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Autore: lafilledeEris    06/09/2013    1 recensioni
Hunter Clarington è sparito a poche settimane dalle Regionali. Kurt e Sebastian vengono incaricati, loro malgrado, di andare a recuperare il leader degli Usignoli.
Sarà un viaggio che li porterà ad attraversare l'America. Riusciranno a sopravvivere l'uno all'altro o si scanneranno?
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Dal Cap. I
Un blazer scorrazzava per la scuola, senza fermarsi davanti a niente e a nessuno, travolgendo il povero bidello e rovesciando il secchio piano d’acqua.
“Signor Sterling, il preside lo verrà a sapere” si sentì dire da una voce indistinta.
E a dare l’allarme fu un Usignolo biondo, dal maldestro ciuffo spettinato a causa della corsa e con la cravatta fuori posto. La cravatta fuori posto non era ben vista alla Dalton. Oh, no. Soprattutto se eri un Usignolo: ne andava del buon nome del Glee Club.
“Abbiamo perso un Usignolo!” gridò Jeff a gran voce, aprendo all’improvviso la pesante porta in mogano della sala prove del Glee Club.
Il viso paonazzo e il fiatone furono ciò che lo fecero stramazzare al suolo, poco dopo.
Genere: Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kurt Hummel, Sebastian Smythe, Warblers/Usignoli
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. II
Indiana
 
 
 
 
Kurt e Sebastian erano in viaggio da circa otto ore quando al primo venne un dubbio atroce. Per nascondere la sua espressione preoccupata, decise di appiccicare il naso alla cartina.
“Fai finta di nulla” si disse. “Tu non sai nulla”.
“Kurt?”
Ignoralo.
“Kurt?”
Fai finta di nulla.
“Kurt!”
Si sarebbe stancato prima o poi di chiamarlo. Come ci si nasconde avendo a disposizione solo una cartina geografica?
“Dannazione, Hummel!” Sebastian con la mano destra andò ad accartocciare la cartina, lasciando un Kurt senza alcuno scudo, costretto a rannicchiarsi nell’angolo più lontano del sedile. “Dimmi che non è come sembra”.
“E come ti sembra?” squittì l’altro.
“A me pare che ci siamo persi”.
“Magari…”
Ok, via il dente, via il dolore.
“HO SBAGLIATO A DARTI LE INDICAZIONI PER DAYTON E DA LI’ ABBIAMO SBAGLIATO IL RESTO!”
Sebastian inchiodò, fregandosene del traffico, si girò e fulminò – anzi incenerì – Kurt con lo sguardo.
“Cosa vuol dire che abbiamo sbagliato strada?” sibilò Sebastian, fingendo una calma che non aveva.
“Che sulla I-70 dovevamo tenere la direzione per Indianapolis, ma non entrarci” sussurrò Kurt.
Sebastian sgranò gli occhi, stupefatto
“Mi stai dicendo che per colpa tua abbiamo fatto due” calcò sull’orario “ e ripeto due, ore di macchina in più perché tu non sei in grado di leggere una diavolo cartina?”
Kurt incrociò le braccia al petto, mettendo il broncio.
“E tu hai una Aston Martin ma non hai un navigatore. Taccagno”.
“Scusa, ma non mi capita tutti i giorni di farmi Ohio- Colorado in macchina!”
Kurt aveva iniziato a battere la fronte contro il cruscotto, alternando le testate alle parole.
“Cosa- ho – fatto-di- male”.
Sebastian mise la mano fra la fronte di Kurt e il malcapitato cruscotto, gesto che stupì Hummel a tal punto da farlo voltare e rivolgere uno sguardo interrogativo.
“Ci tengo. Al cruscotto” spiegò Sebastian con stampato in faccia uno dei sorrisi più falsi del suo repertorio.
“Stronzo” masticò fra i denti Kurt.
“Capirai, per tutte le volte in cui me lo sono sentito dire. Solitamente capita quando mando via qualcuno dal mio letto, ma tant’è .”
Kurt fece una faccia abbastanza schifata.
