1
L’inizio
Qualche
mese dopo
“
Scott, posso parlarti un momento?”
Era
suonata la campanella del suo primo giorno di scuola, era la fine di
marzo. Tutti
i ragazzi stavano uscendo dalla classe, quando il professore
dell’ultima ora lo
aveva chiamato. Scott non poteva certo dire di esserne
sorpreso… semmai a
sorprenderlo era il fatto che avesse aspettato la fine
dell’ora per parlargli. Si
fermò accanto alla cattedra e aspettò che gli
altri ragazzi uscissero. Si ricomincia gente,
disse qualcosa
dentro si lui. Erano mesi che si trovava a dare spiegazioni per cose di
cui non
sapeva niente.
Rimase
ad osservare in silenzio, come sempre faceva.
Scott
era un ragazzo che poteva passare facilmente inosservato. Non parlava
mai se
non interpellato, sembrava non essere mai veramente presente. Non era
molto
alto, aveva i capelli scuri molto corti. Era un po’ pallido,
quasi etereo.
Nemmeno il suo abbigliamento destava curiosità: semplici
jeans e maglietta blu.
Era come se non ci fosse, in qualunque situazione. Ma se incrociavi il
suo
sguardo, anche solo una volta, non lo dimenticavi facilmente. Anche per
questo,
Scott aveva sempre lo sguardo basso.
Il
prof nel frattempo mise apposto le sue cose. Era abbastanza giovane
nell’aspetto e nei modi, di certo meglio dei matusalemme che
gli esano capitati
gli anni passati.
“
Ho
dato un’occhiata alla tua cartella, prima di venire in
classe. Non so se tu
l’hai mai vista, ma… be’… non
c’è niente in quella cartella. Ho cercato negli
archivi
e tutte le informazioni su di te sembrano essere sparite nel nulla. E
oggi
spunti dal nulla nella mia classe, accompagnato dal preside in persona.
Posso
chiederti quanti anni hai?” L’espressione del
professore era strana. Sembrava
accusarlo di qualcosa e al tempo stesso sembrava quasi temerlo. E
nonostante
tutto, gli parlava con un gran sorriso sulle labbra.
“
Diciotto.
Li ho compiuti il mese scorso”.
“
E
come mai ti hanno assegnato ad una classe di seconda liceo?”
chiese il
professore.
“
Perché i miei voti in primo liceo mi consentivano di
iscrivermi al secondo
anno.” Rispose, senza smettere di guardarsi intorno
lentamente.
Il
prof aprì la bocca per dire qualcosa. Poi la richiuse. Scott
sapeva quello che
avrebbe voluto chiedere. E intuiva quello che sperava di sentire.
“
Se
mi vuole chiedere cosa ho fatto nei 4 anni che avrei dovuto passare a
scuola,
sappia che non li ho passati in carcere. Ero in una clinica
specializzata. Ero
affetto da una rara malattia, a quanto pare. Spero non le dispiaccia se
non le dirò
altro al riguardo.” Il quel momento smise di guardare in giro
e fisso il
professore. Sapeva che il suo sguardo, più delle parole,
avrebbero messo fine
alla conversazione.
“
Ehm… sì, certo… capisco. Puoi
andare… ehm… Scott. Sono sicuro che lavoreremo
bene
insieme.” Il prof prese tutte le sue cose e quasi corse fuori
dalla porta. Ora
aveva paura. Scott poteva quasi vederla, la paura, come
un’aurea intorno al suo
corpo.
Ecco
un altro che non mi guarderà con gli
stessi occhi, domani.
Sulla
strada di casa cercò di non pensare a niente. A volte gli
tornavano in mente
immagini di cose che non ricordava, di cose che non potevano essere
reali, ma
sembravano così vivide che lo spaventavano. Provò
per l’ennesima volta di
pensare a quando era piccolo, alla sua infanzia, ma inutilmente. Certo
ricordava i suoi genitori, i suoi nonni. Ricordava di essere cresciuto
a
Noridan, un piccolo paese non molto lontano da lì. Ricordava
dell’esplosione
che aveva ucciso i suoi genitori… era solo un lampo,
un’enorme luce rossa che
invadeva tutto… ma aveva quattro anni all’epoca,
era giusto che non ricordasse
altro. Ma tutto quello che era venuto dopo… no, non ne aveva
memoria. Ricordava
i nomi dei suoi amici, ricordava i loro volti, ma non quello che
avevano fatto
insieme, non ricordava nulla dei loro giochi. Ricordava tutti i nomi,
tutte le
date, tutte le facce… ma niente di quello che era successo.
