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Autore: HoranEve    05/09/2013    1 recensioni
Le parole per tacere, il silenzio per fuggire, la paura per restare, il letto per dormire, la rabbia per svegliarsi, come prima per vivere.
Genere: Drammatico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Tornammo a casa a piedi ed io mi congelai letteralmente. Così non appena entrai in casa mi avvolsi in una coperta e mi fiondai nel divano. Niall, invece, preparò la cena rumorosamente in cucina.
“Vuoi una mano?” urlai per sovrastare il rumore dei piatti e delle posate ‘appoggiate’ tutt’altro che delicatamente.
“No, tu scaldati.”
“Non mi passa, continuo a tremare” gli dissi. E lui comparve in salotto.
“Prendo un’altra coperta o ti preparo qualcosa di caldo?”
“No, no ma..” non feci in tempo a finire la frase che lui attaccò: “okay, entrambi.”
Smisi di tremare solo dopo che Niall si avvicinò a me e mi strinse fra le sue braccia.
“Va meglio, eh?” disse soddisfatto.
“Già.”
“Chissà come mai…” disse scoppiando a ridere.
La mia risata risuonò fra le voci della televisione appena accesa.
“Non mangi?”
“Non ho appetito, grazie” dissi vedendolo incupirsi.
“Perché mangi così poco?”
“Non ho fame, dico sul serio.”
Mi sentii morire dentro. Provavo un senso di colpa pesantissimo dentro il cuore. Dovevo trovare il modo per comunicargli le mie condizioni di salute, dovevo liberarmi di quel peso perché se glielo avessi confessato troppo tardi, avrei potuto rovinare tutto.
 
