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Autore: jake84    12/03/2008    2 recensioni
Da quando si è svegliato improvvisamente dal coma, per Scott sono cambiate molte cose.. cosa sono le voci che sente nella testa? e perchè tutti sembrano sapere qualcosa che lui non ricorda? Presto scoprirà verità che non poteva conoscere, troverà amici che non sapeva di avere... e nemici che non immaginava di affrontare..
Genere: Azione, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L’inizio

Qualche mese dopo

 

 

“ Scott, posso parlarti un momento?”

Era suonata la campanella del suo primo giorno di scuola, era la fine di marzo. Tutti i ragazzi stavano uscendo dalla classe, quando il professore dell’ultima ora lo aveva chiamato. Scott non poteva certo dire di esserne sorpreso… semmai a sorprenderlo era il fatto che avesse aspettato la fine dell’ora per parlargli. Si fermò accanto alla cattedra e aspettò che gli altri ragazzi uscissero. Si ricomincia gente, disse qualcosa dentro si lui. Erano mesi che si trovava a dare spiegazioni per cose di cui non sapeva niente.

Rimase ad osservare in silenzio, come sempre faceva.

Scott era un ragazzo che poteva passare facilmente inosservato. Non parlava mai se non interpellato, sembrava non essere mai veramente presente. Non era molto alto, aveva i capelli scuri molto corti. Era un po’ pallido, quasi etereo. Nemmeno il suo abbigliamento destava curiosità: semplici jeans e maglietta blu. Era come se non ci fosse, in qualunque situazione. Ma se incrociavi il suo sguardo, anche solo una volta, non lo dimenticavi facilmente. Anche per questo, Scott aveva sempre lo sguardo basso.

Il prof nel frattempo mise apposto le sue cose. Era abbastanza giovane nell’aspetto e nei modi, di certo meglio dei matusalemme che gli esano capitati gli anni passati.

“ Ho dato un’occhiata alla tua cartella, prima di venire in classe. Non so se tu l’hai mai vista, ma… be’… non c’è niente in quella cartella. Ho cercato negli archivi e tutte le informazioni su di te sembrano essere sparite nel nulla. E oggi spunti dal nulla nella mia classe, accompagnato dal preside in persona. Posso chiederti quanti anni hai?” L’espressione del professore era strana. Sembrava accusarlo di qualcosa e al tempo stesso sembrava quasi temerlo. E nonostante tutto, gli parlava con un gran sorriso sulle labbra.

“ Diciotto. Li ho compiuti il mese scorso”.

“ E come mai ti hanno assegnato ad una classe di seconda liceo?” chiese il professore.

“ Perché i miei voti in primo liceo mi consentivano di iscrivermi al secondo anno.” Rispose, senza smettere di guardarsi intorno lentamente.

Il prof aprì la bocca per dire qualcosa. Poi la richiuse. Scott sapeva quello che avrebbe voluto chiedere. E intuiva quello che sperava di sentire.

“ Se mi vuole chiedere cosa ho fatto nei 4 anni che avrei dovuto passare a scuola, sappia che non li ho passati in carcere. Ero in una clinica specializzata. Ero affetto da una rara malattia, a quanto pare. Spero non le dispiaccia se non le dirò altro al riguardo.” Il quel momento smise di guardare in giro e fisso il professore. Sapeva che il suo sguardo, più delle parole, avrebbero messo fine alla conversazione.

“ Ehm… sì, certo… capisco. Puoi andare… ehm… Scott. Sono sicuro che lavoreremo bene insieme.” Il prof prese tutte le sue cose e quasi corse fuori dalla porta. Ora aveva paura. Scott poteva quasi vederla, la paura, come un’aurea intorno al suo corpo.

Ecco un altro che non mi guarderà con gli stessi occhi, domani.

 

Sulla strada di casa cercò di non pensare a niente. A volte gli tornavano in mente immagini di cose che non ricordava, di cose che non potevano essere reali, ma sembravano così vivide che lo spaventavano. Provò per l’ennesima volta di pensare a quando era piccolo, alla sua infanzia, ma inutilmente. Certo ricordava i suoi genitori, i suoi nonni. Ricordava di essere cresciuto a Noridan, un piccolo paese non molto lontano da lì. Ricordava dell’esplosione che aveva ucciso i suoi genitori… era solo un lampo, un’enorme luce rossa che invadeva tutto… ma aveva quattro anni all’epoca, era giusto che non ricordasse altro. Ma tutto quello che era venuto dopo… no, non ne aveva memoria. Ricordava i nomi dei suoi amici, ricordava i loro volti, ma non quello che avevano fatto insieme, non ricordava nulla dei loro giochi. Ricordava tutti i nomi, tutte le date, tutte le facce… ma niente di quello che era successo.

