Destino
Ad Ania.
*
Annusa
una pagina dell’ennesimo libro che prende in mano, Agnese, e
lascia che l’odore
di carta fresca le invada le narici. Non c’è
profumo al mondo che le piaccia di
più: le ricorda giornate
estive passate
a leggere sotto un albero di mele. Le sue dita scorrono velocemente tra
le
pagine, giocano con quei fogli, lasciano che i suoi occhi si posino
pigri sulle
parole, assimilando solo quelle che gli piacciono. Ogni sabato sera
è sempre la
stessa storia: prima di incontrare gli amici tiene un po’ di
tempo per se
stessa e si reca in libreria.
É lì che ha inizio il rito svuotare
la mente e far
sì che quel libro,
quello fra i
tanti, si lasci trovare; è semplicemente questione di
emotività: guardare gli
scaffali e pensare solamente a tutte le storie che la circondano,
immaginarsi i
protagonisti e le loro avventure, le splendide ambientazioni... e
d’un tratto
eccolo lì. Le sta davanti, il
libro.
Agnese, allora, lo prende tra le mani e lentamente – come se
stesse cullando un
neonato – inizia ad esplorarlo. Ci possono volere anche ore
perché si ritenga
soddisfatta e, la maggior parte delle volte, invece di andare alla
cassa e
comprarlo, Agnese lo guarda per l’ultima volta con fare
malinconico e lo
sistema nuovamente sullo scaffale. Quando sente il bisogno impellente
di comprare
un libro, è sicura che quella storia le rimarrà
impressa nell’anima come una
cicatrice profonda e malinconica. Mentre sfoglia il
libro della serata, l’occhio le cade su una parola. Una sola,
semplice parola.
Destino.
Gli
occhi di Agnese sono fissi su quel rigo. Destino.
La legge più volte, ruota il libro a destra,
inclina il capo verso
sinistra. La traduce in inglese, in francese.
«Destino...»
mormora a bassa voce, assaporando il suono di quelle lettere che,
unite, hanno
creato quella parola. L’ha già sentita e letta,
Agnese, eppure c’è qualcosa di
solenne, questa volta. La ripete ad alta voce, la fronte corrugata come
se
stesse tentando di risolvere un problema matematico.
«Destino?»
La voce che pronuncia la sua parola
non l’appartiene, così Agnese chiude rapidamente
il libro e si volta con occhi
sgranati, cercando di capire cosa abbia invaso il suo spazio intimo. La
risposta le sta dinanzi e sfodera un’espressione piuttosto
buffa. Un ragazzo
dai capelli color cenere la guarda divertito e Agnese si chiede per
quale
strano motivo lui abbia dovuto pronunciare la sua
parola con quel tono interrogativo, stuprandone la
sacralità. Gli
rivolge un’occhiata inteneritrice.
«Ehi,
non mi guardi così male. È stata lei a parlare ad
alta voce, così ho pensato
che avesse bisogno di aiuto... Sembrava piuttosto confusa.»
Basta
un solo istante – un solo
impercettibile
attimo – e la rabbia di Agnese si dissolve per
fare spazio ad una strana
sensazione di benessere, causata dal timbro dalla voce
dell’estraneo. Parla in
modo gentile, ma dalla gola gli fuoriesce un suono roco, come quando si
ha mal
di gola e non si riesce a far uscire tutta la voce: sembra che
sprigioni
vibrazioni tiepide e la conseguenza è una melodia molto
bella da ascoltare. È
particolare, così come l’aspetto del suo
proprietario, che indossa un paio di
vecchi jeans, una maglietta bianca sotto ad una giacca di velluto beige
che gli
dà un’aria da professore universitario.
Si
schiarisce la voce, Agnese, conscia del fatto che lui sta attendendo
una risposta
e, inoltre, sembra piuttosto divertito dai suoi modi selvatici.
«S-sì, mi
dispiace...»
Il
ragazzo sorride e una grossa fossetta compare sulla sua guancia
sinistra,
dandogli un aspetto davvero fanciullesco. Agnese non può non
incurvare le
labbra all’insù a sua volta: non ha mai visto un
sorriso tanto contagioso e
sincero.
«Che
libro è?» chiede il ragazzo improvvisamente,
indicando il volume che lei tiene
stretto al petto. Il volume incriminato. Il volume della
parola. Agnese risponde e lui sfodera un sorriso compiaciuto,
lasciandole intendere
di conoscere il titolo e, infatti, inizia a
snocciolare considerazioni acute sulla storia. Parla con sicurezza,
questo
strambo ragazzo, ma allo stesso tempo nel suo tono
c’è timidezza spiega i
contenuti del libro in un modo così appassionato che Agnese
ascolta rapita le
sue parole.