Dopo cena, si posizionò di nuovo accanto a me.
“Posso mettermi vicino a teee?” canticchiava allegro come sempre.
“Si” sorrisi e gli feci spazio sotto la coperta.
Lui mi circondò con un braccio e cambiò canale: un film ambientato negli anni venti. Mi sentivo bene ogni volta che c’era contatto fisico tra me e lui, ogni volta che potevamo stare vicini. Ma quella volta il timore si impossessò di me.
Prensi fiato e sussurrai: “devo dirti… una cosa.”
Lui mi fissò con quegli occhi irresistibili e annuì.
Quando, però, notò che non riuscivo a trovare le parole si fece serio e mi chiese: “va tutto bene?”
“No.” Ammisi.
“Cosa c’è che non va?”
Abbassai lo sguardo e senza rispondere, non sapevo come dirgli una cosa simile.
“Sono io? Ho fatto qualcosa?”
“No, no. Certo che no. Tu vai benissimo così, sono io che… non..”
Sospirai ancora, la saliva mancava all’interno della mia bocca e facevo fatica a respirare per l’agitazione.
“Non ti ho detto una cosa” parlai tutto d’un fiato. Lui incominciò a capire che ero davvero intimorita ed imbarazzata.
“Ammetto di essere curioso, ma se non ti senti a tuo agio puoi dirmelo un’altra volta.”
“No.” Piagnucolo. “Devo dirtelo ora, è.. è una cosa seria e tu devi saperla. Hai il diritto di arrabbiarti quanto vuoi, di cacciarmi, di non parlarmi più, anche di odiarmi se vuoi.”
“ehi, ehi, ma tranquilla. E’ tutto okay, piccola.”
A queste parole così tenere, cominciai a piangere. Mi aveva appena chiamata ‘piccola’. Ed io ero soltanto una piccola bugiarda.
“Non è tutto okay” dissi per la seconda volta.
“Allora dimmi che cosa non va!” sospirò un po’ seccato.
“Sono malata.” Appena pronunciate queste parole cominciai a sentire ‘il peso’ alleviarsi dentro di me.
Niall mi guardava con aria interrogativa, senza parlare.
“Le..leucemia.”
E scoppiai a piangere.
Lui non disse niente, non mosse un muscolo, non reagì. E forse quella era la peggiore delle reazioni, quella che io non avevo calcolato.
Continuavano a scendermi le lacrime e sentivo di nuovo freddo, mescolato ad una sensazione di vuoto incolmabile nel cuore. Forse cominciavo già a sentire il suo cuore distaccarsi dal mio. Sentivo il mio pietrificarsi all’idea di perderlo.
“Niall” dissi singhiozzando.
Lui si alzò e salì al piano di sopra.
“Niall” ripetei non vedendolo tornare.
Cominciai ad agitarmi, a singhiozzare sempre più forte. Mi alzai dal divano per cercare non so che cosa. Qualsiasi cosa. Vago per la stanza trascinando la coperta sulle spalle finché mi inginocchio vicino alle scale.
“Niall, ti prego.” Lo chiamai ancora una volta, invano.
All’improvviso ricominciai a tremare. Mi mancava il respiro ed avevo la nausea. Mi appoggiai al muro a lato della scala, alzai gli occhi verso il soffitto, che subito si riempirono di lacrime. Cominciava a girarmi anche la testa.
Sensazioni orribili percorrevano il mio corpo e i pensieri negativi persuadevano il mio stupido cervello.
Mi passai una mano fra i capelli e mi strinsi nella coperta.
“N..Niall” gridai piangendo.
Ma ormai ero persa in un deserto di solitudine. Nessuno poteva sentire le mie lacrime né le mie implorazioni.
Dopo qualche minuto, un tempo confuso ed indefinito svanì tutta la confusione.
Scorrevano ancora lacrime sconsolate sul mio viso, tuttavia mi riprensi. Misi a fuoco la stanza e mi incamminai sulle scale.
Fremevo. Mi strinsi il labbro inferiore, ero tesa. Ero terrorizzata dalla reazione che avrebbe avuto vedendomi insistente nella sua stanza.
Dalla soglia della camera, lo intravidi steso nel buio a pancia in giù con il volto premuto sul cuscino.
“Niall” dissi un’ultima volta. Balzò nel letto, voltandosi verso di me. La sua ombra si accarezzava le guance, come per rimuovere le lacrime.
“Io..” Mi sentii morire nel vederlo piangere.
“Perché non me l’hai detto.” Mi interruppe con una voce piena di delusione.
A questo punto crollai a terra, in ginocchio. Piansi disperata, non trovando le parole.
“Dimmelo!” insistette lui, alzando la voce.
“Dimmi perché non me l’hai detto. Valgo così poco per te? Meritavo di saperlo.”
Sentendolo urlare contro di me, mi presi il volto tra le mani e non riuscii più a trattenere i singhiozzi, che uscivano deboli dalle mie labbra.
“Smettila” disse, cercando di controllarsi “smettila di piangere.” Queste parole suonarono come un ordine che io non ero in grado di rispettare, non riuscivo a fermare le lacrime.
“Smettila! Vieni qui. Non ce la faccio a vederti così.”
Si alzò e mi prese un polso strattonandomi con forza.
Mi misi in piedi davanti a lui e lo guardai negli occhi. Lui fece lo stesso.
“Dimmi perché non me l’hai detto. E’ ingiusto.”
“Lo so” dissi con un filo di voce e mi accovacciai di nuovo a terra.
Si accucciò pure lui e mi prese le mani. “Tirati su.”
Non ci credevo, ancora quel ragazzo provava ad aiutarmi. Era il mio salvatore, non potevo lasciarlo andare. Nella confusione dei pensieri, l’unica riflessione nitida era non perdere Niall.
Lo baciai.
Così, improvvisamente, tra la sua delusione e le mie lacrime.
Mi allontanai subito, avevo fatto la cosa più inopportuna di tutte.
Lui non disse niente. Rimase immobile a guardarmi mentre io cercavo la mia forza. Dov’era andata a finire? Svanita.
Mi voltai, incapace di sostenere il suo sguardo inespressivo, ma pur sempre febbricitante.
Scesi le scale di corsa e mi fiondai nel bagno piccolo.
Mi sedetti a terra con le ginocchia strette sul petto. Pochi minuti dopo qualcuno bussò alla porta.
Qualcuno che ovviamente poteva essere solo lui.
“Valeria” chiamò.
“Aprimi.”
Girai la chiave nella toppa e lui spinse la maniglia.
Aperta la porta, si inginocchiò sulla soglia.
“Perdonami.” Implorò.
“Alzati” sussurrai mentre le lacrime ricominciavano a scendere “alzati subito, non puoi chiedere perdono di… di niente. Non hai fatto niente. Ho combinato tutto io.”
Continuavo a ripetere nella mia mente: io; è colpa mia.
“Perdonami.”
“Smettila” singhiozzai.
Scattò in avanti abbracciandomi.
Appoggiò la testa nella mia spalla. Sussurrò nel mio collo “Perdonami, ti prego, non voglio farti piangere.”
“Allora smettila di chiedermi scusa” dissi.
“Tu mi perdoni, però?” mi tenne le mani sulle spalle, aveva l’aria di un bambino innocente che vuole le caramelle.
“Non ho nulla di cui perdonarti.”
“Ho avuto una reazione di merda, si, invece.” Insistette.
“Ed io ho avuto un comportamento schifoso fin dall’inizio.” Affermai.
“Non c’entra” disse abbassando la testa.
“Non c’entra? Si che c’entra Niall. Ho sbagliato io, non si discute.”
“Si discute eccome” disse irritato. A quanto pare entrambi ci stavamo riprendendo dallo shock e facendo i conti con la coscienza.
“Ora mangi qualcosa e ne parliamo” decise lui e non potei oppormi perché sapeva benissimo che la mia malattia implicava anche mancanza di appetito.
 