Pensò
distrattamente che il semaforo avrebbe segnato il giallo tra meno di 4
secondi,
perciò allungo il passo per non doversi fermare. Mancavano
trecentocinquantaquattro metri alla fermata, sei minuti
all’arrivo del pullman
se fosse stato puntuale. Non si chiese come facesse a sapere tutte
queste cose.
Le sapeva e basta. Quello che non sapeva, quello che non ricordava, era
chi fosse
lui davvero.
Un
ragazzo biondo sullo skate lo superò ad una
velocità impressionante. Poi si
fermò e guardò dietro.
“
E
muovetevi schiappe!” urlò.
Scott
d’istinto si voltò e vide in lontananza tre
ragazzi che arrancavano sui loro
skate. Sembravano spossati. Il ragazzo biondo invece sembrava non avere
nemmeno
un po’ d’affanno.
Improvvisamente
un altro lampo. Guardò il ragazzo davanti a sé. I
suoi capelli erano di un
biondo scuro, la sua pelle abbronzata. Gli occhi azzurri. Non era la
prima
volta che lo vedeva. E la sua voce – muovetevi schiappe!
– riecheggiò nella sua
testa. No, aveva già sentito quella voce. L’aveva
sentita… l’aveva sentita urlare…
“
Ci
sei, fratello?”
Scott
sbatté gli occhi e tornò al presente. Ci mise un
attimo per analizzare la situazione.
“
Ti
stavo fissando, vero?” chiese.
“
Eh,
sì. Sembravi aver visto un alieno.” Disse il
ragazzo biondo, spostando il peso
da un piede all’altro in continuazione.
“
Scusa. È che mi hai ricordato qualcuno che forse
conoscevo.”
“
Fai
tu. Ma se scopri che in un’altra vita ti dovevo dei soldi,
non venirmi a
cercare! Io scappo.” Senza aspettare risposta, il ragazzo
biondo si rimise
sullo skateboard e schizzò via.
L’aveva
già visto. Non aveva dubbi. E se non si sbrigava, rischiava
di perdere il
pullman.
Quando
salì sul pullman, i dubbi e il domande che lo tormentavano
da mesi si
ripresentarono, come noiosi clienti che si chiedono accanto al tuo
tavolo
quando hai bisogno di un po’ di tranquillità.
Ripresero i loro posti e
cominciarono a parlare. E una domanda, buttata lì con
noncuranza, lo sorprese:
era stato necessario spaventare il prof quella mattina?
In
fondo, stava facendo solo il suo mestiere. Un nuovo alunno presentato
quasi a
fine anno, praticamente un fantasma senza nessun documento che ne
chiarisse il
passato. Era giusto che fosse curioso… e magari anche
sospettoso. E, volendo
proprio semplificare il tutto, avrebbe potuto dirgli tranquillamente la
verità.
Ma
che cazzata!
Sbottò un altro
noioso cliente, nella sua testa. Lui non
la conosceva la verità! Gli avevano detto che era
rimasto in coma per
quattro anni e lui aveva finto di crederci, ma non poteva essere
così. Aveva
cercato in tutti i modo di spiegarselo, aveva cercato informazioni. Non
avrebbe
potuto svegliarsi da un coma di quattro anni e alzarsi semplicemente
dal letto
e urlare perché aveva fame. I suoi muscoli non gli avrebbero
permesso di
alzarsi. Avrebbe avuto qualche postumo, un qualsiasi sintomo. Invece
aveva
aperto semplicemente gli occhi, pensando di aver dormito un
po’ troppo.
Non
gli
avevano detto la causa di quello stato comatoso. Ogni dottore aveva
indicato un
collega che avrebbe saputo dargli maggiori spiegazioni. Scott aveva
capito che
o non sapevano niente oppure non volevano dirglielo. In ogni caso,
avrebbe
trovato da solo le risposte.
Era
diventato molto silenzioso. Un cliente rise senza discrezione. Scott ne
era
molto irritato. Come faceva a dire che era diventato
silenzioso, se non ricordava niente di com’era prima?
No,
non era vero, provò a ridabile. Ricordava un sacco di cose.
Aveva frequentato
la scuola elementare e le medie nella scuola che praticamente era sotto
casa.
Era stato bravo, tutti ottimi voti. Ricordava i volti dei suoi genitori
e la
data dell’incidente d’auto che glieli aveva portati
via. Ricordava della gita a
Roma e di quella a Parigi. Ricordava la sua stanza, la sua casa.
Ricordava i
suoi amici, le strade della sua città che aveva consumato
sulla sua bici…
Ma
appena
pronunciate, anche solo nella sua mente, quelle parole gli sembrarono
così
inconsistenti. Era semplicemente troppo poco. La
verità era che ricordava solo notizie!
Andavano bene per compilare un
curriculum, un rapporto… ma ricordava di essersi divertito
con i suoi amici?