«Mi
perdoni, devo averle fatto venire il mal di testa... È che
non riesco a
trattenermi, quando si tratta di qualcosa che mi piace.» Si
passa una mano tra
i capelli, evidentemente imbarazzato. Sembra
un bel ragazzo. Lo pensa in un attimo, Agnese, ma
l’attimo dopo si rende
conto di non avere
l’esperienza giusta per poter dare un giudizio
del genere. Forse
le sue amiche che leggono tutte quelle riviste di moda e sfilate
potrebbero
dirlo, ma lei, lei cosa può saperne a riguardo? Eppure
sembra proprio un bel
ragazzo, con quel suo sorriso contagioso.
«Lei
dovrebbe
fare l’insegnante, lo sa?» Lo dice senza pensarci
due volte, Agnese, solamente
quando lui la guarda con espressione stranita si rende conto di essere
andata
troppo oltre. «Non volevo sembrare inopportuna, mi dispiace.
È solo che era
così coinvolgente. Mi ha fatto venire voglia di comprare il
libro.» La ragazza
abbozza un sorriso di scuse e l’estraneo scoppia in una
sonora risata, che la
fa arrossire. Vorrebbe dirgli che non è educato ridere di
una sconosciuta, ma il
suono del suo riso è così bello da non poter
essere interrotto.
«Posso
dirle una cosa piuttosto indiscreta?» Le chiede lui, gli
occhi ancora
divertiti. Agnese annuisce, sinceramente. Quello strano tipo la
incuriosisce e,
di nuovo, una sensazione di fatalità la invade,
impossessandosi di lei.
«Lei
è
una persona piuttosto buffa.» Se fosse stata qualsiasi altra
persona al mondo,
Agnese si sarebbe offesa ed infuriata a quelle parole, ma lui la guarda
con gli
occhi luccicanti e la sua fossetta. C’è qualcosa,
in quel ragazzo, che le
trasmette tenerezza, protezione. «Voglio ricordarle che
è lei quello che
origlia ciò che dicono le persone.»
«Mi
vuole biasimare? Non è cosa da tutti i giorni sentire
persone che parlano da
sole in libreria.»
È
sinceramente divertito e lo è anche Agnese, che lo guarda
con un’espressione a
metà tra l’esasperazione e
l’imbronciato. Com’è possibile che un
estraneo non
la scocci ma, anzi, le doni piacere con la sua presenza? Questo
è strano, per
Agnese.
«Le va
di andare a prendere un caffè insieme a me, donna buffa che
parla da sola?»
È in
quel momento che la parola le
torna
in mente. Così. In quell’attimo.
Destino.
Sorride,
Agnese. Sorride guardando la buffa fossetta di quel tizio strambo.
Sorride
perché, adesso lo sa, il caso non esiste. Sorride, Agnese.
Destino.
«Sì,
mi
andrebbe molto volentieri.»
*
«Possiamo
dormire, adesso? Sono stravolto, Nene.»
Lui le
rivolge uno dei suoi sguardi supplicanti, gli occhi assonnati che
sembrano
chiudersi da soli. Lui è
lì. Sdraiato
accanto a lei su un letto matrimoniale improvvisato con due materassi.
Il loro letto. Si avvicina di
più a lui e
intreccia una gamba con la sua, prima di passargli una mano tra i
capelli,
scompigliandoli. Lui è
lì.
«Ancora
una pagina.» Sussurra Agnese al suo orecchio, schioccandogli,
poi, un bacio sul
collo. Si allontana giusto per poterlo osservare in viso e, notando la
sua espressione
divertita, rimane così. Gambe intrecciate, una mano di lui
sul suo fianco.
Occhi negli occhi. Non appena lui riprende a leggere, lei chiude gli
occhi e si
lascia cullare da quella voce melodica che tanto ama, capace di
trasportarla
come null’altro nei mondi paralleli dei libri. Agnese ricorda
bene la prima
volta in cui ha sentito il suono della sua voce. Era stato il loro
primo
incontro, nella Feltrinelli di Via Roma. Lascia che la mente la riporti
a quei
ricordi malinconici e l’immagine di lui che le chiede di
andare a prendere un
caffè le riaffiora nel cuore. Le sembrano memorie distanti
secoli e, in
effetti, quattro anni sono passati, da quel giorno. Quattro anni e
centinaia di
caffè presi insieme. Quattro anni e molti libri letti
insieme. Quattro anni di loro. Lui è
lì.
