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Autore: Laylath    05/09/2013    3 recensioni
Nel 1916, ad un anno dalla caduta del regime militare del comandante supremo King Bradley, un nuovo sistema di governo si afferma ad Amestris. Una democrazia che non può accettare figure scomode.
Una decisione presa durante una notte autunnale, in una cella, è l'inizio di dieci giorni in cui la storia viene decisa da sei singole persone.
Genere: Azione, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Team Mustang
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Military memories'
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Capitolo 4. Menzogna e sorpresa

 

Giorni 4-5.


Ora che erano rimasti in tre in quella cella, Mustang rivolse la sua completa attenzione a Breda.
Come sempre decise di aspettare la notte, per parlargli quando il tenente si fosse addormentato.
Tuttavia quella sera notò un comportamento molto strano da parte del sottotenente dai capelli rossi: come portarono la cena, lui posò la sua scodella a terra e prese quella destinata a Riza. Si portò davanti a lei, seduta sulla branda, e porgendogliela le disse:
“Adesso mangi tutto, signora. Fa poco meno che schifo, posso capirlo… ma giuro che resterò qui davanti a lei fino a quando non avrà mandato giù l’ultimo boccone. Non può permettersi di stare male come stamattina”
Nonostante l’uso della terza persona, c’era una forte componente di rimprovero nella voce dell’uomo: sembrava che stesse riprendendo una bambina che fa i capricci per mangiare.
Mustang osservò in silenzio la scena, curioso di vedere chi avrebbe vinto in quella gara di volontà: lo sguardo irato lanciato dagli occhi castani di Riza non gli era sfuggito. Sembrava quasi accusare Breda di essere andato ad interrompere una cosa estremamente importante per futili motivi.
Tuttavia la situazione psicologica di quel momento vedeva un netto squilibrio di forze e così, dopo qualche secondo in cui la vecchia ostinazione del tenente aveva fatto la sua ricomparsa, la donna abbassò lo sguardo e, con malavoglia, iniziò a mangiare.
Breda fu di parola e rimase davanti a lei a braccia conserte, guardandola impassibile mandare giù quello stufato dal contenuto indefinibile. Dopo una decina di bocconi il colonnello notò un cambiamento: Riza non stava più mangiando per compiacere Breda, ma per vera fame; divorò quello stufato in pochi minuti, restando poi a guardare la ciotola vuota con un misto di delusione e sorpresa.
Breda sospirò e presa la sua ciotola, che aveva lasciato da parte, gliela porse.
“Tanto per una sera che non mangio questa cosa, non morirò” commentò sarcasticamente, guardando Riza che partiva all’attacco della seconda porzione di cibo.
“Non ti preoccupare – ribadì Mustang – ti prometto che potrai banchettare come si deve già domani sera”
Ma sì, con uno come lui posso anche saltare gli schemi. Tanto siamo rimasti solo in tre.
“Ora mi dirà che devo pensare a quell’idiota di Havoc, vero? Vuole usare anche su di me la carta del legame di fratellanza, o sarà più originale, signore?”
Il sorriso sarcastico sul volto del sottotenente fece ricordare a Mustang che aveva davanti il vero cervello dei suoi sottoposti. Breda era spesso la sua carta vincente: nessuno lo considerava molto a vederlo, con quella stazza e quell’espressione spesso annoiata. In realtà era un uomo rapido con la mente quanto con l’azione: l’unico che probabilmente gli teneva davvero testa. Bastava pensare che a scacchi, diverse volte, l’aveva battuto.
No, con lui non era il caso di usare trucchi simili.
“Peccato non avere qui una scacchiera, Breda. – sorrise Mustang – Ne uscirebbe fuori una bella partita: vedo che siamo carichi entrambi”
Breda sorrise e poi volse la sua attenzione su Riza che aveva terminato di mangiare. Le prese la ciotola di mano e la posò sul vassoio che poi il secondino avrebbe ritirato.