“Hummel, non fare il santarellino. So che correvi dietro al blazer di Anderson e addirittura a quello di Hunter. Abbiamo la stessa materia prima nei pantaloni”.
“Il problema non è la materia prima” mimò le virgolette, Kurt “ è l’uso che se ne fa”.
“E la tua ha le ragnatele”
Al che Kurt trovò un buon motivo per recuperare la cartina e sistemarla.
“Ahia!”
Dritta in faccia a Smythe. Niente era più piacevole che sentire il rumore di qualcosa che si spiaccica sulla faccia di Sebastian e gli fa pure male. Insomma, nella vita ci si deve accontentare di piccole cose.
“Non sono affari tuoi di cosa io faccia, o non faccia in camera da letto” sentenziò prima di guardare dritto davanti  a sé “ e ora parti, stiamo bloccando il traffico”.
 
Due ore, due cd dei Motley Crue e tante caramelle gommose dopo, Kurt e Sebastian si ritrovarono a dividere gli ultimi animaletti gommosi rimasti.
“Sebastian, non farlo!”
“Cosa?” lo schernì l’altro.
“Non avrai quel coraggio!”
E invece lo fece. Sebastian Smythe si mangiò l’ultimo delfino gommoso. Kurt si era premurato di lasciarlo per ultimo. Sì, insomma, Kurt aveva le sue fissazioni e una di queste era lasciare le caramelle gommose che gli piacevano di più alla fine.
Ora, invece, aveva dovuto dare l’ultimo saluto al suo adorato delfino, povero disgraziato finito nella pancia di una balena piena di sé. Ave, Delfino.
“Tu sei una persona orribile!”
Sebastian gli sorrise, prendendendolo in giro.
“Hai la mano troppo lenta!”
“Tu invece troppo allenata!” lo schiaffeggiò quando tentò di prendere le fragoline. “Questa è mia” scandì le parole.
“Stai diventando violento!” lo rimproverò Sebastian.
“Indovina di chi è la colpa!”
Sebastian alzò gli occhi al cielo, esasperato.
“Non ci provare!” Kurt gli puntò l’indice contro “ Sono io che devo sopportare te, io volevo partire con Blaine”.
“Blaine di qui, Blaine di la” Sebastian agitò le mani al cielo “ Sembra che tutti a scuola pendiate dalle sue labbra!”
“Forse perché lui si rende sempre utile, è disponibile, e prima che tu lo dica” Kurt gli mise la mano davanti al viso “ il tuo non è essere disponibile, è essere facile” sillabò Kurt.
“Aiuto il mondo a modo mio”
“No, tu aiuti te stesso”.
“Come dici tu!” taglio corto Sebastian “ Allora, cerchiamo un hotel?”
Kurt capì che doveva alzare bandiera bianca.
“Lo sai vero che siamo nel bel mezzo dell’Indiana, con un tempo da cani fuori, e senza sapere dove andare?”
“Vorresti dirmi che il fatto di non aver trovato nessun albergo libero è colpa mia?”
Kurt squadrò Sebastian. Ok, aveva due opzioni: poteva scappare dalla macchina sotto la pioggia e correre senza una meta, oppure cercare di ragionare insieme a Sebastian. Per quanto la prima opzione lo attraesse più del dovuto, si ricordò quanto contasse per lui essere una persona civile e che in quel casino ci erano finiti anche  - ma solo un po’, perché si base era tutta colpa di Hunter! – per colpa sua.
Sospirò pesantemente.
“Dico che sarà dura trovare un posto dove stare, senza aver prenotato, senza sapere dove andare , senza avere una minima idea di come muoversi”.
Sebastian non  lo stava ascoltando. No , questo era il colmo. Iniziava ponderare l’idea di affrontare la pioggia torrenziale.
“Davvero, Sebastian?” fece per aprire lo sportello, quando venne bloccato per un polso.
Eccolo lì, come un’allucinazione in mezzo al deserto. Kurt si stropicciò gli occhi, sbattendo le palpebre più volte.
Si guardarono in faccia, cercando un segno da parte dell’altro.
