bassa per poterci arrivare altrimenti) e sollevarlo dal gancio sul quale è appeso per controllare se effettivamente le batterie non siano state rimosse o se invece siano semplicemente esaurite.

Mentre mi arrovello su questo dilemma Andrew entra nel mio ufficio. Non appena il suo sguardo incrocia il mio capisco il motivo della sua visita.

-È qui, non è vero?

Chiedo fingendo di essere occupata in mansioni di ufficio quali: allineare dei fogli, sistemare delle graffette o semplicemente tenere impegnate le mani in qualche modo.

-Non essere nervosa Jennifer. Sarà pure un pescecane sulla carta ma noi ancora non lo conosciamo.

Preferisco non ripetere ad Andrew quanto poco tolleri i procuratori distrettuali o gli avvocati, in generale. Detesto quando, per forza di cose, ci tocca lavorare con i penalisti: fanno parte della peggior specie. Sono senza pietà, non hanno interesse se non il proprio e, perlomeno quelli che ho avuto modo di conoscere, non sono a coscienza di un piccolo codice comportamentale chiamato “buone maniere”.

-Lo so che detesti dover trattare con questa gente ma non abbiamo scelta. È il nostro lavoro, Jen.

Sospiro. Andrew mi osserva da dietro le lenti dei suoi occhiali, mi riserva uno di quei suoi sguardi severi ma allo stesso tempo bisognosi di comprensione. Annuisco, senza commentare ulteriormente ciò che ha appena detto.

-Si presenterà qui in ufficio o dobbiamo andare a conoscerlo in tribunale?

Chiedo, cercando di nascondere la mia insofferenza.

-Qui. Sta parlando adesso con Katherine, le ho detto di preparare la sala che di solito usiamo per gli incontri.

Mi alzo, sistemando adeguatamente la sedia contro la scrivania. Nell’alzarmi dò un’ultima occhiata alla finestra e ancora non ha smesso di piovere. Penso tra me e me che non potrebbe esserci tempo peggiore per incontrare un avvocato, se non questo.

Rapidamente seguo Andrew e mi dirigo verso la sala degli incontri, che nulla è se non un ufficio più grande degli altri nel quale è stato posizionato un vecchio tavolo piuttosto lungo e al quale sono state aggiunte sei seggiole. Quando arriviamo sulla porta della stanza, di spalle, scorgo la figura buia della persona che ci apprestiamo  conoscere. Sta parlando con Katherine, una delle segretarie.

-Mi fa piacere sia arrivato così presto, avvocato Becks.

Esordisce Andrew, tendendogli la mano. Immediatamente l’uomo si gira, dandomi modo di osservarlo attentamente. Dopo avergli rivolto uno sguardo da capo a piedi mi ritrovo costretta a confermare la mia ipotetica ed ironica descrizione fatta ad Ellie, qualche ora prima. L’avvocato è piuttosto alto e magro. Non è eccessivamente brutto. Ritengo anzi che possa avere il suo fascino per quelle donne che sappiano apprezzare gli uomini rasati, con il naso aquilino e con una perenne aria di sufficienza.

-Piacere.

Si limita a dire, stringendo rapidamente la mano di Andrew.

-Vogliamo entrare?

Invita allora il capo, indicando la porta aperta della stanza. Tutti i presenti, ad eccezione di Katherine che si allontana chiudendo la porta, prendono posto. Io e Andrew ci sediamo sullo stesso lato del tavolo, mentre l’avvocato si siede sulla sedia opposta alle nostre e senza darci troppa importanza appoggia la sua valigetta, che fino a pochi istanti prima reggeva in mano, sul tavolo. Gesto abbastanza maleducato, poiché la valigetta inzuppata dalla pioggia crea immediatamente una chiazza d’acqua sul tavolo. Sogghigno, pensando a quanto siano azzeccate le mie supposizioni sugli avvocati. Naturalmente Andrew se ne accorge e mi rivolge uno dei suoi sguardi severi, questa volta vuole semplicemente rimproverarmi.