“Vuole un consiglio, signora? Adesso si metta a dormire… e mangi anche quando non ci sarò io a controllarla. Se proprio desidera andare al patibolo deve essere un minimo in forze per salire le scale, non crede?”
Mustang sgranò gli occhi a quella battuta crudele, tanto che stava quasi per richiamarlo. Riza gli sembrava già abbastanza provata psicologicamente e non era il caso di infierire. Tuttavia, ancora una volta con grande sorpresa, la donna annuì distrattamente e si sdraiò nella branda.
Breda le tastò la fronte con gesto gentile e dopo qualche secondo annuì: l’abbassarsi e alzarsi regolare del petto indicavano chiaramente che si era addormentata quasi subito.
“E’ interessante come un’apatia causata da traumi di guerra si possa presentare a più di otto anni di distanza”disse, andando a sedersi davanti al colonnello.
“Non giudicarla così, Breda – scrollò le spalle Mustang – non giudicare nessuno di noi”
“Certo, la più indicata a giudicare è quella giuria di idioti davanti alla quale si prenderà tutte le colpe. Credevo avesse migliore considerazione di se stesso, signore… per pura questione di dignità”
“E chi dovrebbe giudicarmi, secondo te? – stranamente con lui l’alchimista si sentiva libero di poter parlare – Quelli che ho bruciato vivi? Difficile richiamarli dalla morte… e forse la condanna da parte loro sarebbe arrivata così in fretta da non lasciarmi il tempo di salvare voi”
“Persino un gatto sarebbe un giudice migliore di quelli che si è scelto. Posso anche capire la vostra ansia di… espiare quello sterminio perché, è inutile cercare di addolcire la pillola, di sterminio si è trattato. – lo sguardo di quegli occhi grigio chiaro incluse anche la figura dormiente di Riza – Ma in questo modo… mphf, mi scusi, signore, ma da lei mi aspettavo di più”
“Mi dispiace di aver deluso queste tue aspettative: – sorrise contritamente Mustang – avresti preferito una fine più eroica?”
Breda scrollò le spalle e fece un sorriso furbo
“Non credo che sia la sede più adatta per fare un discorso del genere. E non ne avrei nemmeno voglia, considerato che sono a stomaco vuoto. – fissò di nuovo il tenente addormentato – La signora aveva bisogno di recuperare le forze: la obblighi a mangiare anche nei prossimi giorni”
Tutto qui quello che hai da dire, Breda? – si sorprese Mustang – Di prendermi cura del tenente, cosa che avrei comunque fatto? Che cosa stai complottando?
“A che gioco vuoi giocare, Breda? – gli chiese osservandolo con attenzione – Perché ti stai arrendendo con tanta facilità? Proprio tu… con cui ho giocato a scacchi per intere ore, a volte perdendo”
“Non voglio giocare a nessun gioco, non avrebbe senso. – Breda si alzò e andò verso la parete che avrebbe usato come cuscino, dato che per la prima volta non c’era Havoc – Ha già deciso tutto, colonnello: ha scelto di morire e in questo momento io non posso farci nulla. Se domani al processo provassi a difenderla lei mi si ritorcerebbe contro… non mi piacciono le partite in cui il mio avversario è così rassegnato”
“E’ una partita diversa quella con cui mi sto confrontando adesso, sottotenente: – ammise Mustang – l’ho iniziata più otto anni fa ed è arrivato il momento di concluderla. Ed è una partita dove… effettivamente non c’è un vero vincitore”
“Non sembra un gioco divertente e stimolante – commentò il rosso – e sembra che non ci sia possibilità di ritirarsi: si deve andare fino in fondo”
“Eh già. Stanotte prendo congedo da tutte le partite che abbiamo fatto, Breda… L’ultimo gioco che ti chiedo di fare con me sarà domani, quando dovremo fregare la giuria: a dire il vero tu sei quello più difficile da scagionare”
“Certo: io ero alla radio durante il colpo di stato… tutti hanno sentito la mia voce: è innegabile che io fossi ai suoi ordini e fossi al corrente del suo piano. Il sergente poteva anche essere assieme a me, ma con lui si poteva giocare con la buona fede e la giovane età… Io purtroppo non ho il faccino adorabile di Fury: non sarei credibile”
“Allora abbiamo una notte di tempo per trovare una soluzione, non credi?”