Scesero dalla macchina, cercando di coprirsi dalla pioggia con le giacche - cosa che si rivelò quasi inutile -, e raggiunsero il porticato della piccola villetta dalla struttura in legno. Era carina, curata e soprattutto più grande dell’abitacolo dell’Aston Martin di Sebastian.
“Siamo sicuri che non sia fatta di marzapane?” domandò Kurt, picchiettando con l’unghia contro lo stipite della porta.
“Secondo me c’è un forno che ci aspetta” commentò macabro Sebastian.
“Non dirlo nemmeno scherzando”  Un brivido gli attraversò la schiena.
Suonarono il campanello in color madre perla che diceva “ Millicent’s B&B”, riprendendo il nome dall’insegna sulla porta.
“Possiamo ancora andarcene” sussurrò a denti stretti Sebastian.
La porta cigolò con fare sinistro.
Rivelò loro l’interno della casa, rimasero abbastanza stupiti. Ad accoglierli c’era una vecchina non alta più di un metro e cinquanta, avvolta in un grande scialle color pesca che li scrutava da sopra degli occhiali dalle lenti tonde e spesse.
“Sì?”
Kurt si schiarì la voce.
“Salve,  stiamo cercando una camera per questa notte…”
“Oh” arricciò le labbra, la donna “entrate!” si spostò, facendoli entrare.
Li  condusse al bancone della reception per farli registrare, prendendo in mano un quaderno rilegato in pelle.
Kurt si guardò attorno e rimase colpito nel vedere con quanta cura tutto era stato sistemato. Gli piacque la tenda in stile vittoriano sulla grande finestra che dava sulla strada, le poltrone in pelle sistemate davanti al camino…
“Non credo sistemino un forno qui, sai?” gli sussurrò Sebastian all’orecchio, il che gli fece guadagnare una gomitata in pieno stomaco.
“Mi servono i vostri documenti” spiegò l’anziana, non dando a Kurt il tempo di replicare. I due ragazzi le diedero le loro carte d’identità e aspettarono che venisse passato loro il modulo per firmarlo.
“Io sono Penelope” disse la donna, sorridendo loro “ ma potete chiamarmi Penny!”
“Chi è Millicent?” si lasciò sfuggire Kurt, troppo curioso. “Mi scusi” sussurrò poco dopo, abbassando lo sguardo.
La donna fece un gesto di noncuranza con la mano.
“Millicent era mia madre” spiegò Penelope, semplicemente. Riprese i moduli che Sebastian le porgeva, dopo averlo firmato. “Ora se volete seguirmi, vi mostro la vostra stanza”.
Percorsero una piccola scala a chiocciola per poi trovarsi davanti un lungo corridoio in penombra, per arrivare ad una porta color ciliegia.
Sebastian guardava con circospezione la camera, bloccandosi sull’entrata e non dando a Kurt la possibilità di vedere come fosse dentro.
Al quel punto fu costretto a incastrare la testa fra il braccio e il fianco del’altro.  Lo stupore fu tanto che lasciò cadere la borsa da viaggio che teneva fra le mani sui piedi di Sebastian, anche lui talmente scioccato che non si mosse di una virgola.
“Mi spiace” si scusò la donna “ Ma in questo periodo ho quasi tutte le stanze occupate, spero non vi crei problemi dividere il letto”.
Il braccio di Sebastian andò a stringere il collo di Kurt, chiuse il pugno che andò sfregare contro la testa di quest’ultimo.
“ Io e il mio amico Kurt non abbiamo di questi problemi!”
Hummel iniziò a sbracciarsi, cercando di sottrarsi a quella tortura.
“Giusto!”  Assestò una ginocchiata alla coscia dell’altro, facendolo cedere e riuscendo a liberarsi.
Ora poteva tornare a respirare, e Dio solo sa quanto Sebastian avesse rischiato attentando al suo ciuffo.
“Non c’è nessun problema!” sentenziò Kurt, cercando di dissimulare il forte disagio che in realtà sentiva. Avrebbe dovuto dividere il letto con Sebastian Smythe.  In tutto questo di positivo poteva trovarci solo una cosa: magari poteva provare a soffocarlo nel sonno.
