Faceva
davvero caldo per essere febbraio. Il sole
era limpido e cristallino alle quattro del pomeriggio, filtrava tra le
tende
bianche della mia stanza e mi scaldava la testa.
Daniel fece scorrere un dito affusolato sulla mia
disequazione appena completata e dopo qualche secondo si limitò
a dire: “È
sbagliata.”
“Come sarebbe a dire?” sbuffai, indispettito. Era
ormai la terza volta che la rifacevo e mi stavo stancando. Ma avevo
bisogno di
sapere le disequazioni. Non potevo permettermi di prendermi
un’altra insufficienza
al prossimo compito.
“Su, rifalla”, mi intimò il mio giovane
insegnante
di ripetizioni con calma.
Io iniziai a scrivere, ma con poca determinazione.
Sapevo che l’avrei probabilmente sbagliata di nuovo, ero solo
troppo orgoglioso
per chiedergli nuovamente come si faceva. Alla fine posai la penna e
sbuffai.
“È inutile.”
Daniel scosse la testa. “No, la pratica aiuta
molto, sai?”
“Intendo dire, questa roba. E la matematica in
generale.”
“Beh, può aiutarti ad entrare in una buona
università”
“Solo se sei intenzionato a diventare un matematico
o un fisico, ma nella vita reale invece tutto questo non serve.
Altrimenti tu,
che avevi il massimo dei voti, non avresti mollato
l’università a Milano e ti
ritroveresti a fare un lavoro più decente che ripetere materie inutili a mocciosi come me”
Lo dissi in tono scherzoso ma la mia era una
provocazione. Daniel però non si scompose per niente, sul
volto pallido rimase
l’espressione interrogativa di prima. Con me era sempre
così, mai
né troppo gentile né troppo severo, come
se non potesse comportarsi con naturalezza. Dopo un altro paio di
esercizi
sbagliati prese la sua roba e si alzò. “Ci vediamo
la prossima settimana. Fammi
sapere come ti andrà il compito” disse,
guardandomi dritto negli occhi. Arrossii,
sperando che non si notasse. Costatai per l’ennesima volta
la bellezza del suo viso.
Mi piacevano soprattutto i suoi occhi, verdi e profondi, il naso
sottile e i capelli
di un biondo pallido, che teneva in una corta coda di cavallo.
Daniel se ne andò, troppo puntualmente, e a me non
restò che guardarlo dalla finestra.
Mentre raggiungeva la macchina incrociò mio fratello Giorgio
che stava per tornare a casa, e gli diede una pacca
scherzosa sulla schiena. Loro due avevano la stessa età,
ventiquattro anni, ed erano grandi amici fin dal liceo. Era stato Giorgio a consigliarlo ai miei
genitori per darmi
ripetizioni. Ho una media bassa, e bene o male riesco sempre a
prendermi la
sufficienza nelle materie, ma con la matematica e la fisica sono un
vero
disastro. Da tre mesi sto migliorando, grazie a lui. Ma non sono ancora
fuori
pericolo.
Dopo qualche minuto di conversazione in cui lo spiavo avidamente,
Daniel riuscì a salire sulla sua pandina di seconda mano e a
me toccò finire il resto dei compiti.
Arrivai a scuola proprio mentre la campanella suonava
e gli studenti entravano nelle classi.
Giulia mi guardò sbuffando. “Alla
buon’ora”
disse, e finito di controllarsi le unghie smaltate
perfettamente prese il dizionario solo per se'.
Il compito non si dimostrò troppo difficile. Ma non riuscii
bene a concentrarmi, dato che Giulia continuava a punzecchiarmi
chiedendomi le
risposte.
E quando suonò la ricreazione non era ancora
finita. Dovevo comprarle la merenda al distributore di tasca mia.
Tornato in classe
mi accolse con uno straccio e del detersivo.
“Cosa devo farci?” gli chiedo.
“Lava il pavimento sotto il mio banco. Le bidelle
non sanno proprio pulire” dice, e si sedette, incrociando le
lunghe gambe, che lasciavano intravedere un po' troppo dalla gonna
scozzese. Sospirai e cominciai a pulire via
lo sporco, ma era piuttosto incrostato. C'erano delle impronte sul
fango,
probabilmente delle sue scarpe. Improvvisamente sentii un peso sulla
schiena,
e immaginai che quella dannata ragazza mi avesse appoggiato sopra le
scarpe ancora infangate.
“Più veloce”, m’impose.
Sospirai. Non potevo dirle niente, mi teneva di mira.
Era iniziato tutto tre settimane fa. Ero da solo nello spogliatoio dei
maschi,
durante la lezione di ginnastica. All’inizio della lezione in
palestra, correndo
mi prese un forte prurito in mezzo alle gambe, così
tornai negli
spogliatoi per vedere cosa fosse. In mutande, avevo scoperto con fastidio che tutta la zona
dove
non batteva il sole era irritata, forse perché la biancheria
era sintetica e un
po’ stretta, o per via del sudore o chissà per
cos’altro, fatto sta che iniziai
a grattarmi, anche piuttosto furiosamente.
Una volta finito sentii ridacchiare, era Giulia.
Aveva in mano il cellulare e doveva aver filmato proprio tutto.
Perché fosse
entrata lì, non riuscii a spiegarmelo.
Dapprima finse di aver cancellato la ripresa che mi
vedeva protagonista, ma solo il giorno dopo vedendomi da solo mi disse
che
aveva salvato il tutto sul computer, e che poteva benissimo condividere su
YouTube
e Facebook un fantastico video di “Lori se lo
smanetta” in qualsiasi momento. A
meno che non avessi fatto tutto quel che lei voleva. E non dovevo
provare a
dirlo a qualcuno, o avrebbe sguinzagliato alcuni suoi amici
universitari amanti
della boxe, che sapevano dove abitavo.
Così da ventuno lunghissimi giorni le portavo la
merenda, le facevo i compiti, le massaggiavo la schiena. E suppongo che
molti
ragazzi avrebbero voluto fare a cambio con me poiché lei era
una ragazza molto
popolare. A me, faceva solo paura. Probabilmente non era la sua prima
vittima e
non sarei stato neanche l’ultima.
“E’ pulito. Posso alzarmi, adesso?”
chiesi, tornando al presente.
“Mhh” mormorò, pensandoci.”No.
Restiamo così ancora un pochino, sei così comodo!”
Rimasi immobile, sempre più imbarazzato. Un istante dopo suonò la campanella e la porta della nostra
classe si aprì.
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Spazio autrice:
Questa storia è una sorta di versione alternativa ad una visual novel che stavo creando, "Affection" variano solo i nomi dei personaggi e alcuni passaggi della trama.