“Non avevo sonno, del resto: dormire a stomaco vuoto non mi piace. Ma prima… giusto per curiosità: cosa vuole che faccia una volta uscito da qui? Ha anche per me un incarico speciale?”
Mustang sorrise compiaciuto e disse
“Trova gli altri  e non permettere loro di compiere cavolate: è un momento delicato e non dovete fare mosse false”
Breda rimase a fissarlo per qualche secondo, prima di annuire con convinzione.
“Si fidi di me, colonnello. Li terrò d’occhio io… specie Havoc”
“Sapevo che avresti capito”
Breda fece uno dei suoi sorrisi sarcastici e le successive ore furono passate ad elaborare una via d’uscita anche per il sottotenente.
 
Per la prima volta da quanto aveva iniziato ad assistere ai processi dei suoi sottoposti, Mustang era più teso di quanto si aspettasse. A conti fatti era una vera fortuna che Breda fosse l’ultimo della lista: la corte ormai era indirizzata ad assolvere tutti i suoi uomini per dare la colpa esclusivamente a lui. Ma, per quanto concerneva il colpo di stato, le prove contro Breda erano pesanti e con poche difficoltà di scagionarsi.
A questo giro dobbiamo dare il meglio di noi.
Mentre entravano nell’aula, ancora una volta colma di gente, i due soldati si scambiarono un’occhiata di sbieco, prima che Mustang prendesse posto in una panca dietro il suo sottoposto.
La prima parte del processo era abbastanza facile e a loro favore: Breda aveva i medesimi precedenti di Havoc nella guerra civile
“Anche lei, come il sottotenente Havoc, ha fatto parte della Squadra Falco” disse il giudice, leggendo la cartella relativa all’imputato
“Si, signore – annuì Breda impassibile – vi ho prestato servizio fino al suo scioglimento a fine guerra civile”
Già a questa affermazione il pubblico iniziò a mormorare, pronto a incoraggiare la liberazione del soldato come era avvenuto il giorno precedente per Havoc. Tuttavia il giudice proseguì nella lettura
“Dopo la guerra lei è entrato al servizio del colonnello Mustang. Ed era presente a Central City durante il colpo di stato”
“Sì, ero presente: il colonnello mi incaricò di aiutarlo nel rapimento della signora Bradley e, successivamente, di andare alla sede di Radio Capital per cercare di portare la popolazione dalla sua parte”
Che faccia sorpresa che hai, signor giudice. Che c’è? Ti sorprende così tanto che finalmente ci sia uno degli uomini del colonnello che si dichiara suo complice? Non ti sembra vero? Oh, ma siamo solo all’inizio… aspetta di vedere cosa abbiamo progettato: se sono anni che seguo quest’uomo un motivo ci sarà.
“Lei dunque conferma di essere stato a conoscenza dei piani del colonnello per portare avanti il suo colpo di stato?” c’era davvero una forte meraviglia nella voce del giudice
“Confermo. Ne ero al corrente”
La sala mormorò perplessa: questo processo era diverso dagli altri. Sembrava che il sottotenente Breda fosse davvero colpevole di aver aiutato Mustang.
“E come si giustifica da queste accuse?” chiese il giudice, dopo essersi ripreso dalla sorpresa iniziale.