“Vi lascio sistemare le vostre cose” disse Penelope, chiudendosi la porta della camera alle spalle.
Quando furono soli si ritrovarono in un imbarazzante silenzio.
Sì, insomma Kurt non aveva ancora somatizzato l’idea di dover dividere il letto con Sebastian che iniziava a pensare che avrebbe preferito dormire in macchina. Era una situazione alquanto strana – se non addirittura stramba – il doversi ritrovare a dividere lo stesso letto, quando non riuscivano a convivere stando nello stesso universo.
Sebastian si tolse il giubbotto e lo sistemò con fin troppa cura sulla poltrona davanti alla scrivania, sistemata contro la parete.
“E così…” tentò Kurt.
“No,non ti lascerò fare la doccia per primo!”
“Non volevo chiederti quello!”
“Ma lo stavi pensando!”
Kurt sbuffò teatralmente, alzando le mani in segno di resa.
“Ti lascio solo, così puoi fare quello che vuoi. Ricordati una cosa, però: non  lamentarti del dolore al polso”.  Era ormai sull’uscio, quando schivò una scarpa e riuscì a chiudere la porta per un pelo.
Quel ragazzo era strano: aveva una sorta di meccanismo di autodifesa che consisteva nell’offendere il resto del mondo. Ormai Kurt lo aveva capito. Forse perché anche lui era un po’ così, arrabbiato col mondo.   Non che non si divertisse a litigare con Sebastian, ma delle volte era davvero sfiancante e si capiva che in certi momenti l’altro era davvero arrabbiato.
Riflettendo su questo, scese al piano inferiore e si andò a sedere su una delle poltrone che aveva notato quando si stavano registrando.
Prese a guardarsi intorno finché un particolare non colpì la sua curiosità: era una foto sistemata sul caminetto. Ritraeva un giovane, che al tempo doveva aver avuto al massimo ventuno anni, indossava una divisa. Aveva grandi occhi scuri e un bel sorriso.
Mentre era intento a studiarne altri dettagli una tazza di ceramica comparve davanti al suo campo visivo.
“Era mio marito, Avery” sentì dire. Penelope era comparsa al suo fianco. Stavolta era diversa, meno formale.
Portava i lunghi capelli bianchi –quasi argentati – raccolti in una treccia che cadeva su un fianco; indossava una vestaglia verde menta e incastrata fra il braccio e l’ascella custodiva un libricino dall’aria consunta.
“Deve amarlo molto” commentò Kurt, prendendo la tazza e soffiando piano per non bruciarsi.
Le i sorrise. Aveva un bel sorriso, di quelli che partono dalle labbra e arrivano agli occhi.
“Eh già, lo amavo. E credo lo amerò per sempre”.
“Magari potrò conoscerlo”.
La donna scosse la testa.
“Non credo sia possibile” iniziò “ è venuto a mancare tanti anni fa”.
“Oh”. Kurt incassò il collo fra le spalle, come a volersi nascondere.
“Non fa nulla, caro. Non potevi sapere”.
Lo scrutava con quei suoi grandi occhi, ma Kurt non si sentiva a disagio. Non riusciva a non fidarsi di lei.
“Ci siamo conosciuti nel 1969 a Woodstock, fra migliaia di persone ci siamo riconosciuti, più che altro” iniziò la donna,  prendendo un sorso di cioccolata “ io al tempo portavo sempre un fiore fra i capelli. Quel giorno, fra il caos e la stanchezza lo persi. Lui mi si avvicinò con la scusa di aver notato che in quei giorni ne indossavo sempre uno e gli faceva strano vedermi senza”.
“Quindi lui l’aveva già vista da qualche parte?”
La donna scosse il capo in segno di diniego.
“ Il festival durò una settimana, lui mi si avvicinò solo l’ultimo giorno. Da lì non ci siamo più lasciati. Avevamo entrambi sedici anni, grandi speranze e ci nutrivano di amore e musica” sorrise bonariamente al ricordo la donna.
“Poi che accadde?” domandò curioso Kurt.
