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Autore: Ms_Arj    05/09/2013    1 recensioni
Adelina (Ade per cortesia!!) è una ragazza simpatica, spigliata con tutti e amante del suo lavoro. Questa è la storia di come la sua vita cambiò per colpa di sua madre, di un Professore un po' eccentrico, del suo assistente inglese e di un ragazzo osservatore. Questa è anche la mia prima opera quindi siate clementi e recensite, recensite e date commenti (recensendo) =) Grazie Arj
INTRODUZIONE
"Sapevo che era una pessima idea sin da quando, appena laureata, mia madre mi disse di fare domanda per uno stage con il Professore. “In fondo, è un’ ottima occasione e poi potrebbe aprirti molte porte! Solo per pochi mesi: fai un po’ d’esperienza e metti via qualche soldo…” disse. Non sapeva cosa stava dicendo, perché non sapeva cosa volesse dire fare la stagista dal Professore!!!
Già allora pensavo che sarebbe stata una perdita di tempo, non mi avrebbe mai presa come stagista e anche se, nella remota possibilità, l’avesse fatto sarebbe stato un inferno! E, in fondo, avevo ragione."
Genere: Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Ecco l'inizio vero e proprio della nostra storia, il secondo capitolo segna l'entrata in gioco di parecchi personaggi, spero vi piacciano! Arj -
 