Pensò distrattamente che il semaforo avrebbe segnato il giallo tra meno di 4 secondi, perciò allungo il passo per non doversi fermare. Mancavano trecentocinquantaquattro metri alla fermata, sei minuti all’arrivo del pullman se fosse stato puntuale. Non si chiese come facesse a sapere tutte queste cose. Le sapeva e basta. Quello che non sapeva, quello che non ricordava, era chi fosse lui davvero.

 

Un ragazzo biondo sullo skate lo superò ad una velocità impressionante. Poi si fermò e guardò dietro.

“ E muovetevi schiappe!” urlò.

Scott d’istinto si voltò e vide in lontananza tre ragazzi che arrancavano sui loro skate. Sembravano spossati. Il ragazzo biondo invece sembrava non avere nemmeno un po’ d’affanno.

Improvvisamente un altro lampo. Guardò il ragazzo davanti a sé. I suoi capelli erano di un biondo scuro, la sua pelle abbronzata. Gli occhi azzurri. Non era la prima volta che lo vedeva. E la sua voce – muovetevi schiappe! – riecheggiò nella sua testa. No, aveva già sentito quella voce. L’aveva sentita… l’aveva sentita urlare…

“ Ci sei, fratello?”

Scott sbatté gli occhi e tornò al presente. Ci mise un attimo per analizzare la situazione.

“ Ti stavo fissando, vero?” chiese.

“ Eh, sì. Sembravi aver visto un alieno.” Disse il ragazzo biondo, spostando il peso da un piede all’altro in continuazione.

“ Scusa. È che mi hai ricordato qualcuno che forse conoscevo.”

“ Fai tu. Ma se scopri che in un’altra vita ti dovevo dei soldi, non venirmi a cercare! Io scappo.” Senza aspettare risposta, il ragazzo biondo si rimise sullo skateboard e schizzò via.

L’aveva già visto. Non aveva dubbi. E se non si sbrigava, rischiava di perdere il pullman.

 

Quando salì sul pullman, i dubbi e il domande che lo tormentavano da mesi si ripresentarono, come noiosi clienti che si chiedono accanto al tuo tavolo quando hai bisogno di un po’ di tranquillità. Ripresero i loro posti e cominciarono a parlare. E una domanda, buttata lì con noncuranza, lo sorprese: era stato necessario spaventare il prof quella mattina?

In fondo, stava facendo solo il suo mestiere. Un nuovo alunno presentato quasi a fine anno, praticamente un fantasma senza nessun documento che ne chiarisse il passato. Era giusto che fosse curioso… e magari anche sospettoso. E, volendo proprio semplificare il tutto, avrebbe potuto dirgli tranquillamente la verità.

Ma che cazzata! Sbottò un altro noioso cliente, nella sua testa. Lui non la conosceva la verità! Gli avevano detto che era rimasto in coma per quattro anni e lui aveva finto di crederci, ma non poteva essere così. Aveva cercato in tutti i modo di spiegarselo, aveva cercato informazioni. Non avrebbe potuto svegliarsi da un coma di quattro anni e alzarsi semplicemente dal letto e urlare perché aveva fame. I suoi muscoli non gli avrebbero permesso di alzarsi. Avrebbe avuto qualche postumo, un qualsiasi sintomo. Invece aveva aperto semplicemente gli occhi, pensando di aver dormito un po’ troppo.

Non gli avevano detto la causa di quello stato comatoso. Ogni dottore aveva indicato un collega che avrebbe saputo dargli maggiori spiegazioni. Scott aveva capito che o non sapevano niente oppure non volevano dirglielo. In ogni caso, avrebbe trovato da solo le risposte.

Era diventato molto silenzioso. Un cliente rise senza discrezione. Scott ne era molto irritato. Come faceva a dire che era diventato silenzioso, se non ricordava niente di com’era prima?

No, non era vero, provò a ridabile. Ricordava un sacco di cose. Aveva frequentato la scuola elementare e le medie nella scuola che praticamente era sotto casa. Era stato bravo, tutti ottimi voti. Ricordava i volti dei suoi genitori e la data dell’incidente d’auto che glieli aveva portati via. Ricordava della gita a Roma e di quella a Parigi. Ricordava la sua stanza, la sua casa. Ricordava i suoi amici, le strade della sua città che aveva consumato sulla sua bici…

Ma appena pronunciate, anche solo nella sua mente, quelle parole gli sembrarono così inconsistenti. Era semplicemente troppo poco.  La verità era che ricordava solo notizie! Andavano bene per compilare un curriculum, un rapporto… ma ricordava di essersi divertito con i suoi amici? Ricordava di aver pianto per i suoi genitori? Ricordava di aver avuto paura?