“Fui incaricato dal Generale Grumman di stare accanto al colonnello e di controllarlo: – scrollò le spalle Breda – nel caso compisse qualche azione pericolosa avrei dovuto valutare la situazione e agire di conseguenza”
Questa è stata proprio una bella trovata, colonnello. Il nostro caro Grumman è in ritiro ad Est e dubito che si preoccuperanno di chiedergli conferma… ed in ogni caso, quella vecchia volpe ci conosce bene e ci reggerebbe il gioco. Niente male, davvero niente male
Ad aggiungere un ulteriore tocco a quella farsa, Breda lanciò un’occhiata dietro di sé, dove stava il colonnello. Mustang lo guardava con rabbia, come se davanti a lui ci fosse il più infimo dei traditori… e ovviamente il gesto era calcolato in modo che tutti potessero vederlo.
Dopo qualche secondo, Breda fece un sorriso gelido al colonnello e rivolse di nuovo la sua attenzione alla giuria.
“Quando prendemmo in ostaggio la signora Bradley, mi premurai che non le accadesse nulla di male e dunque suggerii di portarla con me a Radio Capital, per farla parlare… l’idea piacque molto al colonnello e mi diede ascolto. Il piano originario, dato che ero sempre in contatto con il Generale Grumman, prevedeva che, al mio segnale, avrebbe inviato truppe a Central. Però ci fu quell’incidente ferroviario in cui sembrava che il Comandante Supremo fosse perito, e così il passaggio delle forze dell’Est fu ritardato e me la dovetti cavare da solo”
“Tu – sibilò Mustang, in modo che sentissero tutti quanti – proprio tu!”
Ah, Breda… siamo attori consumati! Non mi aspettavo di potermi addirittura divertire ad un processo!
“Mi dispiace per lei, colonnello. Ma era controllato sin da principio e come vede, alla fine, si è arrivati alla resa dei conti”
Peccato che lei stia facendo i conti in modo sbagliato, signore. E soprattutto con l’oste sbagliato.
Durante questo scambio di sguardi e battute, la giuria come il pubblico, era rimasto attonita. Sembrava che nessuno avesse il coraggio di intervenire in quella disputa tra Mustang e Breda per paura di venire pugnalato da quegli sguardi così penetranti.
Fu il giudice che si costrinse a parlare
“Ehm – si schiarì la voce – sottotenente Breda, qualcuno può confermare quanto da lei dichiarato?”
“Può chiamare il Generale Grumman, se vuole, vostro onore. - scrollò le spalle Breda – Ma a parer mio basta la reazione dell’alchimista di fuoco”
Effettivamente Mustang sembrava sul punto di liberarsi delle manette e attaccare il suo sottoposto: si alzò persino in piedi in un gesto rabbioso. Ma dopo qualche secondo si risedette ed esibì un sorriso cattivo.
“Me l’hai fatta, Breda… – commentò – in tutti questi anni… notevole, ne sono davvero ammirato”
“E’ stato un osso duro, signore – sorrise il sottotenente – ma non poteva farcela davvero”
Sì, effettivamente per la giuria tutto questo poteva bastare: Breda aveva lavorato contro l’alchimista di fuoco e dunque qualsiasi accusa di complotto nei suoi confronti decadeva. A conti fatti il nuovo governo avrebbe dovuto anche ringraziarlo.
E il ringraziamento fu l’immediata liberazione, senza nemmeno bisogno della camera di consiglio.
Processo davvero sommario: mi hanno creduto senza preoccuparsi di chiedere una minima conferma a Grumman. Persone molto affidabili, direi. – sorrise sarcasticamente Breda – Ce li siamo mangiati in un sol boccone, colonnello: una delle sue migliori interpretazioni… come quando ha fregato il boss Acciaio a proposito dell’uccisione del sottotenente Ross.
Fu un vero peccato che dovessero tenere fino all’ultimo i loro ruoli di antagonisti: gli sarebbe piaciuto concedersi una risata con quell’uomo dalla mente fine come la sua. Dovettero accontentarsi di guardarsi con finto odio reciproco, mentre il colonnello veniva riportato in cella.