Mi preparò velocemente un toast, ma quando mise il piatto davanti a me sentii lo stomaco ritorcersi. Non volevo mangiare.
“Non fare storie.” Concluse.
“Non lo voglio, ti prego.”
Sentii le lacrime riempirmi gli occhi. Ora basta, non potevo piangere di nuovo.
“Fallo per me, Vale” implorò.
Alla fine mi costrinse a parlargli della mia situazione e a mangiare almeno metà di quel dannato toast.
Adoravo Niall, i suoi ricatti a scopo benevolo, la sua rabbia, la sua bontà. Adoravo il modo dolce in cui mi abbracciava e la tenerezza con cui mi parlava. Adoravo il fatto che lui si fidasse di me, e tenesse a me come nessun’altro aveva mai fatto.
Alla fine del discorso, si alzò e mi augurò la buonanotte.
 
La tristezza incombeva su di me perché ero consapevole di averlo deluso. Così passai la notte a leggere e quando intravidi i primi raggi di sole uscii in terrazzo (dove non ero mai stata prima) a scrutare le cime dei palazzi di una Londra mattutina che non vedevo da tempo.
Vedendo una donna passeggiare con in mano due caffè da asporto pensai di preparare una bella colazione e di sforzarmi di mangiare così da rendere felice Niall.
Era strano, ma in quel momento mi premeva prendermi cura dei suoi sentimenti e non dei miei.
Caffè caldo, marmellata, uova, l’immancabile nutella e fette di pane tostato erano già pronte in tavola. Stavo ritoccando i miei biscotti, copiati da un libro di ricette scozzesi, quando Niall varcò la soglia della cucina con uno squillante “Buongiorno!”.
Mi salutò con un bacio sulla guancia e cominciò subito a mangiare. Sorrideva.
Quanto poteva farmi sentire bene la sua compagnia? E il suo sorriso? E… i suoi occhi.
Scrutai il suo viso mentre lui addentava un panino ad alto contenuto calorico.
“Sei bellissima quando ti distrai a fissare qualcosa” disse all’improvviso.
In effetti non mi ero accorta che anche lui mi stava guardando. Ero imbarazzata, ma molto grata per il complimento.
“Grazie”, sorrisi.
“Ti presento i miei amici questa sera.”
“Davvero? Oh bene, quindi andiamo a cena fuori?” chiedo entusiasta.
“Si, certo. Preparati per le otto.”
Detto questo, prese l’orologio, le chiavi dell’auto, il soprabito e si avviò verso il lavoro. Lo osservai girare l’angolo, poi cominciai a programmare la mia giornata.




ecco qui un altro capitolo, scusate se ci metto così tanto a postare, ma ogni volta che scrivo mi sembra sempre che manchi qualcosa.
aspetto sempre le vostre recensioni, vi prego, ditemi che ne pensate. adoro scrivere e pubblicare un libro è uno dei miei grandi sogni, ma ora sto semplicemente scrivendo una fan fiction e non vi chiedo molto, solo il vostro parere.
grazie mille a tutte quelle che visitano e non recensiscono, e grazie anche a chi recensisce
with love, eva ♡
((@cheerfuloned su twitter))

 
  
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