ماء
- Acqua -
Prologo.
Questa storia comincerà come una favola.
Una magnifica favola da “Mille ed una notte”.
Ma tutto ha, tranne che l’aria fiabesca. Quell’aria che sin da bambini
ci trasmettono i nostri genitori. La magia, le storie d’amore, le ingiustizie
vinte dai nostri eroi dell’infanzia, con cui sognavamo di scappare ed
intraprendere mille avventure. Dove salvare popoli, scoprire tesori era
all’ordine del giorno. Tutto era magico, appunto. Persino le immense di sabbia
arabiche non erano tanto spaventose, in queste fiabe. Niente faceva paura.
Tutto aveva un lieto fine.
Niente di tutto questo.
Questa è la storia di un grande, temuto, crudele signore. Di un Paşa. O Pascià. Un Pascià dalle potenti
doti militari, dal grande carisma, dalla bellezza sconvolgente a cui nessuna
sua concubina sapeva effettivamente rispondere. Ma insieme a queste qualità,
come ogni essere umano, si trovavano affiancati dei difetti. L’assoluta
crudeltà. La freddezza. La smania di potete e del controllo. Tutto quello che aveva
sotto il suo dominio non doveva MAI sfuggire ai suoi controlli, altrimenti
avrebbe potuto anche sgozzare cento bambini, pur di farlo ritornare secondo i
suoi desideri.
Questa è la mia storia.
Rin Matsuoka, il pascià della mitica
città di Ubar.
•
L’aria arida del deserto del Rub’Al-Khali, mi ha
sempre fatto sentire come se fossi l’unico ad avere la forza di controllare
tutto quello che c’era al suo interno. Per un semplice motivo. Quando ero più
piccolo mio padre mi aveva portato ad esplorarlo, passando per le immense
regioni dell Uman e
dello Yemen.
Avendo visto quello che c’era dopo, a
questo immenso deserto, dove le uniche risorse idriche, ovviamente sono le
oasi, mi sentii padrone del mondo. ERO il padrone del mondo. Il padrone
di una magnifica città fiorente per i suoi commerci, una città che non aveva
niente da invidiare da alcuna città mediorientale o europea quale fosse.
Ma una cosa, invidiavano alla mia bella Ubar.
L’acqua.
Quasi nessuna città, o carovana, riusciva
ad avere l’acqua. Beh, ovviamente, era mia. Ero riuscito ad incanalarla in
centinaia di canali idrici sotto la sabbia, non ritrovabili da coloro che vi
passavano vicino, o che entravano nella mia città, la quale vantava fontane
magnifiche, con leoni scolpiti sopra, e acqua fresca e limpida che sgorgava dai
bocchettoni.
Ovviamente, di nuovo, ogni passante,
pellegrino, o qual si voglia persona , donna bambino o anziano che aveva
bisogno di beveraggio, era giustamente tassato.
Dovevo proteggere la mia acqua.
Ma un giorno, un funesto giorno, in cui le
temperature sembravano essere talmente alte, che nemmeno gli immensi ventagli
di foglie di palpa e di banano riuscivano a rinfrescarmi – ovviamente
sventolati dalle mie bellissime e fedelissime compagne – alcuni miei soldati,
catturarono un giovane ragazzo di una carovana nomade che si era fermata vicino
alla città da qualche settimana.
Non avevo avuto problemi con quella tribù,
sino a quanto non mi si presentò davanti la figura di una ragazzo vestito di
abiti completamente zuppi di polvere ed altre porcherie. Beh, in confronto ai
bellissimi abiti di lino e seta, adornati con fili d’oro che portavo io ogni
giorno, di un colore rosso cremisi, il colore dei potenti, degli dei,
non poteva di certo reggere il confronto.
Quando fu portato al mio cospetto, quel
ragazzo, sembrava avere i capelli neri, gli occhi azzurri nascosti da veli
bianchi macchiati dallo sporco e dalle tempeste di sabbia, non disse una
parola. Per tutto il tempo rimase in silenzio. Odiavo questi topini di fogna
che credevano di farla franca con me, il suo signore e padrone.
-Sentiamo, piccolo scarto della
società … Credevi seriamente di fregarmi
tentando di rubare, a me, la mia acqua. Nessuno la fa franca contro di me,
soprattutto voi piccolo pezzenti morti di fame…-
Sussurrai in modo malvagio, e non me ne
pentii minimamente.
Ogni abuso, ogni infrazione doveva essere
punita o con la pena capitale o con la schiavitù. E quel ragazzo, per il
comportamento oltraggioso che stava avendo al mio regale e nobile cospetto,
avrebbe dovuto meritar la pena capitale seduta stante. Non aveva nemmeno
provato a supplicarmi, a pregarmi, di lasciarlo andare. Almeno, mi sarei
ammansito, avrei potuto provare compassione, pietà, per un povero straccione
come lui.
-L’acqua, non è solo sua, mio signore, ma è
un bene di tutti, soprattutto di chi viaggia.-
Mi rispose in modo impassibile, il ragazzo
di cui non conoscevo nemmeno il nome. Ma non che avesse grande importanza in
quel momento, in cui era entrato ufficialmente nella mia lista nera per quella
frase così patriottica. Dio. Odio i ratti di fogna come lui. Erano una specie
particolarmente fastidiosa per il mio regime, non c’era che dire.
Sospirai.
-Oh beh, piccolo straccione impenitente,
l’hai voluta tu. Scegli: o la schiavitù o la morte.-
Lo sharkando spazio dell’autrice.
Buona sera piccole sharkine
mie, ecco che vi propongo qualcosa di DIFFERENTE, diciamo che è tutto nato da
una role, ma quasi niente di quello che ho scritto
corrisponde con quello che ho ruolato, che è nato con
la mia Haruka ♥. L’idea era: Ma una bella AU come tema
l’ending di free? Ed eccola qui. Ovviamente RinHaru, perché le sharkando
devono vincere ASSOLUTAMENTE. No scherzo, apprezzo la MakoHaru
per quanto io abbia donato la mia vita alla RinHaru –
e verginità, come le suore.
Spero che possiate apprezzare questo piccolo prologo, a presto col PRIMO
capitolo di questo delirio.
p.s.: tutti i nomi di regioni arabe, il deserto, non
sono di mia invenzione, nemmeno la fantastica
e super-scomparsa citta di Ubar
tecnicamente sono veri, e il titolo? Non è altri che la parola Acqua in arabo,
bella fantasia vero? C: Vi amo fatemi sapere che ne pensate <3