Bel lavoro Breda – si complimentò Mustang, mentre le porte si chiudevano dietro di lui e le guardie e iniziavano a camminare nei corridoi della prigione – sapevo di potermi fidare di te. E so che farai un buon lavoro anche con gli altri.
 
Come uscì da quella prigione e vide che ad aspettarlo erano solo in due, Breda capì che l’inizio non era dei più promettenti.
“Ehilà, Breda – salutò Havoc, con finalmente una sigaretta fumante tra le labbra – che cosa ha inventato per te il colonnello?”
“Quando ve lo racconterò vi farete un paio di risate, ragazzi. – rispose il rosso, dando un amichevole pugno nel braccio di entrambi – Che ne è di Fury?”
Le facce di Falman e Havoc si incupirono e gli dovettero raccontare delle loro infruttuose ricerche per Central City. Avevano girato ovunque, ma non c’era traccia di quel ragazzo: sembrava che dopo le sue dimissioni dall’ospedale si fosse dileguato.
“Inizio a pensare che, forse, sia davvero andato via dalla città” ipotizzò Falman, grattandosi la nuca con perplessità
“No – scosse il capo Havoc – è ancora qui, ne sono certo. Sarebbe come scappare via e lui non è tipo da farlo: è piccolo ma il fegato non gli è mai mancato”
Breda si mise a braccia conserte e rifletté su dove potesse essersi rifugiato il sergente. Conosceva Fury da anni, da quando era entrato in squadra, e sapeva che nei momenti di difficoltà se non c’erano loro a sostenerlo tendeva ad isolarsi. Salvo poi cercare di risolvere i suoi problemi con encomiabile tenacia.
… fedele alle persone che ami fino all’ultimo e disposto a difenderle con tutte le tue forze.
Le parole che aveva detto il tenente Hawkeye per consolare il sergente si fecero largo nella mente di Breda: ma certo… il ragazzo stava cercando una soluzione. E, per pensare, Fury aveva bisogno di trovarsi davanti all’oggetto del suo problema.
“Andiamo – disse iniziando a incamminarsi – so dove trovarlo, se non adesso, nell’arco delle prossime ore”
 
Era sera tardi quando Fury iniziò il solito pellegrinaggio che ormai faceva da un paio di giorni.
Era qualcosa di terribilmente doloroso, ma non ne poteva fare a meno: era come se, a un certo punto della giornata, le sue gambe decidessero da sole che era il momento di andare. E così si ritrovava a camminare per le strade, con la gente che spesso lo guardava stranita per le sue condizioni: aveva ancora addosso la divisa sporca e non si faceva una doccia da tantissimo… ma forse era la sua espressione di attonito dolore a attirare di più gli sguardi.
Tuttavia non si curava di loro: si rendeva conto della presenza di quella gente, ne prendeva atto e andava avanti, girando nei vicoli giusti, percorrendo le strade che l’avrebbero condotto lì.
E per la quarta volta si ritrovò all’ingresso di quella piazza maledetta: con quel patibolo che lo aspettava, fiero e altero come sempre. Strinse i denti a quella visione, ma non chiuse gli occhi: ormai aveva imparato a non abbassare lo sguardo davanti al nemico.
Le braccia si strinsero leggermente.
“Va bene… - mormorò il sergente – sei pronto? Andiamo, allora”
Passo dopo passo percorse quella piazza, fermandosi alla solita distanza di sicurezza da quel palco maledetto. I suoi occhi scuri, dietro le lenti, analizzarono ogni singolo pezzo di legno, cercando di scomporlo come se fosse una radio: perché per lui era necessario conoscere i singoli pezzi per poter trovare cosa non andava.
Ma per la quarta volta si dovette rendere conto che questo sistema non andava bene. Non c’era elettronica in quella forca: nessun circuito stava alla base di quanto stava per succedere ai suoi amici.