-La ragazza… sarebbe?

Chiede l’avvocato, senza rivolgere lo sguardo verso nessuno di noi. Se ne sta semplicemente con la testa infilata nella valigetta, alla ricerca di chissà quale documento. Ad ogni modo io ed Andrew ci guardiamo per capire cosa intenda con “la ragazza”, conveniamo si stesse riferendo a me. In effetti non si è dato la pena di salutarmi poco prima, sul ciglio della porta. D’altro canto nemmeno io ci ho pensato troppo. Tutto ciò non può che presagire l’inizio di una terribile collaborazione. Andrew mi precede nella risposta, probabilmente temeva uscissi con qualche frase tagliente.

-Jennifer Ricci: assistente sociale. Lavoriamo insieme a questo caso.

L’avvocato alza la testa e mi indirizza nuovamente uno sguardo di sufficienza.

-C’è veramente bisogno di due persone, per questo caso?

Faccio un respiro profondo e cerco di tenere la bocca chiusa, se l’aprissi probabilmente non sarei in grado di risparmiarmi qualcosa di offensivo.

-Questo è il modo in cui lavoriamo nel mio ufficio.

Risponde rapidamente Andrew, con diplomazia. Questa volta evita di rimproverarmi, evidentemente la domanda dell’avvocato deve aver infastidito anche lui.

-Contenti voi… Dunque, prima di chiedervi il parere riguardo al caso Goldman, vorrei leggere il referto medico di Margareth Goldman Jones.

Andrew annuisce. Conosciamo entrambi a memoria quel referto, ce l’hanno letto diverse volte nel corso degli ultimi mesi. Andrew si mette comodo, gomiti poggiati sul tavolo e mento tra il palmo delle mani. Sta osservando l’avvocato, per questo non riesco a scorgere la sua espressione. Io, al contrario, preferisco non ascoltare per l’ennesima volta quel documento e la mia attenzione è rivolta all’ambiente circostante. Si tratta di un altro “antro” buio. Non c’è nessuna finestra, solo una bocchetta per l’aria posizionata in alto, tra la parte finale del muro e il soffitto. L’illuminazione dell’ambiente è piuttosto scarsa, benché sul soffitto siano installati dei faretti, presumo al led, a giudicare dal colore azzurrognolo della luce che emanano. La porta è chiusa e la finestra più vicina è al di là del corridoio, ragion per cui non riesco a capire se stia ancora piovendo o se invece quel temporale che ci tormenta da due giorni abbia deciso di lasciar posto al sole. A giudicare dal mio umore il temporale deve essere ben lontano dalla fine.

Osservo l’avvocato, che ancora sta leggendo il documento. Di tanto in tanto alza gli occhi dal foglio e osserva Andrew che si limita ad asserire col capo. Posso tranquillamente affermare di non aver ascoltato una parola di quanto ha detto quell’uomo. Lo vedo leggere, sogghignare e scrutare Andrew ma il mio cervello non mi da’ l’attenzione necessaria  per ascoltarlo.

-Vede avvocato, quel referto risale a due settimane prima della dimissione della signora Jones. I medici sono stati concordi  a dire che, una volta rilasciato il paziente, sono pressoché sicure le sue condizioni.

Riesco a captare il discorso di Andrew e capisco di dover tornare a seguire quanto sta accadendo.

-Vi è anche stato detto che potrebbero verificarsi altri episodi di alterazione.

Ribatte l’avvocato.

-Questo non è possibile prevederlo.

Intervengo io, intromettendomi nel discorso. L’avvocato sogghigna.

-Vedo che ha anche una voce, signorina. Ho quasi pensato fosse un ornamento, dal momento che non in solo istante ha prestato attenzione a ciò che ho appena letto. Mi sbaglio?

Abbasso lo sguardo. Non posso contraddirlo ma al tempo stesso una grande rabbia mi monta in corpo, facendomi desiderare di alzarmi e di tornare nel mio ufficio.

