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Autore: Niere    06/09/2013    1 recensioni
Livia e Gianluca, in passato, erano una coppia affiatata, ma la vita li ha cambiati e tutto ciò che è rimasto del loro amore è un bambino di quattro anni e tanto rancore. Il rancore però annebbia la ragione ed entrambi si ritroveranno a mettere in dubbio le scelte fatte, le loro convinzioni e i loro sentimenti.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Primi chiarimenti - POV Gianluca

Avevo dormito pochissimo, scosso dagli eventi della serata. Ero stato quasi tutta la notte a vegliare il sonno agitato di Livia, preoccupato che potesse sentirsi male da un momento all’ altro. Fortunatamente, Matteo era al massimo delle sue energie già di prima mattina e mi costringeva ad essere sveglio e attento. Ines lo aveva riaccompagnato a casa e, dopo avermi fulminato con lo sguardo ed avermi fatto in quarto grado, ci aveva lasciati da soli.
Preparai una colazione semplice per Matteo e Livia, che si svegliò con un bel mal di testa. Aveva gli occhi un po’ arrossati, cerchiati da leggere occhiaie violacee e il viso pallido. Era ridotta uno straccio, così decise di disertare il lavoro, per una sola giornata. Dopo aver messo qualcosa nello stomaco, andò a farsi una doccia, senza dire una parola. Matteo si ritirò in camera sua ad oziare, visto che Livia non lo avrebbe portato all’ asilo, ed io ne approfittai per telefonare in ufficio per farmi dare il giorno libero e per seguire il telegiornale. Non volevo andare via, non prima di aver chiarito la situazione con Livia. Dovevo sapere quello che le passava per la testa, perché, onestamente, non capivo più niente. Dopo un’ ora, uscì dal bagno, sfoggiando un aspetto migliore: aveva sistemato i capelli, aveva coperto le occhiaie con un po’ di trucco e aveva indossato un vestito monospalla, di stoffa verde e leggera, che le lasciava scoperte le gambe. Si parò di fronte a me, che me ne stavo seduto sul divano del salotto e, con aria mortificata, disse: “Noi due dobbiamo parlare…”.
Prese posto accanto a me, a distanza di sicurezza. La guardai incuriosito, ma anche preoccupato. Prese un bel respiro ed iniziò: “Non so come ho fatto a perdere il controllo, ieri sera. Mi vergogno così tanto di quello che ho fatto…”.
Proprio non riuscivo a capirla. Fino a poche ore prima ero certo che mi odiasse, ma, in quell’ istante, cominciava a balenarmi l’ idea che neanche lei sapeva cosa provasse per me. Le chiesi: “Ti vergogni di esserti ubriacata o di essere stata particolarmente affettuosa?”.
La mia voleva essere una battuta per sdrammatizzare, ma probabilmente pensò che la stessi criticando, perché proseguì, imbarazzata: “Di entrambe le cose… Sicuramente penserai che sono una pazza, ma non è così. Io…”. Abbassò lo sguardo: “Sto passando un momento difficile. Sai, quando sei stato portato in ospedale subito dopo l’ incidente, mi sono messa seduta su una sedia di quel maledetto corridoio grigio e ho riflettuto. In momenti drammatici come quelli la testa segue dei percorsi stranissimi. Ho pensato a come sarebbe stata la mia vita senza di te, crescere Matteo da sola, non confrontarmi con te per le decisioni importanti. Anche se ho provato a negarlo a me stessa, tu sei un tassello importante della mia vita. Mi piacerebbe tornare ad amarti incondizionatamente, ma ho una paura tremenda di illudermi e soffrire nuovamente.”.
L’ avevo ascoltata in silenzio, incapace di assimilare quello che aveva appena detto. Aveva abbassato le difese e sembrava così fragile e vulnerabile come un oggetto di cristallo che poteva rompersi da un momento all’ altro. La Livia fredda e sempre pronta a litigare sembrava essersi eclissata per qualche secondo.