Ricordava di aver pianto per i suoi genitori? Ricordava di aver avuto
paura?
E
lui, com’era da bambino? Oltre al rapporto di fine anno
dietro ad ogni
attestato della scuola, chi era stato in realtà?
Scott
strinse i pugni, un brivido gli corse per tutto il corpo.
Lasciò perdere tutti
quegli stupidi pensieri. Chiuse gli occhi, per trovare la
concentrazione.
Sul
pullman c’erano ventitrè persone. Cinque
dormivano. I sette ragazzi in fondo al
pullman tornavano probabilmente dall’università.
La ragazza straniera avanti a
lui era lì per badare alla signora che le sedeva accanto.
Non sembrava capire
molto di quello che diceva la vecchia, ma annuiva nei momenti giusti.
C’erano
due bambini e una bambina. Un ragazzo con gli occhiali e
l’i-pod che forse
dormiva. Un ragazzo
e una ragazza che
stavano abbracciati.
Senza
aprire gli occhi, Scott passò in rassegna tutti i passeggeri
che aveva visto
quando era salito. Di nuovo non si chiese come fosse possibile che
ricordasse
tanti particolari dopo una semplice occhiata. Le voci nella sua testa
avevano
smesso di chiacchierare.
Stava
per succedere qualcosa.
Qualche
istante dopo, Scotto capì che aveva visto giusto. Alla
fermata, salirono a
bordo due uomini. Il primo sulla trentina, il secondo un po’
più giovane. Jeans
malandati, maglione scolorito, lo sguardo attento sui passeggeri.
L’autista
chiuse le porte e continuò la corsa. I due presero posto
davanti.
Aveva
tutto sotto controllo.
L’autista
cambiò frequenza alla radio, trovò una canzone
decente e alzò un po’ la voce.
Faceva un po’ troppo caldo lì dentro. Imboccarono
l’autostrada.
Il
giovane si avvicinò all’autista. Gli disse
qualcosa all’orecchio. Scott non
riusciva a leggere il labiale, ma in fondo non ne aveva bisogno.
L’altro uomo,
quello più anziano, tirò fuori una pistola.
Scott
vide la mamma in seconda fila tirare a sé il bambino e
nasconderlo contro il
vetro, senza dire una parola, ma con gli occhi che parlavano molto
chiaramente.
Attese le fatidiche parole – “questa è
una rapina! Collaborate e nessuno si
farà male!” – e si concentrò
sui movimenti dell’uomo. Era lui il capo, era sua
la decisione. Era lui quello da eliminare.
Colpisci
al cuore! Colpisci alla testa
jushi!
gridarono le voci nella sua testa. Tutto il
resto cadrà a pezzi!
L’uomo
stava derubando i passeggeri, sollecitando con pugni e minacce chi non
cacciava
subito il denaro. Scott si alzò e fece un paio di passi
verso l’uomo.
“
Seduto! Sta seduto pezzo di stronzo!” gli gridò
l’uomo, puntando la pistola
verso di lui.
Scott
evitò di guardarlo negli occhi. Le voci nella sua testa non
smettevano di
parlare, ma stavolta non era un fastidio. Gli dicevano di non alzare lo
sguardo.
L’uomo
arrivò ad un passo da lui. Sta
alzando il
braccio. Disse una voce. Ti sta
per
colpire con il calcio della pistola. Adesso!
Il
braccio di Scott scattò in alto. Bloccò la mano
dell’uomo. Tenne la pistola
puntata contro il soffitto. Il tempo sembrava essersi fermato. Con
l’altra mano
sferrò un pugno nelle costole dell’uomo.
Sentì le ossa spezzarsi. L’uomo si
accasciò a terra. Scott gli prese la pistola.
Senza
bisogno di guardare, sentì l’altro ragazzo
avvicinarsi. Gli Aveva puntato la
pistola contro. Lui non si sarebbe avvicinato abbastanza. Lui non
avrebbe
esitato a sparare.
Fai
quello che devi, jushi!
Scott
alzò lo sguardo. Fissò gli occhi del giovane.
Vide la sua mano tremare. Sentì,
la sua mente vibrare.
Lasciaci
andare, jushi! Lasciacelo fare!
No!
Per un attimo Scott ebbe paura. Non sapeva perché, ma
sentiva che non doveva
seguire le voci in quel momento. Non doveva lasciarle andare.
Si
concentrò ancora di più sul ragazzo. Lo vide
lasciar cadere la pistola. Lo vide
indietreggiare, quasi volesse nascondersi. Poi un uomo sulla
cinquantina si
alzò e lo colpì alla nuca. Il giovane stramasso
al suolo.
Silenzio.
Nella sua testa c’era silenzio. Era finita.