- Cap 2° - Take a chance on me -

Una mattina mia madre, quella santa donna e le sue idee del cavolo, se ne uscì dicendo: “Ho fatto stampare a papà il tuo curriculum e l’ho portato ieri mattina a casa del Professore! È in città e sta cercando un assistente. A quando pare il suo è stato accettato in non so quale università famosa e adesso gliene serve uno nuovo!! Devi presentarti oggi pomeriggio in Via Matteotti alle 15. PUNTUALE!” Ecco, datemi un buon motivo per non darle un colpo in testa e vedere cosa ha dentro se un cervello funzionante o aria fritta!
Mio malgrado e senza alcuna voglia presi la macchina e andai a casa del Professore, evitando come la peste di far vedere a mia madre come ero vestita: jeans, maglietta con sopra la scritta: “La scuola è quell'esilio in cui l'adulto tiene il bambino fin quando è capace di vivere nel mondo degli adulti senza dar fastidio –M.M.” (Maria Montessori) e converse tutte colorate e scarabocchiate dopo una settimana di tirocinio all’asilo comunale. Ah già dimenticavo: una crocchia fatta male e ancora mezza blu dopo l’esperimento del “dipingiamo l’oceano” di quella mattina e, ciliegina sulla torta, orecchini a forma di pezzi di pizza. Ok forse mi ero impegnata per sembrare ancora più trasandata e inappropriata del solito, ma ero convinta che se davvero ero la persona giusta avrebbe guardato il mio cervello e non i miei vestiti!
Ed eccomi fuori dall’immensa casa, la stessa che per anni avevo guardato e ammirato andando a prendere un gelato. Sempre chiusa se non per pochi giorni all’anno: quando il Professore era in città o uno dei figli veniva a far visita alla nonna, che viveva nella casa di riposo dove avevo fatto volontariato per un paio d’anni al liceo. La casa dei miei sogni: almeno da fuori.
Erano dieci minuti alle tre quindi avevo ancora tempo per andarmene se avessi voluto. Ma ecco, fuori dal cancello c’erano quattro ragazzi e una ragazza tutti vestiti bene e con la borsa di pelle superfine sotto il braccio. Io avevo la mia solita borsa da università, in pelle, si, ma usurata dal tempo e dall’uso, bistrattata e a tratti macchiata. Appresi che aspettavano ad entrare quando l’unica ragazza disse: “Oh grazie al cielo! Adesso siamo a meno uno… dobbiamo ancora aspettare questo tizio e poi possiamo suonare!!”. Non capivo le sue parole ma poi vidi un foglio appeso sul cancello: “SI PREGA DI SUONARE IL CAMPANELLO D’INGRESSO SOLO QUANDO PRESENTI TUTTI I CANDIDATI IN LISTA…” e poi una lista di sette nomi, tra cui il mio, che capii molto presto essere gli altri poveri cristi che tentavano la sorte. Alcuni di loro erano molto sicuri di se, la ragazza in primis, altri sembravano titubanti. Solo io però sembravo non preoccuparmi di ciò che sarebbe accaduto. Quando, dopo pochi minuti, l’ultimo ragazzo arrivò, suonammo il campanello, staccammo la lista e la ragazza la consegnò a quello che sembrava il maggiordomo. Entrammo in un ampio ingresso, poco luminoso ma molto ben curato in stile liberty, come, ebbi modo di scoprire più tardi, tutto il resto della casa. Il maggiordomo ci chiese di aspettare il primo assistente il cui nome suonò come “Mr. Frown”, un nome una garanzia dato che in inglese frown è cipiglio.
Fui l’unica a non sedersi su uno dei divani o su una delle sedie, sempre liberty, presenti nel salotto ma preferì guardarmi attorno. Appeso alla parete vicino all’ingresso c’era un grande quadro con raffigurato un gruppo poco omogeneo di persone: padre e madre, seduta, e due ragazzini uno molto alto per la sua età e l’altro molto largo per la sua età che rispecchiavano bene i genitori. In basso c’era un cane seduto ai piedi della padrona: un bellissimo Bovaro del bernese dal pelo lungo e ben curato. Mi fermai a guardare il quadro cercando di capire chi di quelli fosse il Professore, anche se poi vidi che la targhetta diceva “Rione Santa Caterina - Asti, 1889”, quindi era ovvio che nessuno di quelli poteva essere il Professore. Quando Mr. Frown arrivò nella stanza tutti assunsero un aria austera e cupa, come prima di un compito in classe che sai già andrà male; e come dargli torto!!
Mr. Immanuel Frown era un uomo alto e asciutto, capelli neri e occhi verdi e penetranti, portava un paio di jeans blu scuri con camicia azzurra Oxford giacca in tweed verde e snikers in tinta. Aveva un paio di occhialini alla John Lennon che gli incorniciavano il viso insieme alla barba folta. Sembrava un tipo austero al tatto e molto sicuro di se, conscio della propria posizione di potere ma pronto a non abusarne. “Prego, seguitemi nella biblioteca dove, per voi, è stato allestito uno spazio consono per svolgere l’esame scritto.” L’italiano perfetto anche se con un leggero accento inglese, rendevano Mr. Frown ancora più austero di prima ma, entrati nella biblioteca, capimmo perché.