Mi feci coraggio e replicai: “Mi stai dicendo che non sai cosa fare?”.
Tornò a guardarmi in volto: “Esatto.”.
Mi passai nervosamente una mano tra i capelli: “Neanche io, ma devo essere sincero con te: io amo la persona che eri una volta, la ragazza dolce, sempre ottimista, che sapeva farmi dimenticare i problemi. Non so se amo la donna che sei diventata. Non fraintendermi, non sto dicendo che sei una persona orribile, anzi… sei intelligente, carismatica, determinata, ma sembra che la nuova te non riesca più ad amarmi come un tempo. La cosa più triste è che non posso darti tutti i torti: in parte è anche colpa mia, negli ultimi anni ho fatto un sacco di cavolate.”.
Mi sorrise, malinconica: “La verità è che siamo cambiati moltissimo, forse perché siamo cresciuti troppo in fretta, forse perché avevamo troppe aspettative. Probabilmente non torneremo più insieme, ma io, in questo momento, non mi sento ancora pronta a firmare le carte per il divorzio. Ho bisogno di un po’ di tempo per riflettere.”.
Mi avrebbe fatto diventare matto, ne ero certo. Ma era così convinta delle sue parole che non avrei potuto ribattere. Se fosse stata un’ avvocatessa, avrebbe vinto tutte le cause, anche le più difficili: “Ok, prendiamoci del tempo e riparliamone con più calma.”.
Lei annuì e tornò a fissare un punto indecifrabile del pavimento. Dopo qualche secondo, riprese: “Non dovresti tornare a casa?”.
La guardai, stupito della sua domanda che sembrava quasi fuori luogo, in quell’ istante. Sorrisi, tentando di sdrammatizzare la situazione: “Che c’è? Mi stai cacciando via?”.
Sorrise divertita e rispose: “No, è che probabilmente sarai stanco e vorrai farti una doccia… Indossi ancora gli abiti di ieri sera.”.
In effetti, avevo proprio una gran voglia di darmi una rinfrescata e di stendermi un po’ sul letto. Mi alzai dal divano e replicai: “Ora che mi ci fai pensare, è proprio quello di cui ho bisogno.”.
Dopo aver salutato Matteo, presi le chiavi della macchina, che avevo lasciato sul mobile dell’ ingresso e aprii la porta. Livia era accanto a me, da brava padrona di casa. Mi fissò e mi salutò: “Allora ci vediamo.”.
Senza rifletterci troppo, dissi: “Senti, per la prossima settimana mio padre ha intenzione di organizzare una cena alla casa al mare. Non è nulla di che, solo una piccola rimpatriata di amici. Perché non venite anche tu e Matteo?”.
Mi guardò dubbiosa: “E’ un appuntamento?”.
Un appuntamento? La cosa stranamente mi piaceva. Quando eravamo ancora due studenti, passavamo giornate intere alla casa ad Anzio. In quel piccolo villino avevamo passato tanti momenti piacevoli e divertenti: “Solo se lo vuoi tu. Io credo che sia più un’ occasione per fermarci un istante e per capire cosa proviamo l’ uno per l’ altra. In fondo, è quello di cui abbiamo bisogno.”.
Le mie parole la convinsero: “Ok, ci sto. Fammi sapere a che ora sarà la cena.”.
Me ne andai sereno e carico di ottimismo. Ero in pace con il mondo anche se non sapevo come comportarmi con Livia. Era pur sempre la donna che avevo sposato, con la quale avevo affrontato alti bassi,ed ero ancora attratto da lei, fisicamente. Ancora non riuscivo a capacitarmi del mio autocontrollo. Mi chiedevo dove avevo trovato la forza di bloccarla, poche ore prima, quando era evidente che mi desiderava almeno quanto la desiderassi io. O ero un vero gentiluomo, oppure ero l’ essere umano più stupido della terra.
  
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