“Era il periodo della guerra in Vietnam, lui venne chiamato sotto le armi. Aveva diciotto anni. Ricordo ancora quando quella mattina di settembre bussarono alla mia porta.  Erano due uomini in alta uniforme, sai quanto il corpo delle forze armate del nostro Paese” quasi sputò su l’ultima parola “ ci tiene alle sue cerimonie”.
“Deve essere stato doloroso per lei”.
“Non sai quanto. Comunque, tre settimane dopo bussarono di nuovo alla porta. Io avevo avvisato chiunque che non avrei voluto visite, insomma ero vedova e non potevo ancora consumare alcolici, il dolore mi stava dilaniando. Quando aprì e vidi di nuovo una divisa, diedi di matto.  Quando decisi che quel giovane dai grandi occhi chiari poteva entrare in casa mia, non avrei mai potuto immaginare quanto già fosse potuto entrare nella vita, senza neanche conoscerlo”.
“Vi siete innamorati? Era un caro amico di Avery?”
“Kurt, non hai sentito ciò che ho detto?  Lui era già nella mia vita, perché era entrato nella vita di Avery. Nel suo cuore, quel posto che credevo fosse mio di diritto”.
Il  ragazzo corrucciò le sopracciglia.
“Thomas, così si chiamava l’uomo, era stato l’amante di mio marito. Scoprì che si conoscevano già ai tempi di Woodstock, ma che quando Avery si era messo con me avevano preso le distanze, l’uno dall’altro”.
“Avery la tradiva con Thomas, quando era in Vietnam?” Kurt spalancò gli occhi.
Penelope fece cenno di no col capo.
“In realtà, è come se avesse tradito Thomas con me. Quando si trovarono nello stesso reggimento credo che per loro fu come se avessero trovato un’ancora di salvezza. Thomas mi diede l’ultima lettera che Avery mi aveva scritto, credo che sentisse che prima o poi sarebbe venuto meno. C’era scritto che mi voleva bene…”
“Ma allora ci teneva a lei!”
“Non mi amava. Erano gli anni sessanta, la liberazione sessuale era appena iniziata, ma l’omosessualità era ancora una grossa novità. Così, mio marito, aveva optato per la via più semplice. Ma non gliene faccio una colpa, sai?”
“Ah, no?” domandò curioso Kurt.
“E’ morto avendo accanto la persona che davvero amava, se fosse successo qui avrebbe chiuso gli occhi accanto alla persona sbagliata. Certo, io lo amavo, ma le cose si fanno in due. Il mio amore per entrambi non sarebbe bastato”.
“E’ una storia tristissima” commentò Kurt, piegando la testa si lato e studiando la donna davanti a lui. Ora sembrava diversa, non  triste, non serena. Solo diversa. Con ricordi che pesavano come macigni, con un amore ancora da smaltire. Eppure non viveva tutto quello come felicità negata, perché effettivamente lei era stata chiara: il caso aveva negato la felicità solo ad Avery, costringendolo ad una vita che non voleva, a rinnegare il suo essere e il suo cuore.
“Kurt, ora ti dico una cosa e devi promettermi di tenerla a mente: non negarti mai al tuo cuore. Lui sa cosa devi fare. Spegni il cervello, fidati dell’istinto e se ti dice di uscire fuori a ballare a piedi nudi anche se diluvia, tu fallo”.
Kurt sorrise sereno.
Quella sera poco gli importò quando tornò in camera e trovò Sebastian quasi mezzo nudo sul letto che aveva lasciato le lenzuola umide dalla doccia. Non gli importò di spogliarsi e si stese vestito sul copriletto. Era solo leggero.
 
 
N.d.a Sono di nuovo qui. Per me e per voi. Dunque, ne approfitto per fare alcune precisazioni che nello scorso capitolo non ho fatto: Kurt e Sebastian qui hanno la stessa età; Kurt non è mai andato alla scuola pubblica, Kurt e Sebastian si detestano. Olè.
Eh, niente. Qui le citazioni si sprecano, il riferimento ad Hansel e Gretel è palese.
Alla prossima,
N.

 
   
 
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