 

E lui, com’era da bambino? Oltre al rapporto di fine anno dietro ad ogni attestato della scuola, chi era stato in realtà?

Scott strinse i pugni, un brivido gli corse per tutto il corpo. Lasciò perdere tutti quegli stupidi pensieri. Chiuse gli occhi, per trovare la concentrazione.

 

Sul pullman c’erano ventitrè persone. Cinque dormivano. I sette ragazzi in fondo al pullman tornavano probabilmente dall’università. La ragazza straniera avanti a lui era lì per badare alla signora che le sedeva accanto. Non sembrava capire molto di quello che diceva la vecchia, ma annuiva nei momenti giusti. C’erano due bambini e una bambina. Un ragazzo con gli occhiali e l’i-pod che forse dormiva.  Un ragazzo e una ragazza che stavano abbracciati.

Senza aprire gli occhi, Scott passò in rassegna tutti i passeggeri che aveva visto quando era salito. Di nuovo non si chiese come fosse possibile che ricordasse tanti particolari dopo una semplice occhiata. Le voci nella sua testa avevano smesso di chiacchierare.

Stava per succedere qualcosa.

 

Qualche istante dopo, Scotto capì che aveva visto giusto. Alla fermata, salirono a bordo due uomini. Il primo sulla trentina, il secondo un po’ più giovane. Jeans malandati, maglione scolorito, lo sguardo attento sui passeggeri. L’autista chiuse le porte e continuò la corsa. I due presero posto davanti.

Aveva tutto sotto controllo.

 

L’autista cambiò frequenza alla radio, trovò una canzone decente e alzò un po’ la voce. Faceva un po’ troppo caldo lì dentro. Imboccarono l’autostrada. 

 

Il giovane si avvicinò all’autista. Gli disse qualcosa all’orecchio. Scott non riusciva a leggere il labiale, ma in fondo non ne aveva bisogno. L’altro uomo, quello più anziano, tirò fuori una pistola.

Scott vide la mamma in seconda fila tirare a sé il bambino e nasconderlo contro il vetro, senza dire una parola, ma con gli occhi che parlavano molto chiaramente. Attese le fatidiche parole – “questa è una rapina! Collaborate e nessuno si farà male!” – e si concentrò sui movimenti dell’uomo. Era lui il capo, era sua la decisione. Era lui quello da eliminare.

Colpisci al cuore! Colpisci alla testa jushi! gridarono le voci nella sua testa. Tutto il resto cadrà a pezzi!

 

L’uomo stava derubando i passeggeri, sollecitando con pugni e minacce chi non cacciava subito il denaro. Scott si alzò e fece un paio di passi verso l’uomo.

“ Seduto! Sta seduto pezzo di stronzo!” gli gridò l’uomo, puntando la pistola verso di lui.

Scott evitò di guardarlo negli occhi. Le voci nella sua testa non smettevano di parlare, ma stavolta non era un fastidio. Gli dicevano di non alzare lo sguardo.

L’uomo arrivò ad un passo da lui. Sta alzando il braccio. Disse una voce. Ti sta per colpire con il calcio della pistola. Adesso!

Il braccio di Scott scattò in alto. Bloccò la mano dell’uomo. Tenne la pistola puntata contro il soffitto. Il tempo sembrava essersi fermato. Con l’altra mano sferrò un pugno nelle costole dell’uomo. Sentì le ossa spezzarsi. L’uomo si accasciò a terra. Scott gli prese la pistola.

 

Senza bisogno di guardare, sentì l’altro ragazzo avvicinarsi. Gli Aveva puntato la pistola contro. Lui non si sarebbe avvicinato abbastanza. Lui non avrebbe esitato a sparare.

 

Fai quello che devi, jushi!

 

Scott alzò lo sguardo. Fissò gli occhi del giovane. Vide la sua mano tremare. Sentì, la sua mente vibrare.

Lasciaci andare, jushi! Lasciacelo fare!

No! Per un attimo Scott ebbe paura. Non sapeva perché, ma sentiva che non doveva seguire le voci in quel momento. Non doveva lasciarle andare.

Si concentrò ancora di più sul ragazzo. Lo vide lasciar cadere la pistola. Lo vide indietreggiare, quasi volesse nascondersi. Poi un uomo sulla cinquantina si alzò e lo colpì alla nuca. Il giovane stramasso al suolo.

 

Silenzio. Nella sua testa c’era silenzio. Era finita.

  
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