-Conosciamo bene il documento, avvocato. In ogni caso gradirei continuassimo a parlare del nostro lavoro, la signorina Ricci le ha appena risposto.

Andrew interviene in mio aiuto. Lo fa sempre quando mi vede in difficoltà, credo che abbia imparato a conoscere i segnali d’ira sul mio viso.

-Ma certo, signorina, nessuno è in grado di prevederlo. Proprio per questo motivo l’idea migliore sarebbe quella di affidare il ragazzo ad una istituzione neutrale, che sappia prendersi cura di lui in modo adeguato.

Quel “signorina” pronunciato in tono di disprezzo per un attimo mi fa uscire di senno. Ad ogni modo cerco di respingere i miei personali risentimenti e rispondo.

-Tyler ha solo nove anni. È un bambino, non un ragazzo. Inoltre, quale istituzione potrebbe crescerlo meglio di quanto farebbe una madre, sua madre?

L’avvocato scoppia in un risatina isterica. Questa sua reazione infastidisce anche Andrew, lo capisco dai suoi gesti: inizia a sfregarsi nervosamente le mani e spinge, in modo piuttosto seccato, gli occhiali sulla gobba del naso, nel frattempo scivolatigli verso la punta.

-Questo è esattamente il motivo per cui le donne non dovrebbero occupare certe posizioni lavorative. Le consiglio, signor Greene, di rivedere le mansioni delle sue collaboratrici.

Andrew sbatte un pugno sul tavolo. Non credo di averlo mai visto così irritato.

-Se la sua intenzione, avvocato Becks, è quella di offendere il mio organico e di scaldare inutilmente gli animi la invito a ripresentarsi solo quando sarà veramente intenzionato a trattare di lavoro.

 L’avvocato annuisce.

-Non era affatto mia intenzione scaldare gli animi. Comunque, vi ho oltremodo esposto il mio parere. Non c’è bisogno di andare oltre. Il prossimo nostro incontro è fissato tra due settimane, con il giudice.

Rapidamente raccoglie i documenti posati sul tavolo e li ripone nella valigetta che poi chiude. Senza rivolgerci ulteriori sguardi si alza, passa accanto ad Andrew bofonchiando un sommesso “Arrivederci” ed esce dalla stanza dimenticandosi, oppure non importandosi, di chiudere la porta.

-Vedo che la misoginia è ancora di moda, eh?

Commento, cercando di essere sarcastica. Andrew non risponde. Sta ancora fissando la sedia che fino a pochi istanti prima era occupata dall’avvocato.

-Non credo andrà a finire bene questa faccenda. Lo capisci, Jennifer?

Afferma poi, senza però guardarmi.

-Sì, di sicuro questa persona ci darà filo da torcere ma ancora non sappiamo chi sarà il giudice. Forse saremo fortunati e potremmo lavorare di nuovo con il giudice May!

Il giudice May, Monica May, è una signora di circa cinquant’anni, molto intelligente e pragmatica con la quale lo studio di Andrew ha avuto modo di lavorare più volte. Una persona molto riflessiva che ci tiene ad ascoltare ogni singolo parere prima di prendere una decisione. Più volte siamo riusciti a ottenere il nostro intento in situazioni critiche, grazie al suo aiuto.

-Abbiamo lavorato con lei nell’ultimo caso Jennifer, non ci faranno la grazia di affidarcela di nuovo.

Commenta Andrew, questa volta rivolgendomi uno sguardo che deduco preoccupato.

-Ce la faremo anche questa volta Andrew, vedrai.

Accarezzo la mano di Andrew che immediatamente afferra la mia, stringendola.

-Sai che ora dovrai dire del nostro incontro alla Jones, non è vero?

Annuisco. Il primo pensiero balenatomi in testa, vedendo l’avvocato uscire dalla stanza, l’avevo rivolto a Margareth con la quale avevo parlato solo qualche ora prima. Dopo averle detto di non perdere la speranza e di avere fiducia mi sento malissimo al sol pensiero di doverla portare di nuovo nello sconforto.