Non
può
trattenersi dal gettargli le braccia al collo, Agnese, dopo aver
pensato tutte
quelle cose, così gli toglie il libro di mano e si appropria
delle sue labbra.
Lo bacia. Ancora. Come se fosse la prima. Ancora. Lui la guarda con
fare confuso,
poi si apre in uno di quei suoi sorrisi con la fossetta, quelli che lo
fanno
sembrare un bambino piccolo.
«A
cosa
devo l’onore?» domanda scherzoso attendendo la sua
risposta con un sopraciglio
inarcato. Sta trattenendo una risata, Agnese lo sa e non può
fare a meno di
osservarlo con aria di sfida, divertita almeno quanto lui.
Guarda
ancora una volta gli splendidi occhi verdi del suo compagno, poi si
ferma sulla
guancia, quella che ospita la fossetta; il suo sguardo, dopo, continua
sul
collo – quello su cui ha depositato migliaia di baci
infuocati – e infine sul
torace, sul ventre, sulle gambe.
Lui
è
lì. Agnese non può crederci.
Non può credere che quell’uomo bellissimo
– più
dentro che fuori – sia suo. Rimane lì a
guardarlo per chissà quanto tempo,
pensando a tutte le risate che ha condiviso insieme a lui, a tutte le
passeggiate
in piazza Castello e Via Garibaldi, alle volte in cui è
uscita dall’Università
e lui era lì ad aspettarla con quel suo sorriso birichino;
ripensa a quelle
nottate proibite in cui si sono amati su quel letto, a tutti i baci sul
naso
che lui le ha dato. Lui è
lì. Agnese
non può credere. Non può credere che tutto sia
iniziato in quella Feltrinelli,
quattro anni prima.
«Non
posso baciare il mio uomo?» dice, sfoderando un cipiglio da
guerriera. Lui ride
e la guarda con quegli occhi allegri, prima di muoversi. In un istante,
lui si
posiziona tra le sue gambe, sovrastandola completamente con il suo
corpo. Casa. Il calore del suo
corpo è casa,
per Agnese.
«Quando
vuoi, Nene.»
Si
china a baciarla ed Agnese ride sulle sue labbra a quel soprannome
infantile
che lui le ha affibbiato e che, lo sa bene, le
provoca sempre ilarità.
Si abbandona a quelle labbra gentili, posa le mani sulla sua schiena
muscolosa.
Agnese avverte la passione di lui in quel bacio e, infatti, bastano
pochi
istanti perché le sfili la maglietta dalla testa. Sorride
beata quando lui
prende a baciarle la pancia con amore.
«Tommy.» Agnese pronuncia il suo
nome
dolcemente, come ogni volta; adora sentire il suono di quel nome che le
è tanto
caro. Il ragazzo alza la testa con malavoglia, riportato controvoglia
nel mondo
degli umani. Lei passa una mano tra i suoi folti capelli color cenere e
si
lascia invadere da tutto l’amore che prova per quel bambinone.
D’un
tratto, ad Agnese torna in mente quella parola.
Quella di quattro anni prima. Quella che, adesso se ne rende conto, ha
fatto sì che loro due si conoscessero.
Destino.
Adesso
capisce, adesso tutto è più chiaro: non
è stato un caso, Agnese lo sa e non può
che gioire beata, sorridere mentre lui la guarda sempre più
confuso.
È
stato destino.
«A che
cosa stai pensando di tanto bello?»
Tommy ha un’espressione innamorata in viso, mentre le pone
quella domanda, e
lei non può che pensare a quanto sia fortunata ad essere
amata da un uomo come
lui.
Adesso lui la sovrasta di nuovo e i suoi occhi sono proprio nei suoi,
così
belli, così vivi.
Agnese
li guarda. Sì, è quasi convinta: adesso glielo
dice, gli dice che cosa voleva
dire quella parola, glielo dice
una
volta per tutte, visto che non ha mai risposto alla sua prima domanda.
Sì,
glielo dice.
Poi
osserva quel giovane uomo che la guarda in attesa, la fossetta sulla
guancia e
il torace nudo.
«Un giorno te lo
dirò.»Mormora, prima di protendersi e baciarlo
sulle labbra, per ricominciare da dove si erano interrotti.
E,
mentre le mani di lui le slacciano i bottoni dei pantaloni, Agnese
assapora
quel suo splendido destino.
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Dedicato ad aniasolary
e al nostro sogno di trovare l’amore in una libreria. Questa
storia è tua,
Ania.
la vostra Eryca.