Ad attenderci c’era una stanza molto grande ariosa e piena fino all’orlo di librerie e volumi di ogni tipo, genere letterario, secolo e forma, uno spettacolo per gli occhi e per l’olfatto! Al centro della sala c’erano tre tavoli: due più grandi, comodi per ospitare tre persone ciascuno, e un altro più piccolo con una sola sedia. Ci divise per corso di laurea e con mia somma gioia mi toccò il solitario tavolo in ciliegio che sembrava più una scrivania che un semplice tavolino di cortesia. Ci disse che davanti a noi c’erano dei fogli con domande a crocette, domande aperte e la traccia per un breve resoconto di 500 parole da scrivere. Il tutto doveva essere fatto e consegnato in un’ora. Detto ciò fece partire il tempo e cercai di fare del mio meglio. Risposi a tutte le domande a crocette in pochi minuti, fui presa dal “sacro fuoco della filosofia” per le domande aperte ma arrivata al brano da 500 parole trovai un buco nero ad aspettarmi: “ Descriva il candidato il motivo per il quale ha deciso di fare questo colloquio e cosa si aspetta da questa esperienza”. Sono rimasta sconvolta… cosa potevo scrivere: “ Mi ha obbligata mia madre, mi aspetto di essere rifiutata.” Dieci parole erano un po’ pochine e non potevo certo lasciare le altre 490 in balia di loro stesse nell’etere. Dopo dieci minuti buoni che ci pensavo Mr Frown chiamò la mezz’ora. Erano già passati trenta minuti e io non avevo idea di come impegnare i restanti, o meglio, non avevo idea di cosa scrivere in quelle 500 parole poi l’idea… e produssi questo:
“In realtà non ho deciso io di fare questo colloquio, mia madre ha portato il curriculum e questa mattina mi ha semplicemente informata che mi sarei dovuta presentare oggi alle 15 per sostenerlo. Quindi non so nemmeno cosa aspettarmi da questa esperienza. Presumo che questi giovani che stanno accanto a me e scrivono come forsennati sui loro fogli protocollo abbiano molte più capacità di me, sicuramente sono più eruditi e colti. Molti di loro sanno di greco e latino e conoscono le opere del Segre, io invece leggo romanzi rosa per tirarmi su di morale e Nietzsche quando sono troppe felice per tornare ad uno stato di quiete. Ho una laurea in filosofia e scienze umane, mentre loro sono classicisti o letterati moderni; io voglio insegnare in un liceo mentre loro probabilmente puntano ad usare questa esperienza come “trampolino di lancio” verso il mondo universitario! 500 parole sono davvero molte per descrivere motivazioni e aspettative, e io di motivazioni e aspettative ne ho ben poche. Conosco bene gli ambiti di ricerca del Professore e sono molto lontani da ciò che io ho studiato così assiduamente negli ultimi due anni; anche se, devo ammetterlo, le sue teorie sul linguaggio mi hanno conquistato per un certo periodo, prima di accorgermi di una fallacia intrinseca della quale, tempo dopo, si ravvide anche l’autore. Inoltre conosco la vita che mi aspetta, se mai dovessi essere presa in considerazione, cosa ignota agli altri candidati che tentano la sorte con me oggi. Loro sono motivati perché guardano al futuro, ma io in potenza ne ho già uno “sicuro” che mi aspetta, quindi le mie sono solo motivazioni esperienziali. Appunto l’esperienza: cosa mi aspetto? Mi aspetto ciò che segue: rispetto, cordialità, di imparare cose nuove e conoscere posti mai visti, di poter visitare le più importanti e rinomate università del mondo e vedere le città più belle che a loro si accompagnano. Inoltre mi aspetto di non essere trattata come una schiava, ma da persona con dei diritti. Non mi aspetto, certamente, di essere presa in considerazione per il posto ma almeno che me lo venga detto in modo garbato, come credo si meritino anche gli altri giovani qui presenti con me. Eccoli, scrivono e riscrivono e riconteggiano per essere sicuri di non oltrepassare le 500 parole, questo limite massimo da non superare. Io ho smesso di preoccuparmene alla 221 parola, quindi ora sto solo cercando di arrivare al numero massimo senza troppe divagazioni. Per concludere vorrei solo aggiungere una cosa: adoro questa casa, mio nonno abitava qui vicino e ci io passavo davanti ogni sabato pomeriggio andando a prendere il gelato ma la vedevo sempre chiusa e buia. Quando era aperta era perché uno dei proprietari veniva a far visita alla Sig.Emma, la madre del Professore, che era in una casa di riposo qui vicino, e questo lo so perché ero una delle volontarie dell’istituto. Mi è sempre dispiaciuto molto che rimanesse chiusa così a lungo, era ed è rimasto un peccato non renderle giustizia vivendoci.”
Lo so cosa state per dire “sono 501 parole”, ma mi sembrava giusto concludere così: fuori dal limite massimo. E misi il punto appena in tempo: trenta secondi dopo averlo fatto finì il tempo e riconsegnai i fogli. Mr. Frown ci diede un foglio aggiuntivo da compilare con i dati e i numeri da contattare nel caso avessimo fatto un lavoro accettabile. Poi alle 16.30 fummo congedati. In tutto questo tempo non vedemmo mai il Professore e non venne mai fatta menzione alla sua persona come essere vivente.
Uscita andai per la mia strada, ignorando palesemente la ragazza che mi faceva mille domande su cosa avessi scritto nel compito, quali domande erano capitate e soprattutto cosa avessi messo nelle 500 parole, sottolineando che lei l’aveva preparato a casa e se l’era studiato a memoria per essere sicura di non sbagliare e di fare colpo. Dopo averla ignorata fino alla macchina, salì, misi in moto e la lasciai li nel parcheggio a rimuginare e a parlare con se stessa.
Il ritorno a casa fu traumatico: vi risparmierò tutta la ramanzina di mia madre su abbigliamento e quant’altro per dirvi solo che mai mi sarei immaginata in quel momento ciò che sarebbe successo l’indomani.


-Allora cosa ne pensata dei personaggi che ho introdotto qui?? Piacciono?? Ho cercato di descrivere al meglio persone con cui ho ha che fare tutti i giorni (purtroppo ci sono persone come la sig.ina Ameise in ogni università) Spero che vi sia piaciuto- Arj-

 
  
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