-Le ho già parlato qualche ora fa. Le ho telefonato per avvisarla dell’arrivo del procuratore. Rimanderò a domani la telefonata.

Andrew mi lascia la mano e si alza.

-Credo sia il caso di tornare in ufficio. Puoi tornare a casa se vuoi, Jen.

Mi sporgo verso il ciglio della porta per cercare di scorgere l’orologio nell’atrio delle segretarie e noto che è da poco passato mezzogiorno.

-Così presto?

Chiedo, sorpresa dalla sua affermazione. Andrew mi sorride, un sorriso quasi malinconico.

-Si, non credo che riusciremmo a fare molto altro oggi. Io finirò di compilare le mie scartoffie e poi andrò a casa. Ellie e Adam hanno l’incontro con il giudice alle due, quindi l’ufficio sarà vuoto. Non voglio impegnarti la giornata inutilmente.

Senza pensarci troppo accetto, forse a casa riuscirò a trovare qualcosa di più interessante da fare. Decido di salire nell’ufficio per salutare Ellie e comunicarle che non ci sarò per l’ora di pranzo.

-Cosa? No! È tantissimo che non pranziamo insieme!

Si lamenta, in modo bambinesco.

-Abbiamo pranzato insieme la settimana scorsa, Ellie.

Commento io, sorridendo.

-Beh vorrà dire che una di queste sere verrò da te e mi cucinerai qualcosa di speciale!

Scoppio a ridere. A volte ripiango il giorno in cui invitai per la prima volta Ellie a cenare a casa mia. Ci eravamo appena conosciute e ancora non aveva iniziato a frequentare Adam, così aveva un sacco di tempo libero che non sapeva esattamente come impegnare. Non faceva altro che telefonarmi e chiedermi di uscire con lei in bar, pub, discoteche; insomma di fare vita mondana. Mi piace uscire e non disdegno una serata in un locale, appena posso, tuttavia dopo una settimana di follia, con conseguenti analgesici le mattine successive, per far fronte alle peggiori sbornie della mia vita, avevo deciso di fare una tregua e avevo proposto una serata tranquilla, in casa. Ellie dopo aver storto il naso aveva accettato e si rivelò essere, credo, la miglior serata mai passata con lei. Fu proprio in quella sera che mi resi conto di aver trovato l’amica del liceo che non avevo mai avuto occasione di conoscere. Non so per quale motivo Ellie continui a ritenermi una cuoca favolosa. Potrebbe essere dovuto al fatto che lei ai fornelli sia una frana e che buona parte dei suoi pasti siano quei terribili vassoi pre-cotti da infilare nel microonde. Si era letteralmente commossa davanti alla mia semplicissima pasta con il ragù di carne, per non parlare dell’arrosticino con le patate al forno! A me non era costata più di un paio d’ore la preparazione, mentre a lei era parso chissà quale pasto faraonico. Il risultato è che sempre più spesso mi chieda di invitarla a cena, tante volte a spese del povero Adam, abbandonato e ritenuto meno interessante di un cibo cotto adeguatamente.

-D’accordo ma portati dietro anche Adam. Mi spiace che se ne rimanga solo.

Ellie scuote il capo.

-No no cara! Adam verrà solo quando ci sarà un altro uomo in casa tua. Quindi se ti dispiace tanto per lui sbrigati a trovarne uno!

Non si smentisce mai, Ellie. Decido di non darle ulteriormente corda e mi dirigo verso il mio ufficio per  prendere le mie cose.

-Buona giornata Ellie! In bocca al lupo per l’incontro con il giudice.

-- Secondo capitolo. Ho deciso di pubblicarli quasi ogni giorno, finché riesco. Spero anche prima o poi di trovare una recensione, un commento o una critica. Ci terrei ad avere un parere esterno. Alla prossima :) --

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Hatsumi