Per la milionesima volta formulò qualche assurdo piano nella sua testa: aveva recuperato la sua pistola che ora stava di nuovo nella fondina della cintura. Per un minuto si vide compiere imprese incredibili, riuscendo a salvare tutti i suoi amici, ma la realtà fu rapida ed impietosa a distruggere quei sogni.
Aveva di nuovo la sua arma, era vero: ma davanti a quella situazione gli sembrava piccola ed inutile, come lui stesso.
“Come possiamo fare a salvarli?” sospirò
Strinse maggiormente le braccia attorno a quello che portava, quasi a voler essere rassicurato e riprese a fissare la forca con sguardo assente, senza rendersi conto dello scorrere del tempo. E dei passi che si avvicinavano
“Ma bene! Fammi indovinare. Pensi di risolvere tutti i problemi del mondo fissando come un ebete quella forca?”
Il cuore di Fury smise di battere per un interminabile secondo.
“Sottotenente?” chiamò, girandosi verso la voce
“Certo, scemo! Ti abbiamo cercato ovunque in questa stupida città. – Havoc diede un leggero scappellotto al collo del ragazzo – Eravamo davvero in pensiero… e tu eri qui a fare il cretino con un cane in braccio: proprio una bella visione!”
“Oh, signore! – singhiozzò di gioia Fury, vedendo anche Falman e Breda – Allora siete salvi pure voi”
“Ma sì, sergente: – lo consolò Falman, mettendogli le mani sulle spalle – tranquillo, siamo qui. Va tutto bene”
“Metti giù quel cane e mi avvicino pure io” disse Breda, tenendosi a debita distanza.
Fury lasciò andare Black Hayate che balzò a terra e fissò con gioia i soldati che conosceva da sempre. Falman e Havoc si strinsero attorno al sergente, seguiti da Breda che lanciava occhiate nervose all’animale.
Ma il cane sapeva stare a distanza di sicurezza da quell’umano che si spaventava sempre in sua presenza.
Nel frattempo Fury piangeva calde lacrime di gioia, mentre sentiva quelle goffe dimostrazioni di affetto nei suoi confronti. I suoi compagni erano lì, accanto a lui: nessuna condanna pendeva sulle loro teste. Erano salvi e questo era il più bel miracolo del mondo.
Sono salvi, sono salvi! Grazie… grazie! Amici miei, non potete immaginare il sollievo… credevo di avervi persi per sempre!
“Si può sapere che fine avevi fatto? – gli chiese Falman – Ti abbiamo cercato ovunque”
“Io… io sono andato a casa del tenente – spiegò tra le lacrime – volevo… volevo salvare almeno Black Hayate. E… avevo paura di trovarlo morto per la fame… dentro casa. – i singhiozzi si fecero più congestionati, tanto che Breda gli batté alcuni colpetti sulla schiena – Ho… ho dovuto forzare la porta e… e non l’ho visto… ma poi… c’era una finestra aperta che… dava sulle scale esterne. L’ho trovato dopo ore e aveva fame ed era sporco! Piangeva… E sono rimasto a casa del tenente perché avevo paura… Oddio, non sapere che cosa voglia dire avervi qui!”
“Fantastico, – sospirò Havoc – noi a cercarlo e questo che correva dietro ad un cane”
“Va bene, direi che può bastare. – mormorò Breda, mettendo un braccio attorno alle spalle di Fury e arruffandogli i capelli sporchi – Andiamo, sergente, abbiamo tutti bisogno di lavarci e mangiare qualcosa di decente. E non è il caso che la gente veda quattro soldati qui, davanti a questo palco: non è il momento di dare nell’occhio”
“Andiamo a casa mia: – propose Falman – una notte di riposo non potrà farci che bene”
“E il colonnello? Ed il tenente?” chiese Fury speranzoso
“Lascia stare, piccoletto. – lo zittì Breda – Hai bisogno di staccare per un po’”
Non è il momento di raccontarti certe cose. La cosa più importante è rimetterti in sesto, ragazzino. 
  
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